La pioggia che Gaby si aspettava giunse finalmente quando erano sul fiume da cinque ore. Prese le tele cerate e ne passò una a Salterio. Gli altri si affrettarono a imitarla, con l’eccezione di Cirocco, che continuava a dormire nella canoa di Cornamusa. Gaby stava già per dire a Salterio di accostare la barca per recarsi dalla Maga a coprirla, ma poi cambiò idea. Tendeva sempre a essere iperprotettiva nei riguardi di Cirocco, quando la vedeva in quelle condizioni. Doveva ricordarsi di quanto aveva detto a Chris: Cirocco doveva badare a se stessa.
Dopo qualche tempo, infatti, la Maga sollevò la testa e studiò la pioggia, come se non avesse mai visto un fenomeno così inesplicabile come quello dell’acqua che cadeva dal cielo. Si mise a sedere sulla barca, poi si sporse al di là del parapetto per vomitare nell’acqua fangosa del fiume, con notevole sforzo, ma con scarso risultato.
Terminato questo, strisciò fino al centro della canoa, sollevò la tela cerata rossa, e cominciò a frugare tra le provviste. Le sue ricerche divennero sempre più frenetiche. Dietro di lei, Cornamusa non disse niente, e continuò a pagaiare come prima. Alla fine, la Maga si sedette sui calcagni e si strofinò la fronte con la palma della mano.
Poi, all’improvviso, drizzò la testa.
— Gaaby! — gridò. Poi, vedendo che Gaby era a una ventina di metri di distanza, salì sull’orlo della barca per raggiungerla, e finì nel fiume.
Per un momento, parve che riuscisse davvero a camminare sull’acqua. Ma era soltanto un effetto della bassa gravità, perché al secondo passo si trovò immersa fino alle ginocchia, e, prima che riuscisse a farne un terzo, l’acqua si chiuse sulla sua faccia, su cui era disegnata un’espressione leggermente perplessa.
— Sarà la Maga, ma non è Gesù — disse Chris, ridendo.
— Chi è Gesù?
Robin ascoltò per qualche istante la spiegazione, a sufficienza per capire che la cosa non le interessava. Gesù era una figura mitologica dei cristiani; a quanto pareva, era quella che aveva fondato l’intera setta. Era morto da più di duemila anni, e questo, secondo Robin, era il suo lato migliore. Rimase sul chi vive finché non riuscì a chiedere a Chris se lui credesse a quelle cose, e quando lui rispose di no, considerò chiusa la faccenda.
Sedevano su un tronco, a buona distanza dal resto del gruppo, che era raccolto intorno alla figura di Cirocco che rabbrividiva, avvolta in una coperta, accanto a un vivace fuoco di legna. A un treppiede di metallo era appeso un grosso bricco, pieno di caffè, che pian piano si anneriva sulle fiamme.
Robin era irritata. Si chiedeva perché mai, nel nome della Grande Madre, si era lasciata trascinare in quell’assurda spedizione, guidata da una Maga che non era neppure in grado di legarsi le stringhe delle scarpe. E con Gaby. Meno si parlava di lei, meglio era. Con quattro titanidi… A dire il vero, i titanidi le piacevano. Oboe le aveva raccontato un mucchio di storie interessanti. Robin aveva passato la prima parte del viaggio ad ascoltarla, e di tanto in tanto le aveva raccontato a sua volta qualche storia, tanto per vedere fino a che punto arrivasse la sua credulità. Oboe non si sarebbe trovata male sulla Congrega; non si lasciava ingannare facilmente.
E poi c’era Chris.
Aveva rimandato il momento di parlargli, perché si sentiva a disagio, a stare in compagnia con un maschio. Eppure, già sapeva che molte delle cose che le erano state insegnate a proposito dei maschi non erano vere. Aveva capito che la descrizione degli uomini, passando da una bocca all’altra, era diventata sempre più colorita. Non riusciva a immaginare di potersi trovare a proprio agio in compagnia di Chris, ma, visto che dovevano fare il viaggio insieme, era preferibile conoscerlo meglio.
La cosa, comunque, incontrava ogni sorta di contrattempi, e Robin accusò se stessa. Non era colpa di lui, che invece sembrava sufficientemente aperto. Semplicemente, Robin non riusciva a parlargli. Era molto più facile parlare con i titanidi. I titanidi sembravano meno alieni di lui.
