21 Il dono di una lama

Il campo si estendeva fino all’imboccatura del passo Jangai, anche se lontano da Taien, e si allargava sulle colline attorno ai passaggi, fra i cespugli sparsi e anche sui pendii della montagna. Non che qualcosa fosse ben visibile tranne quel che c’era nel valico. Le tende aiel si confondevano con il terreno roccioso così bene che era difficile vederle anche per chi sapesse cosa cercare e dove. Sulle colline gli Aiel si erano accampati per clan, ma quelli nel passo si erano raggruppati per società. Erano prevalentemente Fanciulle, ma anche le società maschili avevano invitato i loro rappresentanti, circa cinquanta per gruppo, montando le tende ben oltre le rovine di Taien in campi leggermente separati. Tutti capivano, o credevano di capire, che le Fanciulle recavano l’onore di Rand, ma tutte le società volevano vegliare sul Car’a’carn.

Moiraine e Lan andarono a occuparsi dei carri di Kadere, sistemandoli proprio sotto alla città. L’Aes Sedai si agitava attorno al contenuto delle vetture quasi quanto faceva con Rand. I conducenti imprecavano contro il puzzo che riempiva l’aria ed evitavano di guardare gli Aiel che rimuovevano i corpi dalle mura, ma, dopo aver trascorso mesi nel deserto, parevano accontentarsi di essere vicini alle rovine di quella che secondo loro era la civiltà.

I gai’shain stavano montando le tende delle Sapienti — quelle di Amys, Bair e Melaine — sotto alla città, a cavallo del percorso che portava fuori dalle colline. Di sicuro avrebbero sostenuto di aver scelto quel punto per essere a disposizione e sua e delle innumerevoli Sapienti che erano al livello inferiore, ma per Rand non era una coincidenza che chiunque risalisse la collina per andare da lui avrebbe dovuto passare attraverso o attorno al campo. Fu leggermente sorpreso di vedere Melaine dirigere le persone vestite di bianco. Solo tre notti prima si era unita in matrimonio con Bael, in una cerimonia che faceva di lei la sua sposa e la sorella prima dell’altra moglie, Dorindha. Quella parte era stata altrettanto importante delle nozze. Aviendha si era stupita, o forse arrabbiata, per la sorpresa.

Quando Egwene giunse con Aviendha, insieme a lei sulla giumenta grigia, le loro lunghe gonne erano sollevate sopra le ginocchia; sembravano una bella coppia malgrado i colori diversi e il fatto che Aviendha fosse abbastanza alta da superare la spalla di Egwene senza doversi allungare, tutte e due con un solo braccialetto di avorio e una collanina. Il lavoro di rimozione dei cadaveri degli impiccati era appena iniziato. Mucchi di penne nere insudiciavano il suolo: molti dei corvi erano morti, e il resto era volato via; gli avvoltoi, invece, troppo sazi per volare, ancora camminavano goffi fra le ceneri oltre le mura.

Rand sperava che ci fosse un sistema per tenere lontane le due donne e non farle assistere alla scena, ma, con sua sorpresa, nessuna diede di stomaco. Be’, non se lo sarebbe davvero aspettato da Aviendha, la donna aveva affrontato la morte abbastanza spesso, e sempre senza mutare espressione. Ma la sorpresa fu la pietà negli occhi di Egwene mentre guardava rimuovere i corpi gonfi.

Fece avvicinare Nebbia a Jeade’en e si protese ad appoggiargli una mano su un braccio. «Mi dispiace, Rand. Non avevi modo di fermare tutto questo.»

«Lo so» le rispose. Non era nemmeno al corrente che ci fosse una città fino a quando Rhuarc non ne aveva parlato casualmente cinque giorni prima. I suoi colloqui con i capi vertevano tutti sulla possibilità di spingersi oltre in un giorno di marcia o su cosa avrebbe fatto Couladin una volta fuori dal passo Jangai, e ormai gli Shaido lì avevano finito ed erano andati via. Adesso aveva smesso di prendersela con se stesso.

