9 Un segnale

Nynaeve dovette ammettere che Thom e Juilin avevano scelto un buon posto per il campo, in un boschetto rado su una collina orientale, coperto di foghe morte, a un chilometro scarso da Mardecin. Degli alberi della gomma sparpagliati e alcuni tipi di salici dai rami bassi nascondevano alla vista il carro dalla strada, e un rivoletto largo un mezzo metro scendeva da una sporgenza rocciosa vicino alla cima, fino a un letto di fango essiccato largo il doppio. C’era abbastanza acqua per i loro scopi. Sotto agli alberi era anche leggermente fresco, una radura battuta da una leggera e gradita brezza.

Fatti abbeverare i cavalli e dopo averli legati dove potevano nutrirsi della scarsa erba, i due uomini lanciarono una moneta per decidere chi avrebbe cavalcato fino a Mardecin per acquistare ciò di cui avevano bisogno. Il lancio della moneta era un rituale che avevano elaborato i due. Thom, le cui dita agili erano abituate ai giochi di prestigio, non perdeva mai quando lanciava la moneta, per cui stavolta lo fece Juilin.

Thom vinse lo stesso e mentre stava togliendo la sella di Scansafatiche, Nynaeve infilò la testa sotto al sedile del carro e sollevò un’asse con il pugnale che aveva appeso alla cintura. Oltre a due piccoli scrigni nei quali erano conservati i gioielli regalati loro da Amathera, c’erano anche alcune borse contenenti delle monete. La Panarca era stata più che generosa per levarsele di tomo. Gli altri oggetti a confronto sembravano ridicoli. Una piccola scatola di legno, lucida ma semplice e senza ornamenti e un sacchetto di pelle piatto che mostrava la sagoma di un disco contenuto all’interno. Nella scatola c’erano i due ter’angreal che avevano preso all’Ajah Nera, entrambi legati ai sogni, e nel sacchetto... Era il loro trofeo da Tanchico. Uno dei sigilli della prigione del Tenebroso.

Per quanto fosse impaziente di scoprire dove le avrebbe mandate Siuan Sanche a dare la caccia all’Ajah Nera, era il motivo della fretta di raggiungere Tar Valon. Prendendo alcune monete da una delle borse evitò di toccare la sacca piatta. Più a lungo rimaneva in suo possesso, più voleva consegnarlo all’Amyrlin e disfarsene per sempre. A volte quando era vicina all’oggetto le sembrava di poter percepire il Tenebroso che cercava di liberarsi.

Congedò Thom con una manciata d’argento e una viva raccomandazione di cercare frutta e verdura. Entrambi gli nomini avrebbero comprato solo carne e fagioli, se li avesse lasciati fare. Lo zoppicare di Thom mentre si avviava verso la strada le provocò una smorfia, una vecchia ferita non poteva essere curata, come aveva spiegato Moiraine. Era così quello zoppicare. Non poteva essere guarito.

Quando aveva lasciato i Fiumi Gemelli, era stato per proteggere dei giovani del suo villaggio, portati via nella notte da un’Aes Sedai. Era andata alla Torre ancora con la speranza di difenderli in qualche modo, poi vi aveva aggiunto l’idea ambiziosa di eliminare Moiraine per quello che aveva fatto. Da allora il mondo si era trasformato. O forse lo vedeva differentemente. No, non sono io che sono cambiata. Io sono sempre uguale, è tutto il resto a essere cambiato, pensò.

Adesso tutto quello che poteva fare era proteggere se stessa. Rand era quel che era e non poteva mutarlo. Egwene era andata impazientemente per la sua strada, senza permettere a niente e a nessuno di trattenerla, anche se l’avrebbe condotta oltre un precipizio. Mat aveva imparato a pensare solo alle donne, a fare baldoria e a scommettere. A volte si trovava addirittura a simpatizzare con Moiraine, con suo sommo disgusto. Almeno Perrin era ritornato a casa, o così le aveva detto Egwene, un’informazione avuta di seconda mando da Rand. Forse Perrin era al sicuro.

Dare la caccia all’Ajah Nera era una cosa buona, giusta e soddisfacente — e terrificante, anche se cercava di tenere nascosto quell’aspetto. Era una donna adulta, non una ragazzina che aveva bisogno di nascondersi sotto le gonne della madre. Eppure non era la ragione principale per cui continuava a sbattere la testa contro a un muro, cercando di imparare l’uso del Potere quando la maggior parte delle volte non poteva incanalare più di Thom. Come Sapiente di Emond’s Field era stato gratificante indurre la Cerchia delle Donne a pensare come lei, soprattutto perché molte erano abbastanza grandi da poter essere sua madre. Lei non aveva molti più anni di Elayne ed era stata la Sapiente più giovane dei Fiumi Gemelli. Era molto appagante vedere il Consiglio del Villaggio fare quello che doveva, anche se erano uomini ostinati. Ma la soddisfazione più grande però era sempre stata quella di trovare la combinazione giusta di erbe per curare le malattie. Guarire con l’Unico Potere... Lo aveva fatto, annaspando, aveva curato qualcosa che le altre conoscenze non potevano curare. La gioia era tale da farla piangere. Un giorno avrebbe guarito Thom e lo avrebbe visto ballare. Un giorno avrebbe anche guarito la ferita nel fianco di Rand. Non c’era nulla che non potesse essere risanato, non se la donna che maneggiava il Potere era abbastanza determinata.

