55 I fili bruciano

Rand si fermò. Una bruciatura lungo le pareti del corridoio delineava il punto in cui costosi arazzi erano stati ridotti in cenere. Le fiamme si sovrapponevano, cassapanche intarsiate e tavoli erano ridotti a rovine carbonizzate.

Non era stata opera sua. Trenta passi avanti corpi di uomini in giubba rossa, pettorali di metallo ed elmetti con la visiera calata giacevano in posizioni contorte sulle mattonelle bianche, le inutili spade strette in mano. Nemmeno questa era opera sua. Rahvin aveva sacrificato i propri uomini nel tentativo di raggiungerlo. Era stato furbo con gli attacchi e furbo nella fuga, ma dal momento in cui aveva abbandonato la stanza del trono non aveva fronteggiato Rand per più dell’istante necessario a colpire e fuggire. Ravhin era forte, forse quanto lui e aveva più esperienza, ma Rand aveva il piccolo uomo grasso angreal in una tasca mentre Ravhin non ne aveva nessuno. Il corridoio era vagamente familiare. Lo aveva già visto in precedenza e altri simili.

Ho camminato da questa parte il giorno in cui Elayne e Gawyn mi hanno portato a conoscere Morgase, ricordò. Quel pensiero era scivolato dolorosamente attraverso i confini del vuoto. Dentro faceva freddo, era privo di emozioni. Laidi infuriava e bruciava, ma lui era calmo.

Gli giunse un altro pensiero come una pugnalata. Giaceva su un pavimento come questo, i capelli biondo oro sparsi in terra come se fosse addormentata. Ilyena capelli d’oro. La mia Ilyena.

Anche Elaida si trovava al palazzo reale quel giorno lontano. Aveva previsto il dolore che avrei provato. Conosce l’oscurità che mi porto dentro. Abbastanza, pensava Rand.

Ilyena, non sapevo cosa stavo facendo. Ero pazzo! Sono pazzo! Oh, Ilyena!

Elaida sapeva, almeno in parte, ma non aveva rivelato tutto. Sarebbe stato meglio se lo avesse fatto? si interrogava Rand.

Oh, Luce, ma non c’è perdono? Ho fatto quel che ho fatto in preda alla pazzia. Non c’è pietà?

Gareth Bryne mi avrebbe ucciso se avesse saputo. Morgase avrebbe ordinato la mia condanna a morte e adesso sarebbe viva. Mat, Moiraine. Quanti sarebbero ancora in vita se fossi morto? continuava a pensare.

Ho guadagnato il tormento. Mi merito finalmente di morire. Oh, Ilyena, merito di morire.

Merito di morire.

Nel sentire rumore di passi Rand si voltò. Spuntarono da un ampio corridoio a nemmeno venti passi di distanza da lui. Due dozzine di uomini con i pettorali di metallo, elmetti e la giubba rossa con il colletto bianco delle guardie della regina. Solo che Andor adesso non aveva una regina, e questi uomini non l’avevano servita mentre era in vita. Erano guidati da un Myrddraal, il volto pallido privo di occhi come qualcosa che si trovi sotto una roccia, l’armatura di placche sovrapposte nere che incrementavano l’illusione di un serpente mentre si muoveva. Lo sguardo del Senza Occhi era terrore, ma la paura era un sentimento lontano nel vuoto. Gli uomini esitarono quando lo videro, quindi il Mezzo Uomo sollevò la spada dalla lama nera. Gli uomini che non avevano già snudato le lame portarono le mani sulle else.

Rand, gli sembrava che quello fosse il suo nome, incanalò in un modo che non ricordava aver mai usato prima.

Uomini e Myrddraal si irrigidirono sul posto. Il gelo crebbe su di loro, gelo che fumava come avevano fumato gli stivali di Mat. Le braccia sollevate del Myrddraal si spezzarono con un forte schianto. Quando raggiunsero le mattonelle in terra braccia e spade si ridussero in briciole.

Rand percepiva il freddo. Sì, quello era il suo nome, Rand, freddo come un pugnale mentre camminava oltre e svoltava nella direzione dalla quale erano giunti.

Freddo, eppure più caldo di saidin.

Un uomo e una donna accovacciati contro la parete, servitori in livrea rossa e bianca, quasi di mezza età, si stringevano a vicenda per proteggersi. Vedendo Rand — c’era altro in quel nome che solo Rand — l’uomo incominciò ad alzarsi dal nascondiglio che si era trovato contro il Myrddraal e la sua banda, ma la donna lo tirò per una manica.

«Andate in pace» disse Rand allungando una mano. Al’Thor. Sì, Rand al’Thor. «Io non vi farò del male, ma potreste essere comunque colpiti se rimanete.»

Gli occhi castani della donna rotearono. Sarebbe svenuta sul posto se l’uomo non l’avesse afferrata con le labbra sottili che si muovevano veloci, come se stesse pregando senza però riuscire a pronunciare le parole.

Rand volse gli occhi nella stessa direzione in cui stava guardando l’uomo. Aveva allungato abbastanza la mano e la testa del drago dalla criniera dorata era in vista. «Non vi farò del male» disse proseguendo e lasciandoli dov’erano. Doveva prendere Ravhin. Doveva ucciderlo. E poi?

Nessun rumore tranne quello degli stivali contro le mattonelle. In fondo alla testa un mormorio debole e addolorato che parlava di Ilyena e di perdono. Si sforzò per captare Rahvin che incanalava, per sentire l’uomo colmato dalla Vera Fonte. Nulla. Laidi gli ustionava le ossa, gelava la carne, raschiava l’anima, ma senza era difficile vedere se non quando eri molto vicino. Un leone fra l’erba alta gli aveva detto una volta Asmodean. Un leone rabbioso. Asmodean era fra quelli che non avrebbero dovuto morire? O Lanfear? No, non...

Ebbe solo un momento di preavviso per lanciarsi a terra, un momento infinitesimale fra il percepire i flussi intessuti improvvisamente e una barra di luce bianca spessa come un braccio, fuoco liquido che tagliò il muro, ondeggiò come una spada nel punto in cui si era trovato il torace di Rand. Dal punto in cui era partita la barra, da entrambi i lati del corridoio, mura e fregi, porte e arazzi cessarono di esistere. Pezzi recisi di muro e blocchi di pietra, pezzi di intonaco, ricaddero al suolo.

Era la paura che avevano i Reietti di usare il fuoco malefico. Chi glielo aveva detto? Moiraine. Lei certamente meritava di vivere.

Il fuoco malefico lasciò le mani di Rand, un’asta bianca e brillante che venne scagliata nel punto di origine dell’altra svanì mentre colpiva il muro, lasciando un’immagine purpurea che gli ondeggiava davanti agli occhi. Rand rilasciò il flusso. Aveva finalmente avuto successo?

Alzandosi in piedi incanalò Aria, spalancando le porte rovinate con tale forza da scardinarle. La stanza era vuota. Una sala delle udienze, con sedie disposte davanti a un grande camino di marmo. Il fuoco malefico di Rand aveva rimosso un pezzo di arco che conduceva in un piccolo cortile con una fontana e un pezzo di colonna scanalata lungo il passaggio laterale.