«Be’, ricordatene. Non è stata colpa tua.» Spronò Nebbia e iniziò a parlare con Aviendha prima di che si trovasse lontano tanto da non essere ascoltata. «Sono contenta che la stia prendendo bene. Ha l’abitudine di sentirsi colpevole anche per le cose di cui non è responsabile.»

«Gli uomini credono sempre di avere tutto sotto controllo» rispose Aviendha. «Quando scoprono che non è così pensano di aver fallito, invece di imparare una semplice verità che le donne già conoscono.»

Egwene rise. «Questa è la pura realtà. Una volta visti questi poveretti, ero convinta che lo avremmo trovato da qualche parte a vomitare.»

«Ha lo stomaco così delicato? Io...»

Le voci delle donne svanirono mentre la giumenta proseguiva. Rand si tirò su in sella arrossendo. Cercare di spiarle. Si stava comportando come uno sciocco. Ma non si trattenne dal guardarle mentre si allontanavano. Si prendeva la responsabilità solo di ciò che poteva controllare. Per cui poteva fare qualcosa. Non gli piaceva che parlassero di lui. Alle sue spalle o sotto al suo naso. Solo la Luce sapeva cosa stessero dicendo.

Scendendo da cavallo andò a cercare Asmodean, che sembrava sparito chissà dove. Dopo così tanti giorni trascorsi in sella era piacevole andare a piedi. Diversi gruppi di tende stavano spuntando lungo il passo, le pendici delle montagne e le rupi erano delle formidabili barriere, ma gli Aiel ancora si disponevano come se si aspettassero un attacco. Rand aveva provato a camminare con loro, ma mezza giornata era stata abbastanza per farlo tornare a cavallo. Era già difficile stargli dietro così. Quando acceleravano la marcia potevano far stancare gli animali.

Anche Mat era smontato e stava accovacciato con le redini in una mano e la lancia dal manico nero sulle ginocchia, mentre scrutava attraverso i cancelli aperti, osservando con attenzione la città e borbottando mentre Pips era intento a brucare i cespugli. Mat stava studiando, non solo guardando. Da dove era venuto quel rimprovero riguardo le sentinelle? Mat a volte diceva cose strane, da quando avevano fatto quella prima sortita nel Rhuidean. Rand sperava che l’amico gliene volesse parlare, ma lui continuava ancora a negare che fosse accaduto qualcosa, malgrado il medaglione con la testa di volpe, la lancia e quella cicatrice attorno al collo. Melindhra, la Fanciulla Shaido che Mat aveva preso a frequentare, si trovava da una parte e osservava Mat, fino a quando Sulin non le diede un incarico. Rand si chiese se Mat sapesse che le Fanciulle avevano iniziato a scommettere se Melindhra avrebbe rinunciato alla lancia per lui e se gli avrebbe insegnato a cantare, ma si limitavano a ridere quando Rand chiedeva cosa significasse.

Il suono della musica lo guidò da Asmodean, seduto da solo su una sporgenza di granito con l’arpa appoggiata sulle ginocchia. Il sostegno della bandiera cremisi era infilato nel terreno roccioso e il mulo vi era legato. «Vedi, mio lord Drago» disse allegro, «il tuo portabandiera è leale ai suoi doveri.» La voce e l’espressione dell’uomo mutarono mentre diceva, «Se vuoi avere questa cosa, perché non la fai portare a Mat o Lan? O anche Moiraine? Sarebbe contenta di reggere la tua bandiera e pulirti gli stivali. Fai attenzione a lei. È una creatura contorta. Quando una donna dice che ti obbedirà, di sua spontanea volontà, è il momento di tenere il sonno leggero e guardarti le spalle.»

«La porti perché sei stato scelto, mastro Jasin Natael.» Asmodean sobbalzò e si guardò attorno, anche se tutti si trovavano lontani ed erano troppo impegnati per ascoltare. Comunque nessuno oltre a loro due avrebbe capito. «Cosa mi sai dire di quelle rovine vicino alla linea della neve? Devono risalire all’epoca leggendaria.»

