32

Ci vollero settimane. Per l’esattezza, sette settimane e due giorni. Almeno cento volte fui preso dal timore di dover uccidere qualcuno. Almeno mille volte, i politici si scontrarono con violenza, gridandosi accuse e minacce, per poi sfogare su di me la loro furia e spergiurando che mi avrebbero ucciso non appena fossero tornati nel loro mondo.

Ogni volta, ero costretto a ripetere che nessuno avrebbe lasciato il tavolo prima che fosse stato siglato un accordo di pace, un accordo che ponesse definitivamente fine a quell’assurda carneficina. E, ogni volta, ero costretto a ricordargli che, se ciò non fosse avvenuto, loro stessi sarebbero diventati vittime della guerra.

Una dozzina di volte sembrarono arrivare vicino a un’intesa, poi qualche sciocca obiezione rimetteva tutto in discussione.

Ma pur lentamente e con riluttanza, proseguirono verso la meta. Non usai la forza, solo la minaccia di ucciderli, e tanto bastava a farli tornare al lavoro. Permettevo loro di dormire, anche se questo rappresentava un problema, dato che umani e Tsihn avevano ritmi biologici diversi dagli Skorpis. Gli Aracnidi, da parte loro, non sembravano aver bisogno di sonno.

E dopo cinquantuno giorni, l’accordo era finalmente sulla carta. Dopo le estenuanti trattative, erano tutti esausti. Ma, cinquantuno giorni prima, quando si erano seduti a quel tavolo, si erano scagliati l’uno contro l’altro, mentre ora riuscivano a parlarsi, e con grande rispetto. Persino i poco comunicativi Aracnidi avevano utilizzato le apparecchiature di decodificazione che avevo loro fornito.

Eravamo giunti alla firma, quando io sollevai un’ultima obiezione.

— C’è un problema che i rappresentanti umani non hanno preso in considerazione —dissi.

— E quale sarebbe? —chiesero in coro.

— I vostri eserciti, i vostri soldati. Che intendete farne?

Gli uomini seduti ai due lati del tavolo si scambiarono diverse occhiate. —Ibernarli di nuovo. Che altro?

— Lasciarli vivere —suggerii.

— Ma se non saprebbero neppure come farlo! Sono stati addestrati alla guerra e non conoscono altro!

— Trovate dei mondi che non siano occupati da altri e lasciate che si insedino lì. Credo che dobbiate almeno questo a chi ha combattuto per voi.

— Ma non sopravviverebbero! Coltivare campi, allevare bestiame, costruire case, vivere in pace… sono concetti estranei alla loro formazione mentale.

— In questo caso, dovrete insegnarglielo —asserii risoluto. —Potranno ricevere il nuovo addestramento durante la fase di teletrasporto.

— Morirebbero nell’arco di una generazione —protestò un uomo dal viso grassoccio. —Sono tutti sterili. È così che sono stati creati.

— Potranno ricorrere alla clonazione, come è avvenuto per loro. E i loro figli non saranno sterilizzati.

— Ma allontanando i soldati, resteremo senza difese —obiettò una delle donne. —Non avremo più un esercito.

— Addestrate i vostri figli alla vita militare! —esplosi. —Difendetevi da soli.

— Questa è un’idea folle! I miei bambini, diventare dei soldati?

Appoggiai entrambe le mani sul tavolo. —Solo allora capirete che la guerra non è un gioco. Questi uomini e queste donne hanno combattuto per voi e in cambio non hanno ricevuto “nulla”. Nessun diritto, nessun privilegio, nessun obiettivo da raggiungere, nulla da sognare. Solo morte e fatica.

— Ma è per questo che sono stati concepiti! Non conoscono altro se non l’esercito.

— Ma sanno di voler vivere. Sanno che desiderano qualcosa di più della sofferenza, del sangue e della guerra. Sono esseri umani, esattamente come voi. Dovete accettarli per quello che sono.

— Impossibile! —mormorò qualcuno.

— Hai idea di quanto costerà mandarli su nuovi mondi?

— Chiedere ai nostri figli di diventare militari?

— Questa è la condizione che pongo alla firma del trattato, ed è imprescindibile. Liberate i vostri soldati dalla schiavitù e lasciateli vivere in pace —dissi.

— È una richiesta assurda. Non può essere esaudita.

