25 Sogni di Galad

Invece di fare ritorno nel proprio corpo Egwene fluttuò nell’oscurità. Sembrava farne parte, priva di sostanza. Ignorava se il suo corpo si trovasse sopra, sotto o di fianco a lei, lì non c’erano direzioni, ma sapeva di essere vicina, che vi sarebbe potuta entrare facilmente. Tutto intorno a lei nel buio sembrava brillassero le lucciole, un grande nugolo che scompariva a una distanza inimmaginabile. Erano sogni, i sogni degli Aiel nei campi, sogni di uomini e donne di Cairhien e del mondo e tutti splendevano in quel luogo.

Egwene era in grado di sceglierne alcuni fra i più vicini e nominare il sognatore. In un certo senso quelle scintille ricordavano le lucciole, e la cosa le aveva creato tanti problemi all’inizio, ma adesso le apparivano particolari e uniche come i volti. I sogni di Rand e di Moiraine sembravano spenti, la luce attutita dalle protezioni che avevano intessuto. Quelli di Amys e Bair erano luminosi e regolari nelle pulsazioni, dovevano aver seguito il loro stesso consiglio. Se non li avesse visti sarebbe rientrata nel suo corpo in un istante. Quelle due potevano vagare in quell’oscurità molto meglio di lei. Non avrebbe scoperto che si trovavano nello stesso posto fino a quando non le fossero andate addosso. Se imparava a riconoscere Elayne e Nynaeve allo stesso modo sarebbe stata capace di scovarle in quella grande costellazione in qualsiasi punto del mondo fossero. Ma quella notte non aveva intenzione di osservare i sogni di nessuno.

Con cautela creò mentalmente un’immagine che ricordava bene e fu di nuovo nel Tel’aran’rhiod, dentro la piccola stanza senza finestre della Torre dove aveva vissuto da novizia. Un letto stretto era addossato a una delle pareti dipinte di bianco. Un lavabo e uno sgabello a tre gambe si trovavano in posizione opposta alla porta, gli abiti dell’attuale occupante e le sottovesti di lana candida erano appese ai pioli assieme a un mantello bianco. Avrebbero anche potuto non esserci. La Torre non riempiva le stanze delle novizie ormai da molti anni. Il pavimento era chiaro quasi quanto le pareti e gli asciugamani. Ogni giorno la novizia che viveva in quella stanza doveva lucidarlo carponi. Egwene lo aveva fatto come anche Elayne nella stanza a fianco. Se una regina si recava alla Torre per l’addestramento avrebbe iniziato da una stanza simile, strofinando per terra.

Gli abiti erano disposti in maniera diversa la seconda volta che li guardò, ma non parve notarlo. Pronta ad abbracciare saidar in un baleno, aprì la porta quanto bastava per guardare nel corridoio ed emise un sospiro di sollievo quando vide la testa di Elayne che spuntava con la stessa lentezza dall’altra porta. Egwene sperava di non sembrare altrettanto incerta. Le fece velocemente cenno e l’altra corse da lei con il vestito bianco delle novizie che mentre entrava in camera divenne un abito da cavallo di seta grigio chiaro. Egwene odiava gli abiti in grigio, era il colore che indossavano le damane.

Rimase fuori per un altro istante ispezionando le gallerie balconate degli alloggi delle novizie. Salivano livello su livello e altrettanti ne scendevano fino al sottostante cortile. Non che siaspettasse di trovare in quel luogo Liandrin o qualcuno di più pericoloso, ma essere prudenti non faceva mai male.

«Ho pensato che era questo che intendevi» spiegò Elayne mentre Egwene chiudeva la porta. «Hai la minima idea di quanto sia difficile ricordare cosa posso dire e davanti a chi? A volte vorrei che potessimo rivelare tutto alle Sapienti. Confessare loro che siamo solo Ammesse...»

«Per te sarebbe finita» le disse Egwene con fermezza. «Io però dormo a nemmeno venti passi da loro.»

Elayne rabbrividì. «Quella Bair. Mi ricorda Lini quando rompevo qualcosa che non avrei nemmeno dovuto toccare.»