Rahvin non era andato da quella parte e non era morto nell’esplosione. Nell’aria permaneva un residuo, resti di saidin che svanivano. Rand lo riconobbe. Diverso dal passaggio che aveva creato per il volo aleggiato fino a Caemlyn, o quello per Viaggiare — adesso sapeva cosa aveva fatto — nella stanza del trono. Ma ne aveva visto uno simile a Tear, ne aveva fatto uno anche lui.

Adesso ne stava creando un altro. Un passaggio, un’apertura, un buco nella realtà. Dall’altro lato non vi era oscurità. Non aveva saputo che il passaggio fosse lì se non avesse visto la tessitura, forse non se ne sarebbe accorto. Davanti a lui c’erano gli stessi archi che davano sullo stesso cortile con la fontana, il medesimo passaggio affiancato da colonne. Per un istante i tagli netti nell’arco e colonna causati dal fuoco malefico tremolarono, si riempirono, quindi tornarono a essere buchi. Ovunque quel passaggio conducesse, era in un altro luogo, un riflesso del palazzo reale come una volta era stato il riflesso della Pietra di Tear. Rimpianse vagamente di non averne parlato con Asmodean quando ne aveva avuto l’opportunità, ma non era mai stato in grado di parlare di quel giorno con nessuno. Non importava. Quel giorno aveva avuto Callandor, ma l’angreal che aveva in tasca aveva già dimostrato di essere abbastanza per dare la caccia a Rahvin.

Entrandovi velocemente rilasciò il flusso e corse nel corridoio mentre il passaggio svaniva. Rahvin avrebbe percepito l’apertura se fosse stato abbastanza vicino e vi avesse provato. Il piccolo uomo grasso di pietra non significava che poteva restarsene fermo ad aspettare di essere attaccato.

Nessun segno di vita, tranne lui e una mosca. Anche a Tear era stato lo stesso. Le lampade nel corridoio erano spente, con gli stoppini chiari che non avevano mai visto la fiamma, eppure anche in quello che avrebbe dovuto essere il corridoio più scuro, c’era luce, proveniente da ovunque e da nessun luogo. A volte quelle lampade si muovevano, insieme ad altri oggetti. Fra uno sguardo e l’altro un’alta lampada poteva muoversi di trenta centimetri, un vaso in una nicchia di qualche centimetro. Piccole cose, come se qualcuno le avesse spostate mentre distoglieva lo sguardo. Qualsiasi cosa fosse, era uno strano luogo.

Gli venne in mente, mentre correva sotto al colonnato cercando di captare Rahvin, che non aveva più sentito la voce che si lamentava per Ilyena da quando aveva incanalato il fuoco malefico. Forse era riuscito a cacciare via Lews Therin.

Meglio. Si fermò ai limiti di uno dei giardini del palazzo. Le rose e i cespugli di stelle bianche sembravano soffrire per la mancanza d’acqua proprio come nel mondo reale. Su alcune delle guglie bianche che si elevavano al di sopra dei tetti garriva la bandiera con il leone bianco, ma potevano cambiare in un baleno. Bene, se vuol dire che non devo condividere la testa con...

Si sentiva strano, incorporeo. Sollevò un braccio e lo fissò. Poteva vedere il giardino attraverso di esso, come fosse fatto di nebbia. Stava dissolvendosi. Quando guardò si accorse di poter vedere la pavimentazione attraverso se stesso.

No! Non era stato un suo pensiero. Un’immagine incominciò a consolidarsi. Un uomo alto con gli occhi scuri e il volto con espressione preoccupata, fra i capelli più bianco che nero. Io sono Lews Ther...

Sono Rand al’Thor, pensò. Non sapeva cosa stesse accadendo, ma il debole Drago incominciava a svanire dal braccio nebbioso che teneva davanti a sé. Il braccio incominciò a scurirsi, le dita ad allungarsi. Io sono io, si disse. Echeggiò nel vuoto. Io sono Rand al’Thor.

Lottò per creare l’immagine mentale di se stesso, faticò per creare l’immagine di quello che vedeva ogni giorno mentre si radeva, quello che vedeva nello specchio quando si vestiva. Era una lotta frenetica. Non si era mai guardato bene. Non lo aveva mai fatto con attenzione. Le due immagini si sovrapposero e scemarono, il vecchio uomo con gli occhi scuri e il giovane con quelli grigio azzurri. Lentamente quella del giovane si rafforzò e quella del vecchio si indebolì, le braccia ripresero consistenza. Le sue braccia, con i Draghi avvolti su di esse e gli aironi marchiati sui palmi. Vi erano stati momenti in cui aveva odiato quei marchi, ma adesso, anche rinchiuso nel vuoto, quasi sorrise nel vederli.

Perché Lews Therin aveva cercato di prendere il sopravvento? Per infilare lui dentro Therin. Era sicuro dell’identità corretta di quell’uomo dal volto sofferente. Perché adesso? Perché in questo posto poteva farlo, qualsiasi luogo fosse? Aspetta. Era stato Lews a gridare quel no inflessibile. Non un attacco da parte di Lews Therin, ma di Rahvin, senza usare il Potere. Se l’uomo avesse potato farlo a Caemlyn, lo avrebbe fatto. Doveva essere una capacità che aveva sviluppato in quel posto. E se l’aveva sviluppata Rahvin, forse lo aveva fatto anche lui. L’immagine di se stesso era stata quella che lo aveva trattenuto, che lo aveva riportato indietro.

Si concentrò sul più vicino cespuglio, un oggetto alto una spanna e lo immaginò svanire, diventare nebbioso. Obbedientemente, svanì, ma non appena l’immagine mentale che aveva formato si ridusse a nulla, il cespuglio di rose riapparve improvvisamente, nella forma originaria.

Rand annuì freddamente. Quindi c’erano dei limiti. C’erano sempre limiti e regole e quelli vigenti in quel luogo non li conosceva. Ma conosceva il Potere, quanto Asmodean gli aveva insegnato e quanto aveva imparato da solo, saidin ancora lo colmava, tutta la dolcezza della vita, tutta la corruzione della morte. Rahvin doveva averlo visto attaccare. Con il Potere dovevi vedere qualcosa per influire su esso, o sapere esattamente dove si trovava rispetto a te, fino al millesimo. Forse qui era diverso, anche se non ne era convinto. Desiderava quasi che Lews Therin non si fosse nuovamente zittito. L’uomo forse conosceva questo posto e le sue regole.

Balconi e finestre si affacciavano sul giardino, in alcuni punti erano alti quattro piani. Rahvin aveva provato a... disfarlo. Attinse al torrente furioso di saidin attraverso il ter’angreal. Dal cielo piovvero fulmini, centinaia di biforcazioni che colpirono ogni finestra, ogni balcone. I tuoni rimbombarono nel giardino, facendo cadere pezzi di pietra. L’aria crepitò, i peli sulle braccia e sul petto si rizzarono sotto alla camicia. Anche i capelli incominciarono a rizzarsi. Lasciò morire i fulmini. Di tanto in tanto cadevano dei pezzi di pietra, cornici di finestre e pezzi di balcone, il rumore della loro caduta era sopraffatto dal fragore del tuono che ancora gli risuonava nelle orecchie.

