Frede e gli altri erano felici di essere vivi e al comando di un’astronave invece che a combattere da truppe sacrificabili.
— Questo ci rende più importanti agli occhi della Suprema Alleanza —mi disse Frede.
— E il lavoro è più facile —aggiunsi Emon che, da sergente, era stato ferito due volte su Bititu. Quanto a Frede, ora il suo titolo ufficiale era “prima compagna” perché ancora una volta aveva brigato per dividere la branda con me.
Il ponte di comando era compatto, concepito più in ossequio ai principi dell’efficienza che della comodità, e con cinque postazioni soltanto. Tutta la strumentazione era assemblata nelle consolle e negli schermi che ci circondavano. Dalla mia poltrona, potevo vedere tutto ciò che avevo bisogno di vedere, richiamare qualunque file del computer e attivare tutti i sistemi presenti a bordo.
Effettuammo il passaggio nell’iperspazio con l’efficienza di un equipaggio che avesse trascorso anni a bordo della nave. E per quanto riguardava il bagaglio mnemonico e i riflessi, era davvero così. L’addestramento neurologico, sia in stato di veglia sia durante il sonno, lascia sul cervello e sul sistema nervoso un’impronta analoga a quella dell’esperienza.
— Se solo potessimo restare a bordo per sempre! —sospirò Frede una notte. —Dimenticare la guerra e vagare tra le stelle per il resto della vita.
— Ti piacerebbe? —le chiesi.
— Sì! —Mi cinse le spalle nude. —Mai più sonno crionico. Liberi… sarebbe meraviglioso.
— Liberi —ripetei io. In tutte le ere dello spazio-tempo in cui ero esistito non lo ero mai stato.
— Ce ne sono altri —bisbigliò Frede. —Ne hai sentito parlare anche tu.
— Chi sono?
— Disertori. Intere unità scomparse… si sono inoltrate nella giungla e non sono più tornate. Navi che si sono staccate dalla flotta e mai più rientrate alla base.
Sapevo tutto sui disertori. Lukka e la sua squadra di mercenari, che combattevano per sopravvivere dopo il crollo dell’impero ittita; Harkan, che con una banda di ladri batteva i monti dell’Anatolia alla ricerca dei figli ridotti in schiavitù; guerriglieri di migliaia di guerre in migliaia di ere diverse.
— E la guerra? —le domandai con dolcezza. —Il nostro dovere nei confronti della Suprema Alleanza?
Lei esitò per un istante, consapevole di stare davanti a un superiore, benché giacessimo entrambi nudi nello stesso letto.
— Da quanto tempo sei al servizio della Suprema Alleanza, Orion?
Evitai una risposta diretta. —Il tempo finisce col perdere di significato.
— Io da tutta la vita. Come gli altri, del resto. L’esercito è tutto quello che conosciamo. Ed è tutto quello che possiamo aspettarci, fino al giorno in cui saremo uccisi.
C’era una frase chiave, naturalmente, che avevo ricevuto insieme con le istruzioni. Ogniqualvolta i soldati avessero mostrato segni di umanità, o propensione a pensare più a se stessi che alla Suprema Alleanza, avrei dovuto pronunciare le parole: “Ricorda Yellowflower”.
Il pianeta Yellowflower, secondo la versione data dalla Suprema Alleanza, era stato attaccato senza preavviso dalle forze dell’Egemonia e ridotto a uno squallido strato di roccia. Quattro milioni di uomini erano stati uccisi, e la biosfera del pianeta distrutta. Proprio Yellowflower aveva segnato l’inizio della guerra, tre generazioni addietro.
Questo, secondo la versione della Suprema Alleanza. Secondo gli scienziati di Lunga, invece, erano stati i Tsihn, attaccando i mondi dell’Egemonia, a fare scoppiare il conflitto.
Accarezzai i corti capelli di Frede. —Non va poi tanto male, ora. Abbiamo una bella astronave e fino a quando viaggeremo alla velocità della luce nessuno potrà toccarci.
— Ma prima o poi dovremo tornare alla velocità relativistica e alla guerra.
— Forse —mormorai. Non era ancora il momento di metterla a parte delle mie speranze.
Rimasi sveglio a lungo, quella sera. Frede aveva ragione: la galassia era enorme e per una nave non era difficile scomparire tra le stelle. Ma che ne sarebbe stato di tutte le altre navi, le altre squadre d’assalto, dei reggimenti, degli eserciti e delle flotte? Che diritto avevamo di fuggire, quando altri combattevano fino alla morte, umani e alieni, Suprema Alleanza ed Egemonia?
