30

Voci intorno a me.

— Che cos’è?

— Ma come può essere?

— Sono comparsi all’improvviso! Plop! Ed erano qui!

Aprii gli occhi, felice di essere di nuovo vivo, di esistere.

Eravamo in una grande piazza illuminata dal sole, tutti quelli sopravvissuti. Frede era ancora china sulla criocapsula, la pistola puntata contro di me. Gli altri stavano accasciati contro i fianchi curvi del sarcofago. La parte raggiunta dai laser degli Skorpis era ancora calda e fumante.

I palazzi che delimitavano la piazza, pavimentata con piastrelle colorate, erano eleganti torri di cristallo e acciaio lucente. Una fontana sprizzava acqua poco lontano dal punto in cui eravamo atterrati. E intorno a noi, uomini e donne vestiti con eleganza che ci guardavano a bocca aperta, quasi fossimo fantasmi o alieni. Il gruppo di curiosi si faceva sempre più numeroso, e si bisbigliavano frasi sommesse all’orecchio o ci indicavano col dito.

E certo non eravamo uno spettacolo rassicurante, una manciata di disperati, coperti di sangue e sudore, le uniformi sporche e lacere. Solo in diciotto eravamo scampati alla morte.

— Ma chi sono? —domandò un’anziana signora.

— Come osano mostrarsi proprio qui?

— Devono essere “soldati”.

— Soldati? Gente dell’esercito?

— Ma che ci fanno qui?

— Devono essere proprio soldati. Guardate, sono armati.

— Le armi non sono autorizzate nella capitale —ci apostrofò un uomo dall’espressione irritata. —Ho chiamato la polizia.

— Come puzzano!

— Sì, puzziamo e abbiamo un aspetto orribile! —gridai. —Abbiamo combattuto e molti di noi sono morti per salvarvi da un’invasione!

Li sentii sussultare.

— È pazzo!

— Ma guardateli! Sono pazzi, è evidente.

— Dov’è la polizia? L’ho chiamata più di un minuto fa.

Non riuscivo a credere alle mie orecchie. —Non sapete che c’è una guerra in corso, sopra le vostre teste? Non sapete che siete in guerra?

— Dev’essere uno scherzo.

— Una sperimentazione teatrale. Le nuove generazioni si divertono a choccare i più anziani.

Mi si avvicinò una donna dai capelli grigi. Mi arrivava appena alla spalla. —È inutile che cerchi di spaventarci. La guerra viene combattuta a migliaia di anni luce da qui.

Scossi la testa, diviso tra lo sgomento e il disgusto, poi le voltai le spalle e tornai dai miei compagni.

Che non erano meno sorpresi dei civili. Frede abbassò la pistola, si appoggiò con le spalle alla criocapsula e scivolò sulla schiena fino a ritrovarsi seduta per terra. Gli altri si distesero sulle piastrelle colorate.

— Questa è Loris? —domandò Frede.

Annuii. —La capitale della Suprema Alleanza.

Si accostò un uomo. —Non potete stare qui. Questa è una pubblica piazza, non un campo militare.

Dovevo restare calmo. —Dove ci suggerisce di andare, allora?

— Come posso saperlo io? Ma… Ah, ecco che arriva la polizia, finalmente!

La folla si aprì per lasciar passare una coppia di lucidi robot che, grazie ai volazaini, si muoveva a pochi centimetri da terra. Privi di gambe, avevano sei braccia, corpo cilindrico e testa conica munita di sensori e microfoni.

— Identificatevi, prego —disse quello alla mia sinistra.

— Siamo i sopravvissuti dell’equipaggio dell’astronave Apollo —risposi. —Siamo scampati alla battaglia…

— Un momento, prego. —Il robot alzò una mano dalle dita simili ad artigli. —Dai rapporti risulta che l’Apollo è in missione nel sistema di Jilbert. Identificatevi, prego.

— Non siamo mai arrivati al sistema di Jilbert, —spiegai, cominciando ad avvertire un certo disagio. —Durante il viaggio siamo rimasti coinvolti in una terribile battaglia…

— Non c’è nessuna battaglia in corso.

— In orbita —puntualizzai.

Sentii levarsi parecchi mormoni. Qualcuno dei presenti si era mai preso la briga di guardare il cielo della sera? Quando esplodevano, le navi sembravano lampi di luce tra le stelle.

— Seguiteci, prego —disse il robot.

— Dove?

— Dalle autorità superiori.

“Ma certo” pensai. Indicai la criocapsula. —Non si può lasciarla qui. Dovrebbe essere portata in un ospedale oppure…

— L’oggetto sarà preso in custodia e trasportato in una struttura idonea.

— Noi accompagniamo la capsula.

— Voi ci seguirete —replicò il robot. —L’oggetto verrà preso da altri e portato nel luogo idoneo.

Appoggiai la mano sul calcio della pistola. Frede e gli altri balzarono in piedi, pronti ad afferrare le loro armi. La folla ondeggiò e cominciò a indietreggiare.