— Dovrà esserlo, se non volete passare il resto della vostra vita seduti a questo tavolo —ribattei secco.

— Ma insomma!

— Imparerete, anche se solo marginalmente, che cosa significa non avere nulla da desiderare. Resterete qui fino a quando non avrete capito che questa forma di schiavitù è intollerabile.

— Se voi umani temete di restare senza protezione —intervenne uno Skorpis —potreste ingaggiare noi.

— I Tsihn hanno una lunga tradizione militare —aggiunse il più imponente tra i rettili. —Potremmo sicuramente raggiungere un accordo militare con la Suprema Alleanza. —Si guardò attorno e aggiunse: —Oppure con l’Egemonia, una volta che avremo posto fine alla guerra in corso.

Molti tra gli umani obiettarono sull’opportunità di assoldare truppe mercenarie, affidando la propria vita a degli alieni in forza di un accordo diplomatico. Altri rabbrividirono all’ipotesi di vedere i loro figli indossare un’uniforme.

— Potrei dire qualche parola anch’io? —chiese Frede, dal suo posto.

Un ufficiale che chiedeva il permesso di prendere la parola! I politici erano stupefatti. Sin dai primi giorni della conferenza, avevano dato per scontata la presenza dei soldati, quasi facessero parte della vegetazione locale.

— So che ogni soldato sarebbe felice dell’opportunità di cominciare una nuova vita in pace. Forse è vero che sappiamo soltanto combattere, ma questo presuppone molte capacità legate alla sopravvivenza, e saremmo felici di imparare a vivere una vita normale. E… be’, se avrete bisogno di noi, ci saremo.

— Lascereste le vostre nuove case per combattere per la Suprema Alleanza, se vi chiamassimo?

— Se fosse necessario —replicò Frede. —Ma dovreste persuaderci che esiste un’autentica necessità.

— Gli eserciti umani dell’Egemonia sono dello stesso avviso —intervenni io.

Seguirono altre ore di dibattito. Gli uomini chiesero di discutere l’argomento in privato, e per la prima volta membri dell’Egemonia e della Suprema Alleanza passeggiarono insieme, alla ricerca di una possibile soluzione.

I rettili Tsihn sembravano perplessi per la mia richiesta. —Perché non ibernarli, se non vi servono più? —volle sapere uno di loro.

— Perché sono esseri umani —risposi —e hanno tutti i diritti degli altri appartenenti alla razza umana.

Un comandante degli Skorpis scosse il capo. —Gli umani non comprendono il mondo dei guerrieri. Li considerano esseri inferiori, schiavi.

— Un atteggiamento riprovevole —sibilò il Tsihn.

— E che dovrà mutare —concordai.

— E noi resteremo qui come ostaggi finché questo non avverrà —ribatté il comandante Skorpis.

— Davvero riprovevole —ripeté il Tsihn e io non potei fare a meno di chiedermi se non stesse facendo dell’umorismo.

Benché nessuno degli umani appartenenti alla Suprema Alleanza e all’Egemonia fosse convinto della mia proposta, finirono per accettarla: i soldati sarebbero rimasti in vita per essere trasferiti su nuovi pianeti.

Il trattato di pace era pronto, ma come ben sapevo, avrebbe avuto validità solo se lo avessero sottoscritto anche i Creatori.

Rimandai i politici alle loro case, e nelle loro epoche. Frede e gli altri restarono a bocca aperta vedendoli sparire di colpo, tavolo e tutto.

— Trasferimento della materia —spiegai.

Scossero il capo, allibiti.

— Vi rimando di nuovo a Loris —ripresi, e, prima che potessero sollevare obiezioni, aggiunsi: —Non nelle vostre celle. Sarete ospitati alla base militare, e con tutte le comodità. Se i politici mantengono la parola data, il nuovo addestramento comincerà al più presto.

— E se così non fosse? —domandò Frede con lo scetticismo tipico dei veterani.

— Verrò io stesso a prendervi —risposi.

Lei mi guardò fisso negli occhi. —Chi diavolo sei, Orion?

— Un soldato, proprio come te.

— Col cavolo che lo sei!

Sorrisi, divertito. —Ho un po’ più esperienza, tutto qui.

— Non tornerai a Loris con noi?

— No, ho un altro problema da risolvere.

