13

Le guardie ferite furono portate via, mentre il capo del controspionaggio si sforzava di recuperare l’autocontrollo. Infine, usò l’interfono per mettersi in contatto con il suo superiore, il comandante della base. Nel giro di pochi minuti, ero nel suo ufficio.

Delos, l’uomo con la barba, era già lì. Il comandante della base sembrava più anziano degli altri Skorpis che avevo visto, e la peluria sul viso e le mani tendeva al grigio. Indossava un’uniforme azzurro pallido, con nappe e decorazioni. Quanto allo scienziato, portava la solita tuta grigia e informe.

— Questa l’unica divisa che hai a disposizione? —borbottò il comandante non appena mi vide.

— Ho nuotato —risposi. —Con gli Antichi.

Per poco Delos non cadde dalla poltrona. —Gli Antichi? Sei stato con loro?

— Gli ho parlato. Mi hanno affidato un messaggio.

Il comandante fece cenno al capo del controspionaggio di uscire. —La chiamerò, se avrò bisogno di lei.

Poi lasciò la scrivania e indicò un tavolo collocato all’altro capo della stanza. —Sediamoci —disse. Il tavolo era troppo alto e la sedia troppo grande perché potessi sentirmi a mio agio. Ero come un bambino seduto alla tavola dei grandi; piccolo, insignificante.

Delos, invece, non pareva minimamente preoccupato.

— Che cosa ti hanno detto gli Antichi? —domandò con evidente curiosità. —Come hai fatto a entrare in contatto con loro? Da dove vengono?

— Ci affiancheranno in questa guerra? —volle sapere il comandante della base.

— Rifiutano di schierarsi —spiegai. —E respingeranno ogni tentativo di coinvolgimento.

— Respingeranno, dici? —tuonò l’alto ufficiale. —Un paio di testate nucleari potrebbe far loro cambiare idea.

— Le vostre armi non funzioneranno contro di loro —la ammonii. —Così mi hanno detto.

— Sciocchezze!

— Io gli credo, invece. Sono più vecchi e più saggi di noi.

— Lo erano anche i Tsihn, ma noi li abbiamo scaraventati dall’altra parte della galassia.

— Inimicandoceli per sempre —commentò Delos.

Gli occhi di lei si accesero di un bagliore sinistro quando si volse verso di me. —Riferiscimi quanto hanno detto gli Antichi. Parola per parola.

Mi obbligò a ripetere il messaggio più volte, e ogni volta la sua tetraggine cresceva. Delos, invece, era sempre più eccitato.

— Più vecchi della razza umana di decine di milioni di anni! —proruppe a un certo punto con aria soddisfatta. —Quante cose potranno insegnarci! Il loro patrimonio di conoscenze dev’essere infinito!

— Non ci insegneranno un bel niente finché continueremo a ucciderci a vicenda. Ci guardano con disgusto.

— Ma sicuramente parleranno con degli scienziati —azzardò speranzoso Delos. —Non siamo guerrieri, noi; non abbiamo ucciso nessuno.

— Forse, col tempo —replicai. E sorrisi intimamente, consapevole che la concezione che gli Antichi avevano del tempo era ben lontana dalla nostra.

Dovetti ripetere l’ambasciata un’altra mezza dozzina di volte prima che il comandante si decidesse a congedarmi. Fuori, trovai ad aspettarmi il capo del controspionaggio. Se gli Skorpis avessero avuto la coda, di certo la sua avrebbe frustrato impaziente l’aria.

— Dunque ti ha creduto —osservò, mentre tornavamo al recinto dei prigionieri.

— Come fai a saperlo? Puoi sentire attraverso le porte chiuse? —Forse era rimasta incollata alla porta, con la scusa di proteggere il comandante?

— Non c’era nessun bisogno di origliare —replicò secca. —Se la vecchia tigre non ti avesse creduto, ti avrebbe ridotto a brandelli.

Ci raggiunse Delos. —Il comandante mi ha dato il permesso di ospitare Orion nei nostri alloggi —annunciò.

La Skorpis storse il naso, ma non fece obiezioni. Ci dirigemmo verso il settore riservato agli scienziati.

— È sotto la tua responsabilità —ricordò in tono minaccioso a Delos, prima di allontanarsi.

— Aspetta —la fermai. —Che ne sarà dei miei soldati?

