28

Sei contro uno: un’impresa disperata, soprattutto considerato che i sei erano incrociatori grandi il doppio dell’Apollo e con una potenza di fuoco altrettanto superiore.

Guardai le facce tese dei miei compagni. Avevano già sperimentato la prigionia presso gli Skorpis.

— Ci congeleranno —mormorò Emon.

— Per servirci a cena —aggiunse Jerron, nel tentativo di sdrammatizzare la situazione. Nessuno rise. Tutti erano atterriti.

— Non ci prenderanno vivi —promisi.

— Oh, finalmente una bella notizia! —esclamò Frede, e questa volta la risata fu generale.

La nostra sola speranza stava nel raggiungere Loris prima che gli Skorpis ci abbattessero. Modificai in tal senso la rotta, augurandomi che le stazioni orbitali centrassero almeno alcuni dei nostri inseguitori.

— Attingi energia dalle batterie delle armi —ordinai a Jerron. —E trasferiscila ai motori.

Emon aveva l’aria infelice mentre guardava scaricare la sua pistola. Stavo dicendo: —Tenete gli scudi… —quando la nave cominciò a sussultare. Una vibrazione più forte mi scaraventò contro la sedia.

— Un missile nucleare! —gridò Dyer, pallida come un cencio.

Guardai gli schermi. Era stata colpita la sezione motori.

— Gli scudi hanno assorbito la maggior parte dell’energia —riferì Dyer —ma lo scafo ha ceduto. Nella sezione diciotto si è aperto uno squarcio.

— Chiudetelo! —ordinai.

— Già fatto. Automaticamente.

Un altro violento scossone.

— Si accaniscono su quella sezione —disse Frede in tono sorprendentemente calmo. —Stanno cercando di mandare in tilt i motori.

Continuavamo a spostarci avanti e indietro, nel tentativo di schivare i colpi e di impedire che gli scudi protettivi dei motori si sovraccaricassero di energia. Ma era impossibile evitare il fuoco di sei incrociatori. L’Apollo sussultava e si dibatteva come un topo nelle fauci di un cane.

Uno degli incrociatori esplose, vittima dell’attacco di una stazione della Suprema Alleanza, ma quella perdita non servì che ad accrescere l’accanimento degli altri. Uno degli schermi tossì, poi si oscurò. Sopra le nostre teste, le luci cominciarono a tremolare. E Loris sembrava lontana milioni di anni-luce.

— La diminuzione di energia ha superato i limiti di sicurezza —annunciò Jerron con voce tesa. —Lo scudo non reggerà per più di quindici secondi.

— Altre testate nucleari in arrivo!

Tentai una manovra disperata per evitarli, ma i sensori nemici li avevano già diretti verso di noi.

— Tenetevi forte!

Tre esplosioni si verificarono simultaneamente. Gli schermi andarono in pezzi, le luci ci spensero e un fumo acre e denso riempì l’oscurità.

Poi si accesero le luci di emergenza. Nella penombra rossastra, vidi che erano tutti vivi.

— L’energia è esaurita —mormorò Jerron.

— Siamo fottuti.

— Non credo —obiettai. —Ci volevano vivi, no? Frede ebbe un sorriso cupo. —Prendiamo le ami leggere —propose. —Combatteremo con quelle.

Un pensiero folle mi attraversò la mente. Un ricordo dei tempi lontani in cui gli scontri navali erano diretti, e gli equipaggi andavano all’arrembaggio. Gli Skorpis sarebbero certamente saliti a bordo dell’Apollo. E se gli avessimo teso un agguato e poi distrutto la loro nave?

— Forza —esclamai balzando in piedi. —Non abbiamo molto tempo.

Stavamo distribuendo le armi, udimmo un colpo secco: un portellone che veniva aperto per agganciarlo al nostro.

— Se è uno shuttle, a bordo non ci saranno più di trenta persone —dissi.