Asmodean non rivolse nemmeno lo sguardo alla montagna. «Questo mondo è molto cambiato da quello in cui io... sono andato a dormire.» Aveva la voce stanca e tremava leggermente. «Quello che so delle cose che si trovano in giro l’ho imparato da quando mi sono risvegliato.» Il suono doloroso della Marcia della morte si levò dall’arpa. «Quello potrebbe essere ciò che resta della città dove sono nato, per quanto ne so. Shorelle era un porto.»

Mancava forse un’ora prima che il sole si nascondesse dietro la Dorsale del Mondo. Così vicino alle alte montagne la notte giungeva presto. «Adesso sono troppo stanco per una delle nostre discussioni.» Così chiamavano le lezioni di Asmodean in pubblico, anche quando non c’era nessuno in giro. Assieme alle esercitazioni pratiche con Lan e Rhuarc, queste gli lasciavano poco tempo per dormire da quando aveva lasciato il Rhuidean. «Vai nella tua tenda quando sei pronto e ti vedrò domattina, con la bandiera.» Non c’era nessun altro per portare quella maledetta cosa. Forse avrebbe potuto trovare qualcuno a Cairhien.

Mentre si voltava per andare via, Asmodean emise una nota stonata e disse: «Stanotte non verrà tessuta nessuna rete in fiamme attorno alla mia tenda? Finalmente inizi a fidarti di me?» Rand si guardò dietro le spalle. «Mi fido di te come di un fratello. Fino al giorno in cui mi tradirai. Hai la mia parola d’onore per quanto riguarda ciò che avrai in cambio dell’insegnamento, un affare migliore di quello che meriti; ma il giorno che ti rivolterai contro di me, la ritirerò e la seppellirò insieme al tuo cadavere.» Asmodean aprì la bocca ma Rand lo precedette. «Sono io che parlo, Natael. Rand al’Thor. A noi dei Fiumi Gemelli non piace chi tenta di pugnalarci alle spalle.»

Tirò irritato le redini del cavallo baio e andò via prima che l’altro potesse dire qualcosa. Non sapeva se Asmodean si rendesse conto che un uomo morto stava tentando di sopraffarlo, ma non doveva dargli dei suggerimenti. Asmodean era già abbastanza sicuro che la sua fosse una situazione senza via d’uscita. Se iniziava a pensare che Rand non aveva il pieno controllo della propria mente, che forse stava impazzendo, il Reietto lo avrebbe abbandonato in un istante e c’era ancora troppo che Rand doveva imparare.

Dei gai’shain vestiti di bianco stavano montando la sua tenda seguendo le istruzioni di Aviendha ben oltre la bocca del passo, con quell’enorme serpente scolpito sopra di loro. I gai’shain avevano le loro, ma naturalmente le avrebbero montate per ultime. Adelin e circa una dozzina di Fanciulle erano accovacciate nelle vicinanze che guardavano, in attesa di vegliare sul suo sonno. Anche se ve ne erano più di mille accampate attorno a lui ogni notte, montavano la guardia davanti alla sua tenda.

Prima di avvicinarsi si protese attraverso il ter’angreal nella tasca della giubba per toccare saidin. Non c’era bisogno di sfiorare la statuetta dell’uomo grasso con la spada. Un misto di sudiciume e dolcezza lo colmò, il fiume ribollente di fuoco, quella valanga impetuosa di ghiaccio. Incanalando come aveva fatto ogni notte da quando avevano lasciato il Rhuidean, elevò delle protezioni attorno al campo, non solo quello nel passo ma su ogni tenda che si trovava sulle colline e sulle pendici della montagna. Aveva bisogno del ter’angreal per piazzarne su un’area così vasta. Aveva pensato di essere forte, ma gli insegnamenti di Asmodean lo stavano rendendo ancora più forte. Nessun umano o animale che avesse oltrepassato quel limite avrebbe notato qualcosa, ma se uno della progenie dell’Ombra lo avesse varcato sarebbe suonato un allarme che chiunque nelle tende avrebbe sentito. Se lo avesse fatto nel Rhuidean i Segugi Neri non sarebbero mai potuti entrare senza che lui lo sapesse.