Perciò, invece di parlare, lei guardava l’acqua che sgocciolava dalla tela impermeabile stesa tra due alberi. Non c’era un alito di vento. La pioggia cadeva verticalmente, senza interruzione, sotto forma di grandi gocce, ma quel riparo di fortuna era sufficiente a tenerli all’asciutto. Il fuoco era per il caffè e per la Maga; faceva abbastanza caldo, ma era sopportabile.
— Quando è nuvolo, Iperione è molto più scuro della California — disse a un certo momento Chris.
— Davvero? Non sapevo.
Lui le sorrise, ma senza alcuna superiorità. Pareva che anche lui avesse voglia di parlare.
— Qui, la luce ti inganna — disse. — Sembra abbastanza chiaro, ma è perché gli occhi si abituano. La luce ricevuta da Saturno è un centesimo di quella terrestre. Quando c’è qualcosa che blocca questa luce, si nota subito la differenza.
— Non sapevo. Noi ci regoliamo diversamente, nella Congrega. Apriamo le finestre per settimane di fila, per far crescere meglio le piante.
— Davvero? Mi piacerebbe saperne di più.
Lei gli parlò della vita nella Congrega, e trovò un ulteriore punto di somiglianza tra uomini e donne: era facile parlare con una persona che fosse un buon ascoltatore. Robin sapeva di non esserlo, e non se ne vergognava affatto, ma rispettava coloro che, come Chris, facevano in modo che gli altri si sentissero al centro dell’attenzione, e che davano l’impressione di essere completamente assorti in quello che si raccontava loro. Dapprima questo rispetto, concesso così a malincuore, la rese nervosa. Quello era un maschio, maledizione. Ormai non temeva più di essere aggredita due volte al giorno, ma si sentiva disorientata nel constatare che, dietro quel cespuglio di barba e quelle spalle troppo larghe, quell’uomo si comportava come si sarebbe comportata qualsiasi sorella.
Capiva che molti aspetti della Congrega gli sembravano davvero strani, anche se Chris non glielo diceva espressamente. Dapprima, questo le diede un po’ fastidio… come, un membro della società penista che si permetteva di pensare che il suo mondo fosse strano?… ma infine, cercando di essere onesta, dovette ammettere che tutti i costumi dovevano sembrare strani a coloro che non erano abituati a essi.
— Quei… tatuaggi, allora? Tutte li portano, nella Congrega?
— Esatto. Alcune ne hanno più di me, altre meno. Tutte hanno il Pentasma. — Inclinò la testa per fargli vedere il disegno che aveva attorno all’orecchio. — Di solito è attorno al segno della madre, ma il mio ventre è macchiato, e… — Chris aggrottava la fronte, senza capire. — Il… come lo chiamava, Gaby? L’ombelico. — Rise, ricordando la parola. — Che strano nome. Noi lo chiamiamo la prima finestra dell’anima, perché segna il vincolo più sacro, quello tra madre e figlia. Le finestre della testa sono le finestre della mente. Io sono stata accusata di eterodossia perché mi sono messa il Pentasma in modo che mi sorvegliasse la mente invece dell’anima, ma in tribunale mi sono difesa con successo citando la mia macchia. Le finestre dell’anima portano all’utero, sopra e sotto. — Si toccò l’ombelico e l’inguine, poi si affrettò a ritirare le mani perché si ricordò delle differenze tra lei e un uomo.
— Temo di non capire il particolare della macchia.
— Non posso avere figli. Avrebbero anch’essi il mio disturbo, così dicono i medici.
— Mi spiace.
Robin aggrottò le sopracciglia. — Non capisco questa abitudine di scusarsi di cose di cui non si è responsabili. O hai lavorato alla banca dello sperma Semen, di Atlanta Ga?
— Georgia — disse lui, sorridendo. — La G e la A sono l’abbreviazione di Georgia. No, non ci ho mai lavorato.
— Un giorno incontrerò l’uomo che lo ha fatto. Farà una morte poco comune.
— Non era una vera e propria scusa — spiegò lui. — Non in quel senso. Noi diciamo spesso che ci spiace, per dimostrare la nostra comprensione.
— Noi non vogliamo la comprensione di nessuno.
