11

Avevo sperato di giungervi guarito dalle ferite e di nuovo in forze. Ma questo non potevo farlo.

Aprii gli occhi e vidi la notte stellata e avvertii il dolore… ondate di atroce sofferenza che si irradiavano in tutto il mio essere. Benché avessi chiuso i recettori del dolore, lo sentivo ardere sotto l’autocontrollo che mi imponevo.

Fluttuavo sulla schiena nell’oceano buio e profondo, martoriato e inerme com’ero stato prima del viaggio nella città dei Creatori. Avevo davvero giocato tra le onde con i delfini? O era stato un sogno autoindotto, un disperato tentativo di sottrarmi a una realtà troppo dolorosa?

Smisi bruscamente di pormi domande quando qualcosa sfiorò la gamba ustionata. Appena un tocco, ma sufficiente a farmi sussultare e a ingoiare una sorsata d’acqua salata. Poi più nulla. Ma qualunque cosa fosse, sarebbe tornata, ne ero certo.

Ricordai le orribili creature della palude e mi chiesi che razza di predatori si celassero nelle profondità dell’oceano. Solo, agonizzante e disarmato, sarei stato una facile preda per qualsiasi animale affamato.

Il mare mi sarebbe sempre stato amico, questo avevano detto i delfini. Cominciavo a dubitarne.

Un altro tocco mi strappò un brivido. Gli squali, ricordai, spesso si avvicinano alla prede spingendo leggermente, quasi a voler giocare con esse, come fa il gatto con il topo prima di azzannarlo.

Dovevo fingermi morto, oppure cercare di allontanarmi a nuoto? Avrebbe fatto qualche differenza?

Non era uno squalo. Sentii un tentacolo avvolgersi delicatamente attorno alla mia gamba ferita. La scossi appena e il tentacolo mollò la presa.

Ma non per molto. Si accostò di nuovo, nello stesso punto, e questa volta la presa fu più salda. Poi un secondo tentacolo si avvolse intorno al mio petto. Le ventose aderivano alla pelle ustionata delicatamente, quasi con tenerezza.

Sapevo di non avere più speranze, ma volli ingollare un ultimo, lungo sorso d’aria prima che il mostro mi trascinasse giù. Ed ecco, sprofondavamo nelle buie profondità dell’oceano.

“Non avere paura, amico Orion” mormorò una voce nella mia mente. “Non ti faremo del male.”

“Sto delirando” mi dissi. “Prima i delfini, e ora voci incorporee. Mentre qualche orribile creatura mi trascina negli abissi marini. Se non annego, sarà la pressione a uccidermi.”

“Abbi fede, amico Orion.” La voce suonava quasi divertita.

Persi la cognizione del tempo mentre la lenta discesa continuava. Non un bagliore di luce lacerava la fitta oscurità, non un suono si inframmezzava al dolce gorgoglio dell’acqua.

“Ascolta la musica del nostro mondo” disse la voce. “Apri la tua mente.”

Potevo udire, realizzai, molto di più del gorgoglio dell’acqua. Suoni crepitanti tutt’intorno a me… fischi, grida sommesse, pulsazioni. E, in lontananza, un canto attutito, cantilenante. Nessuno di quei suoni, tuttavia, era riconducibile ai delfini.

“Ora apri gli occhi, Orion.”

Non mi ero reso conto di averli serrati. Ciò che vidi mi strappò un sussulto: ero circondato da centinaia e centinaia di punti luminosi, quasi fossi finito in un campo pieno di lucciole o nel cuore di un grappolo di stelle.

E quando aprii la bocca, respirai aria.

— Puoi sentirmi? —domandò la voce. Sì, potevo. Ora usava le vibrazioni sonore, anziché la telepatia, o qualunque altra forma di comunicazione avesse usato fino ad allora.

— Bene —disse, senza che io avessi risposto. —Il globo d’aria si è stabilizzato; dovresti sentirti meglio. Vediamo che cosa si può fare per le tue ferite. —Era una voce morbida, calda, dolce.

— Chi sei? —domandai. —Dove siamo?

Le luci danzavano e ammiccavano attorno a me, blu, rosse, verdi e gialle, ma non riuscii a distinguere forme o sagome.

— Ci stiamo avvicinando al fondo del mare, a un centinaio di chilometri dalla spiaggia dove sta la base Skorpis.

— Sai di loro?

Una risata piena, cortese, eppure piena di condiscendenza. —Sì, sappiamo di loro. E di te. —La voce si fece solenne, quasi grave. —E anche della facilità con cui vi uccidete gli uni con gli altri.

— Non lo definirei esattamente facile —replicai.

Nessuna risposta. Le luci baluginanti parevano danzare all’interno di una sfera, avvolgendomi in una rete di colorati lampi di energia.

— Non mi hai ancora detto chi sei —ripresi.

— Puoi chiamarci gli Antichi.

— Che cosa significa?

Divertita tolleranza, simile a quella di un nonno che osserva i primi passi del nipotino.

