41 L’ingresso dei gladiatori

Quando uscirono dall’ascensore trovarono di nuovo il ballerino, elegante ed enigmatico come la volta precedente, faccia coperta dall’ombra del cappello, scarpe lucide come specchi, ghette immacolate, frac, bastone, cilindro. Robin e Chris si fermarono, timorosi di interrompere. Fece una serie di passi e contro-passi con somma disinvoltura, roteò su se stesso mantenendo la testa immobile mentre il corpo girava, e poi voltandola all’ultimo istante.

— Be’, io non capisco neppure le cattedrali — disse Chris, quando il ballerino fu sparito.

Robin non disse niente. Dalla sua precedente visita, sapeva già come Gea cantava e danzava per manipolare la gente allo scopo di divertirsi. Ogni particolare doveva avere un proprio significato, e lei non pensava di capirli tutti. La danza non le interessava, e adesso si chiedeva come fosse il canto.

— Continuo a fare quel sogno — disse. — Siamo seduti con Gea, e la prima cosa che dice è: "Allora, per la seconda parte del vostro test…"

Lui la guardò con la coda dell’occhio. — Vedo che non hai perso il senso dell’umorismo. Hai portato anche le bombolette puzzolenti e la polvere gratta-gratta?

— Le ho lasciate nella valigia.

— Peccato. Come vanno i piedi? Vuoi che ti aiuti?

— Ce la faccio, grazie. — Aveva già notato che non le servivano le stampelle, lassù sul mozzo. Aveva i piedi ancora bendati, ma in quella bassa gravità non le facevano male. Lei e Chris si avviarono verso il dedalo di edifici di pietra, questa volta senza una guida.

Il paradiso era esattamente come lo ricordava. C’era lo stesso tappeto di dimensioni ciclopiche, i divani e cuscini grossi come ippopotami, i bassi tavolini pieni di cibo. E c’era la stessa aria di allegria unita a disperazione. E in mezzo c’era la dea, che teneva imbandita corte perpetua per il suo seguito di angeli ebefrenici.

— Così i soldati ritornano dalla guerra — disse Gea, come per salutarli. — Un po’ più sottomessi, un po’ più curvi per le fatiche, ma, nel complesso, indenni.

— Non proprio — disse Chris. — Robin ha perso qualche dito.

— Oh, certo. Be’, vedrà che la cosa è stata messa a posto, se avrà la compiacenza di togliersi le bende.

Per tutto il tragitto Robin aveva avuto una strana sensazione ai piedi, ma aveva pensato che si trattasse del fenomeno dell’«arto fantasma», noto a tutti gli amputati. Ora si toccò il piede e si accorse che aveva di nuovo tutte le dita.

— No, no, non ringraziarmi. Non mi aspetto ringraziamenti, dato che non le avresti perse se non mi fossi intromessa io. E mi sono presa la libertà di correggere quello che doveva essere un errore di chi ti ha fatto il tatuaggio, quando ho rifatto il pezzo di serpente che prima decorava una delle dita perdute. Spero che la cosa non ti dia fastidio.

Le dava un fastidio pazzo, ma non disse niente. Avrebbe cercato la correzione, giurò a se stessa, e se la sarebbe fatta cancellare dal laser, per rifare il disegno esattamente come era prima. Gea aveva ragione nel dire che era più sottomessa… all’arrivo, per una frase come quella, Gea si sarebbe presa una pallottola… ma le rimaneva l’orgoglio sufficiente a non sopportare le intrusioni.

— Accomodatevi — disse Gea. — Prendete qualcosa. Sedetevi e raccontatemi tutto.

— Preferiamo stare in piedi — disse Chris.

— Speravamo che la cosa fosse breve — aggiunse Robin.

Gea li guardò entrambi con aria triste. Prese un bicchiere dal tavolo accanto a lei, e lo vuotò. Un sicofante accorse subito con un altro bicchiere e lo posò dove era rimasto il cerchio del primo.

— Ah, è così. Ormai dovrei aspettarmelo, ma questo genere di cose riesce sempre a sorprendermi. In una certa misura, capisco il vostro risentimento per essere stati messi alla prova prima di ricevere i miei doni. Ma considerate la mia posizione. Se dessi gratuitamente le cose che posso dare, presto sarei sommersa da tutti i mendicanti, procacciatori d’affari, pataccari, santoni, scrocconi e semplici alcolizzati da Mercurio a Plutone.