Quando voltò le spalle a Thom, vide che Elayne aveva riempito il secchio che di solito era appeso sotto al carro e si era inginocchiata per lavarsi mani e viso, con un asciugamano sulle spalle per non bagnare il vestito. Era qualcosa che anche lei voleva fare. Con quel caldo a volte era piacevole lavarsi con acqua fredda di ruscello. Spesso non ne avevano avuta a disposizione, tranne quella nei barili legati sul carro, che serviva per bere e cucinare più che per lavarsi.

Juilin era seduto con la schiena appoggiata alla ruota del carro e vicino a lui era il bastone spesso come un pollice, di legno chiaro venato. Aveva la testa abbassata, lo stupido cappello in bilico davanti agli occhi, ma non avrebbe scommesso nulla sul fatto che l’uomo dormisse a quell’ora del giorno. C’erano cose che lui e Thom non sapevano ed era meglio che continuassero a ignorare.

Lo spesso letto di foglie morte scrosciò mentre Nynaeve si sedeva vicino a Elayne. «Credi che Tanchico sia davvero caduta?» Strofinando lentamente un panno insaponato sul viso, l’altra donna non rispose, quindi Nynaeve provò ancora. «Credo che le Aes Sedai di quel Manto Bianco fossimo noi.»

«Forse.» La voce di Elayne era fredda, una risposta concessa dall’alto del trono. Gli occhi erano ghiaccio azzurro e non si rivolsero a Nynaeve. «Forse quanto abbiamo fatto è stato messo in relazione ad altre voci. Tarabon potrebbe avere un nuovo re e una nuova Panarca, molto facilmente.»

Nynaeve mantenne i nervi sotto controllo e le mani lontano dalla treccia, stringendole invece alle ginocchia. Stai cercando di farla sentire a suo agio con te. Bada a come parli, si disse. «Amathera era difficile, ma non le auguro alcun male. Tu?»

«Una donna graziosa» intervenne Juilin, «specialmente in uno di quei vestiti da inserviente di Tarabon, con un bel sorriso. Pensavo che lei...» Le due donne lo guardarono e si abbassò velocemente il cappello, facendo finta di dormire. Nynaeve ed Elayne si scambiarono un’occhiata d’intesa, uomini!

«Qualunque cosa sia accaduta ad Amathera, Nynaeve, ce la siamo lasciata alle spalle.» Adesso la voce di Elayne era più normale. Rallentò il movimento con l’asciugamano che usava per lavarsi. «Le auguro ogni bene, ma prima di tutto spero che l’Ajah Nera non sia alle nostre spalle. Voglio dire, che non ci stiano seguendo.»

Juilin si mosse a disagio senza sollevare il capo. Ancora non si era abituato al fatto che le Aes Sedai Nere erano reali e non una semplice favola delle strade.

Dovrebbe essere contento di non sapere le cose che sappiamo noi, pensò Nynaeve; ammise che non era un pensiero del tutto logico, ma se avesse saputo dei Reietti liberi, anche le sciocche istruzioni di Rand di vegliare su di loro non avrebbero evitato che fuggisse. Eppure a volte era utile. Sia lui che Thom. Era stata Moiraine a legare Thom a loro e l’uomo, per essere un menestrello, conosceva molte cose del mondo.

«Se ci avessero inseguite a quest’ora ci avrebbero raggiunte.» Era vero, considerando la velocità di marcia del carro. «Se siamo fortunate, ancora non sanno chi siamo.»

Elayne annuì, cupa, ma nuovamente se stessa e incominciò a sollevare il viso. Poteva essere determinata quasi quanto una donna dei Fiumi Gemelli. «Liandrin e la maggior parte delle sue amiche di sicuro sono fuggite da Tanchico. Forse tutte loro. E noi ancora non sappiamo chi sta dando gli ordini all’Ajala Nera nella Torre. Come direbbe Rand, dobbiamo ancora farlo, Nynaeve.»

Malgrado tutto Nynaeve sussultò. Aveva ragione. Avevano una lista con undici nomi, ma, una volta tornate alla Torre, in teoria qualsiasi Aes Sedai con cui avrebbero parlato poteva appartenere all’Ajah Nera. O qualsiasi altra avessero incontrato per strada. Per dirla tutta, chiunque poteva essere Amico delle Tenebre, ma non era la stessa cosa, nemmeno vagamente.