— Abbiamo l’ordine di sorvegliare la capsula —mentii. —L’abbiamo trasportata per molti anni luce e abbiamo combattuto duramente perché arrivasse intatta a Loris. Non la lasceremo su una piazza alla mercé di chiunque.

Il robot stava emettendo un leggero ronzio. Notai che il suo compagno si era spostato leggermente alla mia destra, probabilmente con l’intenzione di farmi oggetto di un fuoco incrociato se la situazione fosse precipitata. Jerron, la camicia strappata sotto cui si intravedeva la pelle bruciacchiata, si fece avanti e, lo sfiorò con la canna della pistola. Il robot indietreggiò, emettendo un forte sibilo.

— È in arrivo un’equipe medica che si prenderà cura della capsula —annunciò il primo robot. —Sarà fatto tutto il necessario.

— Bene —approvai. —Aspetteremo il suo arrivo, poi verremo con voi.

Pochi minuti dopo, tre aeromobili planarono sulla piazza, per atterrare a pochi metri da noi. Ne scesero due squadre di umani, una costituita da medici in camice bianco; gli altri, in uniformi blu, erano armati di pistole e mitragliette.

— Sono il capitano Perry, della polizia della capitale —si presentò uno di questi. Alto più o meno come me, aveva spalle larghe e robuste. I capelli neri e ricci gli sfioravano il collo. Il volto era squadrato, dominato da un naso da pugile.

— Io sono Orion, capitano dell’Apollo. Abbiamo portato questa criocapsula da Prime, la capitale dell’Egemonia. Contiene il corpo di uno dei capi dell’Egemonia, venuto per discutere la pace.

— Perché l’intera flotta degli Skorpis sta cercando di annientare le nostre difese? —domandò Perry, quasi ringhiando.

Ricorsi alla sempre valida giustificazione del soldato. —Sto solo eseguendo gli ordini, capitano. —Era una menzogna, ma avrebbe funzionato. Almeno per il momento.

L’uomo mi squadrò da cima a fondo, prima di rispondere: —D’accordo. Porteremo la capsula nel nostro centro clinico, ma prima dovete consegnarmi le armi.

Scossi la testa. —Siamo soldati, capitano. Consegneremo le armi soltanto alle autorità militari. A nessun altro.

— Su questo pianeta, la polizia ha l’autorità di disarmare chiunque circoli con un’arma.

Non cedetti. —Trovate un ufficiale dell’esercito, e noi consegneremo le armi.

Palesemente seccato, Perry ordinò ai medici di attaccare i volazaini alla capsula di Anya e caricarla a bordo del loro aeromobile. Poi ci spinse dentro le due vetture della polizia. Otto dei miei uomini erano con Frede. Io, con i restanti nove, salii sull’auto con Perry. Stavamo pigiati come sardine con le pistole che ci premevano contro le costole.

Mentre ero seduto accanto al capitano Perry, udii il robot dire alla gente: —Per favore, sgomberate! Intralciate il traffico.

Ubbidienti, si allontanarono senza farselo ripetere, commentando tra loro lo strano evento di quella giornata.

Tutti e tre gli aeromobili si alzarono da terra e puntarono verso uno degli angusti spazi che si aprivano tra le torri di cristallo e acciaio. Li superammo e la città si materializzò sotto di noi. Di pianta geometrica, aveva strade larghe che si intersecavano a formare piazze o confluivano in parchi lussureggianti.

L’aeromobile bianco del servizio medico si staccò da noi e prese un’altra direzione.

— Aspettate! —dissi al capitano Perry. —Noi dobbiamo seguire la capsula.

— Niente affatto —replicò Perry con tono perentorio. —La capsula è diretta al laboratorio medico dove verrà esaminata e sottoposta ai necessari test.

— Ma…

— Voi sarete portati in un centro interrogatori. Abbiamo controllato la vostra versione dei fatti. L’Apollo era stata inviata nel sistema di Jilbert, a più di settecento anni-luce da qui. Quindi, o state mentendo, o siete una banda di traditori. Comunque sia, vi strapperemo la verità.

Estrassi la pistola e gliela puntai sotto il mento.

I suoi occhi si dilatarono. —È impazzito?

— Lo chiami trauma da combattimento —replicai. —Seguiamo la capsula, se non vuole che le faccia saltare il cervello.

Gli altri poliziotti estrassero le armi e altrettanto fecero i miei soldati. L’autista, l’unico a essere disarmato, stringeva con forza il volante, guardando dritto davanti a sé.

— Vi farete ammazzare! —biascicò Perry.

— E voi con noi.

Lui sbuffò, poi ordinò all’autista: —Segui l’aeromobile medico.

— Per questo la appenderanno per le palle, Orion —sibilò Perry. —E io sarò lì a godermi lo spettacolo.

— Dopo che qualcuno si sarà preso cura della capsula, vedremo chi verrà appeso per le palle —replicai senza scompormi.