Adesso dove una volta vi erano state le finestre si aprivano dei buchi, come orbite di un teschio mostruoso, i balconi in rovina sembravano una dozzina di bocche scheggiate. Se Rahvin si fosse trovato dietro uno qualsiasi di quelle, certamente era morto. Rand non ci avrebbe creduto fino a quando non avesse visto il corpo. Voleva vedere Rahvin morto.

Con un’espressione distorta che non sapeva di avere, rientrò a grandi passi nel palazzo. Aveva voluto vedere morire Rahvin.

Nynaeve si appiattì e strisciò lungo i pavimenti del corridoio mentre qualcosa attraversò il muro vicino a lei. Moghedien fece lo stesso a gran velocità, ma se non l’avesse fatto, l’avrebbe tirata dall’a’dam. Era stato Rand o Rahvin? Aveva visto delle barre di fuoco bianco, luce liquida, come quella a Tanchico e non voleva trovarsi di nuovo vicina a una di quelle. Non sapeva di cosa si trattasse e non aveva alcuna intenzione di scoprirlo. Voglio guarire, che entrambi questi sciocchi uomini siano folgorati, non imparare un modo estroso di uccidere! Pensò.

Nynaeve si accovacciò a guardare nella direzione dalla quale erano venute. Nulla. Il corridoio vuoto di un palazzo. Con uno squarcio di tre metri su entrambe le pareti, preciso come quello che avrebbe potuto fare un costruttore, con brandelli di arazzi in terra. Nessun segno dei due uomini. Fino a quel momento non li aveva nemmeno intravisti. Solo il loro operato era visibile. A volte ne aveva quasi fatto parte. Era un bene che potesse attingere dalla rabbia di Moghedien, estrarla dal terrore che la attanagliava e lasciare che penetrasse in lei. Era una sensazione pietosa che non le avrebbe nemmeno permesso di percepire la Vera Fonte, meno ancora incanalare il flusso di Spirito che la manteneva in tel’aran’rhiod.

Moghedien era ripiegata sulle ginocchia a vomitare. Nynaeve tese le labbra. La donna aveva di nuovo provato a rimuovere l’a’dam. La sua cooperazione era svanita velocemente quando avevano scoperto che Rand e Rahvin si trovavano in tel’aran’rhiod. Be’, tentare di togliersi il collare dal collo era una punizione in se stessa. Almeno stavolta Moghedien non aveva nulla nello stomaco.

«Ti prego» Moghedien prese la gonna di Nynaeve. «Dobbiamo andare via.» Il panico puro rendeva la voce della donna straziante. Aveva il terrore dipinto in volto. «Sono qui in carne e ossa. In carne e ossa!»

«Sta’ zitta» le rispose assente Nynaeve. «A meno che tu non mi abbia mentito, questo per me è un vantaggio.» L’altra donna sosteneva che essere nel Mondo dei Sogni fisicamente limitava il controllo che potevi avere sul sogno. O meglio, lo aveva ammesso, dopo essersi lasciata sfuggire un po’ della sua conoscenza. Aveva anche ammesso che Rahvin non conosceva tel’aran’rhiod bene quanto lei. Nynaeve sperava che avesse voluto dire che non lo conosceva bene quanto ‘lei.’ Ne sapeva più di Rand, su questo non aveva dubbi. Quell’uomo sciocco! Qualunque fossero i motivi per inseguire Rahvin, non avrebbe mai dovuto permettere all’uomo di portarlo lì, dove non conosceva le regole, dove i pensieri potevano uccidere.

«Perché non vuoi capire quello che ti dico? Anche se si fossero solo sognati qui, ognuno dei due sarebbe più forte di noi. Qui, in carne e ossa, potrebbero schiacciarci senza nemmeno battere ciglio. In carne e ossa possono attingere saidin più profondamente di come possiamo attingere noi a saidar sognando.»

«Siamo legate.» Sempre senza prestare attenzione, Nynaeve tirò forte la treccia. Non c’era modo di capire in quale direzione fossero andati. E nulla poteva avvertirle della loro presenza, se non il vederli. Reputava ingiusto che loro potessero incanalare quando lei non era in grado di vedere o percepire i flussi. Una lampada tagliata in due divenne improvvisamente integra, poi si spezzò di nuovo. Quel fuoco bianco doveva essere incredibilmente potente. Tel’aran’rhiod si aggiustava velocemente da solo, qualunque cosa si tentasse di fare.

«Tu, stupida senza cervello» singhiozzò Moghedien, scuotendo la gonna di Nynaeve con entrambe le mani. «Non ha importanza quanto tu sia coraggiosa. Siamo legate, ma tu non contribuisci per niente nel tuo stato. Nemmeno un po’. È la mia forza e la tua follia. Loro sono presenti in carne e ossa, non nel sogno! Stanno usando cose che non ti sei nemmeno mai sognata! Ci distruggeranno se restiamo!»

«Parla a voce bassa» scattò Nynaeve. «Vuoi portare uno di loro dritto su di noi?» Guardò velocemente in entrambe le direzioni, ma il corridoio sembrava ancora vuoto. Aveva sentito dei passi? Rand o Rahvin? Sia l’uno che l’altro dovevano essere avvicinati con molta prudenza. Un uomo che lottava per la propria vita poteva colpire prima di vedere che si trattava di amici. Be’, lei almeno lo era.

«Dobbiamo andare via» insisteva Moghedien, ma a voce bassa. Si era alzata, la sfida impunita le distorceva la bocca. Paura e rabbia la facevano fremere, la prima più forte, poi la seconda. «Perché dovrei aiutarti ancora? Questa è una follia!» «Preferisci di nuovo il nido di vespe?»

Moghedien strinse gli occhi, che rimasero comunque ostinati. «Credi che lascerei che mi uccidessero piuttosto che subire del dolore inflitto da te? Sei pazza. Non mi muoverò da qui finché non mi porterai via.»

Nynaeve tirò di nuovo la treccia. Se Moghedien si rifiutava di camminare avrebbe dovuto trascinarla. Il che avrebbe ritardato la sua ricerca in quelli che sembravano chilometri di corridoi ancora da investigare. Avrebbe dovuto essere più severa la prima volta che aveva provato a fermarsi. Al posto di Nynaeve Moghedien l’avrebbe uccisa senza un momento di esitazione, o, se avesse pensato che l’altra poteva essere utile, avrebbe usato quel trucchetto per impossessarsi della volontà altrui, facendosi adorare. Nynaeve lo aveva provato una volta, a Tanchico, e anche se avesse saputo come farlo, non credeva che avrebbe potuto usarlo contro qualcun altro. Disprezzava la donna, la odiava con tutte le sue forze. Ma anche se non avesse avuto bisogno di lei, non avrebbe potuto ucciderla a sangue freddo. Il problema era che aveva paura che Moghedien lo sapesse.

Era anche vetro che la Sapiente guidava la Cerchia delle Donne, anche quando la Cerchia non era d’accordo, e le donne della Cerchia punivano quelle che trasgredivano la legge o offendevano profondamente le usanze. Per alcune trasgressioni puniva anche gli uomini. Forse non aveva lo stesso stomaco di Moghedien per gli assassinii, per schiacciare la mente delle persone, ma...