«Ancora più che dell’Ajah Nera mi preoccupo di Mo...» Nynaeve le appoggiò rapida una mano su un braccio e fece un cenno con il capo in direzione di Juilin. Elayne tossì e proseguì come se si fosse interrotta per quello, «...Morgase, mia madre. Non ha alcun motivo per apprezzarti, piuttosto il contrario.»

«È molto distante da qui.» Nynaeve fu felice di avere la voce ferma. Non stavano parlando della madre di Elayne, ma della Reietta che Nynaeve aveva sconfitto. In parte desiderava che Moghedien fosse lontana. Molto lontana.

«Ma se non lo fosse?»

«Lo è» confermò Nynaeve, ma ancora avvertiva il solletico fra le scapole. Una parte di lei rammentava le umiliazioni sofferte da Moghedien e non desiderava altro che affrontare ancora quella donna e sconfiggerla di nuovo, stavolta per sempre. Però se Moghedien l’avesse colta di sorpresa, se fosse arrivata quando non era abbastanza in collera per incanalare? Lo stesso valeva per tutti gli altri Reietti, o una qualsiasi delle Sorelle Nere; ma dopo la sconfitta di Tanchico, Moghedien aveva motivi personali per odiarla. Non era piacevole pensare che una dei Reietti conosceva il suo nome e probabilmente voleva la sua testa. Questa è solamente pura codardia, si disse dura. Non sei una vigliacca e non lo sarai! Ma queste riflessioni non fermavano il prurito fra le scapole ogni volta che le veniva in mente Moghedien, come se la donna la stesse osservando di nascosto.

«Immagino che guardarmi sempre alle spalle alla ricerca dei banditi mi abbia resa nervosa» disse disinvolta Elayne, asciugandosi il viso. «Adesso quando sogno ho spesso la sensazione che qualcuno mi stia osservando.»

Nynaeve sobbalzò a quella che era sembrata un’eco dei suoi pensieri, ma poi si accorse che era stata l’enfasi sulla parola ‘sogno’. Non tutti i sogni, ma Tel’aran’rhiod. Un’altra cosa che gli uomini non sapevano. Lei aveva avuto la stessa impressione, ma era comune nel Mondo dei Sogni. Poteva essere sgradevole, ma ne avevano già parlato.

Nynaeve assunse un tono spensierato. «Be’, tua madre non è nei nostri sogni, Elayne, altrimenti ci avrebbe prese tutte e due per le orecchie.» Probabilmente Moghedien le avrebbe torturate fino a far loro implorare la morte. Oppure avrebbe organizzato un circolo di tredici Sorelle Nere e tredici Myrddraal. In quel modo potevano convertirle all’Ombra contro la loro volontà, legandole al Tenebroso. Forse Moghedien poteva anche agire da sola... Non essere ridicola, donna! Se avesse potuto, lo avrebbe fatto. L’hai battuta, ricordi? pensò.

«Spero di no» rispose l’altra semplicemente.

«Mi vuoi dare la possibilità di lavarmi?» chiese irritata Nynaeve. Mettere la ragazza a suo agio andava bene, ma poteva riuscirci parlando meno di Moghedien. La Reietta doveva trovarsi in qualche luogo lontano, non le avrebbe lasciate andare tranquillamente se avesse saputo dov’erano. Luce, fa che sia vero! aggiunse fra sé. Elayne di solito era una persona gradevole, quando si ricordava di non essere nel palazzo reale di Caemlyn. E quando non si comportava da sciocca. Di quello si sarebbe occupata quando Thom fosse tornato.

Dopo essersi piacevolmente rinfrescata in tutta calma, Nynaeve iniziò a preparare il campo e mandò Juilin a spezzare i rami secchi dagli alberi per accendere il fuoco. Quando Thom tornò con due ceste di vimini sistemate in groppa al castrone, le coperte sue e di Elayne erano sistemate sotto al carro e quelle degli uomini sotto il ramo cadente di uno dei salici, era stata raccolta una buona riserva di legna, la teiera si stava rinfrescando vicino alle ceneri di un fuoco all’interno di uno spazio circolare liberato dalle foglie e le stoviglie di terracotta erano state lavate. Juilin borbottava mentre riempiva i barili con l’acqua del ruscello. Dal poco che Nynaeve riusciva ad ascoltare, era contenta che parlasse a voce tanto bassa da non sentirlo. Dalla sua postazione sul carro, Elayne invece cercava di capire cosa stesse dicendo. Entrambe le donne avevano indossato abiti puliti, di colore diverso. Dopo aver impastoiato il castrone, Thom sollevò le pesanti ceste e incominciò a svuotarle. «Mardecin non è florida come sembra da lontano.» Sistemò una retina di piccole mele in terra insieme a un’altra di una qualche verdura verde scura. «Senza commercio a Tarabon, la città si sta svuotando.» Il resto sembravano sacchi di fagioli secchi e rape, del manzo al pepe affumicato e prosciutto. Più una bottiglia grigia sigillata che Nynaeve era sicura contenesse acquavite. Entrambi gli uomini si erano lamentati di non avere niente da bere quando fumavano la pipa di sera. «Non riesci a fare sei passi senza vedere un Manto Bianco o due. Il presidio è di circa cinquanta elementi, hanno costruito delle baracche sopra la collina dalla città fino al lato opposto del ponte. Era grande, ma sembra che Pedron Niall stia mandando tutti i Manti Bianchi ad Amador.» Toccandosi i baffi parve pensieroso per un momento. «Non riesco a capire cosa vuole fare.» A Thom non piaceva dover indagare. Di solito qualche ora in un posto gli bastava per scoprire tutti i rapporti fra i nobili e le casate dei mercanti, le alleanze, gli schemi e i piani che creavano il così detto Gioco delle Casate. «Le voci parlano tutte di Niall che sta cercando di fermare una guerra fra Illian e Altara, o forse Illian e il Murandy. Non c’è motivo di radunare soldati, però vi dico questo: qualsiasi cosa abbia detto quel tenente, è una tassa del re che paga il cibo inviato a Tarabon e la gente non ne è contenta. Non ha piacere di mantenere quelli di Tarabon.»