— Allora, ritiro l’offerta. — Il suo sorriso era contagioso, e presto Robin si trovò a sorridere con lui. — Anch’io ne ricevo fin troppa. Ma di solito lascio perdere, a meno che non abbia voglia di litigare.
Robin si chiese come potesse parlare con tanta indifferenza. I penisti erano molto diversi tra loro. Alcuni non capivano neppure cosa fosse l’onore. Altri erano molto suscettibili. Al suo arrivo, Robin aveva sopportato ingiurie che non avrebbe mai accettato da parte del suo popolo, e il motivo era che questa gente non sapeva cosa faceva. Dapprima lei aveva pensato che nessuno di loro avesse il minimo rispetto di sé, ma adesso era giunta a credere che Chris ne avesse un po’ (ma non molto); se era disposto ad accettare senza proteste la comprensione altrui, evidentemente non la considerava un pericolo per il suo senso di autonomia.
— A volte mi hanno accusato di essere litigiosa — ammise Robin. — Le sorelle, intendo. A volte possiamo accettare la comprensione altrui senza perdita di onore, allorché non implica superiorità da parte di chi la concede.
— Allora, hai la mia comprensione — disse Chris. — Da sofferente a sofferente.
— Accettata.
— Cosa intendi con "penista"?
— È il termine con cui definiamo la vostra società. È un termine delle prime sorelle.
— D’accordo. Perché vuoi uccidere quel tale in Georgia?
Senza volerlo, si trovò lanciata in una spiegazione di quello che le era stato fatto, nonché del motivo che aveva spinto a farlo, e questo portò a una descrizione della struttura di potere penista e del suo funzionamento.
Poi pensò che davanti a lei c’era un presunto membro di quella struttura. Stranamente, provò un certo imbarazzo. Gli aveva rivolto alcune accuse piuttosto gravi, e, dopotutto, lui non le aveva fatto niente, personalmente. La cosa aveva importanza? Robin non avrebbe più saputo dirlo.
— Almeno, adesso so cosa intendete con "penista" — commentò lui.
— Non intendevo accusarti personalmente — disse Robin. — Sono certa che vedi le cose in modo diverso, a causa dell’ambiente in cui sei cresciuto…
— Non esserne troppo sicura — disse lui. — Non posso certo condividere la tua idea di una enorme congiura, naturalmente. O, meglio, ammesso che ce ne sia una, nessuno mi ha mai invitato a partecipare alle riunioni. E credo che tu… che la tua Congrega… parta da un ritratto del mondo che è in gran parte superato. Se ho capito bene, su questo sei d’accordo anche tu, almeno in parte.
Lei alzò le spalle, tenendosi sulle sue. Aveva ragione; almeno in parte.
— Quando il vostro gruppo si è staccato dal resto dell’umanità, forse le cose erano brutte come dici. Io non c’ero, e anche se ci fossi stato, avrei fatto parte della classe degli oppressori e avrei pensato che fosse il giusto modo di vivere. Ma mi hanno detto che oggi le cose sono molto migliorate. Non dico che siano perfette. Le cose non sono mai perfette. Ma gran parte delle donne che conosco sono felici. Non pensano di dover ancora combattere molte battaglie.
— Meglio fermarsi a questo punto — lo avvertì Robin. — Gran parte delle donne sono sempre state contente del modo in cui andavano le cose, o almeno dicevano di esserlo. Questo risale al tempo in cui la società penista impediva ancora alle donne di votare. Solo perché noi della Congrega crediamo alcune cose che, come ho potuto vedere anch’io, sono esagerate o imprecise, non credere che siamo stupide. Sappiamo che la maggioranza è sempre disposta a lasciare che le cose rimangano come sono, ed è appunto per questo che bisogna trascinarla verso qualcosa di meglio. Il singolo schiavo può essere scontento della sua sorte, ma la maggioranza degli schiavi non farà mai niente per migliorarla. Anzi, la maggioranza non crede neppure che si possa fare qualcosa.
Chris allargò le mani e alzò le spalle. — Devo darti ragione. E io non potrei vedere l’oppressione, perché sono abituato a essa. Cosa pensi? Come ti sembra, la situazione, dato che tu sei una sorta di visitatore proveniente da un altro pianeta?
— Francamente, mi è parsa assai migliore di quanto non mi aspettassi. Almeno superficialmente. Ho dovuto rinunciare a vari preconcetti.