— Non vedo il problema — disse Robin, che non riuscì a trattenersi. — Ci sono ancora molte sedie vuote, e ne avete già una bella collezione. Potreste formare un coro.

— Oh, hai ancora la lingua tagliente. Peccato non essere umana e non poterne sentire le deliziose sferzate. Ma, ahimè, sono indifferente al tuo disprezzo, e dunque, perché sprecarlo? Risparmialo per coloro che sono deboli, che abbandonano i compagni nel momento del pericolo, che piangono e si disonorano nella profondità della loro paura. In breve, per coloro che non hanno superato le prove che hai superato tu.

Robin impallidì.

— Vi ha mai detto nessuno — si affrettò a dire Chris — che parlate come il capo dei banditi di un film giallo di serie B?

— Se intendi dirmelo tu, sei il dodicesimo di quest’anno. — Alzò le spalle. — Mi piacciono i vecchi film. Ma questa conversazione mi annoia. Tra pochi minuti ci sarà il secondo spettacolo della serata, e quindi…

— A cosa serve il ballerino? — chiese Robin. Non appena dette queste parole, fu la prima a sorprendersi, ma aveva l’impressione che fosse un particolare importante.

Gea sospirò.

— Non vi piace il mistero? Tutto deve essere sempre spiegato? Che c’è di male in qualche piccolo enigma a cui dedicare la vita per insaporirla un poco?

— Odio i misteri — disse Chris.

— Benissimo. Il ballerino è un incrocio tra Fred Astaire e Isadora Duncan, con qualche spruzzatina di Nijinsky, Baryshnikov, Drummond e Gray. Non le persone, anche se mi piacerebbe andare a rubare in qualche tomba per trovare dei geni adatti alla clonazione, ma omologhi ricavati dalle registrazioni fatte durante la loro vita, tradotti sotto forma di acido nucleico dalla sentitamente vostra, e insufflati del respiro della vita. Il ballerino è un abilissimo strumento della mia mente, e così lo è questa carne. — Gea s’interruppe per battersi sul petto. — Abilissimi, ma pur sempre strumenti. In un certo senso, sia lui che questa portavoce danzano nella mia mente; la portavoce per parlare con le creature effimere, e lui per uno scopo che passerò ora a descrivervi. Ma prima mi aspetto che nonostante la vostra disaffezione, abbiate la curiosità di conoscere la risposta a una certa domanda, ovvero: avete meritato oppure no l’anello dorato? Ritornerete a casa come siete, oppure guariti? — Sollevò un sopracciglio e li fissò a turno.

Robin, anche se non voleva confessarlo, era tutt’orecchi. Una parte di lei diceva che non era stata lei a fisssare le regole, e che, se aveva compiuto qualcosa di meritevole, sarebbe stato sciocco rifiutarlo. Ma un’altra parte di lei gridava al tradimento, e le diceva che non si era mai opposta con molta forza, che aveva sempre desiderato il premio. Ma non voleva che Gea vedesse la sua ansia.

— Mi piace sentire le vostre opinioni, prima di comunicarvi la mia decisione — disse Gea. Si appoggiò ailo schienale e incrociò le braccia sullo stomaco. — Prima tu, Robin.

— Nessuna opinione — disse lei. — Non so cosa sapete delle mie azioni, di quello che ho fatto e di quello che non sono riuscita a fare, ma, per quel che conta, potreste anche sapere tutto, fino ai miei segreti più riposti. Mi pare comunque che ci sia stato un curioso dietro-front. Prima io odiavo le vostre regole, mentre Chris ne era affascinato… almeno, mi pareva che lo fosse. Adesso non saprei. Ho molto riflettuto su ciò che mi è successo. Mi vergogno di molte cose, inclusa l’incapacità, al mio arrivo, di ammettere la debolezza umana. Fate quello che volete, ma qualcosa lo ho già guadagnato. Mi piacerebbe sapere cos’è esattamente, e preferirei non avere sofferto tanto per averlo, ma non sarei più disposta a ritornare a essere quella di prima.