Doveva pur esserci un modo per arrestare quel massacro, mi dissi.
“Un ammonimento, Orion.”
Era la voce degli Antichi, la riconobbi all’istante. Chiusi gli occhi, e per qualche istante avvertii una sensazione di freddo intenso, poi mi parve di affondare nel nulla e infine mi ritrovai a nuotare nelle tiepide acque del loro oceano. Una dozzina o più di Antichi nuotavano al mio fianco, facendo ondeggiare i tentacoli come per salutarmi.
— Questo è il pianeta del sistema di Jilbert oppure sono tornato a Lunga? —volli sapere.
— Che differenza fa? —fu la risposta. —In un certo senso, noi siamo in entrambi i mondi, così come in molti altri.
Pensai di aver capito. Gli Antichi che mi nuotavano accanto provenivano ciascuno da un pianeta diverso. Erano lì per incontrarmi; ognuno di noi era ad anni luce dagli altri e al tempo stesso nuotavamo insieme in quel limpido oceano.
— Avete parlato di un ammonimento —dissi. Percepii la risposta come corale, benché udissi una sola voce.
— Orion, la vostra guerra sta diventando sempre più cruenta e feroce, e questo ci turba.
— Uno dei miei Creatori mi ha chiesto di incoraggiarvi a entrare nella Suprema Alleanza —spiegai. —Pensano che, con voi al loro fianco, potrebbero mettere rapidamente fine al conflitto.
— Sancendo la vittoria della Suprema Alleanza sull’Egemonia.
— Sì.
— Da quando è iniziato questo massacro, ci siamo mantenuti neutrali, come tutti gli altri che hanno raggiunto il nostro grado di maturità.
— Altri?
— Molte, molte razze vivono tra le galassie, Orion. Voi umani avete conosciuto e interagito con quelle che hanno conseguito il vostro stesso elementare stadio di sviluppo. Interagite con i vostri pari. Commerciate con loro, combattete contro di loro.
— Mentre voi, le razze più antiche, restate in disparte.
— Da voi, così come dagli Skorpis, dai Tsihn, da quelli che chiamate Aracnidi, e da tutte le altre ancora prive della saggezza che rifiuta l’autodistruzione.
Mi balenò alla mente l’immagine di un gruppo di anziani intenti a osservare una masnada chiassosa di ragazzini che si contendevano una palla colorata.
— Ma questa vostra guerra sta diventando sempre più violenta —riprese la voce in tono di rimprovero.
— Sembra non avere fine —convenni.
— Avete massacrato miliardi di vostri simili, eliminato ogni forma di vita da interi pianeti, riducendoli a semplici ammassi di roccia. E la violenza è aumentata ancora. Interi pianeti fatti esplodere, come è accaduto ai due mondi esterni del sistema di Jilbert.
— Lo so —mi limitai a dire.
— La violenza sta toccando vertici inauditi. La Suprema Alleanza ha perfezionato un’arma in grado di distruggere una stella. Un’arma capace di provocare il collasso del suo nucleo, creando una supernova.
Avvertii una sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco.
— Questo non può essere permesso.
— Se la Suprema Alleanza utilizzerà questa nuova arma —intervenni —l’Egemonia non avrà pace fino a quando non ne avrà messa a punto una ancora più micidiale.
— Non consentiremo che le stelle vengano distrutte.
— Non consen…?
— Riferisci questo messaggio ai tuoi Creatori, ai capi delle due fazioni. Di’ loro che se tenteranno di distruggere una stella, saranno eliminati dal continuum.
— Eliminati?
— Uomini, Skorpis, Tsihn… tutte le razze impegnate nel conflitto verranno eliminate.
— Come? Che cosa intendete fare?
— Le razze più antiche si sono mantenute neutrali durante le vostre carneficine, ma non possiamo permettere che distruggiate le stelle da cui dipende il continuum. Attaccate una sola stella, e vi spazzeremo via tutti.
Ora la voce si era fatta dura, implacabile.
— Torna dai tuoi Creatori e riferisci le nostre parole, Orion. Il destino di molti dipende da come accoglieranno il nostro ammonimento.
Balzai a sedere sulla branda. Frede dormiva tranquilla al mio fianco. Sul viso le aleggiava un sorriso quasi infantile.