— Ottimo! — disse lui. — Molti preferirebbero morire, piuttosto di rinunciare ai loro preconcetti. Quando Gaby mi ha detto da dove venivi, l’ultima cosa che mi aspettavo era di scoprire che avevi una mentalità aperta. Ma cosa pensano le… ehm, donne peniste?
Robin provava una strana somma di emozioni. La più fastidiosa di tutte era il fatto di provare soddisfazione perché lui le aveva detto che aveva la mente aperta. E di provarla nonostante il modo in cui lui lo aveva detto, che poteva sembrare un insulto alla Congrega. Il gruppo chiuso, isolato, che probabilmente Robin gli aveva descritto, si sarebbe sempre tenuto fanaticamente stretto alle proprie idee. La Congrega non era affatto così, ma sarebbe stato difficile spiegarlo. Tutto l’insegnamento ricevuto da Robin tendeva a farle accettare l’universo così come era, come lei lo osservava, senza introdurre fattori arbitrari per renderlo uguale alle equazioni o alle ideologie.
Era stato facile rinunciare al concetto che i maschi avessero il pene lungo un metro e che passassero il loro tempo a stuprare le donne, o a farne mercato. (Ragionando rigorosamente, di quest’ultimo particolare, a dire il vero, non era stata ancora dimostrata la falsità; ma, se era una pratica che si verificava veramente, si trattava di un’attività sociale talmente ben nascosta che lei non era ancora riuscita a vederla). Si stava delineando davanti a lei un concetto alquanto inquietante: il maschio come persona. Non un essere umano che dipendeva unicamente dal proprio testosterone, poco più che un pene aggressivo, bensì una persona con cui si poteva parlare, e che riusciva addirittura a capire il punto di vista altrui. Questo filo di ragionamento, spinto fino alla sua logica conclusione, la conduceva a una possibilità quasi inconcepibile: il maschio come sorella.
Si accorse di essere stata in silenzio per troppo tempo.
— Le donne peniste? Oh, a dire il vero, non lo so ancora. Ho conosciuto una donna che vende il corpo, anche se dice che le cose non stanno proprio così. Io non capisco bene il concetto del denaro, e quindi non saprei dire. Sotto questo aspetto, le informazioni di Gaby e Cirocco sono peggio che inutili. Con la società umana che tu conosci, hanno poco a che vedere; addirittura meno di me. Devo dire che non conosco abbastanza la vostra cultura per comprendere il ruolo che in essa svolgono le donne.
Chris annuì nuovamente.
— Cos’hai nella borsa? — chiese.
— Il mio demone.
— Me lo fai vedere?
— Forse è meglio… — Ma lui aveva già aperto la borsa. Be’, che si arrangi, pensò lei. I morsi di Nasu facevano male, ma non erano pericolosi.
— Un serpente! — esclamò lui. Pareva felice della scoperta; infilò la mano nella borsa. — Un pito… no, un anaconda. E uno dei più belli che ho visto. Una femmina, vero? Come si chiama?
— Nasu. — Le spiaceva di non averlo avvertito, e si augurò che Nasu si decidesse a morderlo e a farla finita. Poi Robin si sarebbe scusata, perché era un brutto scherzo. Chris non poteva sapere che Nasu non si lasciava toccare da nessuno, salvo che da lei.
Ma lui aveva afferrato correttamente il serpente, mostrando il dovuto rispetto, e Nasu, maledizione a lei, gli si arrotolava allegramente sul braccio.
— Conosci i serpenti.
— Ne ho avuti diversi — disse Chris. — Ho lavorato in uno zoo per un anno, quando riuscivo ancora a lavorare. Io e i serpenti andiamo d’accordo.
Quando furono passati ben cinque minuti senza che Chris fosse stato morsicato, Robin dovette convincersi che le aveva detto la verità. E la cosa non fece che innervosirla ancora di più: Chris che sedeva con il suo demone avvolto attorno alla spalla. Cosa fare? La principale funzione di un demone era quella di avvertire della presenza di nemici. Una parte di lei sapeva che la cosa non aveva senso, così come non ne aveva l’infallibilità del terzo Occhio. Era una tradizione, niente di più. Non si era più nell’età della pietra.
Ma un’altra parte di lei, molto più profonda, guardava Chris e il serpente e non sapeva come comportarsi.