Prologo

Questa volta morire fu come trovarsi nel centro di un gorgo, nel cuore di un tornado mugghiante. L’universo girava vorticosamente, come impazzito, tempo e spazio risucchiati in un’immagine indistinta, pianeti, stelle, atomi ed elettroni ruotavano tumultuosamente in orbite e io, al centro di tutto questo, che sprofondavo, sprofondavo inesorabilmente in un gelido oblio criogenico.

Gradualmente, ogni sensazione mi abbandonò. Potevano essere passati attimi o millenni, non avevo possibilità di misurare il tempo, ma ogni sensazione di movimento e di freddo svanì dal mio corpo, quasi mi fossi trasformato in un blocco di ghiaccio, inerte e insensibile.

Eppure, la mia mente continuava a funzionare. Sapevo di essere stato traslato attraverso lo spazio-tempo, da una cuspide del continuum all’altra. Tuttavia, per quanto potevo vedere, toccare e udire, ero in un totale oblio. Per un tempo indefinito fui quasi felice di essere finalmente libero dal turbinio della vita, oltre il dolore, oltre il desiderio, oltre l’agonizzante dovere che i Creatori mi avevano imposto.

Oltre l’amore.

Questa consapevolezza mi scosse. Da qualche parte, nella vastità dello spazio-tempo, Anya stava lottando contro forze che io non potevo neanche comprendere, in pericolo nonostante i suoi poteri divini, e fronteggiava nemici che spaventavano persino il Radioso e gli altri Creatori.

Protesi la mente, cercando di penetrare l’assoluta oscurità che mi avvolgeva. Nulla. Era come se non ci fosse più universo, più continuum, né tempo, né spazio. Ma sentivo che da qualche parte, in qualche tempo, lei esisteva. Lei mi aveva amato, come io l’avevo amata. Niente, in nessun universo possibile, avrebbe potuto tenerci separati.

Un barlume di luce. Così debole e distante che, all’inizio, pensai fosse solo frutto della mia immaginazione. Ma sì, c’era davvero! Un bagliore fioco. Luce. Calore.

Se fossi io a muovermi verso di esso, oppure fosse l’inverso, per me non aveva nessuna importanza. Il bagliore si fece più distinto, più intenso fino a che mi sembrò di urtare contro di esso come un truciolo gettato in una fornace, come una meteora attratta verso una stella. La luce splendeva come il sole, ora, e io mi riparai gli occhi con l’avambraccio per lenire il dolore, felice, però, di avere occhi e braccia e di “sentire” di nuovo.

— Orion. —Dal bagliore scaturì una voce. —Sei tornato.

Era Aton, naturalmente, il Radioso. La sua presenza si materializzò sotto sembianze umane. Era un’immagine divina e potente, dalla folta chioma dorata. Il corpo era avvolto in preziose stoffe dorate, tanto abbaglianti che facevo fatica a guardarle.

Era in piedi, davanti a me, e intorno a lui un paesaggio spoglio che si estendeva all’infinito in ogni direzione. Una coltre informe di nebbia si sollevava, accarezzandoci le caviglie, una cupola di cielo su di noi, del colore del rame battuto.

— Dov’è Anya? —chiesi.

— Lontano da qui.

— Devo andare da lei. È in grave pericolo.

— Lo siamo tutti, Orion.

— Non mi importa di te o degli altri. È la sorte di Anya che mi sta a cuore.

Un sorrisetto gli curvò le labbra. —Ciò che importa a te è irrilevante, Orion. Ti ho creato per eseguire i miei ordini.

— Voglio stare con Anya.

— Impossibile. Hai altri compiti da eseguire, creatura.

Guardai fisso nei suoi occhi dorati e compresi che lui aveva il potere di mandarmi ovunque avesse voluto. Ma anch’io avevo dei poteri, poteri che stavano crescendo e rafforzandosi.

— La troverò —dissi.

Aton sorrise beffardo. Ma io sapevo che, qualunque cosa avesse fatto, ovunque mi avesse mandato, avrei cercato la donna che amavo, la dea che mi amava. E che non avrei smesso di cercare fino a quando non l’avessi trovata.

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