Ancora una volta, gli Antichi mi stavano usando come messaggero. Non era abbastanza che Aton mi manipolasse a suo piacimento? Adesso gli Antichi volevano usarmi per manipolare lui e gli altri Creatori!
Ma poi sorrisi. Forse gli Antichi conoscevano i miei pensieri più nascosti, i miei progetti più segreti? Avevo sperato di impiegare la nave per trovare Anya, e ora loro mi fornivano una ragione per cercarla. Dovevo avvertirla del progetto distruttore della Suprema Alleanza.
Mancava ancora un’ora al termine del terzo turno di guardia quando entrai in sala-comandi e mi offrii di sostituire Dyer, responsabile della logistica. Di fatto, i turni erano poco più di una semplice formalità; finché avessimo viaggiato nell’iperspazio non c’era nulla di cui preoccuparsi, tranne eventuali problemi dovuti al malfunzionamento di qualche apparecchiatura.
Setacciai la memoria del computer in cerca di informazioni sull’Egemonia. Qual era il suo pianeta capitale? Com’era difeso? Avrebbero tenuto conto della bandiera bianca issata su una nave della Suprema Alleanza?
Ovviamente, il computer non era in grado di dirmi se Anya si trovava nella capitale dell’Egemonia. Seppi comunque che il pianeta, chiamato Prime si trovava nel sistema di Zeta. Vidi le immagini delle sue città, e lessi cifre e dati relativi alla popolazione, alla storia, all’economia, ai costumi, alla politica e alla potenza militare. Una miriade di dati, e pochissime interpretazioni.
Le immagini di Prime mostravano una massiccia città di pietra grigia e incombente, eretta su tetre rupi e sormontata da un cielo plumbeo. Le strade, battute da scrosci di pioggia e grandine, erano quasi deserte, ma con giganteschi guerrieri Skorpis di guardia a ogni angolo. Forse svolgevano servizio di polizia o di guardie miliziane. Gli abitanti di Prime avevano un aspetto cupo, arcigno; non uno di loro sorrideva.
— Perché ti interessi a Prime?
Mi girai a incontrare lo sguardo incuriosito di Frede. Premetti un tasto e l’immagine sparì.
— È lì che siamo diretti —risposi.
— A Prime? —strillò quasi lei. —Ma è la capitale dell’Egemonia!
Gli altri quattro uomini di guardia si voltarono a guardarci.
— Ho ricevuto nuovi ordini, segreti —spiegai, senza specificare da chi. —Ci aspetta una missione diplomatica a Prime.
— Ci faranno saltare in aria appena lasceremo l’iperspazio —protestò Frede.
— Auguriamoci di no.
Non fu senza riluttanza che Frede obbedì all’ordine di fare rotta verso la capitale dell’Egemonia. Contavo di inviare messaggi-capsula non appena fossimo entrati nel sistema di Zeta, così da informare i difensori della città della natura pacifica della nostra missione, ma Frede e gli altri erano convinti che prima ci avrebbero bombardato e soltanto dopo verificato la nostra storia. La calma che aveva caratterizzato le nostre giornate fino a quel momento svanì.
C’era qualcos’altro che potevo fare. Quella notte, mentre Frede dormiva, cercai con tutte le mie forze di raggiungere Anya. Invano. Era come stare davanti a un muro troppo alto per essere scalato, o troppo largo per essere aggirato.
Così mi rivolsi ad Aton. Concentrandomi sui miei ricordi della città dei Creatori, mi trasportai nella sua sospensione del continuum. Mi ritrovai in cima a una piramide Maya, nel cuore stesso della città, e così alta da offrirmi una panoramica dei grandi viali vuoti e, in lontananza, del mare. Il calore del sole era mitigato dallo scudo dorato di energia che proteggeva la città.
Aton e altri Creatori erano impegnati in un’animata fitta conversazione proprio lì, in cima alla scalinata di pietra. Stavano in piedi davanti all’altare dei sacrifici: Aton in uniforme bianca e oro; l’uomo dalla barba scura che ritenevo fosse Zeus con indosso una comoda tunica e pantaloni larghi; Ares dai capelli rossi; Hermes, asciutto e dallo sguardo tagliente; e una bella donna dai capelli tiziano che in un’epoca precedente si era presentata sotto le sembianze di Era.
Fu Hermes a vedermi per primo. Gli altri mi davano le spalle e parlavano fitto fitto tra loro.
