9

Chiusi piano il portello, poi spalancai quello sul pavimento e scivolai in acqua. Con il volazaino raggiunsi il mare aperto e la protezione delle bizzarre strutture di metallo.

Se avevano avuto sentore del mio passaggio nella camera di equilibrio, i tre non lo diedero a vedere. Una volta fuori, infatti, raccolsero tranquillamente le attrezzature e tornarono a dirigersi verso la base Skorpis. Aspettai qualche minuto, poi li seguii, attento a mantenere fra noi una certa distanza e risalendo di tanto in tanto in superficie per fare rifornimento di ossigeno.

Anche nei pressi della base Skorpis c’erano piloni sotto la superficie dell’acqua, ma più piccoli di quelli che affollavano le antiche rovine. Di fatto, erano due soltanto, e talmente nuovi che non mostravano tracce di incrostazioni né di corrosione.

Sopra di me, vedevo l’ombra di un molo costruito in superficie e della stessa lunghezza del pilone subacqueo. Riemersi cautamente per un’altra boccata d’aria. Ero quasi all’interno della base Skorpis e fui sorpreso dell’assenza di sistemi di sicurezza elettronici subacquei. E i tre che avevo seguito erano disarmati. L’impressione era che non temessero alcun attacco nemico, che quella non fosse affatto una base militare.

E c’era almeno un essere umano che lavorava con loro.

Il sole sprofondava lentamente nell’oceano, lambendo la cresta spumosa delle onde con invisibili dita dorate. Percorsi ancora un breve tratto. Ormai, ero abbastanza vicino al nemico da udirne i passi sulla banchina e le lamentele… quelle tipiche dei soldati di ogni luogo ed epoca.

— Proteggere una manciata di umani —stava dicendo uno di loro. —Non è questa la vita di un guerriero.

— Avresti preferito andare con il Secondo Battaglione? —lo stuzzicò un altro. —Almeno, loro hanno avuto la possibilità di usare gli artigli.

— Sono tutti morti. Volevi morire anche tu?

— Avremmo dovuto mandare entrambi i battaglioni.

— Non avremmo dovuto mandarne neanche uno, invece. E bombardare subito quelle scimmie spelacchiate, senza sprecare un intero battaglione per conquistare quel maledetto ricetrasmettitore.

— Comunque sia, a noi hanno affibbiato il servizio di guardia.

— Ti fidi di loro?

— Loro, chi?

— Gli umani, chi altri? Dicono di essere scienziati, ma credi che ci si possa fidare di loro? E se fossero spie?

— Come diavolo faccio a saperlo? A me sembrano tutti uguali. Sono le pellicce grige a prendere certe decisioni.

— Come quella di attaccare il ricetrasmettitore nemico.

— Già, come quella.

C’era più di un umano nel campo degli Skorpis. E, a quanto avevo udito, si trattava di scienziati. Mille possibilità mi si affollarono nella mente. Forse era quello il modo per penetrare nella base.

Mi concessi qualche minuto di riflessione. Non aveva senso aspettare il buio. Forse l’audacia avrebbe funzionato là dove avrebbe fallito la furtività.

Con la speranza che gli umani sembrassero davvero tutti uguali agli occhi dei guerrieri Skorpis, mi sfilai il volazaino e lo assicurai alla base del pilone. Con una certa trepidazione, sganciai anche la fondina. Disarmato, mi aggrappai al bordo del molo e mi issai fuori dell’acqua.

— Chi diavolo…? —Le due sentinelle erano armate. Nel vedermi, imbracciarono i fucili e me li puntarono contro.

— Come ti chiami? —mi apostrofò il più robusto. Erano entrambi giganteschi, parecchio più alti di me e con il torace due volte più largo del mio.

— Orion —risposi con un sorriso disarmante. —Mi ero staccato dagli altri e sono appena rientrato.

— Non ti ho mai visto prima.

— Sono arrivato solo pochi giorni fa.

— Sono mesi che non sono state effettuate sostituzioni —obiettò uno dei due. Entrambi mi tenevano sotto tiro.

Facendo appello a tutta la mia dignità, replicai con fare altezzoso: —Sono arrivato con un volo speciale che è costato una fortuna. Evidentemente, a differenza di voi, i vostri superiori sanno riconoscere uno scienziato di valore.

Si scambiarono un’occhiata. Era difficile leggere l’espressione di quei volti felini, ma ebbi l’impressione che fossero perplessi. Sospettavano che stesi mentendo, ma non potevano averne la certezza. E finirono per fare quello che in una simile situazione qualsiasi soldato avrebbe fatto: decisero di portarmi dall’ufficiale in comando.

Passai così da un gigante all’altro, e dal molo venni scortato al posto di comando, e da lì agli alloggi del comandante della guardia, per finire negli uffici del controspionaggio, dove uno Skorpis in uniforme color cannella carica di decorazioni mi guardò con sospetto da dietro una sconfinata scrivania. Non c’erano differenze di sesso tra gli Skorpis, perlomeno non evidenziate dalle uniformi, ma dalle informazioni in mio possesso sapevo che, come tutti gli ufficiali, il capo del controspionaggio era una donna.

— Sei arrivato via mare, senza abiti né equipaggiamento?

Mi sentivo leggermente sciocco, in piedi davanti a lei con indosso soltanto un paio di calzoncini fradici. —Sono con gli scienziati umani —replicai con tutta la dignità possibile. —Stavo soltanto nuotando nei pressi della base per esaminare le strutture subacquee.

— E sostieni di essere arrivato tre giorni fa.

— Sì, esatto.

