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Ero confinato in un anonimo spazio grigio, la parete curva di un bozzolo di plastica talmente bassa su di me che se solo avessi sollevato il capo, l’avrei urtata. Giacevo sulla schiena, disorientato, e sbattevo le palpebre incollate dal sonno. Avevo le braccia serrate ai lati del corpo, perché non c’era spazio sufficiente per fare il benché minimo movimento. Sfiorai con il dorso della mano la parete curva del mio abitacolo: era calda come il sangue. Io, invece, ero gelato. Sentivo il gelo dentro, quasi fossi un cadavere.

Ricordai di essere morto, più di una volta. Ricordai di essermi assiderato in un paesaggio gelido di neve e ghiaccio, battuto da venti crudeli. Lo stordimento del freddo era stato una grazia, allora. Il mio corpo era stato dilaniato da un orso delle caverne.

Un clic meccanico mi riportò al presente. Udii un suono leggero, intermittente, ma stranamente fastidioso. Il coperchio di plastica si aprì di scatto e subito una gelida foschia bianca mi avvolse. Rabbrividii, e faticosamente cercai di alzarmi a sedere.

Puntellandomi su un gomito, sbirciai attraverso la gelida foschia. Ero in una grande stanza. Anonime pareti grigie. Soffitto basso illuminato da una fredda luce bluastra. Sul pavimento, oggetti piuttosto grandi molto simili a bare. Erano dozzine, forse un centinaio. E quel suono fastidioso, leggero eppure insistente, come un tarlo che roda la mente. Prima uno alla volta, poi con sempre maggiore frequenza, i coperchi delle capsule a forma di bara si sollevarono con un sibilo leggero, simile a una brezza leggera tra i rami ondeggianti di un bosco. Da ogni capsula si levavano volute di nebbia biancastra. Il suono intermittente cessò con l’aprirsi dell’ultima.

Uomini e donne si stavano alzando a sedere, e si stropicciavano gli occhi, flettevano le membra, si guardavano intorno. Notai che erano giovani, magri, in ottima forma fisica. Si assomigliavano al punto che avrebbero potuto essere fratelli. Sulle prime, pensai che fossero i componenti di due o tre famiglie. Erano completamente nudi, uomini e donne. Proprio come me.

All’improvviso, la sala vibrò, come colpita da una gigantesca mano, e un rombo distante, sordo, echeggiò nella coltre di nebbia. Per poco non caddi dalla capsula. Alcuni dei miei compagni gridarono. Un terremoto? Ma no, a quella prima scossa non ne seguirono altre.

Misi i piedi a terra e cercai di alzarmi, tenendomi saldamente al bordo della bara, o qualunque altra cosa fosse. Una capsula per il sonno crionico, realizzai subito dopo, senza capire come facessi a saperlo. Sì, era una capsula per il sonno crionico. La sala ne era piena. Gli uomini e le donne che erano lì dentro con me si erano appena risvegliati dalla morte.

— Chi è al comando di questo drappello?

Mi voltai in direzione di quella voce impaziente, arrogante e subito fui travolto da un profondo senso di odio e paura insieme. Vicino a me stava un rettile, una lucertola bipede coperta di scaglie verdi e grigie, simboli dipinti sul petto e sulle spalle, una rete d’equipaggiamento assicurata intorno al torace. Aveva solo un accenno di coda tra le zampe, e, ancora lontana dall’età adulta, mi arrivava appena all’altezza delle spalle.

Uno dei discendenti di Set! Sentii il cuore colmarsi di astio, ogni muscolo tendersi nell’imminenza della lotta. Ma avevo ucciso Set tanto tempo prima, in una straziante battaglia che aveva distrutto lui e la sua intera stirpe di rettili invasori. E lui aveva ucciso me. Ricordai la mia morte, nell’era in cui i dinosauri erravano sulla Terra e la stella che era la piccola compagna del Sole, non si era ancora infranta sul pianeta Giove.

Questo rettile era diverso. Aveva il muso simile a quello di una lucertola, con la bocca piena di denti e un’unica cresta ossuta sul capo. Gli occhi, in apparenza semplici fessure, erano piccole biglie lucide sporgenti e piene di intelligente disprezzo.

— Svegliatevi, forza! Avete dormito abbastanza! —disse. La sua voce proveniva da un medaglione sottile appeso a una catena d’oro che portava al collo.

— Chi è al comando, qui? —chiese di nuovo.

— Io —risposi e, mentre lo dicevo, mi resi conto che era davvero così. —Mi chiamo Orion e sono il responsabile di questo drappello.