— Guarda chi c’è! —esclamò sfiorando la spalla di Aton.
Si voltarono tutti, un’espressione sorpresa negli occhi.
Era mi rivolse un sorriso malizioso. —Chi ti ha inviato, Orion?
— Gli Antichi —risposi semplicemente.
Ciò bastò a soffocare proteste e battute ironiche.
— Che vuoi dire? —sibilò Aton.
— Mi hanno dato un messaggio per voi. O, meglio, un ammonimento. Se cercherete di usare l’arma che la Suprema Alleanza ha messo a punto per distruggere le stelle, gli Antichi distruggeranno voi.
Ares mi fissò. —Come fanno a sapere dell’arma? Sei stato tu a parlare, Orion! Sei un traditore!
— Ignoravo del tutto la sua esistenza fino a quando non me ne hanno parlato loro —mi difesi.
— È vero —intervenne Aton. —Orion non ne sapeva nulla.
— Come possono esserne a conoscenza gli Antichi, allora?
— È così —tagliai corto. —E ci spazzeranno via tutti, se cercherete di usarla.
— Quanto è credibile una minaccia proveniente dagli Antichi? —interloquì Zeus.
— Minaccia? —sbuffò Aton. —E come ci riuscirebbero? Possiamo evitarli spostandoci nel tempo a nostro piacimento. Se necessario, tornerò nella loro epoca di origine e li eliminerò.
— Non sono certo che ci riusciresti —brontolò Zeus.
— Le tue ingerenze nello spazio-tempo ci hanno già causato abbastanza problemi —si lamentò Era.
— Le mie ingerenze —ribatté il Radioso —hanno permesso la nostra creazione. Senza di me, non esisteremmo neppure.
Zeus si rivolse direttamente a me. —Orion, devi trasmettere questo messaggio anche ad Anya e ai suoi.
— L’Egemonia…
— Sta sviluppando un’arma simile —intervenne Era. —Che cosa ti aspettavi?
— Sto già cercando di raggiungere Anya.
Aton mi rivolse un’occhiata carica di astio. —Non ti ho mai detto di farlo.
— Ma io ti avevo detto che l’avrei trovata —ribattei. —Ed è esattamente ciò che intendo fare.
— Nell’era della guerra? —domandò Zeus.
— Sì. Sono diretto alla capitale dell’Egemonia per svelarle l’esistenza dell’arma.
— Ve l’avevo detto che era un traditore! —proruppe Ares.
Lo ignorai. —E ora devo riferire a lei il messaggio degli Antichi.
— No! —scattò Aton. —Non devi farlo.
— Lo sto già facendo.
— Te lo impedirò. E metterò fine anche ai tuoi giorni, Orion!
— Un momento! —lo fermò Zeus. —Forse la tua creatura riuscirà là dove noi abbiamo fallito.
— Sciocchezze!
— In passato Anya gli è stata molto vicina —osservò Era con una punta di sarcasmo. —Forse gli darà ascolto, anche se rifiuta di parlare con noi.
— Vale la pena tentare —concordò Hermes.
Ares mi guardava torvo accarezzandosi il mento. —Se è una tua creatura, Aton, dovresti controllarla meglio.
— Sono perfettamente in grado di controllarla!
— Non del tutto —lo corressi. —Sono venuto qui da solo e non dietro tua convocazione. E ho deciso di mettermi alla ricerca di Anya benché tu mi avessi detto che era un’impresa impossibile.
Il suo sguardo era carico di derisione. —E così, sei convinto di una volontà tua? Di non essere costantemente sotto il mio controllo?
— Sono già andato contro il tuo volere in passato —gli rammentai.
— Ehi! —gridò Zeus. —Basta con queste recite, tutti e due! Aton, ti suggerisco di usare la tua creatura per prendere contatto con Anya. La minaccia degli Antichi non va sottovalutata.
Senza staccarmi gli occhi di dosso, il Radioso replicò: —Forse hai ragione. Forse questo miserabile relitto ci sarà utile, suo malgrado.
Mi sembrò allora di sprofondare in un sonno pesante, il più rinvigorente che avessi mai fatto. Quando mi svegliai ero di nuovo, a bordo dell’Apollo, con Frede che dormiva serena al mio fianco. Avevo il cuore pieno di gioia. Avrei rivisto Anya, finalmente! Ero certo: lei mi amava come la amavo io. E nient’altro aveva importanza.