43 La sottile linea rossa

Cirocco lo chiamava il Tè del Cappellaio Pazzo, pur sapendo che non era il giusto soprannome; semplicemente, in certe occasioni si sentiva come la piccola Alice. La corte di disperati che circondava Gea sarebbe stata più adatta al palcoscenico esistenzialista di Beckett che al Paese delle Meraviglie di Carroll. Comunque, non si sarebbe affatto stupita se le avessero offerto mezza tazza di tè.

La compagnia era sempre assai sensibile agli umori di Gea, e Cirocco non l’aveva mai vista così irrequieta come quando si avvicinò al party, né così improvvisamente guardinga come quando finalmente Gea la vide.

— Guarda, guarda — esclamò Gea. — È proprio il capitano Jones. A cosa dobbiamo l’onore di questa visita spontanea e inattesa? Tu, come ti chiami, porta un bel bicchierone di qualcosa di fresco per la Maga. Non preoccuparti di cosa sia, basta che non ci sia acqua. Accomodati, Cirocco. Posso fare altro per te? No? Meglio. — A quel punto, pareva che Gea non sapesse più cosa dire. Borbottò qualcosa tra sé finché non arrivò il bicchiere per Cirocco.

Cirocco lo fissò come se non avesse mai visto niente di simile.

— Forse preferisci la bottiglia — consigliò Gea. Cirocco sollevò gli occhi per guardarla. Poi guardò il bicchiere, lo rovesciò, e lo girò lentamente, finché non si formò una sfera di liquido che scese pian piano a terra. Lanciò poi in alto il bicchiere, che uscì dal cerchio di luce. La sfera giunse al tappeto e si allargò su di esso.

— Con questo, vorresti dire che hai smesso di alzare il gomito? — chiese Gea. — Non te lo berresti un Shirley Temple? Mi è appena arrivato un misurino graziosissimo, da un ammiratore che sta sulla Terra. È di ceramica, ha la forma esatta della Beniamina d’America, e credo che valga un mucchio di soldi. Per fare un martini, metti gin fino al mento, e vermouth fino…

— Sta’ zitta.

Gea inclinò leggermente la testa, di lato, per riflettere su quelle parole, poi fece come detto. Incrociò le braccia sul petto e aspettò che Cirocco parlasse.

— Sono venuta a rassegnare le dimissioni

— Non te le ho chieste.

— Non fa niente, mi dimetto io. Non voglio più essere la Maga.

— Non vuoi più esserlo. — Gea sorrise tristemente. — Sai che la cosa non è così semplice. Tuttavia, c’è una curiosa coincidenza. Negli ultimi anni mi sono chiesta anch’io se non fosse il caso di porre fine al tuo servizio. Finirebbero però anche le assegnazioni fuori busta di cui adesso godi, naturalmente, e poiché questo equivale a una condanna a morte, ho sempre procrastinato. Ma in realtà, se ricordi le tue caratteristiche positive, che ti ho elencato quando ti ho assunta originariamente, da qualche tempo sei al di sotto della tua media.

— Non farò commenti. Dico solo che rassegno le dimissioni, effettive a partire dalla conclusione del prossimo Festival di Iperione. Nel frattempo visiterò tutti gli altri territori dei titanidi per…

— "Effettive a partire dalla conclusione…" — ripeté Gea, fingendo la massima sorpresa. — L’avete sentita? Chi si aspettava di vedere tanta impudenza, e in un giorno solo? — Rise, e vari suoi lacché si affrettarono a farle eco. Cirocco ne fissò uno e non distolse lo sguardo da lui finché il malcapitato non pensò bene di eclissarsi. Ma ormai avevano smesso di ridere, e Gea le faceva segno di proseguire.

— Non c’è molto da dire. Ho promesso loro un Festival indimenticabile, e intendo darglielo. Ma, per il futuro, pretendo che tu trovi un altro sistema di riproduzione per i titanidi, da sottoporre alla mia approvazione, e che ci sia un periodo di controllo di dieci anni, durante il quale io mi occuperò della supervisione e dell’eliminazione di eventuali trucchi.