Gli occhietti luccicanti indugiarono su di me. —Molto bene, Orion. Fa’ alzare i tuoi uomini, che si preparino…

Un’altra potente vibrazione percorse la sala. I soldati barcollarono, sul punto di cadere. Io mi afferrai saldamente il bordo della capsula.

Il rettile emise un sibilo leggero. —Dovete essere pronti entro un’ora. Questo è un ordine, soldato.

Indietreggiò. Mi resi conto che la sua rete era vuota, una pura decorazione. Noi avremmo partecipato all’azione. Lui no.

La nebbia si era quasi completamente diradata. Gli uomini erano in piedi e apparivano incerti sulle gambe, con la mente ancora annebbiata dal sonno crionico.

— Bene —dissi a voce alta e con tono deciso —avete sentito quello che ha detto la lucertola. Si va in combattimento. Allinearsi!

Mi guardarono sospettosi, quasi con astio, ma obbedirono, disponendosi in file ordinate. I sergenti si misero alla testa di ogni fila e tre tenenti, due dei quali donne, marciarono a piedi nudi verso di me e si fermarono sull’attenti. Nessuno sembrava a disagio per la propria nudità.

Non conoscevo quei soldati. Ero stato posto al loro comando prima che la spedizione avesse inizio, ricordai. Il loro capitano era stato sollevato dall’incarico per motivi che non mi erano stati spiegati. Avevo in mente tutti i dati riguardanti i miei uomini, ma si trattava di semplici informazioni ricavate dai loro dossier. Per me, erano dei perfetti sconosciuti.

Ma ricordavo! Mentre li guidavo verso gli armadietti contenenti armi e divise, mi rallegrai che questa volta il Radioso non avesse cancellato in me ogni memoria… Ma perché? Lo faceva sempre, dopo una missione. Talvolta avevo sconfitto quell’oblio indotto, talvolta esigevo i miei ricordi. Con un sorrisetto compiaciuto, Aton mi spiegava che era lui a permettermi di ricordare, che con i miei soli sforzi non ce l’avrei mai fatta. Io stesso pensavo che probabilmente era Anya che mi aveva aiutato.

Ma ora riuscivo a ricordare tutto o, almeno, molto. Anya. La amavo, e lei mi amava. Era uno dei Creatori, lontana da me come può esserlo una divinità rispetto a un mortale, ma mi amava. Aveva rischiato la propria vita per restarmi accanto in tutte le ere in cui ero stato mandato da Aton. Volevo trovarla e restare con lei. Per sempre.

Ma c’era una crisi, là fra le stelle, lontano dalla Terra. Anya era da qualche parte a combattere, così come gli altri Creatori. A combattere per la propria vita. Per la sopravvivenza della specie umana. Per la conservazione del continuum.

Contro chi? Non ne avevo idea. Era questo il momento della grande crisi nel continuum tanto temuta da Aton e dagli altri Creatori? Per questo io ero lì, con la memoria intatta?

Considerazioni che portarono con sé un altro interrogativo. Quanti dei miei ricordi avevo conservato? Impossibile dirlo. Come capirlo, se non si ricordano una vita o due? Sentivo la risata beffarda di Aton echeggiarmi nella mente. Sembrava dire che io ricordavo ciò che lui mi consentiva di ricordare. Niente di più. Ero la sua creatura, destinata attraverso tutte le vite del continuum a eseguire i suoi ordini.

— ORION SUL PONTE DI COMANDO. —L’ordine risuonò dagli altoparlanti dell’interfono. —A PASSO DI CORSA.

Le mie truppe mi lanciarono una rapida occhiata. Dalla disinvoltura con cui maneggiavano tute e armi, capii che, a dispetto della giovane età, erano veterani.

Mi diressi verso il ponte senza esitare, districandomi con facilità nel labirinto di corridoi dell’immensa nave come se ne conoscessi ogni segreto. Facevamo parte di una flotta d’invasione e il nostro avvicinamento al pianeta-obiettivo non stava avvenendo senza opposizione. C’era una battaglia in corso, tra la nostra flotta e i difensori del pianeta.

A ogni portello, dotato di doppie porte, c’era una sentinella, un rettile con le insegne dipinte sulle scaglie e un pugnale fermato con una fibbia intorno al busto. Ogni volta rabbrividivo, ricordando Set e i suoi servi e come avessero cercato di impadronirsi della Terra. Ogni sentinella scattava sull’attenti al mio passaggio e salutava con la mano munita di tre artigli.

Avevano una sola cosa in comune con la specie di Set: la taglia indicava l’età, e l’età il grado. Più erano alti, più erano vecchi e di grado elevato. Mi chiesi che cosa ne fosse dei rettili che, invecchiando, non venivano promossi.