Gli Aiel stessi avrebbero dovuto stare in guardia contro gli umani. Le protezioni erano un intrico complesso di flussi, anche se lievi, e un gesto in più da parte loro poteva attivarle. Avrebbe potuto crearle per uccidere la progenie dell’Ombra invece di dare solo l’allarme, ma sarebbero state una sorta di faro per ogni Reietto maschio che forse lo stava cercando e anche per i Myrddraal. Non c’era bisogno che si attirasse addosso i nemici quando forse non sapevano dove si trovava. Questa protezione non l’avrebbe riconosciuta nemmeno uno dei Reietti a meno che non fosse vicino, e un Myrddraal solo quando sarebbe stato troppo tardi.

Lasciar andare saidin era un esercizio di autocontrollo, malgrado il sudiciume e la contaminazione, e nonostante il modo in cui il Potere cercava di spazzarlo via come sabbia sulla riva del fiume, di bruciarlo, di annientarlo. Galleggiava nell’immenso vuoto, eppure era in grado di sentire l’aria che si muoveva contro ogni capello, vedere i fili dei vestiti dei gai’shain o avvertire l’odore caldo di Aviendha. Ne voleva di più. Ma poteva anche percepire l’odore delle ceneri di Taien, i morti bruciati, la putrefazione degli altri, anche di quelli già seppelliti, misto al tanfo secco delle loro fosse. Quello aiutava. Per un po’, dopo aver rilasciato saidin, si limitò a respirare l’aria calda e asciutta; in confronto a prima, la scia della morte sembrava assente e l’aria stessa pura e meravigliosa.

«Guarda cosa c’era qui prima di noi» disse Aviendha mentre lasciava che una gai’shain dal volto mite prendesse Jeade’en. Gli mostrò un serpente del sangue, marrone e morto, grosso come il suo braccio e lungo quasi tre passi. Il rettile doveva quel nome all’effetto del suo morso, che in pochi minuti trasformava il sangue in gelatina. A meno che non si sbagliasse, la ferita precisa dietro la testa dell’animale era stata provocata dal suo pugnale da cintura. Adelin e le altre Fanciulle sembravano approvare.

«Hai pensato, anche solo per un istante, che avrebbe potuto mordere te?» le disse. «Non ti è venuto in mente di usare il Potere invece di uno stupido coltello da cintura? Perché non l’hai baciato prima? Dovevi trovarti abbastanza vicina.»

La donna si tirò su e i grandi occhi verdi sembravano anticipare il gelo della notte. «Le Sapienti dicono che non è un bene usare il Potere troppo spesso.» Le parole convulse erano fredde come i suoi occhi. «Perché si rischia di farsi del male.» Aggrottando leggermente le sopracciglia la donna aggiunse, più per se stessa che per lui, «Anche se sono sicura di aver appena sfiorato tutto quello che posso controllare.»

Scuotendo il capo Rand entrò nella tenda. La donna non avrebbe sentito ragioni.

Si era appena sistemato su un cuscino di seta vicino al fuoco spento, che Aviendha lo seguì. Senza il serpente del sangue, fortunatamente, ma portando con lei qualcosa di lungo avvolto negli spessi strati di una coperta grigia. «Eri preoccupato per me» disse con voce atona. Sul viso non aveva alcuna espressione.

«Certo che no» le mentì. Sciocca donna. Si farà ammazzare se non avrà abbastanza cervello da prestare attenzione quando ce ne è bisogno, pensò. «Mi sarei preoccupato nella stessa misura per chiunque altro. Non vorrei vedere nessuno morso da un serpente del sangue.»

Per un po’ la donna lo guardò dubbiosa, quindi annuì. «Bene. Finché non ti fai strane idee su di me.» Gettandogli le coperte davanti ai piedi si sedette sui talloni davanti alla fossa per il fuoco. «Non volevi accettare la fibbia come dono per cancellare i debiti fra noi...»

«Aviendha, non c’è alcun debito.» Credeva che la donna avesse dimenticato l’episodio, invece proseguì come se non lo avesse sentito.

«...ma forse questa li cancellerà.»