— Tu pretendi — disse Gea. Sporse le labbra. — Francamente, Cirocco, non so se interpretare negativamente o positivamente questo tuo comportamento. Confesso che non pensavo che avessi il coraggio di presentarti qui, dopo quello che ho recentemente saputo. Il fatto che tu sia venuta, però, depone a tuo favore. Dimostra che hai ancora le qualità che avevo visto originariamente in te, le stesse che mi avevano indotto a conferirti la carica di Maga. Se ricordi, esse comprendevano coraggio, decisione, senso dell’avventura, disposizione all’eroismo; tutte qualità che ti hanno purtroppo abbandonato. Non intendevo parlare delle mie recenti perplessità. Ma ora ti vedo arrivare con queste sciocche richieste, e mi chiedo se tu non abbia perso il senno.

— L’ho ritrovato.

Gea aggrottò la fronte. — Mettiamo le carte in tavola, d’accordo? Tutte e due sappiamo benissimo di cosa si tratta, e ammetto di avere agito un po’ troppo in fretta. Ammetto di avere esagerato. Ma è stata anche un po’ sciocca. Non doveva servirsi di quei ragazzi per farti avere il suo messaggio. D’altra parte, in quelle condizioni, non poteva pensare a tutti i particolari. Resta il fatto che Ga…

Non pronunciare il suo nome! — Cirocco non aveva alzato molto la voce, ma Gea s’interruppe, e anche la prima fila dei suoi ospiti tirò indietro la testa. — Non pronunciare mai più il suo nome in mia presenza.

Gea parve davvero sorpresa, questa volta.

— Il suo nome? Cosa c’entra il suo nome con tutto questo? A meno che non ti sia lasciata incantare dalle storie della tua stessa magia, non vedo il nesso. Un nome è solo un suono; non ha alcun potere.

— Non voglio sentire il suo nome dalle tue labbra.

Ora, per la prima volta, Gea parve davvero irritata.

— Io sopporto molte cose — disse. — Da te e da altri sopporto insulti che nessuna altra Dea sopporterebbe mai, e questo perché non vedo l’utilità di fare massacri ogni giorno che viene. Ma tu metti a dura prova la mia pazienza. Non intendo andare molto oltre, e questo ritienilo un avvertimento.

— Li sopporti perché ti piacciono — disse Cirocco, calma. — Per te, la vita è un gioco, e tu muovi le pedine. Migliore è lo spettacolo che ti danno, tanto più piacevole risulta per te il gioco. Hai tutta questa gente a disposizione per farti leccare gli stivali quando lo desideri; basta che tu glielo chieda. Invece io, se voglio insultarti, ti insulto.

— Li leccherebbero, sì — disse Gea, tornando a sorridere. — E, naturalmente, hai ragione. Ancora una volta mi dimostri che, quando ti ci metti, mi puoi dare uno spettacolo migliore di chiunque altro. — Attese, perché evidentemente si aspettava che Cirocco continuasse. Cirocco invece tacque. Si appoggiò allo schienale della sedia e sollevò la testa, fissando la lontana linea di luce rossa, netta come il filo del rasoio, che stava sopra di loro. Era la prima cosa che aveva notato in occasione del suo primo viaggio al mozzo, tanti anni prima. Era arrivata lassù con Gaby, ed entrambe avevano fissato a lungo quella linea, chiedendosi cosa fosse, ma era così alta, al di sopra della loro testa, che qualsiasi ipotesi sarebbe risultata vana. Non c’era assolutamente modo di raggiungerla.

Ma già allora Cirocco aveva avuto l’impressione che fosse importante. Era solo un’impressione, ma lei si fidava del suo intuito. Lassù, nel punto più inaccessibile di un mondo di meraviglie crudeli, c’era una parte vitale di Gea. Tra il punto dove sedeva Cirocco e quella linea rossa c’erano almeno venti chilometri in linea d’aria.

— Penso che vorrai conoscere l’esito delle tue richieste — disse infine Gea. Cirocco spostò la testa e tornò a guardare Gea. La sua faccia era priva di emozione: lo era sempre stata, fin dal momento dell’arrivo.

— Non ha importanza. Ti ho detto cosa farò, e poi ti ho detto cosa farai tu. Non c’è altro da dire.