«Aspetta che ti presenti Sorilea.» Elayne la guardò dubbiosa, ma in fondo Egwene pensava che nemmeno lei avrebbe creduto all’esistenza di una donna come Sorilea fino a quando non l’avesse incontrata. Non era facile. Si sistemò lo scialle. «Dimmi di questi incontri con Birgitte. Era Birgitte, vero?»

Elayne si raccolse su se stessa come se avesse ricevuto un colpo allo stomaco. Chiuse gli occhi azzurri per un momento e respirò profondamente. «Non posso parlartene.»

«Cosa vuol dire che non puoi parlarmene? Hai la lingua. Era Birgitte?»

«Non posso, Egwene. Devi credermi. Lo farei se potessi, ma non posso. Forse... potrei chiedere...» se Elayne fosse stato il tipo di donna che si sfregava le mani, adesso lo avrebbe fatto. Aprì la bocca e la richiuse senza pronunciare alcuna parola, lo sguardo percorreva la stanza come se stesse cercando un’ispirazione o dell’aiuto. Inspirando a lungo fissò con fare impellente Egwene. «Qualsiasi cosa ti dicessi violerebbe segreti che ho promesso di mantenere. Anche questo. Ti prego, Egwene. Devi fidarti di me. E non dire a nessuno quello che... ‘credi’ di aver visto.»

Egwene si sforzò di allontanare l’espressione seria che aveva in viso. «Mi fiderò di te.» Almeno adesso sapeva con certezza che non si era immaginata nulla. Birgitte? Luce! pensò. «Spero che un giorno avrai abbastanza fiducia in me da dirmelo.»

«Mi fido di te, ma...» scuotendo il capo Elayne si sedette sul bordo del letto ben fatto. «Nascondiamo troppi segreti, Egwene, ma a volte c’è un motivo.»

Dopo un po’ Egwene annuì e si accomodò di fianco a lei. «Quando potrai» fu tutto quello che disse, ma l’amica l’abbracciò sollevata.

«Mi sono ripromessa di non farti questa domanda, Egwene. Per una volta non volevo averlo in mente.» Il vestito grigio da cavallo divenne un abito verde brillante. Elayne decisamente non si era accorta di quanto era diventata profonda la scollatura. «Ma... Rand sta bene?»

«È vivo e vegeto, se è questo ciò che intendi. Credevo che a Tear si comportasse con durezza, ma oggi l’ho sentito minacciare di impiccare degli uomini se fossero andati contro i suoi ordini. Non che fossero cattivi, non vuole che nessuno prenda del cibo senza pagare, o che uccidano, ma... Sono stati i primi ad acclamarlo come Colui che viene con l’Alba, lo hanno seguito fuori dal deserto senza esitazione e lui li minaccia, freddo come l’acciaio.»

«Non è una minaccia, Egwene. Lui è un re, qualsiasi cosa tu o altri diciate, e un re o una regina devono amministrare la giustizia senza temere i nemici o favorire gli amici. Chiunque è in una simile condizione deve essere duro. Mamma può far sembrare morbide le mura della città a volte.»

«Non deve essere così arrogante a riguardo» rispose Egwene. «Nynaeve mi ha detto di rammentargli che è solo un uomo, ma ancora non ho capito come farlo.»

«Deve tenere a mente di essere solo un uomo. Ma ha il diritto di essere obbedito.» Nel tono di voce di Elayne c’era qualcosa di altezzoso, fino a quando non si guardò. A quel punto il viso le divenne rosso cremisi e improvvisamente sulla scollatura del vestito verde apparve un collo di merletto. «Sei sicura che non stai scambiando la richiesta di rispetto per arroganza?» concluse con una voce strozzata.

«È presuntuoso come un maiale in un campo di piselli.» Egwene si spostò sul letto. Lo ricordava duro, ma il sottile materasso sembrava più morbido di quello su cui dormiva nella tenda. Non voleva parlare di Rand. «Sei sicura che questa lite non provocherà altri problemi?» Un antagonismo con quella Latelle non avrebbe certo reso il viaggio facile.