Con un sospiro svolse la coperta arrotolata; lui la guardò circospetto, visto che la donna sembrava più a disagio con quell’oggetto che con il serpente, il maledetto rettile che aveva maneggiato come fosse un pezzo di stoffa; quindi rimase esterrefatto. All’interno vi era una spada, la custodia tempestata di rubini e pietre di luna in numero così grande che era difficile scorgere l’oro, tranne per un sole nascente raggiato che vi era stato applicato. L’elsa di avorio, abbastanza lunga da poter essere impugnata a due mani, era decorata con un altro sole nascente d’oro, il pomello anch’esso coperto di rubini e pietre di luna. Questa spada non era stata creata per essere usata, ma solo per essere guardata. Ammirata.

«Deve esserti costata... Aviendha, come hai fatto a pagarla?»

«Mi è costata poco» rispose sulla difensiva, come a celare che aveva mentito.

«Una spada. Come ne sei venuta in possesso? Non dirmi che Kadere l’aveva nascosta in uno dei suoi carri.»

«L’ho portata in una coperta.» Adesso sembrava anche più permalosa di quando parlava del prezzo. «Anche Bair ha detto che avrebbe messo le cose a posto, finché io non l’avessi toccata.» A disagio, Aviendha si strinse nelle spalle, sistemandosi ripetutamente lo scialle. «Era la spada dell’assassino degli alberi, quella di Laman. Gli fu presa una volta ucciso come prova che era morto, perché la testa non poteva essere portata così lontano. Da allora è passata di mano in mano, giovani uomini o Fanciulle sciocche che volevano possedere la testimonianza della sua morte. Solo che ognuno poi si metteva a pensare di che oggetto si trattasse e presto lo vendeva a un altro sciocco. Il prezzo è sceso molto da quando fu acquistata la prima volta. Nessun Aiel la toccherebbe, nemmeno per rimuovere le pietre.»

«Be’, è bellissima» le disse, con il maggior tatto possibile. Solo un buffone sarebbe andato in giro con un’arma tanto sgargiante. E l’impugnatura d’avorio sarebbe scivolata da mani impregnate di sudore e sangue. «Ma non posso lasciarti...» Si interruppe mentre snudava qualche centimetro della lama, come d’abitudine, per controllarne il filo. Inciso sull’acciaio splendente vi era un airone, il simbolo dei mastri spadaccini. Una volta ne aveva avuta una con lo stesso marchio. All’improvviso fu pronto a scommettere che questa lama era uguale alla precedente, come quella marchiata dai corvi sulla lancia di Mat, metallo creato con il Potere che non si sarebbe mai spezzato e non avrebbe mai avuto bisogno di essere affilato. La maggior parte delle spade dei mastri spadaccini ne era solo una copia. Lan avrebbe potuto confermarglielo, ma lui ne era già certo.

Sfilandola dalla custodia si inchinò sopra la fossa per il fuoco, così da mostrarla ad Aviendha. «Accetterò la lama per cancellare il debito, Aviendha.» Era lunga e leggermente ricurva, con un solo filo. «Solo la lama. Puoi riprenderti la custodia.» A Cairhien poteva farsi fare una nuova elsa e un nuovo fodero. Forse uno dei sopravvissuti di Taien era un fabbro.

Aviendha andò con gli occhi sgranati dalla custodia a Rand, a bocca spalancata, stupita, per la prima volta da quando la conosceva. «Ma quelle gemme valgono molto, molto più di quanto io... Stai di nuovo cercando di lasciarmi in debito con te, Rand al’Thor.»

«No.» Se questa lama era rimasta riposta, non toccata e non ossidata nel suo fodero per oltre vent’anni, doveva trattarsi di quel che pensava. «Non accetto la custodia, che perciò è sempre stata tua.» Lanciando uno dei cuscini di seta in aria, assunse la posizione di scherma seduta chiamata I venti bassi si alzano. Cadde una pioggia di piume mentre la lama trapassava il guanciale. «E non accetto nemmeno l’elsa, che è altrettanto tua. Se ne ricavi un profitto, ti spetta.»