Moghedien aprì la bocca e Nynaeve la riempì con un bavaglio di Aria. O meglio, lo fece fare a Moghedien. Con l’a’dam che le legava era come se fosse lei a incanalare, ma Moghedien sapeva che erano le sue capacità a venire usate, come un attrezzo fra le mani di Nynaeve. Gli occhi scuri brillarono indignati mentre il flusso di Moghedien le bloccava le braccia lungo i fianchi e le stringeva la gonna attorno alle caviglie. Per il resto, Nynaeve aveva usato l’a’dam, come con il nido di vespe, creando la sensazione che voleva far provare all’altra donna. Non la realtà. La sensazione della realtà.

Moghedien si irrigidì nel suo legame mentre una cinghia di cuoio parve colpirla sul fondoschiena. Era la sensazione che avrebbe provato. Oltraggio e umiliazione passarono attraverso il guinzaglio. E disprezzo. A confronto dei sistemi elaborati della donna per far del male agli altri, questa sembrava la punizione adatta a una bambina.

«Quando sarai pronta a cooperare di nuovo» disse Nynaeve, «fammi un cenno con il capo.» Non poteva durare troppo a lungo. Non poteva starsene impalata mentre Rand e Rahvin cercavano di uccidersi a vicenda. Se moriva quello sbagliato solo perché lei stava evitando il pericolo lasciando che Moghedien la trattenesse lì...

Nynaeve si ricordò di un giorno quando aveva sedici anni, proprio dopo che era stata giudicata abbastanza grande per portare la treccia. Aveva rubato un budino di prugne a Corin Ayellin per una sfida con Nela Thane ed era uscita dalla porta della cucina per incontrare proprio comare Ayellin. Aggiungendo la sensazione che era seguita a quell’incontro e facendola scorrere attraverso il guinzaglio fece strabuzzare gli occhi di Moghedien.

Torva, Nynaeve lo fece di nuovo. Non mi fermerà per molto! si disse. Di nuovo. Aiuterò Rand, qualsiasi cosa lei pensi! Di nuovo. Anche a costo di morire! Ancora. Oh, Luce, forse ha ragione, Rand potrebbe ucciderci entrambe prima di sapere che sono io. Ancora. Luce, odio avere paura! Ancora. La odio! Ancora. La odio! Ancora.

Di colpo si rese conto che Moghedien era in preda alle convulsioni, annuendo con tale violenza che sembrava la testa sarebbe volata via. Per un momento Nynaeve rimase a bocca aperta vedendo le lacrime sul viso dell’altra donna, quindi smise di fare quello che stava facendo e velocemente dissolse il flusso d’Aria. Luce, cosa aveva fatto? Lei non era Moghedien. «Suppongo che non mi creerai altri problemi?»

«Ci uccideranno» rispose debolmente l’altra donna, quasi incomprensibile per via dei singhiozzi, ma allo stesso tempo annuì ubbidiente.

Nynaeve si indurì. Moghedien meritava tutto quello che era capitato e anche di più, molto di più. Nella Torre una delle Reiette sarebbe stata quietata e giustiziata non appena si fosse concluso il processo, e sarebbero servite poche prove oltre l’identità dell’accusata. «Bene. Adesso noi...»

Il tuono fece tremare tutto il palazzo, o qualcosa molto simile al tuono, e la polvere si sollevò dal suolo. Nynaeve finì quasi contro Moghedien, mentre cercavano di mantenere l’equilibrio. Prima che la scossa svanisse del tutto, fu rimpiazzata da un ruggito come di un qualche fuoco mostruoso che saliva da una ciminiera della dimensione di una montagna. Durò un attimo. Il silenzio che seguì sembrò più profondo di prima. No. Erano stivali. Un uomo che correva. Il rumore echeggiava nel corridoio. Proveniente da nord. Nynaeve spinse l’altra donna. «Andiamo.»

Moghedien si mise a frignare, ma non oppose resistenza nell’essere trascinata lungo il corridoio. Aveva gli occhi sgranati e respirava velocemente. Nynaeve pensò che fosse una buona idea che Moghedien fosse con lei e non solo per accedere all’Unico Potere. Dopo tutti gli anni trascorsi a nascondersi, il Ragno era una tale codarda che, al confronto, Nynaeve si sentiva coraggiosa. O quasi. Era solo la rabbia contro la propria paura a permetterle di mantenere quel flusso di Spirito per rimanere in tel’aran’rhiod in quel momento. Moghedien era terrore puro fino alle ossa.

Tirandosela appresso con il guinzaglio rilucente, Nynaeve accelerò. Stava inseguendo il rumore di quei passi.

Rand emerse circospetto nel cortile rotondo. Metà della pavimentazione bianca della struttura circolare saliva per tre piani, l’altra metà era delimitata da un semicerchio di pietra sopra delle chiare colonne alte cinque passi, che spuntavano in un altro giardino, con dei percorsi di ghiaia ombreggiati sotto i rami bassi degli alberi. Panche di marmo circondavano uno stagno con i gigli acquatici. E pesci, dorati, bianchi e rossi.

Di colpo la panca scivolò via, fluttuò, mutò in sagome anonime di uomini, anche se bianche e dure come pietra. Rand aveva già imparato che modificare qualcosa che Rahvin aveva alterato era difficile. Sulla punta delle dita danzava il fulmine, che riduceva la pietra a pezzi.

L’aria divenne acqua.

Sentendosi soffocare, Rand si mosse a fatica verso le colonne; poteva vedere il giardino oltre di esse. Doveva esserci qualche barriera per fermare l’acqua che stava uscendo. Prima che potesse incanalare, delle sagome dorate, rosse e bianche avevano incominciato a sfrecciare attorno a lui, più grandi dei pesci nello stagno. E con i denti. Cercavano di morderlo, il sangue saliva nella nebbia rossa. Istintivamente Rand agitò le mani, ma la sua parte fredda, in fondo al vuoto, incanalò. Il fuoco malefico lampeggiò contro la barriera come se non ci fosse, in qualsiasi punto Rand potesse vedere nel cortile. L’acqua ribollì scagliandolo in giro, mentre scorreva per colmare il vuoto creato dal fuoco malefico. Lampi d’oro, bianco e rosso sfrecciavano contro di lui, aggiungendo nuove striature rosse nell’acqua. Essendo in movimento, non riusciva a prendere la mira contro quegli attacchi selvaggi che scattavano in ogni direzione. Non gli era rimasto altro fiato. Cercava di pensare all’aria, dall’acqua tramutata in aria.

Di colpo si trasformò. Cadde sul pavimento fra i piccoli pesci che si agitavano, rotolò su un fianco e si tirò su. Era di nuovo aria, anche gli abiti erano asciutti. L’anello di pietra vacillò fra i sostegni in rovina con la metà delle colonne abbattute. Alcuni degli alberi erano aggrovigliati con i tronchi, poi di nuovo interi, quindi ancora una volta abbattuti. Il palazzo alle sue spalle aveva dei buchi sulle pareti bianche, ve ne era anche uno attraverso una cupola dorata, degli squarci passavano attraverso le finestre lavorate. Tutti i danni tremarono, svanirono e riapparvero. Non il lento movimento di prima, ma costante. Danno, poi nulla, poi qualche danno, poi nulla, poi ancora i danni.

