16

Trascorsi una mezz’ora davanti al video, studiando il Blood Hunter in ogni dettaglio. Ero particolarmente interessato ai velivoli ausiliari che la nave madre trasportava. Ce n’erano di minuscoli e di abbastanza grandi da contenere intere squadre d’assalto.

Ne individuai uno che mi sembrò perfetto per il mio piano: una navetta da ricognizione con una buona capacità di trasporto e autonomia di volo sufficiente a coprire il tragitto fino a Lunga. Sempre che riuscissi a sganciarla dal Blood Hunter prima che questo raggiungesse la velocità della luce.

Dovevo agire con tempestività. Provavo un vago rimorso nei confronti del comandante, che con tanta generosità mi aveva offerto la sua amicizia ma, come lui stesso aveva rilevato, la guerra non è mai piacevole.

Non disponevo di armi, ma almeno avevo un’uniforme decente. Era blu cielo, con il collo rigido e un’alta cintura dorata. La fibbia, notai, raffigurava un sole raggiato. Il simbolo del Radioso. Quella vista mi strappò una smorfia di disgusto, ma me la strinsi intorno alla vita, rimpiangendo di non avere una pistola da assicurarvi.

Uscii nel corridoio e raggiunsi il livello in cui erano ospitati gli scienziati. Nessuno dei Tsihn che incontrai cercò di fermarmi. Ne fui incoraggiato.

Il portello era chiuso, ma non c’erano sentinelle. Lo aprii e sgusciai dentro. Gli umani si stavano preparando per la notte.

— Tutti in piedi! —ordinai. —Abbandoniamo la nave. “Immediatamente”.

Opposero qualche resistenza, ma quando spiegai a Delos che contavo di riportarli a Lunga, lui si fece in quattro per coordinare gli altri. Ora veniva la parte più difficile: raggiungere l’hangar che ospitava il velivolo di ricognizione.

— Restate uniti e seguitemi —dissi. —Se qualcuno ci ferma, lasciate parlare me.

Quasi funzionò.

Marciammo lungo il corridoio e scendemmo la scala elettrica che portava all’hangar. Alcuni Tsihn ci passarono accanto, ma senza curarsi di chiederci che cosa facessimo lì. Non c’erano sentinelle a bordo della navetta da ricognizione, ma quattro meccanici stavano effettuando certe riparazioni su mezzi più piccoli.

— Questo settore è vietato al personale non autorizzato —ci informò il più grosso dei quattro.

— Lo stiamo solo attraversando —mi affrettai a spiegare.

Non servì. —Addetti alla sicurezza! —gridò lui nel microfono inserito in una paratia. —Un gruppo di umani non autorizzati è penetrato nell’hangar!

Sorrisi con approvazione. —Molto bene. Il comandante apprezzerà certamente il suo senso del dovere.

E passai oltre, seguito dal capannello di scienziati.

La navetta riposava immobile nella gondola, un voluminoso, sgraziato ammasso di abitacoli, stive, contenitori e motori a propulsione. Un’autentica nave spaziale, progettata per non inoltrarsi mai in un’atmosfera o atterrare sulla superficie di un pianeta.

— Fa’ salire a bordo gli altri —dissi a Delos, mentre facevo alzare i pannelli di copertura dei controlli della porta.

— ADDETTI ALLA SICUREZZA DELL’HANGAR. IMMEDIATAMENTE —latrò l’interfono.

Non c’era tempo per esaminare i dispositivi di funzionamento delle porte. E in ogni caso, quelli centrali erano sul ponte di comando. Con un pugno, fracassai il quadro comandi, quindi afferrai il bordo del portello superiore e tirai. Si mosse quasi con riluttanza, ma di lì a qualche istante era chiuso e assicurato.

Il portello della camera di decompressione era un’altra faccenda. Mi ci strizzai dentro.

— Sigillatelo non appena saranno tutti a bordo —dissi all’uomo che mi stava accanto, poi mi avviai verso l’abitacolo. Delos era già seduto al posto del pilota e stava avviando i motori. Presi posto sull’altro.

— Ci farai uccidere tutti —sibilò lui a denti stretti, ma le sue dita si muovevano rapide sui comandi. Sentii i generatori entrare in funzione.

Chiesi al computer di fornirmi un elenco delle attrezzature di bordo. —Dobbiamo aprire il portello della camera di decompressione —mormorai.

— Navi come queste non sono dotate di armi —obiettò Delos.

Ma nell’elenco figurava un laser perforante. Premetti un paio di tasti e lo schermo mi mostrò dov’era custodito.

Lasciai l’abitacolo, e con l’aiuto di due degli uomini più robusti tolsi dall’imballaggio il laser. I Tsihn, intanto, pestavano furiosamente sulle porte della gondola, mentre l’interfono gracchiava: —Orion, è il comandante che parla. Sei impazzito? Metti fine a questa follia o sarò costretto a farmi strada sparando: salterete tutti in aria!

— Comandante! —gridai di rimando. —Voglio riportare questi umani su Lunga e scambiarli con i miei uomini.

— È impossibile! Non ha ricevuto alcun ordine in proposito.

— Farò uscire il velivolo dal portello della camera di decompressione! —bluffai.

— Danneggiando la mia nave e uccidendoti.

— La navetta è piuttosto solida. Io dico che ce la farà. —Parlando, continuavo ad aiutare gli altri.

— È pura follia!