— Non ci sono più stati atterraggi alla partenza della flotta dopo la battaglia, ed è stato parecchie settimane fa —gracchiò la donna.

— Mi porti dai miei colleghi —insistetti. —Loro garantiranno per me.

— Non ci sono stati atterraggi qui da parecchie settimane —ripeté lei.

— Ce n’è stato uno. Forse non ne siete stati informati.

— Impossibile. Chi sei, e da dove vieni?

Continuai a insistere perché mi conducesse dagli altri umani, mentre lei mi studiava come un gatto studia un uccellino appollaiato su un ramo troppo distante.

— Gli unici altri umani presenti su questo pianeta sono i componenti della squadra d’assalto che abbiamo sterminato. Forse, non vi abbiamo sterminato tutti… —C’era una profonda scanalatura sul legno di fronte a lei. Inconsciamente, aveva estratto gli artigli e graffiato il piano della scrivania. Inconsciamente? Forse non del tutto. Avevo la sensazione che non le sarebbe dispiaciuto fare altrettanto su di me.

Continuai a bluffare. —Basterà che mi permettiate di incontrare i miei colleghi, e ogni dubbio verrà chiarito.

Scosse la testa con un gesto molto umano.

— Che pericolo c’è? Un solo umano, disarmato, in una base di guerrieri?

— Potresti avere addosso un congegno esplosivo. Potresti essere un androide. Una bomba vagante. Gli umani sono molto scaltri per certe cose.

Mi strinsi nelle spalle. —Esaminatemi, allora. Sottoponetemi ai raggi di un rilevatore.

— È già stato fatto. Mentre parlavamo.

— Avete trovato qualche esplosivo? Qualcosa, oltre agli organi consueti sotto una normalissima epidermide umana?

— Voi umani siete molto scaltri —ripeté lei.

Fu necessaria quasi un’ora di testarde insistenze perché si decidesse ad accompagnarmi, insieme con sei guerrieri armati fino ai denti, agli alloggi degli scienziati.

— Di notte dormono —commentò con disprezzo, mentre attraversavamo il campo, dove l’attività ferveva come in qualsiasi suo corrispondente umano. —Non saranno contenti di essere svegliati.

Ma non sembrava preoccupata. Neanche un po’. Gli uomini occupavano un complesso separato dal resto della base da un rete d’energia. Due sentinelle scattarono sull’attenti al nostro arrivo, La mia accompagnatrice ordinò alla scorta di restare lì. —In caso di bisogno vi chiamerò.

All’interno, tutto era tranquillo. Gran parte delle costruzioni erano immerse nel buio, ma la luce filtrava dalle vetrate di un edificio lungo e basso.

— Gli umani mangiano insieme —mormorò l’ufficiale. —Mangiano piante e composti di carboidrati prodotti da macchine. —Il suo tono era decisamente disgustato.

Fui tentato di dirle che alcuni umani cacciavano per procurarsi il cibo, ma mi trattenni.

Senza bussare, aprì la porta della sala mensa ed entrò. Le tavole del pavimento cigolarono sotto il suo peso. La seguii.

Ventidue persone, tra uomini e donne, tutti vestiti con tute malconce, smisero di mangiare e si voltarono a guardarci, le posate a mezz’aria e gli occhi sgranati per la sorpresa.

La Skorpis mi afferrò per la nuca con tale impeto da sollevarmi quasi da terra.

— Questo qui sostiene di appartenere al vostro gruppo —esordì con voce tonante che fece tremare i vetri. —È vero?

Un tizio barbuto, seduto a capotavola, deglutì prima di rispondere: —Certo, fa parte del nostro gruppo. —Ma la sua voce tradiva la sorpresa.

L’ufficiale mollò la presa. —Quando è arrivato? E come?

Prima che qualcuno potesse raccontare una storia diversa dalla mia, intervenni: —Alcuni giorni fa, con il volo di cui ho già detto. —Speravo con tutto me stesso che nessuno mi smentisse.

— Non sono stata informata di nessun volo speciale.

— La nave si è fermata pochissimo —spiegò l’uomo con la barba.

— Forse lei non si trovava alla base —azzardò una delle donne con fare esitante.

— Posso controllare tutti i voli in arrivo sul nostro computer —ribatté la Skorpis. —Se quest’uomo mente, morirà. E se vi renderete suoi complici, morirete con lui.

L’uomo barbuto balzò in piedi. —Non potete minacciarci in questo modo. Siamo stati mandati qui dall’alto comando dell’Egemonia. Il nostro lavoro è troppo importante per l’andamento della guerra perché i guerrieri Skorpis possano permettersi di angariarci.

La reazione fu un soffio carico d’ira. Poi, con calma glaciale, l’ufficiale disse: —L’Egemonia vuole che vi proteggiamo. Se questo umano è una spia o un sabotatore, dev’essere trattato come tale. Aiutandolo, vi metterete contro l’Egemonia e dovrete subirne le conseguenze.

— Lasciate che siamo noi a occuparci di lui —replicò l’altro. —Non rappresenta una minaccia per nessuno.

— Garantisci per lui? È uno scienziato come te?

L’uomo cominciò ad annuire, ma prima che potesse parlare una delle donne sedute a tavola esplose: —Non lo abbiamo mai visto prima d’ora! Non sappiamo chi sia.

— Randa!

— Non serve a niente, Delos —lo rintuzzò lei. —Il nostro obiettivo è troppo importante per consentire a una spia di mandare tutto all’aria!

— Dunque è davvero una spia? —tuonò l’ufficiale.

— Nessuno di noi lo ha mai visto prima! —gridò Randa. —Portatelo via. Apritegli il cervello e scoprite chi è e perché si trova qui!

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