«Il re Ailron e il lord capitano Comandante non sono un problema che ci riguarda» osservò Nynaeve, studiando gli acquisti di Thom. Tre prosciutti salati! «Attraverseremo Amadicia più velocemente e discretamente possibile. Forse io ed Elayne avremo più fortuna nel trovare qualche verdura di quanta ne hai avuta tu. Ti andrebbe di fare una passeggiata, Elayne?»

La ragazza si alzò immediatamente, sistemandosi l’abito grigio e prendendo il cappello da sopra al carro. «Mi piacerebbe, dopo quel sedile. Sarebbe diverso se Thom o Juilin mi permettessero di cavalcare più spesso.» Per una volta non rivolse al vecchio menestrello uno sguardo civettuolo, che era già qualcosa.

Thom e Juilin si scambiarono delle occhiate e il cacciatore di ladri di Tairen estrasse una moneta dalla tasca della giubba, ma Nynaeve non gli diede la possibilità di lanciarla. «Staremo bene anche da sole. Non ci aspettiamo problemi con così tanti Manti Bianchi che mantengono l’ordine.» Piantandosi il cappello in testa legò il nastro sotto al mento e li guardò con fermezza. «E poi tutte quelle cose che ha comperato Thom vanno messe via.» Entrambi gli uomini annuirono. Lentamente, con riluttanza, ma lo fecero. A volte prendevano il loro ruolo di protettori troppo sul serio.

Lei ed Elayne avevano raggiunto la strada vuota e camminavano lungo il bordo, sull’erba sottile per non alzare polvere, Nynaeve doveva decidere come affrontare l’argomento che le premeva. Prima che potesse farlo però Elayne disse: «Chiaramente volevi parlarmi da sola, Nynaeve. Si tratta di Moghedien?»

Nynaeve sbatté le palpebre e guardò la donna di traverso. Avrebbe fatto bene a ricordarsi che Elayne non era una sciocca. Si comportava solamente da sciocca. Nynaeve decise di tenere a bada i nervi, sarebbe già stato difficile senza provocare una lite. «Non di quello, Elayne.» La ragazza pensava che dovessero aggiungere Moghedien alla loro caccia. Non sembrava capisse la differenza fra la Reietta e, diciamo, Liandrin o Chesmal. «Penso che dovremmo parlare del tuo comportamento nei confronti di Thom.»

«Non capisco cosa vuoi dire» rispose Elayne, guardando fissa in avanti verso il villaggio, ma un improvviso rossore sulle guance la smentì.

«Non solo è abbastanza vecchio per essere due volte tuo padre, ma...»

«Non è mio padre!» scattò Elayne. «Mio padre era Taringail Damodred, principe di Cairhien e primo principe della spada di Andor!» Sistemando il cappello che non ne aveva bisogno, proseguì con un tono più calmo, anche se non di molto. «Mi dispiace, Nynaeve. Non era mia intenzione gridare.»

Controlla i nervi, si rammentò. «Credevo che fossi innamorata di Rand» disse, con voce gentile. Non era facile. «I messaggi che mi hai chiesto di riferire a Egwene dicevano così. Suppongo che tu le racconti le stesse cose.»

Il rossore sul viso della donna aumentò. «Lo amo, ma... È molto lontano, Nynaeve. Nel deserto, circondato da migliaia di Fanciulle della Lancia che sono pronte a scattare per esaudire i suoi ordini. Non posso vederlo, parlargli o toccarlo.» Alla fine stava sospirando.

«Non puoi pensare che si interesserà a una Fanciulla» esclamò incredula Nynaeve. «È un uomo, ma non così volubile e poi una di loro lo trapasserebbe con una lancia se la guardasse di traverso, anche se lui è quest’Alba o che so io. Comunque Egwene dice che Aviendha lo sta tenendo d’occhio per te.»