«Non credo. Il risentimento contro Nynaeve era basato sull’idea che gli scapoli disponibili non erano più tutti suoi. Alcune donne la pensano così. Immagino. Aludra sta per conto suo e Cerandin non avrebbe detto buuu a un’oca fino a quando non le ho insegnato a difendere i suoi diritti, Clarine è sposata con Petra. Ma Nynaeve le ha fatto capire che avrebbe preso per le orecchie chiunque pensasse anche solo di corteggiarla, e ha chiesto scusa a Latelle, per cui spero che tutto si sia sistemato.»

«Ha chiesto scusa?»

L’altra donna annuì, con la stessa espressione divertita di Egwene. «Credevo che avrebbe colpito Luca quando le ha detto che doveva scusarsi, non sembra ritenere che le minacce di Nynaeve comprendessero anche lui, ma lei lo ha fatto. Dopo aver brontolato per un’ora. Ce l’aveva con te.» Elayne esitò e rivolse a Egwene una seconda occhiata. «Le hai detto qualcosa durante il vostro ultimo incontro? Da allora è stata... differente e a volte parla da sola. Discute. Di te, dal poco che riesco a sentire.»

«Non ho detto nulla che non andava detto.» Quindi qualsiasi cosa fosse accaduta fra loro non era passata. Oppure stava accumulando rabbia in vista del loro prossimo incontro. Non avrebbe più tollerato il suo carattere, non adesso che sapeva di non doverlo fare. «Riferiscile da parte mia che è troppo vecchia per rotolarsi per terra nella lotta. Se si caccia in un’altra zuffa avrò di peggio da dirle. Usa esattamente queste parole. Sarà peggio.» Che Nynaeve ci pensasse fino al prossimo incontro. O sarebbe stata remissiva come un agnello... oppure Egwene avrebbe dovuto mettere in atto la sua minaccia. Forse Nynaeve era più forte con l’uso del Potere, quando poteva incanalare, ma qui lo era Egwene. In un modo o nell’altro aveva chiuso con gli accessi d’ira di Nynaeve.

«Glielo dirò» rispose Elayne. «Anche tu sei cambiata. Sembra che stia prendendo da Rand.»

Egwene ci mise un po’ per capire cosa intendesse Elayne, aiutata da un sorriso divertito. «Non essere sciocca.»

Elayne rise e l’abbracciò ancora. «Oh, Egwene, un giorno sarai Amyrlin Seat, quando io sarò regina di Andor.»

«Se allora ci sarà una Torre» osservò Egwene mestamente e la risata di Elayne svanì.

«Elaida non può distruggere la Torre Bianca, Egwene. Qualsiasi cosa faccia, la Torre rimarrà. Forse Elaida non resterà Amyrlin. Quando Nynaeve si ricorderà il nome della città, scommetto che troveremo una Torre in esilio, con tutte le Ajah tranne la Rossa.»

«Lo spero.» Egwene sapeva di avere la voce triste. Voleva che le Aes Sedai supportassero Rand e si opponessero a Elaida, ma questo avrebbe certamente significato la frattura della Torre, forse per non essere mai più ricostituita.

«Devo tornare» disse Elayne. «Nynaeve insiste che chiunque delle due non entri nel Tel’aran’rhiod rimanga sveglia e con quel mal di testa ha bisogno di bere uno dei suoi decotti di erbe e dormire. Non capisco perché sia così insistente. Chi resta a guardare non può fare nulla per essere d’aiuto, e ne sappiamo entrambe abbastanza per trovarci perfettamente al sicuro, qui.» Il vestito verde si trasformò nella giubba bianca di Birgitte e nei voluminosi pantaloni gialli per un istante, quindi ritornò com’era. «Ha detto che non voleva che te lo riferissi, ma crede che Moghedien ci stia cercando. Lei e me.»

Egwene non le rivolse l’ovvia domanda. Di sicuro era qualcosa che le aveva confidato Birgitte. Perché Elayne continuava a cercare di mantenerlo segreto? Perché lo ha promesso. Elayne non ha mai infranto un giuramento in vita sua, pensò. «Dille di essere prudente.» C’erano poche possibilità che Nynaeve se ne sarebbe rimasta seduta ad aspettare se riteneva che una dei Reietti stesse dandole la caccia. Si sarebbe ricordata di avere sconfitto la donna una volta e aveva sempre avuto più coraggio che buon senso. «I Reietti non sono qualcosa da prendere alla leggera. E nemmeno i Seanchan, anche se in teoria sono solo dei domatori di animali. Dille anche questo.»