— È più probabile che si tratti di uno degli incrociatori —obiettò Frede. —Dubito che si avventurerebbero nel mezzo di una battaglia con uno shuttle.

— E sanno bene che ci vorranno più di trenta soldati per catturarci —aggiunse Emon.

— Molto bene —intervenni. —E dopo aver spacciato la squadra che salirà a bordo, ci impadroniremo della loro nave.

Qualcuno rise e mormorò: —Sicuro. Trentacinque di noi contro duecento Skorpis.

Ma non c’era tempo per calcolare le probabilità. Ancora qualche istante, e gli Skorpis sarebbero arrivati. Feci disporre gli uomini in fondo al passaggio che collegava il portellone principale alla scaletta elettrificata che portava sul ponte-comandi.

— Lasciateli entrare, poi colpiteli prima che trovino dove nascondersi —li istruii.

Piazzai Emon e altri due uomini sui pioli della scala. Io mi appiattii sull’altro lato del portellone con due fucili, nascosto dietro a un tavolo prelevato da uno degli alloggi. Frede e gli altri erano concentrati in fondo al passaggio, vicino all’altra scaletta, pronti a sparare sugli Skorpis ed eventualmente a riparare sul ponte di comando, qualora i nemici avessero superato il primo sbarramento difensivo.

Gli Skorpis non persero tempo a sciogliere i sigilli del portello con il laser; li fecero saltare con una granata. Erano talmente grossi che furono costretti a passare uno alla volta. Dal fumo, vidi emergere il primo, la pistola spianata davanti a sé, il casco calato fin sugli occhi di gatto. Avremmo potuto colpirlo, ma aspettammo. Volevamo attirarne nella trappola quanti più possibile.

Arrancarono all’interno, protetti dalle loro tute, silenziosi come felini. La testa bassa, Emon e i suoi due compagni erano in attesa di vederli mettere piede sui pioli. Invisibile dietro al tavolo, io trattenevo il respiro.

Una volta dentro, gli alieni restarono immobili per alcuni secondi, come in attesa. Echeggiò un’esplosione, subito seguita da un’altra. Stavano facendo saltare i portelli ausiliari!

Il mio piano era saltato. Ora saremmo stati costretti a scendere in sala-comandi e affrontare contemporaneamente tre squadre.

— Fuoco! —gridai. Sparai inginocchiato e tagliai a metà il primo Skorpis.

Come sempre in circostanze estreme, il mondo intorno a me parve rallentare e scivolare in un torpore di sogno. Vidi Emon e i suoi fare fuoco a loro volta. Lampi luminosi di luce si incrociavano sulla mia testa e su quella di Frede. Gli Skorpis, enormi e goffi nello spazio angusto, morivano lì dove si trovavano. Le loro grida di agonia avevano un che di soprannaturale, riecheggiate dalle pareti metalliche del passaggio. I cadaveri ingombravano l’apertura, impedendo ai compagni di entrare.

Ma, cadendo, continuavano a sparare. Morivano combattendo.

— Tutti giù! —gridai.

Troppo tardi. Benché ferito a morte, uno dei guerrieri si sganciò una granata dalla cintura e la lanciò contro il portello. Vidi la piccola sagoma descrivere pigramente un arco sopra le teste di Emon e dei suoi. Presi la mira e sparai. La bomba esplose in una pioggia di shrapnel incandescenti. Ululati di dolore si levarono dalla scala.

Mi accovacciai a terra e feci fuoco sugli Skorpis che si facevano scudo dei compagni morti. Raggiunsi la scala e aggrappandomi al corrimano mi lasciai scivolare fin sul ponte di comando.

Emon aveva la testa e le spalle coperte di sangue. Non era solo suo: uno dei suoi compagni giaceva a terra, immobile; l’altro teneva una mano sul braccio dilaniato.

— Sto bene —mi rassicurò Emon. —Posso ancora sparare. —Ma quando fece per alzarsi si accasciò tra le mia braccia.