Si accigliò, poi mi venne vicino gettandomi le braccia al collo mi baciò in modo per nulla cameratesco. —Grazie —sussurrò. —Grazie per averci dato la vita.

Ero un po’ imbarazzato. Gli altri soldati ci stavano guardando con un sorrisetto malizioso. Intimai l’attenti, poi li rimandai a Loris. Sparirono dalla Foresta del Paradiso come se non fossero mai stati lì.

Trassi un lungo sospiro. Ora dovevo affrontare la prova più dura. Mi trasferii nella città dei Creatori.

Questa volta, approdai proprio nel suo cuore, nella magnifica piazza circondata dai templi che erano simbolo delle più grandi civiltà umane: uno ziqqurat sumero, una piramide Maya, e il Partenone in tutta la sua originaria bellezza. Il sole splendeva attraverso lo scudo energetico che sovrastava la città. Una leggera brezza marina mi accarezzava la pelle.

Erano tutti lì, ad aspettarmi, tutti in perfetta forma fisica e avvolti in tessuti preziosi, un pantheon di perfezione fisica: gli uomini belli e austeri, le donne seducenti e dall’espressione solenne. C’erano tutti, eccetto Anya.

— Lei dov’è?

Il Radioso mi venne incontro, serio in volto.

— Dov’è? —ripetei.

— Tutto a tempo debito, Orion. Abbiamo altre cose da discutere, prima.

Con la mano sinistra lo afferrai per il collo, premendo il pollice sul pomo d’Adamo finché non cadde in ginocchio.

— Dov’è Anya? —tuonai. —Che cosa le hai fatto?

Quello chiamato Zeus mi ordinò: —Lascialo immediatamente! —Vidi Ares e gli altri avanzare verso di me.

Aumentai la pressione sulla gola di Aton. —Fate un altro passo e gli spezzerò il collo.

— Che beneficio ne trarresti? —domandò Zeus. —Noi lo resusciteremmo.

— Fareste una sua copia —lo contraddissi. —Ma “questo” Aton non esisterà più.

Il Radioso strabuzzò gli occhi.

— Sì, conosco i vostri trucchi. So della trasmissione di materia e delle fratture che avete creato nel continuum. So che considerate i comuni mortali meno della polvere che calpestate.

— Questo non è vero, Orion —intervenne Afrodite dagli occhi verdi. —Noi ci preoccupiamo del benessere delle nostre creature.

Scaraventai Aton a terra. Che senso aveva ucciderlo? Ne avrebbero subito prodotto un altro.

Ma una furia omicida mi stava crescendo dentro. —Dei, vi chiamate? Bugiardi! Impostori e assassini, dico io! Non siete altro che una banda di pazzi criminali!

— Ora stai esagerando —si intromise Era. La ricordai quando si proponeva nei panni di Olimpia, la madre di Alessandro il Grande, la donna che aveva tramato l’assassinio del marito Filippo, re dei Macedoni.

Aton mi guardò e nei suoi occhi lessi la mia stessa furia. —Se vuoi la tua preziosissima Anya —gracchiò massaggiandosi il collo —dovrai prima venire a patti con noi.

— Che cosa c’è da patteggiare? La guerra è finita… a meno che voi, divini assassini, non la facciate scoppiare di nuovo.

— La guerra è finita —confermò Ares e i suoi occhi grigi si posarono su Zeus, prima che aggiungesse: —Abbiamo superato le nostre divergenze e non c’è alcun motivo di continuare la guerra tra gli umani.

Guardai lui, poi Zeus ed Era e tutti gli altri. Infine guardai Aton che si stava rialzando e mi fissava con astio.

— Devi parlare con gli Antichi per nostro conto —disse con voce strozzata.

— Devo?

Intervenne Zeus. —È importante che stabiliamo relazioni amichevoli con loro. Vitale, anzi.

— Perché?

— La crisi suprema, Orion! —proruppe Hermes con foga. —È alle porte, e non c’è tempo da perdere.

— Potete viaggiare attraverso il tempo eppure dite che non c’è tempo da perdere? Non capisco.

Il Radioso aveva recuperato la sua baldanza, ma Zeus lo prevenne. —Ci troviamo a fronteggiare una crisi che probabilmente il nostro potere, da solo, non basterà a risolvere. In qualunque modo ci muoviamo nel continuum, non c’è tracciato del tempo, non c’è geodetica che non si stia deformando, al di fuori di ogni controllo.