«Non credo che mi staresti a sentire se raccomandassi anche a te di fare attenzione.»

Egwene la guardò stupita. «Io sono sempre prudente. Lo sai bene.»

«Certo.» L’ultima cosa che Egwene vide mentre l’altra donna svaniva fu un sorriso divertito.

Egwene non andò via. Se Nynaeve non riusciva a rammentare dove fosse quella riunione di Azzurre, forse lei lo avrebbe scoperto. Non era un’idea nuova. Non era la sua prima visita alla Torre da quando aveva avuto quell’ultimo incontro con Nynaeve. Assunse le fattezze di Enaila, con i capelli rosso fuoco che le arrivavano alle spalle, e un abito da Ammessa con l’orlo colorato, quindi creò l’immagine mentale dello studio di Elaida.

Era come le altre volte, anche se a ogni visita c’erano sempre meno sgabelli in quell’arco di fronte alla scrivania. I dipinti erano ancora appesi sopra al camino. Egwene si diresse subito verso il tavolo, spostando da un lato la sedia che somigliava a un trono con intarsiata la Fiamma di Tar Valon d’avorio, per raggiungere la scatola laccata contenente i documenti. Sollevandone il coperchio, decorato con nuvole e falchi, cominciò a scrutare le carte il più velocemente possibile. Anche così facendo alcuni svanivano mentre li leggeva o cambiavano. Non c’era modo di dire cosa fosse importante e cosa invece fosse insignificante.

La maggior parte sembravano dei fallimenti. Ancora non c’erano notizie su dove lord Bashere avesse condotto l’esercito e le parole contenevano una nota di frustrazione e inquietudine. Quel nome le solleticava la memoria, ma visto che non aveva tempo da perdere spinse via il rapporto con fermezza e ne prese un altro. Non vi erano cenni sui movimenti di Rand, spiegava un altro plico compilato quasi in preda al panico. Era un bene averlo scoperto e valeva la visita. Era passato più di un mese dalle ultime notizie da parte di uno qualsiasi degli occhi e le orecchie di tutte le Ajah e di altri a Tarbon. L’autore della lettera incolpava l’anarchia che regnava in quei luoghi, le voci secondo le quali qualcuno aveva preso Tanchico non potevano essere confermate, ma suggeriva fosse coinvolto Rand in persona. Anche meglio se Elaida stava guardando in una direzione sbagliata di qualche migliaio di chilometri. Secondo il rapporto confuso di una Sorella Rossa a Caemlyn, Morgase si era recata a un’udienza pubblica, ma vari agenti delle Ajah a Caemlyn sostenevano che la regina era stata in isolamento per giorni. Si parlava di combattimenti lungo le Marche di Confine, forse ribellioni minori nello Shienar e Arafel, ma la lettera scomparve prima che riuscisse a leggerne i motivi. Pedron Niall stava richiamando i Manti Bianchi in Amadicia, probabilmente per attaccare Altara. Era un bene che Elayne e Nynaeve dovessero fermarsi da quelle parti solo altri tre giorni.

Il plico successivo era su Elayne e Nynaeve. Prima l’autore suggeriva di punire l’agente che aveva consentito loro di fuggire; Elaida aveva sottolineato le righe e aggiunto la nota ‘fanne un esempio!’; poi, proprio mentre la donna stava cominciando a leggere i dettagli della ricerca della coppia in Amadicia, il foglio singolo si trasformò in una manciata di carte, un fascicolo di preventivi di costruttori e scalpellini per una residenza privata per l’Amyrlin Seat sul suolo della Torre. Più verosimilmente un palazzo, a giudicare dal numero di pagine.

Le lasciò cadere fino a quando svanirono prima di sparpagliarsi sul tavolo. La scatola laccata era nuovamente chiusa. Avrebbe potuto trascorrere il resto della vita lì, lo sapeva, ci sarebbero sempre stati altri documenti nella scatola e sarebbero sempre cambiati. Più le cose erano effimere nel mondo reale, una lettera, un pezzo di stoffa, una ciotola che potevano essere spostati spesso, e meno era fermo il riflesso nel tel’aran’rhiod. Non poteva trattenersi troppo a lungo. Il sonno mentre si era nel mondo dei sogni non era riposante come quello normale.