Il ponte di comando era piccolo e angusto, stranamente tranquillo. Alle consolle dei comandi, solo rettili. Il comandante della nave stava al centro, e naturalmente era il più alto. Tutti erano impegnati a incamerare dati attraverso le prese a jack collegate alle tempie, gli occhi protetti da lenti ad ampio spettro in grado di mostrare qualunque cosa venisse intercettata dai detector.

Io, però, non vedevo altro che rettili con gli artigli premuti sulle tastiere incassate nei braccioli delle loro poltrone. Non c’erano schermi per occhi umani, solo paratie di metallo e consolle coperte di quadranti e indicatori di cui ignoravo l’uso e la funzione. Il caldo era insopportabile e l’aria satura di un odore acre di bruciato; sembrava di essere nel deserto sotto il sole cocente del mezzogiorno.

All’improvviso, un bagliore accecante esplose su un lato del ponte, penetrando le paratie come un raggio laser. Volli dare l’allarme, ma nessun suono mi scaturì dalle labbra. La luce crebbe di intensità, cominciò a espandersi. Gli scudi della nave erano stati certamente colpiti; di lì a pochissimo la nave sarebbe esplosa nel vuoto interstellare.

I rettili non si erano accorti di niente. Seguivano la battaglia. La luce diventò dorata, abbacinante, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo. Già le lacrime cominciavano ad appannarmi gli occhi, quando il suo fulgore scemò lievemente e assunse le sembianze umane di Aton, il Radioso.

— Lacrime di gioia, Orion, nel rivedere il tuo creatore? —disse beffardo.

Appariva assolutamente magnifico, lì in mezzo al ponte innaturalmente silenzioso. Portava una splendida uniforme candida con il collo a listino, fregi dorati e un sole raggiato sul petto. La sua folta massa di capelli color oro risplendeva. Sul volto di una bellezza crudele aleggiava un gelido sorriso.

— O forse mal sopporti di non poter seguire le sorti della battaglia?

Di colpo, nella mia mente si materializzò un pianeta vicino, e dozzine di navi spaziali che sciamavano nella sua direzione. La flotta difensiva le bersagliava di raggi laser e missili, e ne vidi tre esplodere silenziose, fiori color porpora contro l’oceano intensamente blu del pianeta.

— La battaglia procede bene —osservò il Radioso.

La nave fu scossa da un’altra esplosione che per poco non mi fece cadere.

— Lo vedo —replicai secco.

Aton inarcò un sopracciglio dorato. —Umorismo, Orion? Ironia? La mia creatura sta ampliando il suo repertorio.

— Dov’è Anya? —chiesi.

La sua espressione si fece pensosa. —Lontano da qui.

— Voglio vederla.

— Non ora. Hai un compito importante da eseguire.

— È questa la crisi di cui parlasti tanto tempo fa?

Il solito sorriso beffardo gli incurvò le labbra. —Tanto tempo fa? Ma certo: tu sei ancora legato a una concezione convenzionale del tempo, non è così?

— Non giocare con me.

— E impaziente, perdipiù! Certo perché desideri incontrare la dea che ti ama.

— Dov’è?

— Prima di ogni altra cosa, viene il tuo dovere verso di me, Orion.

— Chi sono questi rettili? Perché ci sono degli uomini tra loro?

— Queste lucertole sono nostre alleate in questa guerra, Orion. Stanno trasportando la tua squadra d’assalto sulla loro nave.

Nuove conoscenze mi si affollarono nella mente. Vidi la storia dipanarsi davanti ai miei occhi e scorrere come un film a velocità accelerata. Vidi i primi disperati sforzi dell’uomo per raggiungere lo spazio. Vidi il primo di loro mettere piede sulla Luna, e quindi il lungo intervallo che ne precedette il ritorno. Assistetti all’espansione dell’umanità in tutto il sistema solare: scienziati che esploravano Marte, industriali che costruivano fabbriche nello spazio, minatori e rifugiati politici e avventurieri che andavano a occupare la cintura di asteroidi e le lune dei pianeti giganti.

Intanto, gli scienziati cercavano segni di vita intelligente fra le stelle. Furono rinvenuti fossili su Marte, forme primitive di vita vegetale sotto la crosta ghiacciata di Europa. Ma per un secolo e più i nostri tentativi di esplorare con i telescopi le stelle si rivelarono infruttuosi: gli appelli che inviavamo nelle vastità dello spazio interstellare rimasero senza risposta.