— Non credo — disse Gea, osservandola attentamente. — Infatti, si tratta di una richiesta che non può essere accettata. Tu lo sai, e devi avere qualche minaccia in serbo, anche se non riesco assolutamente a immaginare che minaccia sia.

Cirocco non disse niente. Si limitò semplicemente a guardarla.

— Non avrai pensato che io dessi supinamente retta alle tue ri… anzi, che io accogliessi le tue pretese, se preferisci questo termine. Che siano richieste o pretese, la cosa ha poca importanza, quando la risposta è no. Adesso dimmi cosa farai.

— La risposta è no?

— Esattamente.

— Allora ti ucciderò.

Non si udiva alcun rumore nell’immensità del mozzo. Varie centinaia di umani formavano piccoli capannelli dietro la sedia di Gea, tesi a cogliere ogni sua parola. Ciascuno di loro era un pavido, perché altrimenti non si sarebbe trovato lassù, e certo gran parte di loro si stava semplicemente chiedendo come Gea avrebbe eliminato quella donna. Ma alcuni, guardando Cirocco, cominciavano a chiedersi se non avessero sbagliato padrona.

— Davvero, devi essere fuori di senno. Non hai materiali fissili, e non avresti modo di procurarteli. E non credo che saresti in grado di fabbricare una bomba, anche se avessi il materiale occorrente. E se, grazie alla magia che t’illudi di possedere, tu riuscissi a evocare una bomba nucleare, non la useresti per timore di distruggere i titanidi cui sei tanto legata. — Sospirò ancora, e agitò una mano. — Non ho mai pensato di essere immortale. So esattamente quanto tempo mi resta. Non sono indistruttibile. Le armi atomiche… in grande quantità, e poste nei punti opportuni… potrebbero spezzare il mio corpo, o rendermi inabitabile. A parte questo genere di armi, non so cosa possa causarmi gravi danni. Come pensi di uccidermi?

— A mani nude, se necessario.

— O morire nel tentativo.

— Se così deve essere.

— Esattamente. — Gea chiuse gli occhi, e mosse le labbra senza parlare. Alla fine guardò di nuovo Cirocco.

— Dovevo aspettarmelo. Ritieni meno doloroso sprecare la tua vita che vivere dopo ciò che è successo. È colpa mia, lo ammetto, ma mi spiace che tu vada sprecata così. Tu vali quanto questo intero gruppo, e anche più.

— Io non valgo niente, se non posso fare quello che voglio.

— Cirocco, chiedo scusa di quello che ho fatto. Aspetta, aspetta, ascoltami. Pensavo di riuscire a nascondere le mie azioni, ma mi sbagliavo. Comunque, non negherai che stava congiurando per rovesciarmi, e che tu la aiutavi…

— Rimpiango soltanto di avere esitato per troppo tempo.

— Certo. È comprensibile. Conosco la profondità della tua amarezza e del tuo odio. E non ce n’era affatto la necessità, perché la mia azione è stata dettata più dall’orgoglio che dal timore. Non penserai che fossi seriamente preoccupata dei suoi miseri tentativi…

— Attenzione a come parli di lei. Non ti darò altri avvisi.

— Scusa. Il fatto è che né lei né tu eravate in grado di fare qualcosa di preoccupante. L’ho distrutta per l’insolenza dimostrata nel pensarlo e, così facendo, ho perso il tuo rispetto. Trovo che sia un prezzo eccessivamente alto. Ti rivoglio, temo di non poterti riavere, eppure voglio che tu rimanga, anche solo per dare a questo luogo un po’ di classe.

— Ne ha davvero bisogno, ma non rivolgerti a me, perché io non ne ho.

— Non devi sottovalutarti. Ciò che hai chiesto è impossibile. Non sei la prima Maga da me nominata nei miei tre milioni di anni. C’è un solo modo di lasciare l’incarico, ed è con i piedi in avanti. Nessuna ha mai lasciato l’incarico, e nessuna lo lascerà mai. Ma una cosa posso farla. Posso riportarla in vita.