Trasalendo, si appoggiò la mano sul fianco, sulla vecchia ferita parzialmente guarita. Faceva male come se lo sforzo l’avesse quasi squarciata. Aveva dolori ovunque, a seguito di una dozzina o più di morsi che lo facevano sanguinare. Quello non era cambiato. Gli strappi insanguinati sulla giubba e le brache erano ancora presenti. Era riuscito a trasformare l’acqua in aria? O forse una delle sue aste di fuoco malefico aveva fatto fuggire Rahvin, o magari lo avevano ucciso? Non importava, a meno che non fosse l’ultima risposta.

Pulendosi il sangue dagli occhi, Rand studiò le finestre e i balconi che circondavano il giardino, il colonnato in lontananza era alto. O meglio, iniziò a farlo, ma qualcosa da lontano colse la sua attenzione. Sotto al colonnato riusciva a vedere i resti evanescenti di un flusso. A quanto sembrava si trattava di un passaggio, ma per capire di che tipo e dove portava, doveva avvicinarsi. Saltando su un ammasso di pietra lavorata che svanì mentre vi saliva sopra, corse nel giardino, schivando gli alberi caduti sul passaggio. Quel residuo era quasi svanito; doveva avvicinarsi prima che scomparisse del tutto.

Cadde di colpo, con la ghiaia che gli aveva ferito le mani mentre cercava di tenersi. Non riusciva a vedere dove aveva potuto inciampare. Si sentiva confuso. Quasi come se fosse stato colpito alla testa. Cercò di alzarsi in piedi, di raggiungere quel residuo. A quel punto si rese conto di essere in preda alle convulsioni. Aveva le mani coperte da lunghi peli, sembrava che le dita rimpicciolissero, rientrando nelle mani. Erano quasi delle zampe. Una trappola. Rahvin non era fuggito. Il passaggio era una trappola, e lui vi era entrato.

La disperazione era appesa al vuoto mentre Rand si affannava a rimanere se stesso. Le sue mani. Erano mani. Quasi mani. Si costrinse ad alzarsi. Sembrava che le gambe si piegassero al contrario. La Vera Fonte si ritirò, il vuoto si era ritirato. Delle strisce di panico divamparono oltre il vuoto privo di emozioni. In qualsiasi cosa Rahvin stesse cercando di cambiarlo, adesso non poteva incanalare. Laidi stava scivolando, riducendosi, sottile anche se attinto tramite il ter’angreal. I balconi circostanti lo fissavano, vuoti, come il colonnato. Rahvin doveva trovarsi dietro una di quelle finestre con le cornici di pietra, ma quale? Non aveva la forza di scatenare cento fulmini stavolta. Un’esplosione. Questo poteva farlo. Se agiva velocemente. Quale finestra? Lottava per rimanere se stesso. Lottava per attirare saidin verso di lui, dare il benvenuto a ogni macchia della contaminazione come prova che aveva ancora il Potere. Barcollando in un circolo storto, cercando invano, gridò il nome di Rahvin. Sembrò il ruggito di una bestia selvaggia.

Nynaeve svoltò l’angolo tirandosi appresso Moghedien. Davanti a lei un uomo svanì, lasciandosi alle spalle solo il rumore degli stivali. Nynaeve non sapeva da quanto tempo li stava seguendo. A un certo punto il rumore era svanito e Nynaeve aveva dovuto sedersi e aspettare di sentirlo di nuovo per sapere in quale direzione andare. A volte quando si fermavano accadeva qualcosa. Non le aveva viste, ma una volta il palazzo aveva risuonato come una campana, un’altra volta i capelli di Nynaeve si erano quasi rizzati mentre l’aria sembrava crepitare, quella successiva... non aveva importanza. Era la prima volta che era riuscita a lanciare un’occhiata all’uomo che stava seguendo. Non credeva che fosse Rand a indossare quella giubba nera. L’altezza era la stessa, ma era troppo pesante, troppo ampio di torace.

La donna si mise a correre prima di rendersene conto. Le scarpe robuste che indossava si erano da tempo trasformate in delicate scarpette di velluto per non fare rumore. Se lei sentiva lui, avveniva anche il contrario. Il respiro frenetico e affannato di Moghedien era più forte del rumore dei passi.

Nynaeve raggiunse l’angolo e si fermò, guardando con cautela dall’altra parte. Manteneva la presa su saidar, attraverso Moghedien, ma era lei ad agire, pronta a incanalare. Non c’era bisogno. Il corridoio era vuoto. Su una parete lontana si stagliava una finestra con le balaustre decorate ad arabeschi, ma non credeva che fosse andato tanto lontano. Più vicino vi era un corridoio, proprio sulla destra. Si affrettò a raggiungerlo, facendosi di nuovo circospetta. Vuoto. Ma una scala saliva in alto nel punto in cui i corridoi si incontravano.

Esitò un attimo. Quel corridoio riportava nel punto da dove erano venute. Possibile che stesse correndo per tornare indietro? Decise di salire.

Trascinandosi appresso Moghedien salì lentamente le scale, sforzandosi di sentire qualcos’altro oltre il respiro angosciato della Reietta, quasi isterico e il sangue che pulsava nelle proprie orecchie. Se si fosse trovata faccia a faccia con lui... sapeva che l’uomo era lì, da qualche parte davanti a lei. Doveva sfruttare il vantaggio della sorpresa.

Giunta al primo piano si fermò. Il corridoio rispecchiava quello inferiore. Era altrettanto vuoto, altrettanto silenzioso. Era salito ancora?

Le scale tremarono leggermente sotto i suoi piedi, come se il posto fosse stato colpito da un ariete, poi un altro colpo. Un’altra barra di luce bianca passò attraverso i battenti della finestra che si aprirono obliquamente verso l’alto, e il soffitto fu illuminato.

Nynaeve deglutì, battendo le palpebre nello sforzo vano di liberarsi di quel viola pallido che le era rimasto davanti agli occhi. Doveva trattarsi di Rand che cercava di colpire Rahvin. Se era troppo vicina, Rand avrebbe potuto colpirla per sbaglio. Se stava colpendo a casaccio a quel modo — a lei così sembrava — avrebbe potuto colpirla senza accorgersene.

Il tremito era cessato. Gli occhi di Moghedien brillavano di terrore. Da quello che Nynaeve percepiva tramite l’a’dam, era strano che la donna non stesse contorcendosi in terra, gridando e schiumando dalla bocca. Anche Nynaeve aveva voglia di gridare. Si costrinse a mettere il piede sul gradino successivo. Salire era una decisione come un’altra. Lentamente, però. Il secondo gradino fu quasi altrettanto difficile. Non c’era bisogno di arrivare improvvisamente davanti all’uomo. Doveva mantenere la sorpresa dalla sua parte. Moghedien la seguiva come un cane bastonato, tremante.

