C’erano molti lavori più facili di quello di condurre una titanide gravida e invalida lungo un territorio buio che avrebbe messo a dura prova una capra tibetana. Comunque, la compagnia era gradevole e la strada era segnata. All’inizio del cammino, Chris ignorava tutto del modo in cui nascevano i titanidi, ma quando si avvicinò il momento della nascita di Serpentone, ne seppe quanto Valiha, e comprese che in passato l’ignoranza aveva fatto sorgere in lui molte apprensioni inutili.
Ora sapeva per esempio che Valiha conosceva il sesso del nascituro fin dall’inizio, perché la cosa era stata decisa con gli altri due genitori. Sapeva, anche se non riusciva a crederlo, che Valiha era in comunicazione con il feto in un modo che lei stessa non era in grado di descrivere. Diceva che avevano deciso il nome insieme, anche se lei aveva influito sulla scelta per motivi estranei alla sua volontà. I titanidi avevano infatti l’abitudine di chiamare i bambini dal nome del primo strumento musicale posseduto. L’abitudine si andava perdendo, ma Valiha era una tradizionalista e aveva lavorato per qualche tempo al primo strumento del figlio: il "serpentone", un tubo sinuoso di legno, che si suonava come un corno da caccia. Nella caverna, la scelta dei materiali da costruzione era alquanto limitata.
Chris sapeva che il parto era indolore, che era breve, e che Serpentone, fin dalla nascita, sarebbe stato in grado di camminare e di parlare. Ma quando lei gli disse che sperava che il bambino parlasse inglese, il primo pensiero di Chris fu che si illudesse.
— Sì — disse Valiha. — Anche la Maga ha i suoi dubbi. Non è la prima volta che si cerca di mettere al mondo un bambino con due lingue materne. Eppure, la stessa Maga non ne esclude la possibilità. La nostra genetica è diversa dalla vostra. Per esempio, la Maga ha incrociato le uova titanidi con il materiale genetico di rane, pesci, cani e scimmie in laboratorio.
— Questo contrasta con tutte le mie conoscenze di genetica — disse Chris — ma devo confessare che sono scarse. Cosa c’entra con il fatto che Serpentone parli inglese? Anche se avesse un genitore umano, e tu dici che non lo ha, noi, alla nascita, sappiamo solo piangere.
— La Maga lo chiama effetto Lysenko — disse Valiha. — Ha dimostrato che i titanidi possono ereditare le caratteristiche acquisite. Noi, e intendo quelli di noi che credono che si possa trasmettere ai figli l’inglese, riteniamo che, con un rinforzo sufficiente, la cosa sia fattibile. Una volta mi hai chiesto se avevo mangiato il dizionario. In un certo senso, la cosa è vera. Per l’esperimento era necessario che tutti i genitori conoscessero tutte le parole inglesi. Per fortuna abbiamo buona memoria.
— Me ne sono accorto — disse Chris, e poi tacque. Qualche tempo dopo, le disse: — Non mi è chiaro il motivo. La vostra lingua è così bella. Io non la capisco, ma del resto, a quanto so, tolte Cirocco e Gaby, a cui è stato impiantato da Gea, nessun umano ha mai parlato bene il titanide.
— Vero. Noi conosciamo il linguaggio istintivamente, e gli umani non riescono a impararlo. I nostri canti non hanno una grammatica, e raramente sono gli stessi, anche quando esprimono lo stesso concetto. Secondo la Maga c’è una componente telepatica.
— Può darsi, ma quello che volevo dire è: perché tanta fatica? Perché farlo parlare inglese invece di titanide?
— Forse non hai capito — disse Valiha. — Serpentone conoscerà certamente il canto titanide. Non mi sognerei di togliergli questa capacità. Piuttosto, preferirei vederlo nascere con due sole gambe… oh, scusa.
Chris rise.
— Pensavo a un nostro proverbio: "Camminare con due sole gambe, tutte e due sinistre". Per indicare grande difficoltà.