«Lo so, ma... Avrei dovuto accertarmi che sapesse che lo amo.» La voce di Elayne era determinata e preoccupata. «Avrei dovuto dirglielo.»

Nynaeve non aveva mai guardato un uomo prima di Lan, non seriamente, ma da Sapiente aveva visto e imparato molto. Dalle sue osservazioni, non c’era un altro modo per far fuggire un uomo come un pazzo, a meno che non lo dicesse lui prima.

«Credo che Min abbia avuto una visione» proseguì Elayne. «Su me e Rand. Ha sempre fatto delle battute sul fatto di doverlo condividere, ma non credo che fosse uno scherzo, solo che non riusciva a dirmi quanto aveva visto.»

«È ridicolo.» Certamente lo era. Anche se a Tear Aviendha le aveva spiegato una sordida usanza aiel... tu dividi Lan con Moiraine, le suggerì una vocina nella testa. Ma non è la stessa cosa! si disse severa. «Sei sicura che Min abbia avuto una delle sue visioni?»

«Sì. All’inizio non lo ero, ma più ci penso e più ne sono sicura. Ci ha scherzato troppo per voler dire qualcosa di diverso.»

Be’, qualsiasi cosa avesse visto Min, Rand non era un Aiel. Forse lo era il suo sangue, come sostenevano le Sapienti, ma lui era cresciuto nei Fiumi Gemelli e lei non sarebbe rimasta da parte a vederlo adottare le perverse abitudini aiel. Dubitava che Elayne lo avrebbe permesso. «È per questo che stavi...» non avrebbe detto ‘lanciandoti su’ «...giocando con Thom?»

Elayne le diede un’occhiata di traverso, le guance erano di nuovo rosse. «Ci sono migliaia di leghe a separarci, Nynaeve. Credi che Rand stia evitando di guardare altre donne? Un uomo è un uomo, su un trono o in un porcile.» Elayne aveva una riserva di detti appresi dalla nutrice di casa, una donna dalle idee chiare di nome Lini che Nynaeve un giorno desiderava di poter incontrare.

«Be’, non vedo perché dovresti amoreggiare solo perché pensi che Rand lo stia facendo.» Si trattenne dal tornare sull’età di Thom. Lan è abbastanza vecchio da poter essere tuo padre, mormorò la vocina. Amo Lan. Se solo riuscissi a trovare il modo di liberarlo da Moiraine... ma non è questo il problema adesso! pensò. «Thom è un uomo che ha dei segreti, Elayne. Ricordati che è stata Moiraine a mandarlo con noi. Chiunque egli sia, non è un semplice menestrello di campagna.»

«Era un grande uomo» mormorò Elayne. «Avrebbe potuto essere anche più grande, se non fosse stato per l’amore.»

A quelle parole, Nynaeve scattò. Girò intorno all’altra donna afferrandola per le spalle. «L’uomo non sa se girarti sulle ginocchia o... o... arrampicarsi su un albero!»

«Lo so.» Elayne emise un sospiro di frustrazione. «Ma non so cos’altro fare.»

Nynaeve serrò i denti nello sforzo di non scuoterla fino a farle tremare le ossa della testa. «Se tua madre sentisse una cosa simile manderebbe Lini per riportarti nell’asilo!»

«Non sono più una bambina, Nynaeve.» La voce di Elayne era stanca e adesso il rossore sulle guance non era dovuto all’imbarazzo. «Sono una donna quanto mia madre.»

Nynaeve camminava a grandi passi verso Mardecin stringendo così forte la treccia che le nocche le erano diventate bianche.

Dopo alcuni passi Elayne la raggiunse. «Stiamo davvero andando a comperare della verdura?» Aveva il viso composto e il tono di voce era leggero.

«Hai visto cosa ha riportato Thom?» rispose Nynaeve tesa.

Elayne sollevò le spalle. «Tre prosciutti. E quel disgustoso manzo al pepe! Gli uomini non mangiano altro che carne se non si cucina per loro?»

I nervi di Nynaeve si calmarono mentre camminavano parlando delle manie del sesso debole — gli uomini ovviamente — e di altre cose semplici come quella. Non del tutto. Le piaceva Elayne e gradiva la sua compagnia. A volte sembrava davvero la sorella di Egwene, come a volte si chiamavano. Quando Elayne non si comportava in maniera insopportabile. Thom naturalmente poteva porre fine a tutto questo, ma il vecchio sciocco tollerava Elayne come un padre affettuoso con la figlia preferita, anche quando non sapeva se dire puah o svenire. In un modo o nell’altro intendeva andare a fondo in quella situazione. Non per il bene di Rand, ma perché Elayne era migliore di quel che mostrava. Era come se avesse contratto una strana febbre. Nynaeve voleva curarla.