Mentre Nynaeve saliva le scale abbracciò saidar al massimo delle sue possibilità, tutto quello che Moghedien riusciva a maneggiare, al punto che la dolcezza di saidar si fece quasi dolorosa. Quello era l’avviso. Di più non l’avrebbe sopportato, si sarebbe quietata da sola, bruciando la capacità di incanalare. O forse eliminandola per Moghedien, date le circostanze. O magari entrambe. In ogni caso adesso sarebbe comunque stato un disastro. Si fermò a quel punto, la... vita... la colmava al limite massimo, a una frazione dal collasso. Era quanto avrebbe potuto abbracciare se lo avesse fatto da sola. Lei e Moghedien avevano praticamente la stessa forza con il Potere, Tanchico lo aveva provato. Era abbastanza? Moghedien insisteva a sostenere che gli uomini erano più forti. Almeno Rahvin, Moghedien lo conosceva, e non credeva che Rand avrebbe potuto sopravvivere tanto a lungo se non fosse stato altrettanto forte. Non era giusto che gli uomini avessero i muscoli e una forza maggiore nell’uso del Potere. Le Aes Sedai nella Torre avevano sempre detto che le forze erano uguali. Questo non era...

Stava blaterando. Inspirando profondamente trascinò Moghedien per le scale. Giunsero all’ultimo piano.

Anche quel corridoio era vuoto. Andò nel punto in cui i corridoi si incrociavano e guardò. Eccolo. Un uomo alto vestito di nero, grosso, con le tempie striate di bianco fra i capelli scuri, che guardava da una delle fessure ricurve dei battenti della finestra di pietra verso qualcosa sotto di lui. Sul viso dell’uomo erano visibili sudore e sforzo, ma sembrava che sorridesse. Un bel viso, come quello di Galad, ma il suo cuore non accelerò.

Qualsiasi cosa stesse fissando, forse Rand, aveva preso tutta la sua attenzione, ma Nynaeve non gli diede l’opportunità di vederla. Forse si trattava di Rand. Non era in grado di dire se Rahvin stesse incanalando o meno. Nynaeve riempì il corridoio attorno all’uomo di fuoco, da una parete all’altra, dal pavimento al soffitto, versando in esso tutto saidar, un fuoco talmente caldo che anche la pietra fumò. Il calore la fece indietreggiare.

Rahvin gridò in mezzo alle fiamme e si allontanò da lei barcollando, nel punto in cui il corridoio si trasformava in un percorso affiancato da colonne. Un attimo, forse meno, mentre lei ancora indietreggiava, e l’uomo fu in piedi, in mezzo alle fiamme ma circondato da aria pulita. Ogni minima parte di saidar che poteva incanalare era concentrata in quell’inferno, ma l’uomo lo teneva sotto controllo. Riusciva a vederlo attraverso le fiamme. Tutto aveva un riflesso rosso, ma riusciva a vedere. Dalla giubba bruciacchiata saliva del fumo. Il volto era completamente ustionato, un occhio bianco latteo. Ma entrambi avevano una luce maligna quando li rivolse verso di lei.

Nessuna emozione proveniva dall’a’dam, solo opprimente apatia. Lo stomaco di Nynaeve era in subbuglio. Moghedien si era arresa. Perché davanti a loro avevano la morte.

Il fuoco spuntò attraverso i battenti intagliati delle finestre sopra Rand, le fiamme riempirono ogni buco danzando verso il colonnato. In quel momento, la lotta interiore cessò improvvisamente. Divenne se stesso con tale immediatezza che fu quasi un colpo. Aveva attinto disperatamente saidin, cercando di trattenerne una parte. Adesso scorreva dentro di lui, una valanga di fuoco e ghiaccio che gli faceva tremare le ginocchia, pareva vibrare nel vuoto con il dolore che lo sfiorava e scivolava come sul sapone.

Rahvin barcollò all’indietro uscendo dal colonnato, con il viso rivolto verso l’interno. Era avvolto dalle fiamme, ma in qualche modo allo stesso tempo vi stava in piedi nel centro senza esserne toccato. Ma se adesso non veniva lambito da esse, prima lo era stato. Solo l’imponenza del corpo, l’impossibilità che si trattasse di qualcun altro, gli diceva che si trattava di Rahvin. Il Reietto era una figura di carbone e carne viva e lacerata che avrebbe fatto affaticare chiunque ne avesse tentato la guarigione. L’agonia doveva essere terrificante. Ma si trovava nel vuoto dei resti dell’uomo bruciato, avvolto nel nulla dove il dolore fisico era distante e saidin a portata di mano.

Laidi infuriava dentro Rand e lui lo rilasciò completamente. Non per guarire. «Rahvin!» gridò, mentre dalle mani emanò barre di fuoco malefico, luce fusa più grande di un uomo, guidata da tutto il potere che poteva attingere.

Colpì il Reietto e Rahvin cessò di esistere. I Segugi Neri nel Rhuidean erano divenuti pulviscolo prima di svanire, qualsiasi tipo di vita avessero cercato di mantenere, o forse era il Disegno che cercava di mantenere se stesso anche per loro. Rahvin invece aveva semplicemente... cessato di esistere.

Rand lasciò morire il fuoco malefico e respinse leggermente saidin. Nel tentativo di rimuovere l’immagine violacea che aveva davanti agli occhi fissò la voragine nella balaustra di marmo, quel che rimaneva di una colonna, adesso a forma di zanna, sopra di essa e fissò quella gemella nel tetto del palazzo. Queste non guizzavano, come se quanto aveva appena compiuto fosse eccessivamente forte anche per quel posto. Dopo tutto sembrava fin troppo facile. Forse c’era qualcosa lassù che lo avrebbe convinto della definitiva morte di Rahvin. Corse verso la porta.

Nynaeve cercava freneticamente di stringere di nuovo le fiamme attorno a Rahvin. Le venne in mente che avrebbe dovuto usare dei fulmini, Sarebbe morta. Quegli orribili occhi avevano fissato Moghedien, non lei, ma sarebbero perite entrambe.

Del fuoco liquido attraversò le colonne, così caldo da far sembrare freddo il suo fuoco. Lo stupore le fece rilasciare i suoi flussi e alzò una mano per proteggersi il viso, ma prima che l’avesse parzialmente sollevata il fuoco liquido scomparve. Come anche Rahvin. Non pensava che fosse fuggito. Era stato un istante, così breve che era convinta di averlo immaginato, quando quella barra bianca lo aveva toccato ed era divenuto... nebbia. Solo un istante. Forse lo aveva solo pensato. Ma non credeva fosse così. Sospirò tremante.

Moghedien si teneva il viso fra le mani e singhiozzava sconvolta. La sola emozione che Nynaeve percepiva tramite l’a’dam era sollievo, così potente che soffocava tutto il resto.

Dalle scale sotto di loro si sentiva un rumore di passi.

Nynaeve si girò di scatto e fece un passo verso le scale. Fu sorpresa di accorgersi che stava attingendo saidar, tenendosi pronta per qualsiasi evento.

Lo stupore svanì quando vide Rand. Non era come se lo ricordava lei. I lineamenti erano gli stessi, ma il volto era duro. Gli occhi erano di ghiaccio azzurro. Gli strappi insanguinati nella giubba e nelle brache erano in sintonia con quell’espressione.