— Non mi hai spiegato il motivo.
— È ovvio.
— Non per me.
Valiha sospirò. — Benissimo. Prima di tutto, l’inglese perché i primi umani giunti su Gea lo parlavano, e da allora si è diffuso. E il motivo per cui voglio insegnargli una lingua umana… ecco, dal giorno del primo contatto con noi, gli umani sono sempre cresciuti di numero. Non ne vengono molti, ma continuano a venirne. Mi sembra una buona idea conoscere il più possibile su di voi.
— I vicini antipatici che contano di rimanere, eh?
Valiha rifletté. — Non voglio dire male degli umani. Alcuni, come individui, sono del tutto a posto…
— Ma come razza siamo una scocciatura.
— Non intendevo dare giudizi.
— Perché no? Li puoi dare come chiunque altro. E non ti so dare torto. Siamo antipatici quando ci raduniamo a pensare e tiriamo fuori le bombe atomiche. E quanto a gran parte dei singoli individui… al diavolo. — Una punta di amor proprio lo indusse a tacere. Cercò qualche difesa per la sua razza, ma non riuscì a trovarne. — Sai — disse alla fine — adesso mi rendo conto che non ho mai trovato un titanide antipatico.
— Io ne conosco diversi — disse Valiha. — Ma di solito si va d’accordo anche con quelli. E non ho mai sentito parlare di un titanide che ne uccidesse un altro.
— È questo il punto, allora? Voialtri andate d’accordo tra voi molto meglio degli uomini?
— Devo dire di sì.
— Dimmi una cosa. Cosa ne pensi degli umani su Gea? Tu, e in generale gli altri titanidi. O non siete tutti d’accordo?
— Tutti d’accordo, no, ma la maggioranza ritiene che dovremmo poter esercitare un maggiore controllo. Non siamo la sola razza intelligente di Gea, e parliamo solo per noi, ma nelle regioni dove abitiamo, Iperione, Crio e Meti, vorremmo dire la nostra su coloro che entrano. Credo che ne manderemmo via il novanta per cento.
— Tanti così? — chiese Chris.
— Volevi una risposta franca. Gli umani hanno portato su Gea l’alcolismo: abbiamo sempre bevuto il vino, ma i liquori ad alta gradazione sono tossici per noi. Gli umani hanno portato le malattie veneree, uniche malattie terrestri che colpiscano anche noi.
— Mi ricorda gli indiani d’America.
— C’è qualche lato in comune, ma la situazione è diversa. Molte volte sulla Terra una tecnologia superiore ne ha sconfitto una inferiore. Su Gea, gli umani portano solo quello che possono, e la tecnologia ha poca importanza. Inoltre, noi non siamo una società primitiva. Ma non possiamo fare niente, perché gli umani godono di forti protezioni.
— Ossia?
— Gli umani piacciono a Gea. Nel senso che ama osservarli. Finché non si sarà stufata, dovremo accettare tutti quelli che arrivano. — Vide che Chris era preoccupato, e aggiunse: — So cosa pensi.
— Cosa?
— Che se si stabilissero dei criteri, tu non li supereresti.
Chris dovette ammettere che aveva ragione.
— Ti sbagli — disse Valiha. — Tu pensi ai tuoi periodi violenti. La cosa è più complessa. È facile trovare accuse contro gli umani. E la mia gente non ama gli umani pieni di pregiudizi, dalla mentalità piccina, quelli che si comportano male perché nessuno ha mai insegnato loro come vivere in una società civile. Il guaio degli umani è che devono imparare tutto, mentre noi nasciamo con già tutto dentro.
"Noi amiamo e odiamo insieme la vostra specie. Ammiriamo il fuoco delle vostre emozioni. In ciascuno di voi c’è un lato violento, e a noi non dispiace. E tra voi ci sono individui talmente brillanti da accecarci. I migliori di voi sono superiori ai migliori di noi. Cirocco è uno di loro, e così Gaby, Robin e tu. Cerchiamo da molto tempo di assorbire da voi questo fuoco. Per questo impariamo l’inglese."