— Lo scoprirai a tempo debito —fu la risposta. —Ora dobbiamo continuare il nostro viaggio nelle profondità del mare.

Percepii movimento, l’accelerazione, poi la sensazione di correre pazzamente nell’acqua buia. Le luci mi circondavano. Potevo respirare. Mi sembrava di fluttuare, senza peso, come un astronauta in orbita. E le ferite andavano rimarginandosi. Non sanguinavo più e mi erano tornate un po’ di forze. Intanto, viaggiavo a velocità sempre maggiore, allontanandomi sempre di più dalla spiaggia.

Altre luci si avvicinarono. Brillavano e pulsavano quasi fossero creature viventi. Lunghi viali di luce si allungavano davanti a me, simili alle arterie che portano al cuore di una grande città.

— Come ti senti? —mi chiese la voce.

— Strabiliato.

— Fisicamente, intendevo. Le tue ferite?

Flettei le braccia, abbassai lo sguardo sulle gambe. Il processo di rimarginazione si era quasi completato.

— Sembra che tutto vada per il meglio.

— Bene. Ne siamo felici.

— Parlami ancora di voi. Che cos’è questa città di luci a cui ci stiamo avvicinando?

— È la nostra dimora, Orion. La dimora degli Antichi.

— Posso vedervi? —domandai. Ero quasi certo che le luci fossero esclusivamente scintille di energia.

— Potresti restarne sorpreso, e non favorevolmente —replicò la voce. —Forse troveresti ripugnante il nostro aspetto.

— Dimmi allora che cosa devo aspettarmi.

— Ecco un approccio ragionevole al problema. —La voce esitò, quasi in attesa di un’approvazione, prima di continuare.

— Orion, i tuoi Creatori ti hanno spiegato che lo spazio-tempo è un oceano, non è vero?

— Colui che ha nome Aton mi ha deriso più di una volta per la percezione lineare che io ne ho.

— Sì, questo è evidente. E tuttavia, questa tua percezione lineare non è del tutto errata, Orion.

— Ci sono correnti nell’oceano dello spazio-tempo —dissi.

— E c’è un flusso, un flusso ben definito. L’arco di tempo esiste. L’entropia esiste. Anche se possiamo spostarci avanti e indietro nell’oceano dello spazio-tempo, non ci è possibile ignorare l’entropia. Il continuum tende a dipanarsi un poco ogniqualvolta ci muoviamo attraverso lo spazio-tempo. Più è esteso lo spostamento, maggiore è lo scompiglio.

— Ma che cosa ha a vedere tutto questo con il vostro aspetto?

— L’arco del tempo. Ci sono tempi antecedenti e tempi posteriori. C’è un punto nello spazio-tempo in cui il vostro pianeta Terra è spoglio e senza vita. E un altro in cui la razza umana viene…

— Creata dai Creatori e mandata a distruggere i neanderthaliani perché fossero le loro creature ad abitarla.

— Che a loro volta, attraverso i millenni, si evolvono fino a diventare Creatori.

— Sì. Essi ci hanno creato e noi abbiamo creato loro.

— C’è un momento nell’evoluzione della nostra razza —proseguì la voce —in cui eravamo privi di intelligenza, esseri più semplici che vivevano nel mare del nostro mondo d’origine.

— Che non è Lunga, dunque.

— Oh, no, niente affatto.

— Qual è, allora?

Avvertii una certa esitazione. —Ha importanza? Basti dire che una volta eravamo esseri ben più semplici di quelli che siamo ora.

— Esseri semplici —ripetei, con la sensazione di stare cominciando a capire. —Muniti di tentacoli?

— Sì.

— E chele capaci di squarciare una tuta spaziale?

— Credi di essere pronto a vederci?

Pensai alle mostruose creature della palude, alla loro stretta mortale, ai molti piccoli occhi. Trassi un lungo sospiro e risposi con voce incerta. —Sono pronto.

— Molto bene.

Il mare intorno a me si illuminò e io mi scoprii attorniato da dozzine di creature orribili a vedersi. Enormi, erano simili a gigantesche meduse, con lunghi tentacoli e bocche rotonde prive di labbra che si aprivano e si chiudevano senza posa. Le guardai avvicinarsi sempre di più, e il panico mi afferrò alla gola. Quei mostri immani, straripanti, avanzavano sempre di più, e allungavano i loro tentacoli e facevano pulsare le loro bocche…

— Sei in grado di superare le tue paure, Orion?

Volevo gridare. Quelle bocche enormi, aperte, come sul punto di divorarmi, quei tentacoli protesi ad afferrarmi… stavo per soffocare.

— Riesci a vedere oltre il terrore, Orion? A guardarci per ciò che realmente siamo?

Avevo chiuso gli occhi, e premevo le mani strette a pugno contro le tempie. “Ti hanno salvato!” gridai a me stesso. “Stanno curando le tue ferite. Sono esseri intelligenti. Vai oltre le apparenze. Guardali come loro si vedono.”