Le strade di Mardecin erano pavimentate di granito, consumato da generazioni di piedi e ruote di carro, e gli edifici erano tutti di mattoni o pietra. Alcuni erano vuoti però, sia case che negozi, a volte con le porte spalancate e Nynaeve poteva scorgere gli interni spogli. Vide tre fucine, due abbandonate e un’altra in cui il fabbro stava pulendo gli attrezzi con l’olio e le forge erano fredde. Una locanda con il tetto di ardesia, nella quale uomini malinconici stavano seduti su delle panche sistemate fuori, aveva alcune finestre rotte; in un’altra la stalla accanto aveva le porte mezze divelte e una carrozza impolverata parcheggiata nel cortile, in cui una gallina sconsolata aveva fatto il nido sul sedile del conducente. Qualcuno là dentro stava suonando un tarabuso. Sembrava Aironi in volo, ma il motivo era senza vigore. La porta di una terza locanda era sprangata da due assi piantate di traverso.

La gente affollava le strade, ma si muoveva letargica. Appesantite dal caldo, i volti apatici suggerivano che non c’era davvero motivo di muoversi, tranne l’abitudine. Molte donne, con dei grandi cappelli che quasi nascondevano il viso, indossavano abiti consumati in fondo all’orlo e più di un uomo aveva il colletto e i polsini delle giubbe logori.

C’erano effettivamente dei Manti Bianchi lungo le strade, non molti come aveva detto Thom, ma abbastanza. Nynaeve tratteneva il respiro ogni volta che vedeva un uomo con un mantello bianco e l’armatura lucida che la guardava. Sapeva di non aver lavorato abbastanza a lungo con il Potere per assumere l’aspetto privo di età tipico delle Aes Sedai, ma costoro avrebbero comunque potuto tentare di ucciderla: una strega di Tar Valon è fuorilegge in Amadicia, se avessero anche solo sospettato un legame con la Torre Bianca. Camminavano per le strade apparentemente incuranti della povertà che li circondava. La gente si scansava rispettosa, ricevendo in cambio a volte un cenno del capo e spesso un pio «Cammina nella Luce».

Ignorando i Figli della Luce più che poteva, si mise d’impegno a cercare delle verdure, ma quando il sole raggiunse il culmine, un disco d’oro rovente che bruciava attraverso le nuvole, lei ed Elayne avevano vagato ovunque, da entrambi i lati del ponte, e fra loro due erano riuscite solo a trovare un po’ di piselli, delle radici, alcune pere dure e un cestino per trasportarle. Forse Thom aveva davvero cercato. In questo periodo dell’anno i carretti e le stalle avrebbero dovuto essere pieni dei prodotti del raccolto estivo, ma la maggior parte erano cataste di patate e rape che avevano visto giorni migliori. Ripensando a tutte quelle fattorie vuote mentre si avvicinavano alla città, Nynaeve si chiese come avrebbe fatto questa gente a superare l’inverno. Proseguì comunque nella ricerca. Appesa sottosopra accanto alla porta di un edificio con il tetto di paglia c’era un mazzo di quella che sembrava saggina, con dei piccoli fiori gialli, i gambi avvolti da un fiocco bianco e legati con uno giallo. Poteva essere il debole tentativo di qualche donna di creare una decorazione allegra durante quei tempi di magra. Ma Nynaeve era sicura che non fosse così.

Fermandosi vicino a un negozio vuoto con un pugnale da lavoro sull’insegna che pendeva davanti all’entrata, fece finta di cercare un sasso nella scarpa mentre studiava furtiva il negozio della sarta. La porta era aperta e scampoli di stoffa colorata erano disposti davanti alla piccola finestra, ma nessuno entrava o usciva.

«Non riesci a trovarlo, Nynaeve? Levati la scarpa.»

Nynaeve voltò la testa di scatto, si era quasi dimenticata di Elayne. Nessun altro prestava loro attenzione e nessuno sembrava abbastanza vicino da sentire, ma abbassò comunque la voce. «Il mazzo di saggina vicino alla porta di quel negozio. È un segnale dell’Ajah Gialla, un segnale di emergenza per gli occhi e le orecchie delle Gialle.»

Non c’era bisogno che dicesse a Elayne di non fissarlo, gli occhi della ragazza si mossero appena verso l’ingresso del negozio. «Ne sei sicura?» chiese con calma. «Come fai a saperlo?»

«Certo che ne sono sicura. È giusto. Il pezzo di fiocco giallo che pende è anche diviso in tre.» Fece una pausa per respirare profondamente. A meno che non si sbagliasse del tutto, quell’insulso mazzo d’erba aveva un significato terribile. Se aveva torto si sarebbe resa molto ridicola, cosa che odiava. «Ho trascorso molto tempo a parlare con le Gialle alla Torre.» La guarigione era lo scopo primario delle Gialle, a loro non importava molto delle erbe di Nynaeve, non ne avevano bisogno quando potevano guarire con il Potere. «Una di loro me lo ha spiegato. Non credeva fosse una trasgressione grave visto che era convinta che avrei scelto l’Ajah Gialla. E poi non è stato usato da quasi trecento anni. Elayne, solo alcune donne per ogni Ajah sanno chi sono i loro occhi e orecchi, ma un mazzo di fiori gialli legati e appesi a quel modo dice a qualsiasi Sorella Gialla che qui se ne nasconde una e con un messaggio abbastanza urgente da rischiare di farsi prendere.»