Lo trascinai lontano dalla scala per adagiarlo contro il portello di un compartimento. Poi tornai a recuperare l’altro ferito.

— Gli Skorpis arriveranno tra pochi istanti —dissi a Emon.

— Li terrò lontani —replicò lui, mostrandomi la pistola che stringeva tra le mani insanguinate.

— Fa’ tutto quello che puoi. —Poi corsi a raggiungere Frede e gli altri.

— Hanno fatto saltare i portelli ausiliari —dissi.

Frede annuì. —Ho sentito.

— Portali di sotto. —Indicai gli uomini che in cima alla scala stavano ancora sparando —Ci ritiriamo nel compartimento di carico.

— D’accordo.

Gli Skorpis dovevano sapere che Anya era a bordo, e per motivi che io ignoravo la volevano viva. Non volevano che si arrendesse alla Suprema Alleanza, ma se possibile avrebbero preferito riportarla nel territorio controllato dall’Egemonia.

Passai oltre un mucchio di cadaveri e scesi nel compartimento di carico, dov’era il sarcofago.

Quattro guerrieri Skorpis stavano già aprendo il portello. Non mi sentirono arrivare. Estrassi la pistola e corsi verso di loro, aprendo il fuoco. Colpii le bombole di ossigeno che esplosero, riducendoli in brandelli.

Ma già altri dodici risalivano il passaggio dalla estremità in cui si apriva il portello della camera di decompressione. Troppi, perché potessi affrontarli da solo. Indietreggiai, poi mi volsi e mi tuffai nel portello più vicino. Mi ritrovai nella stazione di teletrasporto, un vano aperto con una piccola consolle su un lato.

Usando il portello del corridoio come scudo, sparai agli Skorpis vicini all’ingresso del bacino di carico. Ne vidi uno scivolare lentamente lungo la parete, il casco che fumava. Lentissimamente, vidi gli altri girarsi verso di me e rispondere al fuoco. Sparai due volte, mandando in frantumi una visiera e aprendo un buco nel braccio di un altro guerriero. Senza smettere di sparare, indietreggiarono. Io riparai di nuovo nella sala-teletrasporto.

Eravamo arrivati a un punto morto: loro non potevano entrare nel compartimento di carico e io neppure. Mi chiesi se stessi ancora viaggiando verso Loris, e se il sistema difensivo del pianeta avrebbe distrutto i velivoli dei nostri nemici e noi con loro. Oppure gli Skorpis avevano già provveduto ad allontanarci dalla rotta?

Rumore di passi in corsa nel passaggio. Misi fuori la testa: Frede alla testa di quel che restava dell’equipaggio. Contai solo trenta uomini.

— Attenzione! —gridai. —Sono all’altra estremità del passaggio, vicino al portello del compartimento di carico.

Rapidi, si appiattirono contro le paratie, sparando e schivando i colpi nemici, mentre, a uno a uno, scivolavano in sala-teletrasporto.

— Abbiamo sorpreso l’altra squadra mentre cercava di entrare —mi riferì Frede. —Abbiamo riportato delle perdite.

— Capisco. —Nessuno era uscito indenne dallo scontro, e Frede stessa aveva il volto graffiato e rigato di sangue.

Ma sorrideva. —Li abbiamo spazzati via. Abbiamo sterminato quei maledetti gatti fino all’ultimo.

Il che significava che ne restavano ancora un paio di centinaia, pensai. Era ovvio che ad agganciarsi all’Apollo era stato l’incrociatore.

— Si stanno raggruppando di sotto, nel passaggio —dissi. —Probabilmente aspetteranno i rinforzi prima di attaccare.

— La prima squadra, su, quella del portello della camera di decompressione…

— Scenderanno per la strada che avete seguito voi. Avremo parecchio da fare.

— Sei ancora dell’avviso di impadronirti della loro nave?

Scoppiai in una risata amara.