Con quell’aspetto non si sarebbe meravigliata se avesse ucciso Moghedien sul colpo non appena avesse scoperto di chi si trattava. Nynaeve aveva ancora bisogno di lei. Rand avrebbe riconosciuto l’a’dam. Riflettendoci ancora lo modificò, facendo svanire il guinzaglio e lasciando solo il bracciale d’argento al suo polso e il collare sull’altra donna. Ci fu un momento di panico quando si rese conto di quello che aveva fatto, poi un sospiro quando si accorse che ancora avvertiva l’altra donna. Funzionava esattamente come aveva detto Elayne. Forse Rand non se ne era avveduto. Lei si trovava fra lui e Moghedien, il guinzaglio era stato alle sue spalle.

Rand lanciò appena un’occhiata a Moghedien. «Ho pensato a quelle fiamme che provenivano da qui. Credevo che poteva trattarsi di te o... Dove siamo? È il luogo dove incontri Egwene?»

Guardandolo Nynaeve cercò di deglutire. Un volto così freddo. «Rand, le Sapienti hanno detto cos’hai fatto e cosa stai facendo, pericoloso e anche malvagio. Dicono che perdi qualcosa di te stesso quando entri in questo mondo in carne e ossa, una parte di ciò che ti rende umano.»

«Le Sapienti sanno tutto?» L’attraversò con lo sguardo, fissando il colonnato. «Una volta credevo che le Aes Sedai conoscessero ogni cosa. Ma non importa. Non so quanto il Drago Rinato possa permettersi di essere umano.»

«Rand, io...» non sapeva cosa dire. «Ecco, lascia almeno che ti guarisca.»

Rand rimase immobile per permetterle di prendergli la testa fra le mani. Nynaeve dovette evitare di sobbalzare. Le ferite fresche non erano serie, ma numerose. Si chiedeva cosa poteva averlo morso, era sicura che si trattasse di quello. Ma la vecchia ferita, quella curata solo in parte e mai guarita che aveva nel fianco, era una voragine nell’oscurità, un pozzo pieno di ciò che riteneva fosse la contaminazione di saidin. Nynaeve incanalò dei flussi complessi, Aria, Acqua, Spirito e anche Fuoco e Terra in piccole quantità, creando la guarigione. Rand non si mosse. Non batté nemmeno le palpebre. Tremò. Ecco tutto. Quindi l’afferrò per i polsi e tolse le mani dal viso. Nynaeve non fu riluttante. Le nuove ferite erano scomparse, ogni morso, graffio e livido, ma non la vecchia. Nulla aveva potuto mutarne l’aspetto. Tutto quello che non era morte poteva essere guarito, anche quella. Tutto!

«È morto?» chiese Rand con calma. «Lo hai visto morire?»

«È morto, Rand. Ho visto.»

Rand annuì. «Ma ce ne sono altri, vero? Altri... Prescelti.»

Nynaeve percepì un’ondata di paura provenire da Moghedien, ma non la guardò. «Rand, devi andare via. Rahvin è morto e questo posto per te è pericoloso. Devi andare e non tornare qui in carne e ossa.»

«Andrò.»

Rand non fece nulla che lei potesse percepire o vedere, chiaramente non era in grado, ma per un momento le sembrò che il corridoio dietro di lui si fosse... girato in qualche modo. Non pareva comunque diverso. Solo che... batté le palpebre. Non c’era la colonna infranta dietro di lui, o il buco sulla balaustra di pietra.

Rand proseguì come se non fosse accaduto nulla. «Di’ a Elayne... chiedile di non odiarmi. Chiedile...» Il dolore deformava il suo viso. Per un momento Nynaeve vide il ragazzo che conosceva, aveva lo sguardo di chi sapeva che qualcosa di prezioso gli era stato strappato. Si protese per consolarlo e lui si fece indietro, il viso di nuovo indurito e tetro. «Lan aveva ragione. Di’ a Elayne di perdonarmi, Nynaeve. Dille che ho trovato un’altra da amare e per lei non è rimasto alcuno spazio. Lan voleva che ti riferissi la stessa cosa. Anche lui ha trovato un’altra. Ha detto che devi dimenticarlo. Sarebbe meglio per voi non essere mai nate che amarci.» Fece un altro passo indietro, poi tre lunghi passi: il corridoio, o almeno una parte di esso, sembrò vorticare mentre lui vi si trovava all’interno. Poi scomparve.

Nynaeve fissò il punto in cui si era trovato e non la colonna danneggiata che si era messa a lampeggiare. Lan gli aveva detto di dirle ‘cosa’?

«Un uomo... notevole» disse Moghedien sommessamente. «Un uomo molto, molto pericoloso.»

Nynaeve la guardò. Adesso attraverso il bracciale le giungeva una nuova sensazione. La paura ancora permaneva, ma trasformata in... ‘aspettativa’ era la parola migliore per descrivere quello stato d’animo.

«Sono stata d’aiuto, non ti pare?» disse Moghedien. «Rahvin è morto, Rand al’Thor salvo. Niente di tutto ciò sarebbe stato possibile senza di me.»

Adesso Nynaeve capiva. Speranza più che aspettativa. Prima o poi Nynaeve avrebbe dovuto svegliarsi. L’a’dam sarebbe svanito. Moghedien stava cercando di ricordarle del soccorso prestato — come se non avesse dovuto estorcerlo — in caso Nynaeve avesse deciso di ucciderla prima di allontanarsi. «Adesso devo andare via anch’io» rispose Nynaeve. L’espressione di Moghedien non cambiò, ma la paura e la speranza si rafforzarono. Fra le mani di Nynaeve apparve un grande calice d’argento, apparentemente pieno di tè. «Bevilo.»

Moghedien si fece indietro. «Cosa...?»

«Non è veleno. Potrei ucciderti facilmente anche senza, se fosse il mio scopo. Dopo tutto, quello che ti accade qui è vero anche nel mondo reale e vale pure per te.» Adesso la speranza era molto più forte della paura. «Ti farà dormire. Un sonno profondo, troppo profondo per toccare tel’aran’rhiod. Si chiama radice biforcuta.»

Moghedien prese il calice con lentezza. «Per cui non posso seguirti? Non discuterò.» Reclinò indietro il capo e bevve fino a svuotare la coppa.

Nynaeve la guardò. Tutto quell’infuso l’avrebbe fatta dormire presto. Eppure un istinto crudele la spinse a parlare. Sapeva che era un’azione malvagia e non le importava. Moghedien non doveva riposare tranquilla nemmeno un po’. «Sai che Birgitte non è morta.» Lo sguardo di Moghedien divenne acuto. «Sai anche chi è Faolain.» L’altra provò a sgranare gli occhi, ma era già assonnata. Nynaeve sentiva che la radice biforcuta stava facendo effetto. Si concentrò su Moghedien, la tratteneva in tel’aran’rhiod. Non aveva intenzione di concedere un sonno sereno a una dei Reietti. «E sai chi è Siuan, che era l’Amyrlin Seat. Non ne ho mai parlato in tel’aran’rhiod. Mai. Ti vedrò molto presto. A Salidar.»

Moghedien roteò gli occhi. Nynaeve non era certa se si trattasse della radice biforcuta o se fosse svenuta, ma non importava. Rilasciò l’altra donna e Moghedien scomparve. Il collare d’argento risuonò quando cadde al suolo. Elayne di questo sarebbe stata contenta.

Nynaeve uscì dal sogno.