«Come facciamo a scoprirlo?»

A Nynaeve quella domanda era piaciuta. Non ‘cosa facciamo?’. La ragazza aveva coraggio.

«Dammi spago» disse, stringendo forte il cestino mentre si metteva diritta. Sperava di ricordarsi tutto quello che le aveva spiegato Shemerin. Sperava anche che Shemerin le avesse rivelato tutto. La paffuta Gialla era troppo distratta per essere un’Aes Sedai.

L’interno del negozio non era grande e ogni parte del muro era occupata da scaffali sui quali erano adagiati pezzi di seta o di lana fine, rocchetti di filo e lacci, nastri e merletti di ogni grandezza e tipo. C’erano dei manichini sparsi, con abiti confezionati a metà e completi, da un vestito da ballo di lana verde ricamata a uno di seta grigio perla adatto a corte. A prima vista il negozio pareva fornito e in attività, ma l’occhio attento di Nynaeve aveva colto della polvere su uno dei colli alti di merletto di Solinde e su un grosso fiocco di velluto nero alla vita di un altro vestito.

Nel negozio vi erano due donne con i capelli rosso scuro. Una, giovane e magra, che cercava di pulirsi il naso con il dorso della mano, teneva un rotolo di seta rossa e lo stringeva ansiosa. I capelli erano una massa di lunghi riccioli che le scendevano sulle spalle, alla moda di Amadicia, ma sembravano annodati a confronto con quelli dell’altra donna. Questa, bella e di mezza età, era senza dubbio la sarta, come rivelava anche il grande puntaspilli legato attorno al polso. Il suo abito era di ottima lana verde, ben tagliato e confezionato in modo tale da mostrare le sue capacità, ma ricamato sobriamente con dei piccoli fiori bianchi attorno all’alto colletto così da non oscurare le clienti.

Quando Nynaeve ed Elayne entrarono, entrambe le donne sciamarono come se nessuno fosse entrato nel negozio da un anno. La sarta si riprese per prima, guardandole con grande dignità mentre rivolgeva loro la riverenza. «In cosa posso servirvi? Mi chiamo Ronde Macura. Il mio negozio è vostro.»

«Vorrei un vestito con delle rose gialle ricamate sul corpetto» rispose Nynaeve. «Ma senza spine, fai attenzione» aggiunse ridendo. «Non guarisco velocemente.» Cosa diceva non aveva importanza, a patto che includesse le parole ‘giallo’ e ‘guarire’. Ora doveva solo capire se il mazzo di fiori era una coincidenza. In quel caso, avrebbe dovuto trovare un motivo per non comperare un abito con le rose. E il sistema di evitare che Elayne raccontasse la sua misera figura a Thom e Juilin.

Comare Macura la guardò per un po’ con gli occhi scuri, quindi si rivolse alla ragazza, spingendola verso il retro del negozio. «Vai in cucina, Luci, e prepara del tè per queste buone donne. Quello della scatola blu. L’acqua è calda, grazie alla Luce. Vai, ragazza. Posa quella seta e smettila di guardare con la faccia da stupida. Veloce. Veloce. Mi raccomando, la scatola blu, quello migliore» disse, rivolgendosi a Nynaeve mentre la ragazza spariva attraverso la porta sul retro. «Vivo sopra al negozio, vedete, e la cucina è nel retro.» La donna stava sistemando il vestito nervosamente, con il pollice e l’indice che formavano un cerchio. A indicare l’anello del Gran Serpente. Pareva che non sarebbe servita una scusa per non comperare il vestito.

Nynaeve rifece il segnale e dopo un attimo lo fece anche Elayne. «Mi chiamo Nynaeve e questa è Elayne. Abbiamo visto il vostro segnale.»

La donna si agitò come se volesse volare via. «Il segnale? Ah. Sì. Naturalmente.»

«Be’?» chiese Nynaeve. «Qual è il messaggio urgente?»

«Non dovremmo parlarne qui... comare Nynaeve. Potrebbe entrare chiunque.» Nynaeve ne dubitava. «Te lo dirò mentre beviamo il tè. Il migliore, come ho detto.»

Nynaeve scambiò un’occhiata con Elayne. Se comare Macura era riluttante a parlare di questa notizia doveva essere davvero spaventosa.

«Se vogliamo passare nel retro» intervenne Elayne, «nessuno ci sentirà.» Il suo tono regale suscitò lo sguardo stupito della sarta. Per un po’ Nynaeve pensò che sarebbe servito a placare il nervosismo della donna, ma quella sciocca aveva ripreso a balbettare.