Invece di sembrare contenta per questa fortuna inattesa — Rand sospettava che Aviendha avesse usato tutto quello che poteva per comperare questa spada e avrebbe probabilmente guadagnato cento volte la cifra solo con la custodia — invece di sembrare contenta o ringraziarlo, lo guardò torva fra la pioggia di piume, indignata come una massaia dei Fiumi Gemelli a cui avessero sporcato il pavimento di casa. Aviendha batté rigida le mani per chiamare uno dei gai’shain, che si inginocchiò immediatamente per pulire tutto.

«È la mia tenda» le disse esplicitamente. Aviendha tirò su con il naso imitando perfettamente Egwene. Quelle donne trascorrevano troppo tempo insieme.

La cena, servita a notte fonda, consisteva del solito pane non lievitato e uno stufato speziato di peperoni secchi e fagioli con dei pezzi di carne quasi bianca. Rand si limitò a sorriderle quando scoprì che si trattava del serpente del sangue. Aveva mangiato rettili e anche di peggio da quando era giunto nel deserto. I gara — le lucertole velenose — a suo parere erano la cosa peggiore. Non per il sapore, che somigliava al pollo, ma perché si trattava di una lucertola. A volte sembrava che ci fossero più creature velenose — serpenti, lucertole, ragni, piante — nel deserto che nel resto del mondo messo assieme.

Aviendha sembrava delusa che Rand non avesse sputato il cibo disgustato, anche se era difficile capire cosa provasse la donna. A volte sembrava molto compiaciuta nel metterlo a disagio. Se lui avesse cercato di comportarsi come un Aiel, avrebbe pensato che la donna volesse dimostrare il contrario.

Stanco e assonnato, si tolse solo la giubba e gli stivali prima di infilarsi sotto alle coperte e voltare le spalle ad Aviendha. Forse gli uomini e le donne aiel facevano la sauna insieme, ma un breve periodo trascorso nello Shienar, dove c’era una simile abitudine, lo aveva convinto di non essere tagliato per quel genere di cose, non senza diventare rosso al punto da sentirsi morire. Rand cercò di non prestare ascolto al rumore che faceva Aviendha mentre si spogliava sotto le coperte. Almeno la donna era discreta, ma Rand rimase comunque voltato, per sicurezza.

Aviendha aveva sostenuto che doveva dormire con lui in modo da poter proseguire le lezioni sulle usanze e i modi aiel, visto che trascorreva la maggior parte del giorno con i capi clan. Sapevano entrambi che non era vero, ma cosa le Sapienti ritenessero che Aviendha avrebbe scoperto in quel modo, Rand non riusciva a immaginarselo. La donna di tanto in tanto si lamentava mentre strattonava qualcosa e parlava da sola.

Per coprire i rumori e smettere di pensare al loro significato Rand disse: «Il matrimonio di Melaine è stato solenne. Bael davvero non ne sapeva nulla fino a quando Melaine e Dorindha non glielo hanno detto?»

«Certo che no» rispose Aviendha sdegnosamente, forse impegnata a togliersi una calza. «Perché avrebbe dovuto saperlo prima che Melaine deponesse la corona nuziale di fiori ai suoi piedi e gli chiedesse di sposarla?» Quindi scoppiò a ridere. «Melaine e Dorindha sono quasi impazzite per trovare dei fiori di segade per la corona. Vicino al Muro del Drago ne crescono pochi.»

«Hanno un significato particolare i fiori di segade?» Era quanto lui le aveva inviato, i fiori che la donna non aveva confermato di aver ricevuto.

«Che lei è di indole spinosa e non intende cambiare.» Una nuova pausa interrotta da borbottii. «Se avesse usato fiori o foghe di dolceradice, avrebbe significato che dichiarava di essere dolce di natura. Le gocce del mattino avrebbero voluto dire che sarebbe stata remissiva e... ce ne sono troppi da elencare. Ci vorrebbero giorni per insegnarti tutte le combinazioni e non ti serve a nulla conoscerle. Non avrai una moglie aiel. Appartieni a Elayne.»

Rand stava per guardarla quando disse ‘remissiva’. Una parola meno indicata per descrivere una donna aiel non sarebbe stato in grado di concepirla. Probabilmente significa che ti avviserà prima di accoltellarti, si disse.