Duecento anni dopo quei primi passi esitanti sulla Luna, gli uomini avevano raggiunto le stelle. Resi impudenti e avidi dalla scoperta di energie che permettevano di viaggiare a velocità superiori a quella della luce, incontrarono finalmente i loro pari tra le stelle… altre specie intelligenti almeno quanto loro. Erano disseminate nella vastità della galassia, ma esistevano: esseri intelligenti, alcuni rozzamente umanoidi nelle sembianze, altri del tutto diversi. Ma pur sempre civiltà con cui potevamo comunicare e con cui confrontarci, creature aliene evolute al pari di noi.

E altrettanto violente. La guerra non aveva mai fine, una guerra lunga, aspra, brutale, che aveva già ucciso milioni di esseri e cancellato la vita su interi pianeti.

Una morsa dolorosa mi serrò il cuore. Milioni di anni di evoluzione umana, decine di migliaia di anni per costruire una civiltà in grado di arrivare fino alle stelle e, come unico risultato, la guerra. Invece di imparare e comprenderci l’una con l’altra, le specie cosiddette intelligenti della galassia si annientano a vicenda.

— Perché credi che abbia fatto alla tua specie il dono della violenza, Orion? —domandò il Radioso. —Ci sono solo due tipi di creature intelligenti nella galassia: quelle che sanno combattere e quelle che si sono estinte.

Quei rettili erano nostri alleati. Si facevano chiamare Tsihn, e combattevano al nostro fianco contro il comune nemico nella gelida, buia vastità dello spazio interstellare. Ma, alleati o meno che fossero, erano troppo simili a Set e alla sua progenie perché mi sentissi a mio agio tra loro.

Aton avvertì la mia inquietudine. —Sono tante le specie che popolano l’universo, ma poche le strutture fisiche di base. Rettili e mammiferi hanno una caratteristica in comune; quando si evolvono in razze intelligenti tendono ad assumere la posizione eretta, e hanno il cervello e gli organi sensoriali più importanti nella testa. La somiglianza tra questi rettili e le creature di Set non è che una nota a piè di pagina nel grande libro della storia dell’evoluzione. Niente di più.

— Avrei detto che l’universo fosse più vario di così —dissi.

Lui sorrise con condiscendenza. —Stai facendo progressi, Orion. Certo, ci sono molte altre forme di vita intelligente basate su strutture fisiche che non somigliano affatto alla nostra. Ma sono così aliene che di fatto ci è impossibile interagire con esse. Esseri che respirano metano. Abitanti del fondo marino. Spore insterstellari. Ciò di cui loro hanno bisogno noi non lo vogliamo; e di ciò che noi vogliamo loro non hanno bisogno. Non abbiamo scambi commerciali con loro, non ci mescoliamo con loro e… non ingaggiamo guerra contro di loro. Sarebbe insensato.

— Contro chi stiamo combattendo, allora? —chiesi.

— Lo vedrai anche troppo presto —replicò lui. —Il pianeta a cui ci stiamo avvicinando riveste un ruolo cruciale in questa fase della guerra. Tu e la tua squadra dovrete impossessarvi di una base di atterraggio, allestire una stazione ricetrasmittente e difenderla dal nemico.

— Tutto questo con appena cento unità?

— Di più non possiamo permettercene. Non ora.

Avrei voluto ridergli in faccia, ma non potevo. L’installazione di un ricetrasmettitore avrebbe creato non pochi ostacoli al piano di invasione del pianeta. Attrezzature e provviste potevano essere spediti via raggio direttamente sulla superficie, ma non gli uomini. A meno che non fossero pronti a morire. Ci voleva una buona dose di eroismo, o di disperazione, per entrare volontariamente in un bacino di trasmissione della materia… un dispositivo che bombardava di radiazioni e inviava l’immagine del teletrasportato alla ricevente. Ciò che da essa usciva era una copia perfetta, completa anche nei ricordi, ma in caso di morte del soggetto, i suoi atomi venivano immagazzinati in vista di un utilizzo successivo. Forse, ciò che aveva costituito un uomo sarebbe stato usato per riprodurne un altro. O magari per ricreare un fusto di lubrificante o una cassa di munizioni.

— Cento persone non sono sufficienti a proteggere una stazione —protestai.

Aggrottando le sopracciglia, Aton replicò: —Avrete l’appoggio della flotta e i rinforzi arriveranno al più presto. Il pianeta non è controllato del tutto dal nemico, e se agirete con rapidità, dovreste riuscire a installare la stazione e renderla operativa prima che vi attacchino.

— E se fallissi…

— Allora morirai, Orion. E i tuoi soldati con te. Ma questa volta non ti riporterò in vita. Ci troviamo in un momento cruciale della crisi suprema, e dal suo esito dipenderà il corso del continuum. Tutte le tue imprese passate impallidiscono di fronte a quella che ti aspetta. Installa il ricetrasmettitore e difendilo fino a quando arriveranno i rinforzi. Difendilo o muori.

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