«Il tè sarà pronto in un momento. L’acqua è già calda. Di solito qui erano di passaggio i commercianti di tè da Tarabon. Questo è il motivo per cui sono in questo posto, suppongo. Non il tè. Tutti i commerci che c’erano una volta e tutti i nuovi che procedono in entrambe le direzioni con i carri. Loro voi siete principalmente interessate alle epidemie, o a un nuovo tipo di malattia, ma io trovo interessante anche altro. Mi soffermo sempre un po’ con...» tossì e proseguì, se avesse strofinato il vestito con un po’ più di energia lo avrebbe bucato. «Qualcosa che riguarda i Figli, senza dubbio, ma loro, voi, non siete molto interessate.»

«La cucina, comare Macura» disse con fermezza Nynaeve mentre l’altra donna si fermava a respirare. Se queste notizie la spaventavano così tanto, Nynaeve non avrebbe atteso oltre prima di ascoltarle.

La porta sul retro si aprì abbastanza da mostrare la testa ansiosa di Luci. «È pronto, comare» annunciò senza fiato.

«Da questa parte, comare Nynaeve» la invitò la sarta, sempre strofinando la parte anteriore del vestito. «Comare Elayne.»

Un breve corridoio le portò oltre alcune strette scale verso una cucina con il soffitto di travi, dove un bollitore sistemato sotto al camino fumava e c’erano delle alte credenze ovunque. Delle pentole di rame erano appese fra la porta posteriore e una piccola finestra che si affacciava su un cortile con un alto recinto di legno. Sul tavolo nel centro della stanza era appoggiata una teiera giallo brillante, un vasetto verde di miele, tre tazze scompagnate di diverse tinte, e una tozza scatoletta blu con il coperchio da un lato. Comare Macura la afferrò bruscamente, la chiuse e la ripose con rapidità nella credenza, dove ve ne erano almeno altre due dozzine di ogni forma e colore.

«Accomodatevi, prego» disse alla fine riempiendo le tazze. «Prego.»

Nynaeve spinse la sedia con lo schienale a listelli vicino a Elayne e la sarta mise le tazze davanti a loro, andando svelta verso una delle credenze per prendere dei cucchiaini di peltro.

«Il messaggio?» chiese Nynaeve mentre la donna si sedeva di fronte a loro. Comare Macura era troppo nervosa per toccare la sua tazza, per cui Nynaeve mise del miele nella propria e ne sorbì un sorso. Il tè scottava, ma aveva un fresco retrogusto alla menta. Forse la bevanda calda avrebbe tranquillizzato la donna, se riusciva a berne.

«Ha un gusto gradevole» mormorò Elayne mentre lo assaporava. «Di che tipo di tè si tratta?»

Brava ragazza, pensò Nynaeve.

Ma le mani della sarta svolazzarono vicino alla tazza. «Una miscela di Tarabon. Dalle vicinanze del Litorale dell’Ombra.»

Sospirando Nynaeve bevve un altro sorso per calmarsi lo stomaco. «Il messaggio» chiese con insistenza. «Non hai esposto quel segnale per invitarci a bere il tè. Quali sono queste notizie urgenti?»

«Ah, sì.» Comare Macura si leccò le labbra, le guardò entrambe, quindi disse lentamente, «È giunto circa un mese fa, con l’ordine che qualsiasi Sorella di passaggio lo ascoltasse a tutti i costi.» Si umettò di nuovo le labbra. «Tutte le Sorelle che vogliano tornare alla Torre Bianca sono le benvenute. La Torre deve essere integra e forte.»

Nynaeve attese il resto, ma l’altra donna tacque. Questo era il messaggio? Guardò Elayne, ma il caldo sembrava avere il sopravvento sulla ragazza. Accasciata sulla sedia si era messa a fissare le mani appoggiate sul tavolo. «È tutto?» chiese Nynaeve e si sorprese a sbadigliare. Il caldo probabilmente stava colpendo anche lei.

La sarta la guardava con attenzione.

«Ho detto» iniziò Nynaeve, ma di colpo sentì che la testa era troppo pesante per il collo. Si accorse che Elayne era caduta sul tavolo, con gli occhi chiusi e le braccia che pendevano inerti. Nynaeve fissò la tazza che teneva fra le mani colma di orrore. «Che cosa ci avete fatto bere?» chiese con la voce impastata. Aveva ancora il sapore di menta in bocca, ma si sentiva la lingua gonfia. «Ditemelo!» Lasciando cadere la tazza si appoggiò al tavolo, con le ginocchia tremanti. «Che la Luce ti folgori, cosa?»

Comare Macura fece scivolare indietro la sedia e si allontanò, ma il nervosismo di prima adesso si era trasformato in calma soddisfazione.

Mentre scivolava nell’oscurità, l’ultima cosa che Nynaeve sentì fu la voce della sarta che diceva, «Prendila, Luci!»

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