— Potrebbe evitare un bel po’ di danni alla nave semplicemente aprendo la camera di decompressione —mi accontentai di rispondere.

— E permettervi di fuggire?

— Evitando danni a voi. Pensaci… il nostro motore-spia potrebbe surriscaldarsi ed esplodere mentre cerchiamo di uscire a forza dai portelli della camera di decompressione.

Intanto, avevamo cominciato a collegarlo al generatore e ai dispositivi di rilevamento ottico.

— Stai minacciando di distruggere la nave? —abbaiò il comandante.

— Io voglio solo tornare a Lunga e scambiare questi uomini con i miei.

— Potrei permettervi di lasciare il Blood Hunter e distruggervi non appena sarete a distanza di sicurezza.

A questo non avevo pensato. —Potresti, è vero —riconobbi.

— Guardate! —gridò uno dei miei compagni.

La porta della gondola aveva preso una cupa tonalità rossastra. I Tsihn ci stavano lavorando con una lancia termica.

Poi, con un rombo, il portello interno della camera di decompressione cominciò ad aprirsi.

— Stiamo creando il vuoto —avvisò una voce registrata. —Il settore dev’essere evacuato in dieci secondi.

Abbandonammo i pezzi del laser e ci affrettammo verso il portello. Spinsi da parte gli scienziati che affollavano lo spazio abitativo e raggiunsi la cabina-comandi, dove Randa sedeva accanto a Delos.

— Il comandante ci lascia andare —dissi. Attraverso la paratia di osservazione vidi che il portello esterno si stava aprendo.

— Sì, per farci esplodere nello spazio non appena saremo usciti dalla sua preziosa nave —borbottò Randa.

— Io credo di no. —Dopotutto, pensai, il comandante e io avevamo bevuto insieme.

Ora più nulla ci sbarrava la strada. Delos sfiorò il pulsante principale di propulsione e con un sussulto la navetta scivolò dolcemente fuori, nel vuoto stellato.

Mi chinai tra i due e digitai sul quadro di comunicazione finché non mi trovai a fissare gli occhi rossi del comandante Tsihn.

— Mi addolora doverla tradire in questo modo, —volli spiegare. —Ma c’è qualcosa che devo assolutamente fare.

— Non sprecherò un solo colpo per fermarti, traditore —sibilò lui. —Che ci pensino gli Skorpis a farlo. Ne troverete a sufficienza.

Sogghignai. —Grazie, comandante.

Lo vidi socchiudere gli occhi. —Va’ con onore, Orion —disse piano.

Di lì a pochi minuti, la Blood Hunter spariva alla nostra vista in un silenzioso lampo luminoso. Aveva raggiunto la velocità della luce ed erano diventati inaccessibili agli Skorpis.

Così non era per noi. Non appena Randa accese i sensori a lungo raggio, una mezza dozzina di navi apparve sullo schermo.

Delos cominciò immediatamente a digitare un messaggio. “Qui è il dottar Delos, dell’Università di Farcall, direttore dell’équipe di ricerca scientifica sul pianeta Lunga. Stiamo tornando a bordo di un velivolo di ricognizione. Siamo disarmati. Il nostro equipaggio è formato esclusivamente da scienziati e dall’umano Orion. Ripeto: siamo disarmati e stiamo tornando a Lunga.”

Poi restammo in attesa di vedere se gli Skorpis avrebbero dato ascolto al suo messaggio, o se prima avrebbero aperto il fuoco e poi fatto domande.

Gli dettero ascolto, e i sospiri di sollievo riempirono il velivolo.

Il capo della squadriglia Skorpis parlò a lungo con Delos, poi puntammo verso Lunga, il nostro piccolo velivolo circondato da poderose navi da guerra: una sardina scortata da balene assassine.

Gli scienziati sembravano grandemente sollevati. Solo quando si raggrupparono intorno a me per ringraziarmi di averli salvati, mi resi conto di quanto avessero temuto gli Tsihn.

— Quelle lucertole mi facevano gelare il sangue —confidò una delle donne. —Non hanno un briciolo di decenza umana.

Pensai agli Skorpis e alle loro abitudini alimentari, e mi chiesi in quale misura l’opportunismo politico avesse influito sul suo atteggiamento. “I tuoi nemici alieni sono inumani; i tuoi alleati alieni sono extraterrestri.”

E oltre a loro, oltre a tutte le fazioni umane e razze aliene intelligenti coinvolte in quella guerra interstellare, c’erano i Creatori… discendenti degli uomini ma infinitamente più evoluti. “E se nel conflitto fossero state impegnate razze superiori perfino a loro?” mi chiesi. Aton aveva parlato della crisi suprema come di una realtà ben più catastrofica di questa “semplice” guerra che pure vedeva l’annientamento di miliardi di creature e devastazioni planetarie.

Sapevo che gli Antichi esistevano, ma che non volevano avere parte nei dissidi che ci laceravano. Forse c’erano altre razze, ancora più antiche e di gran lunga superiori a noi? Era quella la crisi suprema che Aton e gli altri Creatori temevano?

Ma non c’era il tempo per certe riflessioni. Eravamo di nuovo in prossimità di Lunga. Ora avrei dovuto trattare per la vita dei miei soldati: molto presto gli scienziati che mi avevano appena ringraziato per averli salvati dai Tsihn mi avrebbero maledetto e avrebbero cercato di uccidermi.

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