Tremando di paura, mi costrinsi a riaprire gli occhi. Stavano chini su di me, enormi, incombenti. Trassi un lungo sospiro tremulo. Le creature si erano fermate, e ora fluttuavano silenziose nell’acqua. Erano talmente grandi da riempire tutto il mio campo visivo. Non c’era modo di sfuggirle. Lottai contro il panico che sentivo crescere dentro di me, per controllare il battito impazzito del mio cuore e il respiro affannoso.

Le guardai a lungo. Piccole luci tremolavano all’interno dei loro corpi, miriadi di colori che splendevano e ondeggiavano ritmicamente al di sotto della pelle trasparente. Avevano dignità e compostezza, riconobbi infine con riluttanza. E sì, anche una certa bellezza, e il loro fluttuare era infinitamente aggraziato. Se solo avessi potuto dimenticare quelle enormi bocche protese.

Anche le creature mi osservavano, con i due grandi occhi pieni di solennità di cui ognuna era munita, fissi su di me.

— Siete… siete belli —riuscii a dire con voce strozzata.

— Siamo felici che lo pensi. Dopo l’esperienza nella palude, temevamo che fossi prevenuto nei nostri confronti. La xenofobia è uno dei tratti più marcati della vostra razza.

— Siamo stati creati per essere guerrieri —spiegai. —È più facile uccidere un nemico che ti ispira paura.

— Eppure, i delfini hanno garantito per te.

— I delfini? —biascicai. —Sono qui?

— Non in questa era —rispose la voce.

Compresi allora che gli Antichi potevano viaggiare attraverso il tempo non diversamente dai Creatori. E da come io stesso avevo fatto.

— La prima volta che ci siamo messi in contatto con te —continuò la voce —abbiamo percepito soltanto un guerriero determinato a uccidere i suoi nemici. Ma i delfini ci hanno detto che eri un loro buon amico, e per questo abbiamo voluto fare un ulteriore tentativo.

Era quella degli Antichi, dunque, la presenza che avevo avvertito tra le rovine della città. Ma ancora non ricordavo come fossi diventato buon amico dei delfini. Forse in un’altra era ero stato mandato in missione nell’oceano?

— Benché il tuo istinto primario sia quello del guerriero, crediamo che altri sentimenti si agitino nel tuo cuore.

— Ho una mia volontà —dichiarai —anche se il mio Creatore non mi considera che uno strumento al suo servizio.

— Questo è parte del problema che rappresenti per noi. —La voce sembrava turbata, benché non avesse perso nulla della sua dolcezza. —Studiamo la tua razza da quando siete arrivati. Voi umani siete assetati di sangue e malati di xenofobia.

— Così fummo concepiti —ammisi. —Tuttavia, alcuni di noi hanno cercato di innalzarsi al di sopra di questi istinti.

— E tu ci sei riuscito?

— Alcuni di noi sì. Ci sono umani alla base Skorpis che sono scienziati. Non sono guerrieri, né assassini.

— Perché non consideri umani gli Skorpis? —Sebbene udissi una sola voce, avevo l’impressione che a parlare fosse più di una creatura, e che quanto sentivo fosse una miscellanea di pensieri e domande individuali.

— Gli Skorpis vengono da un altro mondo —risposi. —Discendono dai felini.

— Mentre voi discendete dalle scimmie.

— Esatto —confermai.

— Che cosa ti fa credere che l’origine degli Skorpis sia diversa dalla vostra?

— Non possono… —Esitai. —Intendi dire che anche loro sono…

— Opera dei vostri Creatori? Ti riesce tanto difficile crederlo?

— Non difficile. È solo… un’interpretazione nuova. Non l’avevo mai considerata prima.

— L’universo è antico, Orion. E i tuoi Creatori si sono dati molto da fare.

— Ma se anche gli Skorpis sono un’opera dei Creatori, perché combattono contro di noi?

— Tutto ciò a cui i tuoi Creatori mettono mano degenera in violenza. Sono una calamità che si aggira fra le stelle.

— Ma voi —incalzai —chi siete? Che cosa avete a che fare con i Creatori?

— Noi siamo una razza infinitamente antica, Orion. Più vecchia dei tuoi Creatori di dieci milioni di anni. E non abbiamo alcun desiderio di avere parte nelle carneficine che la tua specie sta perpetrando.

— Perché dovreste?

— Perché i tuoi simili ci hanno scoperti. Hanno tentato di stabilire un contatto con noi. Ci vogliono come alleati contro i loro nemici.

— Io non so neppure chi siano i nostri nemici.

— Altri umani, naturalmente. E razze che presentano livelli analoghi di evoluzione, come gli Skorpis e i Tsihn.

Ero confuso, quasi sbigottito da quanto stavo apprendendo. Gli Antichi avvertirono il mio turbamento.

— Non lasciarti vincere dall’ansietà, Orion. Ti spiegheremo ogni cosa, in modo che tu possa capire.

“Perché?” mi chiesi. “Che cosa vogliono da me?” Come in risposta ai miei silenziosi interrogativi, la voce disse: —Tu sarai il nostro ambasciatore, Orion. Ti affideremo un messaggio da riferire ai tuoi Creatori.

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