— Non mi sembri del tutto soddisfatta di te.

— Non lo sono.

— La vita è più semplice, quando non si è costretti a guardarsi allo specchio. Ma non è un atteggiamento che possa durare in eterno.

— Suppongo di no.

— Il futuro ti riserva grandi soddisfazioni.

— Non saprei.

Gea alzò le spalle. — Potrei sbagliarmi. Non mi ammanto mai di infallibilità, quando prevedo il comportamento di creature dotate di libero arbitrio. Ho però una considerevole esperienza, e ho anch’io la convinzione che, come hai detto, indipendentemente dal fatto che tu abbia vinto il premio oppure no, tu sia stata rafforzata dalle tue esperienze.

— Può darsi.

— La mia decisione, dunque, è che ti sei guadagnata la cura.

Robin alzò la testa. Non intendeva ringraziare, ma le diede fastidio notare che Gea non si aspettava ringraziamenti.

— Anzi, a dire il vero sei già guarita e sei libera di andartene quando vuoi, anche se…

— Un momento. Come posso essere già guarita?

— Mentre guardavi il ballerino. Quando siete entrati nell’ascensore che vi ha portati qui, vi ho addormentato, esattamente come l’altra volta. L’altra volta è stato necessario farlo, per determinare la natura del disturbo e la cura, ammesso che la cura fosse possibile. Alcune cure non rientrano nelle mie possibilità. Senza l’esame non avrei potuto farvi la mia offerta. Ma questa volta l’ho fatto più per me che per voi. Dovevo sapere cosa avete fatto dall’ultima volta che ci siamo visti. Ho esaminato le vostre esperienze, le ho assaporate bene, e ho preso la mia decisione. Non vi siete accorti di alcun salto. Non vi siete accorti di svegliarvi, perché vi ho inserito nella mente il ricordo del viaggio nell’ascensore, e, quando vi ho fatto riprendere conoscenza, ho fatto coincidere il ballerino che danza nella mia mente con quello che danza in carne e ossa. Probabilmente avete avuto per un istante una leggera vertigine, ma ormai sono esperta in questo genere di cose e, anche se non starò a spiegare i miei metodi, vi assicuro che sono scientificamente esatti. Se avete qualche obiezione al mio modo di agire, vi ricordo…

— Un momento — disse Chris. — Se voi…

— Non interrompere — disse Gea, scuotendo un dito. — Verrà il tuo turno di parlare. Vi ricordo, dicevo, il vecchio consiglio di non accettare passaggi da sconosciuti. Specialmente qui.

— Ricordo un passaggio che non c’è stato — disse Robin, irritata. — In discesa. Adesso scopro che anche la risalita era un trucco.

— Non vi farò le mie scuse. Non devo farle, e non voglio farle. Tutti fanno il Grande Salto. Di solito rende consapevoli del rischio di morire. Chris, credo che tu sia l’unica persona, finora, che non si ricorderà del Grande Salto fino all’ultimo dei suoi giorni.

— Volevo dire che…

— Non ancora. Robin, stavi per dire qualcosa.

Robin fissò Gea con cattiveria.

— D’accordo. Come posso essere certa di essere guarita? Non potete aspettarvi che mi fidi di voi, dopo quello che mi avete fatto la scorsa volta.

Gea rise. — Già, suppongo di no. Qui non c’è l’associazione per la difesa del consumatore. E non nego una certa predilezione per i tiri mancini. Ma sotto questo aspetto la mia reputazione è impeccabile. Ti giuro che, escludendo le commozioni cerebrali, che, com’è noto, possono dare attacchi epilettici, non avrai ricadute nella tua malattia. — Si rivolse a Chris. — Adesso è il tuo turno. Credi di avere…

— Volevo dire una cosa. Non so se mi avete curato o no, ma, se lo avete fatto, non avreste dovuto. Non ne avevate il diritto.

Questa volta, Gea inarcò entrambe le sopracciglia.

— Non mi dire. Stavo per chiederti se credevi di avere meritato la cura, ma hai messo su una tale sfacciataggine che la risposta sarà certamente di sì.