— I prigionieri? —Scrollò le imponenti spalle. —Saranno ibernati in vista di un futuro utilizzo.

— Un futuro utilizzo? Quale?

Lei mostrò i denti. —Per essere mangiati, no? Per che altro?

— Voi mangiate gli umani?

— Sono di carne, giusto? Certo, non sono nutrienti come altri nemici che abbiamo combattuto, ma serviranno allo scopo. Integrati con vitamine, ovviamente.

Sembrava divertita dalla mia costernazione. Da parte mia, mi ripresi quanto bastava per chiedere: —Be’, prima di infilarli nelle celle frigorifere, non potresti fornirgli un riparo? E magari farli nutrire in modo più appropriato?

— No, non posso, umano. —Di scatto si voltò e si allontanò.


Gli altri scienziati non si dimostrarono meno curiosi di Delos a proposito degli Antichi, e quando entrai nel fabbricato, mi si strinsero subito intorno. Eravamo in uno stanzone squallido, il cui mobilio era composto unicamente da un tavolo, alcune sedie e un paio di computer in un angolo. Una fila di finestre si affacciava sul campo degli Skorpis, dove si allungavano le ombre violette, araldi della notte. Le pareti erano spoglie, fatta eccezione per un display che mostrava una carta astronomica.

Mentre per l’ennesima volta raccontavo la mia storia, studiai la piccola folla che mi attorniava. Gli scienziati erano ventidue, di cui diciannove donne, e quasi tutti giovani, con una vita intera davanti a loro. A differenza dei miei soldati, non erano stati clonati da un numero ridotto di geni. Ce n’erano di alti e di bassi, di bruni e di biondi, e con carnagioni che andavano dal cioccolato al roseo.

La donna di nome Randa, quella che mi aveva denunciato al capo del controspionaggio, evitava il mio sguardo. Forse si vergognava, oppure ce l’aveva con me per i guai che avevo causato. Nessuno dei presenti commentò i segni sanguinolenti di artigli visibili sulla mia spalla.

— Ora tocca a me fare qualche domanda —dissi quando ebbi finito.

— Spara —mi sollecitò Delos, evidentemente il leader del gruppo.

— Che cosa ci fate su questo pianeta, e perché lavorate per gli Skorpis?

— Lavorare per gli Skorpis?

— Ma di che stai parlando?

— Noi non lavoriamo per gli Skorpis —affermò in tono dignitoso uno di loro. —Sono gli Skorpis a lavorare per noi.

— Gli Skorpis sono soldati mercenari. Sono qui per proteggerci —spiegò Delos. —Mentre noi studiamo gli Antichi. O almeno, ci proviamo.

— Proteggervi da chi?

— Da te! —proruppe Randa. —E dagli altri maniaci assassini della tua fatta che vogliono ucciderci.

Dunque era la collera ad animarla, non la vergogna.

— Non sapevamo che ci fossero altri umani su questo pianeta —mi giustificai. —Ci era stato detto soltanto della base Skorpis; e che avremmo dovuto distruggerla.

— Tipico dei militari. Ti dicono soltanto quello che vogliono tu sappia.

— Mi stai dicendo che gli uomini si combattono fra di loro? —domandai. —Che siamo coinvolti in una guerra civile interstellare?

— Sono ormai tre generazioni che l’Egemonia si batte esclusivamente per continuare a esistere —disse Randa. —La vostra cosiddetta Suprema Alleanza ha cercato di annientarci. Voi e le lucertole vostre alleate.

— I Tsihn?

— Sì, è così che si fanno chiamare —confermò uno degli uomini.

— Ma com’è cominciata la guerra? E perché?

— Quando le flotte della Suprema Alleanza hanno cominciato ad attaccare i nostri insediamenti su una dozzina di mondi diversi.

— Hanno spazzato via le nostre biosfere e distrutto ogni cosa viva.

— Bruciato pianeti fino a trasformarli in masse inerti.

— E senza nessuna ragione!

— Né una formale dichiarazione di guerra.

Scossi il capo. —Non è possibile. Deve pur esserci una ragione! I popoli non si aggrediscono l’un l’altro senza un motivo.

— Le lucertole lo fanno.

— I Tsihn ci odiano. Odiano tutti gli uomini, odiano chiunque non sia come loro.