Mentre finiva di parlare, nella voce di Aviendha si avvertivano molti suoni soffocati. Forse stava sfilandosi la blusa dalla testa. Rand avrebbe voluto che le lampade fossero spente. No, avrebbe reso le cose più difficili. Era passato tutte le sere attraverso questo rituale da quando avevano lasciato il Rhuidean e ogni notte era peggiore. Doveva porre termine a tutto questo. D’ora in poi la donna sarebbe andata a dormire con le Sapienti, era quello il suo posto. Avrebbe imparato da lei quello che poteva, quando poteva. Intanto aveva avuto lo stesso pensiero per quindici sere di seguito.

Cercando di allontanare le immagini dalla sua mente, Rand aggiunse, «Quella parte alla fine. Dopo che sono stati prestati i giuramenti.» Non appena le Sapienti avevano pronunciato le benedizioni, un centinaio di parenti le si erano fatti intorno, tutti con le lance. Un centinaio di parenti di Bael si erano stretti attorno a lui, che si era dovuto fare strada a fatica verso di lei. Naturalmente nessuno era velato — rientrava tutto nelle usanze — ma il sangue era stato versato da entrambe le parti. «Pochi minuti prima Melaine giurava di amarlo, ma quando Bael l’ha raggiunta, ha lottato come un gatto selvatico.» Se Dorindha non l’avesse colpita alle costole Rand pensava che Bael non sarebbe mai riuscito a caricarsela sulle spalle per portarla via. «Ancora zoppica e ha l’occhio nero che lei gli ha procurato.»

«Avrebbe dovuto comportarsi da debole?» fu la risposta assonnata di Aviendha. «Era necessario che si rendesse conto di quanto valeva la donna. Lei non era un gingillo che potesse mettersi in tasca.» La ragazza sbadigliò e lui la sentì sistemarsi meglio sotto le coperte.

«Che cosa significa insegnare a cantare a un uomo?» Gli uomini Aiel non cantavano, non fino a quando erano abbastanza grandi da impugnare la lancia, tranne gli inni di battaglia e i lamenti funebri.

«Stai pensando a Mat Cauthon?» Aviendha adesso rideva. «A volte un uomo rinuncia alla lancia per una Fanciulla.»

«Te lo stai inventando. Non ho mai sentito parlare di una cosa simile.»

«Be’, non si tratta davvero di rinunciare alla lancia.» La voce era intontita. «A volte un uomo desidera una Fanciulla che non vuole rinunciare alla lancia per lui, per cui fa in modo di essere preso gai’shain da lei. Naturalmente si tratta di uno sciocco. Nessuna Fanciulla guarderebbe un gai’shain nel modo in cui spera. L’uomo viene fatto lavorare duramente, mantenuto al suo posto e la prima cosa che si fa è insegnargli a cantare, per intrattenere le sorelle di lancia mentre mangiano. ‘Gli insegnerà a cantare’. Questo è ciò che dicono le Fanciulle quando un uomo si istupidisce per una sorella di lancia.» Gente veramente strana.

«Aviendha?» Le aveva promesso che non le avrebbe rivolto di nuovo questa domanda. Lan aveva spiegato che si trattava di un lavoro del Kandori, un disegno chiamato fiocco di neve. Probabilmente un bottino di qualche scorreria a nord. «Chi ti ha regalato quella collana?»

«Una persona amica, Rand al’Thor. Siamo andati lontani oggi e ci farai partire presto domani mattina. Dormi bene e svegliati, Rand al’Thor.» Solo un Aiel ti darebbe la buonanotte augurandoti di non morire nel sonno.

Piazzando la protezione sui suoi sogni, piccola anche se più intricata, incanalò per spegnere le lampade. Una persona amica. I Reyn provenivano dal Nord. Ma la collana ce l’aveva già quando si trovavano nel Rhuidean. Il rumore del lento respiro di Aviendha sembrava forte alle sue orecchie mentre si addormentava, poi fece un sogno confuso con Min ed Elayne che lo aiutavano a gettarsi sulle spalle Aviendha — che indossava solo la collana — mentre lei lo picchiava con una corona nuziale di fiori di segade.

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