Cirocco si prese la testa tra le mani e per molto tempo non disse niente. Alla fine drizzò la schiena, infilò entrambe le mani sotto la coperta informe e cominciò a dondolare avanti e indietro.

— Ecco l’unica cosa che temevo — disse, senza parlare a nessuno in particolare.

— Posso ricrearla esattamente come era — proseguì Gea. — Sai che ho campioni di tessuto di tutte e due. Quando siete state esaminate originariamente, e quando vi presentate per i trattamenti immortalizzanti, io registro i vostri ricordi. I suoi sono aggiornatissimi. Posso farle crescere un corpo e riempirlo con la sua essenza. Sarà di nuovo lei, lo garantisco; sarà impossibile trovare una differenza. È quello che farei anche nel caso tuo, se, nonostante tutto, fosse necessario ucciderti. Posso ridartela con un solo cambiamento, ossia di cancellare il suo desiderio di distruggermi. Solo quello, nient’altro.

Rimase in silenzio, e Cirocco non disse niente.

— Va bene — disse Gea, spazientita. — Non cambierò neppure quello. Sarà lei sotto tutti gli aspetti. Non posso fare di più.

Cirocco aveva continuato a guardare in alto. Ora riabbassò gli occhi.

— Era l’unico mio timore — ripete. — Anzi, non volevo neppure venire qui, per non dover ascoltare l’offerta e non dover subire la tentazione. Perché si tratta davvero di una tentazione forte. Sarebbe un ottimo modo per riconciliarmi con tante cose e per trovare la scusa di continuare a vivere. Ma poi ho pensato a cosa ne avrebbe detto Gaby, e ho capito che sarebbe un’oscena, vergognosa, abietta necromanzia. Sarebbe inorridita, al pensiero di lasciare, come propria superstite, una piccola bambolina Gaby, creata dalla tua carne corrotta. Mi avrebbe chiesto di ucciderla immediatamente. E pensando meglio alla cosa, ho capito che ogni volta che l’avessi vista mi sarei ulteriormente mangiata il fegato.

Sospirò. Alzò la testa, poi fissò Gea.

— È la tua ultima offerta, allora? — chiese Cirocco.

— Sì. Non…

Non ci fu distacco tra un’esplosione e l’altra. Cinque fori, vicini tra loro, si aprirono sulla coperta di Cirocco, e il rinculo la spinse indietro di due metri, prima che avesse finito di sparare. La nuca di Gea esplose in uno schizzo di sangue. Almeno tre dei proiettili la colpirono al petto. Venne spinta all’indietro e rotolò per una trentina di metri prima di fermarsi.

Cirocco si alzò in piedi, ignorando il pandemonio scoppiato attorno a lei, e si avvicinò al corpo di Gea. Tirò fuori, da sotto la coperta, la Colt 45 di Robin, mirò alla testa di Gea e sparò gli ultimi tre colpi. Muovendosi rapidamente, nel silenzio generale, estrasse anche una latta metallica, la aprì, e versò sul corpo un liquido trasparente. Accese un fiammifero e indietreggiò, mentre le fiamme si alzavano e si estendevano su tutto il tappeto.

— Per chi apprezza i bei gesti — disse, e poi si voltò verso la folla. Con la pistola, indicò la cattedrale più vicina.

— Se volete salvarvi, correte verso il raggio — disse loro. — Arrivati al bordo, saltate giù. Gli angeli vi raccoglieranno e vi lasceranno su Iperione. — Detto questo, si dimenticò di loro. Che vivessero o che morissero, non aveva più importanza.

A denti stretti, ansimando, sfilò il caricatore vuoto e ne prese un altro, carico, dalla tasca nascosta. Lo infilò nel calcio, mise il colpo in canna, lentamente. Poi si allontanò dalla zona dell’incendio.

Quando si fu allontanata a sufficienza e tornò a vedere chiaramente, allargò bene le gambe e sollevò la pistola al di sopra della testa. Mirando quasi in verticale, cominciò a sparare contro la sottile linea rossa. Distanziò i colpi, senza fretta, prendendo bene la mira, e smise solo quando il caricatore fu vuoto.

Sfilò quello vuoto e lo sostituì con uno carico.

Загрузка...