— No, io non rispondo niente. Ma un’opinione ce l’ho. Mi avete spedito a fare l’eroe, e sono ritornato vivo. Già questo dovrebbe essere importante. Ma io non credo più agli eroi. Credo alla gente che vive come meglio può. Che fa quello che deve fare, e che molte volte non ha possibilità di scelta. Ho passato la prima parte del viaggio esaminando ogni azione che facevo, dal passare le rapide al lavarmi i denti, e chiedendomi se si trattava di un’azione eroica. Poi ho fatto alcune cose che, secondo me, superavano il test, e ho scoperto che il test era fasullo. Voi prendete i vostri metri di giudizio dagli albi a fumetti, e poi guardate ballare la gente. Vi odio.

— Davvero? Sei un po’ presuntuoso. Visto che non rispondi alla mia domanda, ti informo che anche tu sei guarito. Però, su cosa credi che abbia basato la mia decisione: sull’exploit con cui hai salvato la vita a Gaby su Febe, o sulla decisione di sopportare la noia per rimanere a fianco di Valiha?

— Voi… — Robin si accorse che Chris era in collera, e che faceva ogni sforzo per controllarsi. Questo perché, nel sentire il nome di Gaby, si era fatto la sua stessa domanda: fin dove arrivavano le conoscenze di Gea?

— Non desidero più guarire — disse Chris. — Non intendo ritornare sulla Terra, e qui i miei problemi hanno poca importanza. E non voglio accettare una cura da voi.

— Perché mi odii — disse Gea, distogliendo lo sguardo con aria annoiata. — Come hai detto prima. Certo, non puoi fare male ai titanidi, ma per quanto riguarda gli umani che abitano qui? Chi li proteggerà?

— Non intendo stare con gli umani. Inoltre, la mia malattia è migliorata. Da quando sono ritornato a Titantown, i miei episodi sono stati più uniformi e meno violenti. Sentite, io… lo ammetto. Non sono orgoglioso fino al punto di non accettare niente. Quello che ho detto prima non era vero. Pensavo che se mi aveste offerto una cura, vi avrei chiesto qualcosa d’altro. Voglio dire, avete affermato che mi ero meritato la guarigione. Pensavo che forse potevate sentirvi in debito nei miei confronti.

Adesso Gea sorrideva. Robin sapeva che quelle parole costituivano una grande umiliazione per Chris.

— Avevamo un contratto verbale — disse Gea. — Molto preciso. Ammetto che la parte del leone era mia, perché avevo stabilito io i termini, e non erano negoziabili, ma non dimenticare che sono io la padrona. Comunque, ardo dal desiderio di sapere qual era la proposta che, secondo te, potrei accettare. — Finse in modo esagerato di protendersi ad ascoltare, e batté varie volte gli occhi.

— L’avete fatto per Cirocco e Gaby — disse lui con calma, senza guardarla. — Se però volete che mi metta a implorarvi, vi annuncio fin d’ora che non sono disposto a farlo.

— Niente affatto — disse Gea. — Sapevo fin dall’inizio che non lo avresti fatto… ho idea di cosa ti costi rivolgermi questa richiesta, dopo tutte quelle alate parole… e rimarrei assai stupita, se tu lo facessi. Non mi sono mai sbagliata fino a questo punto, nel giudicare il carattere di un umano, anche se talvolta siete imprevedibili. Aspetto solo che tu lo dica. Sii chiaro. Che cosa desideri?

— La capacità di cantare il titanide.

La risata di Gea si riverberò nell’intero mozzo. Presto anche tutti i regolari spettatori del suo festival cinematografico celeste si unirono a essa, in base al noto principio che quel che fa ridere il padrone fa ridere anche i tirapiedi. Robin lo tenne d’occhio, pensando che volesse saltare alla gola di quella grassa donnetta dalla faccia di patata, ma, anche ora, Chris riuscì a trattenersi.