Esaminai quello che restava del mio equipaggio: Jerron era ferito al ventre e alla gamba sinistra. Ansimava, gli occhi dilatati dallo choc, mentre l’ufficiale medico lo visitava.

— Magro —chiamai —è in grado di mettere in funzione il trasportatore di materia?

L’uomo annuì. —Posso tentare, signore.

— Che cosa hai in mente? —Frede mi guardava sospettosa.

Aguzzai gli occhi, ma nel passaggio semibuio e fumoso non c’era traccia di Skorpis. Erano al di là del portello della camera di decompressione, a preparare il prossimo attacco.

— Vogliono la criocapsula che è nel compartimento di carico —spiegai. —Forse potremmo traslarla sul pianeta.

— Ma prima dovremmo trasportarla qui —obiettò lei.

— Potremmo aprire un varco nella paratia. Abbiamo volazaini nel compartimento di carico? Ci consentirebbero di spostarla più agevolmente.

Era evidente che Frede non condivideva la mia idea, ma si limitò a un: —D’accordo. Metterò un paio di uomini a lavorarci.

Spostai di nuovo la mia attenzione sul passaggio vuoto. Gli Skorpis avrebbero potuto praticare un’apertura nello scafo esterno ed entrare da lì nel compartimento di carico. Avrebbero tentato questa strada, oppure avrebbero preferito liberarsi prima di noi, per agire poi indisturbati?

Perché non aprirsi un varco, facendo esplodere una granata proprio in sala teletrasporto, uccidendoci tutti? Ci saremmo trovati nel vuoto, e nessuno di noi indossava la tuta di protezione: questo significava morte istantanea. Era un pensiero inquietante. Ma, mi dissi poi, se ne avessero avuto l’intenzione, si sarebbero già messi all’opera. E poi, un’esplosione di una certa potenza avrebbe potuto danneggiare la criocapsula, mentre loro miravano ad Anya viva.

Quell’attesa piena di dubbi era perfino peggiore che trovarsi in combattimento. Alle mie spalle, sentivo il sibilo dei laser che tagliavano la paratia di metallo che ci separava dal compartimento di carico. Il passaggio era ancora vuoto. Qualunque fosse il loro piano, gli Skorpis non sembravano avere fretta.

Poi uno dei miei uomini gridò: —C’è una sezione che sta cadendo!

Mi voltai appena in tempo per vedere un’intera sezione della paratia, i bordi incandescenti, cadere all’interno. Il rumore fu così assordante che non potei fare a meno di chiedermi se anche gli Skorpis lo avessero sentito.

— Maledizione! —Era la voce di Frede. —Qui non c’è neanche un volazaino. Dovremo lavorare di braccia.

Chiamai Dyer e le dissi di tenere d’occhio il passaggio, poi raggiunsi la squadra che, fra un borbottio e un’imprecazione, trascinava l’enorme criocapsula.

— È più pesante del culo di un sergente! —masticò uno tra i denti.

— Più pesante del tuo, in ogni caso —gli fece eco un altro.

Era come trasportare una delle pietre usate per la Piramide di Cheope senza l’aiuto delle ruote. La capsula strideva contro il metallo del pavimento. Chiamai altri ad aiutarci, mentre Magro, chino sulla consolle del teletrasportatore e un’espressione titubante sul viso, digitava quasi con frenesia.

Finalmente, il sarcofago fu issato sulla pedana del teletrasportatore. Ero esausto, come se per un anno luce avessi trascinato il pianeta Giove attraverso il fango.

— C’è energia, vero? —chiesi a Magro.

— Sissignore. Ma non so qual è la nostra posizione rispetto al pianeta. Ho bisogno di una rilevazione.

Mi voltai verso Frede: china sulla capsula si detergeva il sudore dalla fronte. —Come possiamo…

— Arrivano! —gridò Dyer. Poi la granata le esplose tra i piedi, troncandole entrambe le gambe.

Загрузка...