Uscendo di corsa nell’anticamera stava quasi per raggiungere la catasta ordinata di pergamene e carte, alcune sigillate, sulla scrivania della Custode, quando sembrò che la stanza lampeggiasse. Prima che avesse tempo anche solo di considerarne il significato, la porta si aprì e Galad entrò sorridendo, con la giacca di broccato azzurra che gli calzava alla perfezione e i pantaloni attillati che mostravano la forma dei polpacci.

Egwene inspirò profondamente con lo stomaco in subbuglio. Non era giusto che un uomo fosse così bello.

Le si avvicinò, con gli occhi scuri che brillavano, e le carezzò una guancia con le dita. «Vuoi camminare con me nel Giardino dell’Acqua?» mormorò.

«Se voi due volete sbaciucchiarvi» disse la voce severa di una donna, «non lo farete qui.»

Egwene si voltò con gli occhi sgranati fissando Leone seduta dietro al tavolo con la stola della Custode sulle spalle e un sorriso tenero sul viso dalla carnagione ramata. La porta che immetteva nello studio dell’Amyrlin era aperta e dentro Siuan stava in piedi di fianco alla sua semplice scrivania ben lucidata, intenta a leggere una lunga pergamena con indosso la stola a strisce della sua carica. Era follia.

Egwene fuggì senza pensare a quale immagine stesse formando e si ritrovò boccheggiante sul prato comune di Emond’s Field, circondato dalle case con il tetto di paglia, mentre la Fonte del Vino sgorgava dalla sporgenza rocciosa sull’ampia distesa d’erba. Vicino al rapido ruscello che si allargava si trovava la locanda di suo padre, con le basse fondamenta di pietra e il piano superiore di intonaco bianco. ‘Il solo a quella maniera in tutta Emond’s Field’ aveva spesso detto Bran al’Vere del suo tetto di tegole rosse. I grandi basamenti di pietra vicino alla locanda della Fonte del Vino con un’enorme quercia al centro erano molto più vecchi, ma qualcuno diceva che lì c’era stata un’altra locanda per almeno duemila anni.

Sciocca. Dopo aver ammonito Nynaeve con tanta fermezza sui sogni in tel’aran’rhiod si era quasi lasciata prendere da uno dei suoi. Però era strano che si fosse trattato di Galad. A volte lo sognava. Il viso le avvampò. Di certo non lo amava e nemmeno le piaceva troppo, ma era bellissimo, e in quelle visioni somigliava molto di più a come lei lo desiderava. Suo fratello Gawyn lo sognava più spesso, ma era una sciocchezza. Qualsiasi cosa dicesse Elayne, non le aveva mai manifestato alcun sentimento.

Colpa di quello stupido libro con tutte quelle storie di amanti. Non appena sveglia lo avrebbe restituito ad Aviendha. E le avrebbe anche detto che non credeva lo leggesse per le avventure.

Però era riluttante ad andare via. Casa. Emond’s Field. L’ultimo posto in cui si era davvero sentita al sicuro. Era passato più di un anno e mezzo dall’ultima volta che lo aveva visto, eppure tutto sembrava come se lo ricordava. Sul prato c’erano due alti pali con delle ampie bandiere, una con un’aquila rossa, l’altra con una testa di lupo dello stesso colore. Perrin aveva qualcosa a che fare con queste cose? Non riusciva a immaginare come. Eppure lui era tornato, così aveva detto Rand, e lei lo aveva sognato con i lupi più di una volta.

Aveva bighellonato abbastanza, era tempo di...

Guizzo.

La madre uscì dalla locanda, con la treccia grigia su una spalla. Marin al’Vere era una donna snella, ancora di bell’aspetto, e restava la migliore cuoca dei Fiumi Gemelli. Egwene poteva sentire suo padre che rideva nella sala comune, mentre si svolgeva un incontro con il Consiglio del Villaggio.