Ricordai come gli Antichi mi avessero spiegato che ogni passaggio attraverso il continuum creava lacerazioni nel delicato tessuto dello spazio-tempo. Ora, leggendo nelle menti dei Creatori, capii che cosa temevano. A causa delle loro continue ingerenze, del loro maniacale desiderio di alterare lo spazio-tempo per adattarlo ai propri capricci, avevano lacerato irrimediabilmente quel tessuto che ora minacciava di cedere, provocando un disastro che forse avrebbe potuto squarciare lo stesso continuum e trasformato l’universo in schegge di caos. Tutti i flussi temporali sarebbero stati travolti da un’ondata di discontinuità, la causalità sarebbe stata spazzata via mentre le fluttuazioni del quantum materia/energia avrebbero dissolto il tempo stesso in un non essere privo di senso.

— È peggio di quanto pensi Orion —mormorò Ishtar, la dea dai capelli corvini. —Non siamo noi la sola causa della crisi.

Prima che avessi il tempo di riflettere sulle sue parole, Zeus intervenne di nuovo. —Ci sono altri che manipolano il continuum. Il loro sfruttamento dello spazio-tempo è stato ben più massiccio del nostro.

— Devono essere fermati —rincarò Era.

— Prima che l’intero continuum vada distrutto.

Li guardavo, sforzandomi di metabolizzare le informazioni che avevo appena ricevuto.

— È la verità, Orion —disse Aton, il Radioso, che si era dato l’appellativo di Apollo presso i Greci —Siamo in pericolo; l’universo intero è minacciato.

— È per questo che volete entrare in contatto con gli Antichi? Perché avete bisogno del loro aiuto?

Aton annuì. —Del loro e di quello di tutte le altre antiche razze della galassia.

— E la guerra che avete portato avanti per tre generazioni, e che ha visto la distruzione di interi pianeti? Eravate pronti ad annientare persino le stelle… qual era il vero obiettivo?

Impacciato, Aton distolse lo sguardo. —Eravamo in disaccordo sull’opportunità di rivolgerci a razze più vecchie. Io volevo chiederne l’aiuto; Anya e i suoi erano contrari.

— E per questo avete trascinato l’umanità in una guerra durata oltre un secolo? Coinvolgendovi anche tante razze aliene?

Un barlume della vecchia arroganza fece capolino nei suoi occhi. —Anya sa essere molto caparbia.

— Dov’è?

— Si è rifiutata di unirsi a noi in questa… in questa conferenza di pace.

— Stava morendo.

— Ho cercato di farle vedere le cose dal mio punto di vista. Con gli altri aveva funzionato. —Con un gesto noncurante indicò Poseidone, Afrodite e altri Creatori. —Ma, come ho detto, Anya è molto caparbia.

Sentivo che c’era dell’altro. —Dici che lei non voleva che contattassi gli Antichi?

— Era convinta che avremmo potuto affrontare la crisi suprema anche senza il loro aiuto.

Mi voltai verso Afrodite. —È vero?

— Sì —rispose, ma parlando guardava Aton e non me.

Li fissai a turno, e infine i miei occhi incontrarono quelli di Zeus. —Che altro c’è? —chiesi. —So che non mi avete detto tutto.

Lui si lisciò la barba, poi abbozzò un sorriso. —Accontentati di quanto Aton ti ha svelato, Orion. Aiutaci a guadagnarci la fiducia degli Antichi.

— Come posso invitarli a fidarsi di voi, quando io stesso non ci riesco?

Lo sguardo di Aton mi fulminò. —Non sarai più riportato in vita, Orion. Se non ci aiuterai a raggiungere gli Antichi non ci sarai più di nessuna utilità.

E allora capii ciò che si erano rifiutati di dirmi. —Voi non volete l’aiuto degli Antichi, ma il loro potere. Volete impadronirvi delle loro conoscenze e usarle per i vostri fini. Parlate di una crisi suprema, ma sognate ancora di dominare tutto e tutti, aspirate a essere i signori assoluti del continuum.

Aton sorrise gelido. —Hai imparato molto da quando ti ho creato. Troppo, forse.

— Smettila con questa sceneggiata! —esplosi. —E dimmi la verità.