— No. No a entrambe le richieste. Non ti toglierò la cura, e non ti insegnerò a cantare. Avresti dovuto leggere le clausole-trappola del contratto, e conoscere meglio i tuoi desiderata, prima di venire qui. Io mi attengo alla lettera del contratto. Può sembrare duro da parte mia, ma troverai che le cose sono meno brutte di quanto tu creda. Quando ti ho guarito, c’è stata una fusione delle tue diverse personalità. Ti troverai un po’ più vicino a quelle tendenze violente che tanto fanno trepidare la tua sciacquetta titanide. Questo, unito a un più sapiente uso dell’uccello, dovrebbero tenere tranquilla e innamorata la bestia per almeno…

Chris le saltò addosso. Robin corse ad aiutarlo, ma dovette occuparsi degli sciami di ospiti di Gea, che, pur non essendo la più pericolosa banda di "duri" che Robin conoscesse, erano desiderosi di farsi belli agli occhi di Gea, se il prezzo si limitava a un naso rotto. Robin ne mise fuori combattimento una certa quantità. Diversi non si sarebbero alzati da terra per qualche tempo, ma alla fine riuscirono a farla cadere a terra e a bloccarla. Vide che anche Chris era a terra, e che Gea veniva accompagnata alla sua sedia.

— Fateli alzare — disse, sedendosi. Aveva le labbra sporche di sangue, ma rideva lo stesso. O forse rideva perché la zuffa le era piaciuta; Robin non lo sapeva. Robin si alzò e si mise accanto a Chris. Si era fatta male alla mano, e ora se la portò alla bocca per succhiarsi il punto ferito.

— Capito cosa voglio dire? — disse Gea, come se non fosse successo niente. — Il giovanotto che si è presentato quassù molto tempo fa non avrebbe mai fatto un gesto simile. E ne sono davvero soddisfatta, anche se hai un po’ esagerato, veramente. Ma ti propongo un accordo. Non credo che rimarrai a lungo. Conosco queste cose molto meglio di te, conosco l’amore dei titanidi, e so la differenza tra esso e quello umano. La tua amichetta tornerà presto a spalancare per altri le sue belle zampe… per piacere, frena i bollenti spiriti, non ricominciamo come prima. — Attese che Chris si calmasse. — La tua reazione dimostra che non ho torto. Non nego che lei ti ami, ma amerà anche altri. E prevedo che prenderai male la cosa. Partirai profondamente amareggiato.

— Siete pronta a scommettere?

— È questo l’accordo. Torna tra… diciamo, cinque miriariv. No, bando all’avarizia, facciamo quattro. Sono circa quattro anni e mezzo della Terra. Se vorrai ancora che ti tolga la cura e che ti insegni il canto, farò entrambe le cose per te. D’accordo?

— D’accordo. Ritornerò.

Robin non fu mai sicura se a quel punto Chris avesse smesso di parlare. Finalmente si era accorta di qual era il punto della mano che si stava succhiando. Lo guardò con orrore, gridò e si avventò. Ancora una volta Gea finì a terra, e Robin non ricordò altro. Si accorse poi che sedeva sul pavimento e che le faceva male il mignolo, dito che non doveva esserci. Se lo mordeva, e Chris cercava di farle aprire la bocca. Comunque, non ci fu bisogno di Chris. Lei riaprì la bocca da sola e si fissò con aria sorpresa i segni dei denti sulla pelle.

— Non ci riesco — disse.

— Non ci sei mai riuscita — le ricordò Gea. — Te l’eri tagliato con il coltello, ricordi? La storia che te l’eri strappato via a morsi era solo pubblicità. Eri molto abile nel farti propaganda, a quell’epoca. Per renderti celebre, ti saresti tagliata la pancia. Ho l’impressione che tu fossi una grande rompiballe, e che solo una madre potesse volerti bene. — Aveva il fiato corto. — E non sei cambiata. Veramente, ragazzi, dovete smetterla. Due volte nello stesso giorno? Devo sopportare aggressioni e percosse? Vi pare che un dio possa tollerare comportamenti simili?

Robin non dava più retta alle sue parole. Il triste era che Gea aveva ragione. Lei non era più la vecchia Robin, e quindi non aveva motivo di essere Robin dalle Nove Dita.

— Lasciate stare i convenevoli — disse Gea. — Toglietevi solo dai piedi.

Chris aiutò Robin a rialzarsi, e la tenne sottobraccio fino all’ascensore che, come ben sapevano, poteva farli precipitare ancora una volta per l’intero Raggio di Rea. Robin si chiedeva se il tatuaggio sul ventre fosse intatto, e si rendeva conto che per molto tempo non avrebbe avuto il coraggio di controllare.

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