«Sei ancora là fuori, bambina?» le disse la madre, dolcemente divertita. «Ormai sei sposata da abbastanza tempo per sapere che non dovresti far capire a tuo marito che ciondoli abbattuta in attesa che rientri.» Scuotendo il capo la madre rise. «Troppo tardi. Eccolo che arriva.» Egwene si voltò e i suoi occhi guizzarono oltre i bambini che giocavano nel prato comune. Le assi del basso ponte carraio rimbombavano mentre Gawyn vi galoppava sopra e smontava di sella davanti a lei. Alto ed eretto indossava una giubba rossa ricamata in oro, aveva gli stessi ricci dorati della sorella e dei meravigliosi occhi azzurri. Non era bello come il fratellastro, ma il cuore le batteva veloce per lui più di quanto aveva fatto per Galad... per Galad? Cosa? Dovette premersi le mani sullo stomaco per trattenere quelle che le sembravano delle farfalle giganti.

«Ti sono mancato?» le chiese sorridendo.

«Un po’.» Perché ho pensato a Galad? Come se lo avessi visto solo un momento fa, si chiese. «Di tanto in tanto, quando non c’era nulla di interessante a impegnarmi. E io ti sono mancata?»

In risposta la prese in braccio e la baciò. Egwene non fu consapevole di molto altro fino a quando l’uomo non la rimise in terra su gambe instabili. Le bandiere erano scomparse. Quali bandiere?

«Eccolo qua» disse la madre, avvicinandosi con un bambino avvolto nelle fasce. «Ecco tuo figlio. È un bravo piccino. Non piange mai.»

Gawyn rise mentre prendeva il bimbo e lo tirava su. «Ha i tuoi occhi, Egwene. Un giorno farà strage di ragazze.»

Egwene si allontanò da loro scuotendo la testa. C’erano state delle bandiere rosse, le teste di un’aquila e di un lupo. Aveva visto Galad nella Torre. «Noooooo!»

Fuggì balzando dal Tel’aran’rhiod nel suo corpo. Ebbe solo il tempo di chiedersi come aveva potuto essere così stupida da farsi intrappolare dalle sue fantasie, quindi sprofondò in un sogno. Gawyn galoppava sul ponte carraio, smontando di sella...

Sbucando da dietro una casa con il tetto di paglia, Moghedien si chiese pigramente dove si trovasse quel piccolo villaggio. Non era il tipo di posto dove si sarebbe aspettata di vedere sventolare tali bandiere. La ragazza era più forte di quel che pensava per sfuggire a quella tessitura di Tel’aran’rhiod. Anche Lanfear non poteva migliorare le sue capacità lì, qualsiasi cosa sostenesse. Ma la ragazza le interessava perché stava parlando con Elayne Trakand, che avrebbe potuto guidarla a Nynaeve al’Meara. La voleva intrappolare in quel luogo per liberare Tel’aran’rhiod da qualcuna che poteva aggirarvisi liberamente. Era già abbastanza spiacevole che dovesse dividerlo con Lanfear.

Ma Nynaeve al’Meara... L’avrebbe costretta a pregare di prenderla al suo servizio. L’avrebbe afferrata in carne e ossa, forse avrebbe chiesto al Sommo Signore di concederle l’immortalità, per farla pentire in eterno di essersi opposta a Moghedien.

Lei ed Elayne stavano complottando con Birgitte, vero? Era un altro motivo per punirla. Birgitte non sapeva nemmeno chi fosse Moghedien in passato, durante l’Epoca Leggendaria, quando aveva ostacolato il suo bel piano per piegare Lews Therin. Ma Moghedien la conosceva. Solo che Birgitte — lei all’epoca si chiamava Teadra — era morta prima che potesse occuparsene di persona. La morte non era una punizione, nemmeno una fine, quando potevi vivere in quel luogo.

Nynaeve al’Meara, Elayne Trakand e Birgitte. Quelle tre le avrebbe trovate e se ne sarebbe incaricata. Di nascosto, così non lo avrebbero saputo fino a quando non fosse stato troppo tardi. Tutte e tre senza eccezioni.

Svanì e le bandiere garrirono nella brezza del tel’aran’rhiod.

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