Il sorriso gli morì sulle labbra. Il cielo si oscurò e le onde del mare si sollevarono, ribollendo, per poi infrangersi con un boato. I Creatori invecchiarono all’improvviso sotto ai miei occhi: i capelli di Afrodite divennero bianchi e il suo volto rugoso. Poseidone era debole e tremante come un vecchio malato; persino Zeus ed Era erano ridotti a due relitti.

Solo Aton aveva mantenuto il suo fulgore. Anzi, sembrava più forte di prima, splendente come il sole che si opponeva alle ombre di quel cielo gravido di nubi tempestose.

E la città dei Creatori si sgretolò sotto i miei occhi. I templi crollarono e divennero ammassi di polvere, le colonne spezzate ai capitelli caddero come rami secchi. La terra fu scossa da un tremore e il cielo squarciato dai lampi.

— Tu credi di aver imparato molto, Orion —mi schernì Aton. —Quanto poco sai, invece!

Agitò una mano e il cielo si rischiarò all’istante. Gli altri Creatori giacevano a terra, i corpi inerti e coperti di stracci nel mezzo delle rovine della città.

Fu allora che le riconobbi.

— Lunga! —dissi con voce strozzata. Al di là dei resti dei templi e dei mozziconi di colonne, vidi la spiaggia su cui era sorta la base Skorpis.

— Non Lunga —mi corresse il Radioso. —Ho saputo ingannarti bene, Orion.

Tutto stava diventando chiaro. —La Terra, questa è la Terra! Non è mai stata Lunga; sempre e soltanto la Terra.

— In un lontano futuro. Tanto lontano che la Luna è uscita dalla sua orbita al punto che neppure la riconosceresti, se non fossi io a indicartela.

— Gli Antichi vengono dalla Terra, dunque!

— Ne dubito. Forse da Nettuno, originariamente, ma certo non dalla Terra. A quanto pare, però, alcuni di loro hanno colonizzato gli oceani terrestri, millenni fa.

— Chi ha distrutto la vostra città?

— Noi stessi —rispose con un sorriso di scherno. —Un’altra delle nostre piccole dispute famigliari. Ma non fa differenza. La ricostruiremo quando saremo pronti.

— E gli altri Creatori? Li hai uccisi tutti?

— Non sono morti, Orion. Ho semplicemente dimostrato a loro e a te che sono il più potente di tutti. Se non si inchinano alla mia volontà, li priverò della vita.

— È quello che hai fatto con Anya.

Il suo volto si rabbuiò. —Mi è sfuggita. Non so come, ma mi è sfuggita. Sospetto che sia tu il responsabile, Orion. In un’altra era, in un altro spazio, l’hai tratta in salvo.

Il cuore mi si riempì di gioia, non solo perché avevo salvato Anya, ma perché avevo indirettamente umiliato Aton.

— Ma sono disposto a dimenticare questo piccolo incidente —riprese il Radioso. —Sto per porre fine alla tua esistenza, Orion. Sei sopravvissuto alla tua utilità.

— E gli Antichi? —lo sfidai.

Lui sollevò un sopracciglio. —Ah, già, gli Antichi.

— Hai bisogno di loro, no?

— È un bisogno meno grande di quello di liberarmi di te —ribatté. —Ti ho creato perché fossi il mio cacciatore ed eseguissi i miei ordini, ma hai finito per darmi più grattacapi che vantaggi.

— Preferiresti far sprofondare l’universo nel caos piuttosto che permettere ad Anya di sfidarti —gli dissi.

Il sorriso ricomparve sulle sue labbra. —È meglio regnare all’inferno, Orion, che servire in paradiso.

Un tempo avevo desiderato morire, essere liberato dalla sofferenza e dal dolore. Ma ora volevo vivere, trovare Anya e riportarla in vita, raggiungere gli Antichi e chiedere il loro aiuto per salvare il continuum dalla completa distruzione, impedire ad Aton di realizzare i suoi sogni di megalomania.

Gotterdammerung —dissi.

— Sì, il crepuscolo degli dei —mi fece eco lui. —La caduta di ogni cosa. Io sarò il Supremo alla fine.

— Mai! —proruppi, e fui lontano dalle rovine della città dei Creatori, lontano dalla Terra, dalle profondità dello spazio interstellare.

Mi sentivo come morto, ma sapevo che avrei vissuto ancora per cercare Anya, per combattere contro il Radioso, per trovare il mio posto nel continuum.

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