Il centro clinico era una trappola. Atterrammo quasi contemporaneamente in una piazzola circondata da quattro alti edifici. Stavamo scendendo, quando quattro squadre Tsihn sbucarono da altrettante porte, le pistole puntate su di noi.

— Lucertole! —sentii che gemeva Frede.

— Consegnate le armi, umani —intimò il capo dei Tsihn, un enorme rettile color ocra con il petto e le braccia carichi di decorazioni.

Per un lungo, silenzioso momento restammo a guardarci.

— Sono il colonnello Hrass-shleessa —si presentò il rettile. —E sono autorizzato ad assumere il vostro comando. Deponete le armi a terra o saremo costretti ad aprire il fuoco.

Lanciai un’occhiata al capitano Perry. Non gli piaceva l’idea di essere coinvolto in uno scontro tra noi e i Tsihn.

Ma noi eravamo numericamente in svantaggio, —Ci uccideranno —mormorò Jerron. —Maledette lucertole!

— Deponete le armi —ordinai. —Obbediremo agli ordini del colonnello. —Non avevo altra scelta se non quella di comportarmi da soldato obbediente.

Ci scortarono a passo di marcia verso un altro aeromobile, mentre una squadra medica trasportava la capsula all’interno di uno dei palazzi. L’aeromobile su cui salimmo era verde militare, e molto somigliante a una jeep dell’esercito. Prendemmo posto nel retro, su due panche. Lanciai un’occhiata furtiva al capitano Perry, che lì vicino aspettava che il portellone venisse chiuso. Sogghignava. Un maligno sorriso di trionfo.

Ci allontanammo dalla città, verso le montagne a occidente. Il tragitto durò oltre un’ora. Non avendo altro da fare, molti dei miei compagni si addormentarono. Io restai seduto a pensare a quelli di noi che non c’erano più: Emon, Dyer… le lunghe gambe recise in un sol colpo… e a tutti gli altri. “Mai farsi degli amici” mi dissi. “Un soldato non può permettersi il lusso dell’affetto.”

La nostra destinazione era una base militare annidata tra montagne grigie e gelide. Prigionieri umani e guardie Tsihn. L’istinto mi diceva che proprio i rettili, erano i veri nemici dell’umanità e lì, in quel centro di detenzione, sembravano davvero tali.

Mi separarono da Frede e dagli altri e mi condussero in cella, uno squallido bugigattolo senza finestre. All’interno, una branda, un lavabo e il water, illuminati da una lampada incassata nel soffitto. Irraggiungibile.

Non vi restai a lungo. Due guardie Tsihn vennero a prendermi per scortarmi in una stanza dove un giovane ufficiale, dalle scaglie giallo limone e quasi privo di decorazioni, sedeva su un alto scanno, l’unico pezzo di arredamento visibile.

— Siediti.

Mi accosciai sul pavimento di cemento gelido. Le due guardie restarono ai lati della porta.

Soddisfatto di potermi sovrastare, l’ufficiale si chinò verso di me: —Chi sei, e da dove vieni?

— Il mio nome è Orion. Ero il comandante dell’Apollo.

Serrò le mascelle. —L’Apollo era stato inviato sul sistema di Jilbert.

— Non ci siamo mai arrivati. Siamo andati a Prime, invece, e abbiamo portato qui uno dei più illustri esponenti dell’Egemonia per discutere la pace con i capi della Suprema Alleanza.

Sbuffò. —Orion. È questo il nome?

— Sì.

— Non c’è nessun dossier su di te negli archivi militari della Suprema Alleanza.

La cosa non mi sorprese più di tanto. —Controllate presso il generale Uxley della base sei del settore —dissi. —Lui mi conosce. Indagate sul mio equipaggio; abbiamo combattuto a lungo insieme. Lunga, Bititu, la battaglia che è attualmente in corso.

— La battaglia si è conclusa —annunciò l’ufficiale con tono solenne. —La flotta degli Skorpis è stata ricacciata indietro.

— Bene.

I suoi occhi giallastri mi fissarono. —Per me, voi umani siete tutti uguali. Come facciamo ad avere la sicurezza che sei veramente un soldato della Suprema Alleanza e non una spia dell’Egemonia? Lo stesso vale anche per il tuo equipaggio, naturalmente.

Capivo che la mia storia doveva apparirgli grossolanamente fasulla. —Disponete sicuramente di scanner in grado di sondare le onde cerebrali. Potete facilmente verificare se quanto sto dicendo è la verità.

— Ah, la verità, —mormorò il rettile, con il tono che avrebbe usato un professore di filosofia sulla Terra. —Che cos’è la verità, Orion? Tu puoi raccontarmi una storia che credi vera e tuttavia potrebbe essere solo una serie di ricordi inseriti nella tua memoria dagli operatori dell’Egemonia.

Mi strinsi nelle spalle. —A che pro interrogarmi, allora?

Piegò la testa di lato. —Per sentire che cosa hai da dire. Per decidere se il tuo racconto contiene informazioni di qualche valore. È il minimo che possiamo fare, prima di condannarvi a morte.

Загрузка...