— Ma mi avete appena detto che la Suprema Alleanza è alleata con i Tsihn.

— Per combattere l’Egemonia, certo, ma prima o poi i Tsihn si rivolteranno anche contro la Suprema Alleanza, è certo.

C’erano odio e paura nei loro volti, nelle loro voci.

— Ancora non riesco a capire quale sia stata la causa di tutto —sospirai. —Per me non ha alcun senso.

— Sei solo un soldato —replicò Randa con sarcasmo. —Come puoi pretendere di capire qualcosa che non sia l’assassinio?

Era quello che in un primo momento anche gli Antichi avevano pensato di me. Poi, però, mi avevavano dato ascolto e mi avevano aiutato.

Delos mi indirizzò un’occhiata preoccupata. —Se davvero ti interessa capire le cause del conflitto, puoi usare uno dei nostri lettori. —Fece un gesto verso il sistema video collocato in un angolo della stanza.

— Perché no? —interloquì una delle donne. —Noi abbiamo da discutere il modo in cui usare le tue informazioni e quale sarà la nostra prossima mossa.

Capii che volevano restare soli e io morivo dalla voglia di capire come e perché quella dannata guerra era cominciata. Andai a sedermi davanti al computer.

— Ti mostro come funziona. —Sorpreso, sollevai lo sguardo su Randa.

— Lo so già —replicai. —I soldati non sono necessariamente degli idioti.

— Oh! —arrossì. —D’accordo. —Girò sui tacchi e si affrettò a raggiungere gli altri, seduti attorno al grande tavolo.

Accesi il computer e a bassa voce formulai la mia richiesta. Il video si illuminò per un istante.

E invece delle informazioni, nel punto esatto in cui si trovava il terminale, comparve Aton. Indossava una tunica dorata e pantaloni aderenti; gli stivali gli arrivavano a metà polpaccio. L’aura dorata della sua presenza mi avviluppò come una fitta nebbia. Sapevo che mi aveva fatto uscire dal continuum in una bolla di spazio-tempo sospeso, per interrogarmi all’insaputa dei miei compagni di stanza.

— Gli Antichi si sono messi in contatto con te, Orion.

Annuii con solennità.

— E si rifiutano di aiutarci?

— Si rifiutano di essere coinvolti nella nostra guerra. Solo quando avremo rinunciato a combattere, forse decideranno di comunicare con noi.

— Avevo sperato in qualcosa di più.

— Sono stati molto decisi al riguardo.

— Eppure “deve” esserci un modo per convincerli ad aiutarci!

— Potresti tentare di parlargli tu stesso —suggerii.

Aton aggrottò la fronte. —L’ho fatto. Abbiamo tentato tutti, in realtà, ma tu sei l’unico a cui abbiano dato ascolto.

Abbozzai un sorriso. —Sono lusingato.

— Non hai motivo d’esserlo —sibilò il Radioso. —Loro ti vedono come una vittima inerme della nostra crudeltà. Hanno avuto pietà di te, Orion. Niente di più.

— Non sono d’accordo. Quando mi hanno contattato la prima volta, in sogno, erano inorriditi, perché vedevano in me solo un guerriero, un assassino, un soldato che combatteva altre creature intelligenti. Ma in seguito hanno capito che ero qualcosa di più di una macchina da guerra. E hanno deciso di parlarmi.

— Ricorda, Orion, che sono stato “io” a dotarti di certe emozioni.

— No, non tu. Non deliberatamente, perlomeno. Tu mi hai creato per eseguire i tuoi ordini, e per farlo dovevo essere in grado di pensare e agire autonomamente. Ho imparato molte cose, Radioso. Sui Creatori e me stesso… e sui miei simili.

— Davvero? —Aton incrociò le braccia sul petto.

— È così. Non sono soltanto un tuo strumento. Sono un individuo. Quante volte mi hai rimproverato per non aver eseguito i tuoi ordini?

— La caparbietà non è sinonimo di divinità. Orion. Solo noi Creatori abbiamo piena libertà di azione. Tu mi obbedisci, che ne abbia o meno consapevolezza.

Risi. —Tu avresti piena libertà di azione? Perché questa guerra disperata, allora? Perché questo bisogno dell’aiuto degli Antichi?

— Risponderti significherebbe nominare forze che la tua mente non potrebbe mai comprendere. Non ti ho dotato di queste capacità.