Rand correva lungo i corridoi del palazzo. Gli sembrava che i danni fossero minori di quelli che ricordava, ma non guardava con attenzione. Uscì nel vasto cortile davanti al palazzo. Dei colpi di Aria abbatterono gli alti cancelli scardinandoli parzialmente. Oltre di essi era visibile una grande piazza ovale e quello che stava cercando. Trolloc e Myrddraal. Rahvin era morto e gli altri Reietti si trovavano altrove, ma a Caemlyn c’erano Trolloc e Myrddraal da uccidere.

Stavano combattendo, una massa di centinaia di elementi, forse migliaia, che circondavano qualcosa che non era in grado di vedere attraverso la barriera di cotte di maglia nere, alti come i Myrddraal a cavallo. Riusciva appena a scorgere la sua bandiera cremisi nel centro della mischia. Qualcuno si girò per guardare il palazzo e i cancelli scardinati.

Rand però rimase immobile. In mezzo alla folla densa di cotte di maglia nere ammassate volavano palle di fuoco e c’erano Trolloc in fiamme ovunque. Non poteva essere.

Senza osare sperare o pensare, incanalò. Aste di fuoco malefico scattarono dalle sue mani veloci quanto poteva lavorarle, più sottili di un dito, precise e interrotte non appena colpivano. Erano molto meno potenti di quelle che aveva usato contro Rahvin alla fine, ma non poteva correre il rischio di raggiungere le persone intrappolate al centro di tutti quei Trolloc. Sembrava che facesse una piccola differenza. Il primo Myrddraal colpito cambiò colore, divenne una sagoma vestita di bianco, quindi pulviscolo fluttuante e svanì mentre il cavallo fuggiva impazzito. Trolloc, Myrddraal, chiunque si voltasse verso di lui incappava nello stesso destino, poi incominciò a scavare fra quelli rivolti dal lato opposto, per cui l’aria sembrava satura di polvere luccicante, che si rinnovava non appena evaporata.

Non avrebbero resistito a questo attacco. Grida bestiali di rabbia divennero ruggiti di paura e tutti fuggirono in ogni direzione, tranne che verso di lui. Vide un Myrddraal cercare di farli voltare e li travolse, cavallo e cavaliere, ma il resto fece allontanare gli animali. Rand li lasciò andare. Era impegnato a guardare gli Aiel velati che spuntavano dal circolo con le lance e i pugnali con le lame pesanti. Era uno di loro che portava la bandiera. Gli Aiel non ne portavano, ma questo, da sotto allo shoufa si vedeva un lembo di bandana rossa, lo stava facendo. Da qualche parte per le strade che portavano alla piazza si svolgevano delle battaglie. Aiel contro Trolloc. Anche gli uomini armati con l’uniforme delle guardie della regina combattevano contro i Trolloc. Quindi alcuni di quelli che erano pronti a uccidere una sovrana non sopportavano i Trolloc. Rand lo notò a malapena. Cercava in mezzo agli Aiel.

Eccola. Una donna con indosso una blusa bianca teneva sollevata con una mano la gonna ingombrante mentre colpiva i Trolloc in fuga servendosi di un corto pugnale; un istante dopo le fiamme avvolsero la figura con il muso d’orso.

«Aviendha!» Rand non si rese conto di correre finché gridò: «Aviendha!»

E c’era anche Mat, con la giubba strappata e il sangue sulla lama della lancia, mentre si sosteneva con l’asta osservando i Trolloc in fuga, felice di lasciare il combattimento a qualcun altro quando era possibile. E Asmodean, tenendo goffamente la spada tra le mani nel tentativo di guardare simultaneamente in tutte le direzioni, in caso qualche Trolloc decidesse di tornare indietro. Rand percepiva saidin nell’uomo, anche se debole. Non credeva che la battaglia di Asmodean si fosse svolta con quella lama.

Fuoco malefico. Il fuoco malefico che eliminava bruciandolo un filo del Disegno. Più forte era, più indietro nel passato veniva distrutto il filo. Qualsiasi cosa quella persona aveva fatto, non esisteva più. Non gli importava se il colpo contro Rahvin avesse sconvolto mezzo Disegno. Non se questi erano i risultati.

Si accorse che le sue guance erano rigate dalle lacrime e rilasciò saidin e il vuoto. Questo voleva provarlo. «Aviendha!» Prendendola e sollevandola la fece turbinare, mentre la donna lo fissava come se fosse impazzito. Non voleva lasciarla, ma dovette farlo. Così avrebbe potuto abbracciare Mat. O provarci.

Mat lo allontanò. «Cosa ti prende? Sembra quasi che tu abbia creduto che fossimo morti. Non che non stesse per accadere. Penso che essere un generale sia più sicuro di questo!»

«Sei vivo» rise Rand. Portò indietro i capelli di Aviendha. Aveva perso la fascia e adesso erano sciolti attorno al collo. «Sono felice che siate vivi. Ecco tutto.»

Guardò di nuovo la piazza e la gioia svanì. Nulla poteva estinguerla, ma i corpi che giacevano in terra nei punti in cui si erano trovati gli Aiel la attenuarono. Troppi di loro non erano abbastanza grandi per essere considerati uomini. C’era Lamelle, il velo scomparso insieme a parte del collo; non gli avrebbe mai più preparato la minestra. Pevin, con entrambe le mani sull’asta della lancia trolloc che gli aveva trapassato il torace e la prima espressione che Rand avesse mai visto su quel viso. Sorpresa. Il fuoco malefico aveva raggirato la morte per i suoi amici, ma non per gli altri. Troppi. Troppe Fanciulle.

Prendi quello che puoi. Gioisci di quello che puoi salvare e non piangere troppo a lungo per le perdite. Non era un suo pensiero, ma lo accettò. Sembrava un buon sistema per evitare di impazzire prima che la contaminazione di saidin lo conducesse comunque a quella fine.

«Dove sei andato?» chiese Aviendha. Non in collera. Al contrario, sembrava sollevata. «Un secondo eri qui, quello dopo eri scomparso.»

«Dovevo uccidere Rahvin» rispose Rand con calma. Aviendha aprì la bocca, ma lui vi appoggiò sopra le dita per farla tacere, quindi la spinse gentilmente da parte. Prendi quello che puoi. «Non chiedere altro. È morto.»

Bael giunse zoppicante, con lo shoufa ancora avvolto attorno al capo ma il velo calato sul petto. Sulla gamba aveva del sangue, come anche sulla punta della sola lancia che gli era rimasta. «Coloro che Percorrono la Notte e i Deviati dall’Ombra sono in fuga, car’a’carn. Alcuni degli abitanti delle terre bagnate si sono uniti a noi e hanno danzato contro di loro. Anche alcuni di quelli in armatura, anche se prima ci combattevano.» Sulin era alle sue spalle senza velo, con un brutto squarcio rosso sulla guancia.

«Dategli la caccia ed eliminateli, per quanto tempo possa richiedere» disse Rand. Incominciò a camminare, incerto sulla direzione da prendere, purché fosse lontano da Aviendha. «Non li voglio liberi per le campagne. Tenete d’occhio anche le guardie. Più tardi scoprirò quali erano al servizio di Rahvin e quali...» Si allontanò parlando senza voltarsi indietro. Prendi quello che puoi.

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