— Non ce n’è bisogno. Le sto apprendendo da solo. Gli Antichi hanno parlato con me, non con te. Io sto imparando e crescendo.

— E un giorno mi sfiderai —rise Aton. —Il ranocchio che medita vendetta contro l’elefante.

Continuare su quel tono non mi avebbe portato a nulla; cambiai argomento. —Com’è cominciata questa guerra? Che cosa l’ha scatenata?

— Era inevitabile. A mano a mano che si espandeva tra le stelle, la razza umana veniva a contatto con altre specie intelligenti. La xenofobia è una caratteristica fondamentale comune a tutte le intelligenze.

— La xenofobia non provoca necessariamente le guerre.

— Tu dici?

— Perché allora gli umani sono alleati dei Tsihn? E perché gli Skorpis lavorano per… —Le parole mi morirono in gola. Avevo capito, finalmente.

Aton lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Mi guardava come il direttore di uno zoo guarda l’ultimo esemplare arrivato.

— Questa guerra… —Esitai, travolto da un turbinio di pensieri. C’era una sola spiegazione. —Questa guerra, in realtà, è fra te e gli altri Creatori. State combattendo tra di voi, e ci usate come pedine.

Una smorfia di derisione alterò il suo bel viso. —Naturalmente! Mi sorprende che tu abbia impiegato tanto tempo a capirlo. Tu, che ti vanti della tua crescente saggezza!

— Ma perché? Perché questi dissidi fra te e gli altri Creatori?

— La colpa non è mia, Orion. La nostra famigliola si è divisa in due fazioni, uguali e opposte. Un po’ come accadde a Troia, solo che questa volta in gioco ci sono intere civiltà interstellari, non soltanto pochi greci e troiani.

— E le avete spinte alla guerra?

Scrollò le spalle con noncuranza. —Era l’unica soluzione. Gli altri Creatori non hanno voluto sentire ragioni.

— Immagino che loro dicano lo stesso di te e dei tuoi alleati.

— Immagino di sì.

— Non mi hai ancora detto che cosa ha originato il conflitto.

— Abbiamo raggiunto la crisi suprema, Orion. Un momento talmente critico per la nostra sopravvivenza, che neppure noi riusciamo ad accordarci su come affrontarlo. Ti ho detto che questa guerra era parte della crisi, e così è. Finché non avrò convinto gli altri a sposare i miei piani, saremo impotenti quando ci piomberà addosso.

— E per decidere il modo di affrontare la crisi suprema, mandate a morire milioni di creature e distruggete interi pianeti?

— È necessario. Per la nostra sopravvivenza.

— Vi fate la guerra usando per strumenti noi e altre razze intelligenti.

— Perché no? Vorresti forse che ci combattessimo tra noi, che ci uccidessimo a vicenda?

— E Anya? Da quale parte sta? —Ma credevo di conoscere già la risposta.

L’espressione di Aton si rabbuiò. —Non al mio fianco, purtroppo. Di fatto, è lei il capo dell’opposizione.

— Quindi, per servire te devo combattere contro di lei.

— È colpa sua, Orion.

Ma a me non importava di chi fosse la colpa, né quale fazione fosse nel giusto. Tutto ciò che volevo era trovare Anya, anche se avesse significato mettermi contro Aton.

Guardai nei suoi occhi dai riflessi dorati e vidi che aveva già compreso. Non potevo nascondergli i miei pensieri.

— Trovarla sarebbe la tua infelicità —mi ammonì. —Lei ormai è molto oltre la sciocca storia d’amore che avete vissuto. È tornata alla sua vera forma, Atena, la dea guerriera. Non si cura più di assumere sembianze umane. Non ti ama più.

— Non ti credo.

Liquidò la mia replica appassionata con un gesto noncurante della mano. —Che tu mi creda o meno, non ha alcuna importanza.

— No?

— No, Orion. Puoi attraversare l’intera galassia in cerca della tua amata. Puoi considerarmi un maniaco egocentrico che manda le proprie creature al massacro. Non importa quello che pensi. Se troverai Anya, lei ti ucciderà. Senza pensarci due volte.

— Lei mi ama!

— Una volta, forse. Ma ti ha superato di molto, ha superato l’assurdo desiderio di assumere sembianze umane. Ora è la dea della morte, Orion. Della tua morte. Credimi.

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