Conoscere il processo della nascita dei titanidi era una cosa, ma comprendere il legame tra la mente della madre e quella del figlio era molto più complesso. Chris non capiva la natura di quel legame. Continuò a chiedere, e giunse a capire che, sì, lei poteva fare una domanda a Serpentone, e no, Serpentone non poteva dirle se conosceva l’inglese.
— Pensa sotto forma di immagini e di canti — gli spiegò Valiha. — Il canto si può tradurre solo emotivamente, e questo è il motivo che impedisce di compilare un dizionario inglese-titanide. Io ascolto e vedo quello che lui pensa.
— Allora, come hai potuto chiedergli se gli piaceva il suo nome?
— Ho costruito nella mia mente l’immagine dello strumento che potevo costruire qui, e gliel’ho trasmessa. Quando la sua mente mi ha trasmesso a sua volta una sensazione di piacere, ho capito che il nome Serpentone era di suo gradimento.
— Sa della mia presenza?
— Ne è perfettamente al corrente. Non conosce il tuo nome. Te lo chiederà poco dopo la nascita. Sa che ti amo.
— Sa che sono umano?
— Lo sa perfettamente.
— E cosa ne pensa? Ci saranno dei problemi?
Valiha gli sorrise. — Nascerà privo di pregiudizi. Da quel punto in poi, spetterà a te non fargliene venire.
Mancava ormai poco alla nascita, e Chris era nervoso come tutti i futuri padri nella sala d’attesa della clinica ostetrica.
— Ci sono ancora molte cose che non capisco — ammise. — Nascerà, si metterà a sedere, e comincerà subito a dire la sua opinione sul prezzo del caffè in Crio, oppure ci sarà una fase iniziale di suoni non articolati, come i nostri goo-goo e baa-baa?
Valiha rise. — Sarà debole e avrà la mente confusa — disse. — Guarderà molto, e parlerà poco. A questo stadio non ha una vera e propria intelligenza. È come se il suo sistema di ragionamento fosse stato impacchettato per la spedizione: occorre pulirlo e metterlo a punto prima che entri in funzione. Ma poi… — S’interruppe per ascoltare qualcosa che Chris non era in grado di udire, e sorrise.
— Continuerò più tardi — gli disse. — Sta quasi per nascere, e devo eseguire un rito, trasmesso di generazione in generazione nel mio Accordo.
— Certo — disse Chris.
— Potrei farlo nella mia lingua, ma, dato che Serpentone parlerà inglese, ho deciso di andare contro la tradizione e di cantarlo nella tua. La prima parte è fissa, poi aggiungerò la mia conclusione. — Si umettò le labbra e fissò nel vuoto. — "Gialli come il Cielo sono i Madrigale" — cominciò a cantare.
— «All’inizio c’era la Dea, e la Dea era la ruota, e la ruota era Gea. E Gea prese dal suo corpo un pezzo di carne e con esso diede vita ai primi titanidi e fece loro conoscere che Gea era la Dea. I titanidi non la contestarono. Parlarono a Gea, dicendo: ’Cosa vuoi che facciamo?’ E Gea rispose: ’Non dovrete avere altre Dee all’infuori di me. Crescete e moltiplicatevi, ma siate coscienti che lo spazio è limitato. Fate agli altri quello che volete che gli altri facciano a voi. Sappiate che quando morirete ritornerete alla polvere. E non venite a trovarmi con i vostri problemi, perché io non vi aiuterò.’ Così fu dato ai titanidi il fardello del libero arbitrio.
«‘Tra i primi ci fu Sarangi dalla Pelle Gialla. Si recò con molti altri al grande albero e giudicò che era buono. Fu lui a fondare l’Accordo del Madrigale. Guardò il mondo e seppe che la vita aveva un gusto gradevole, ma che un giorno sarebbe morto. Era un pensiero triste, ma ricordò le parole di Gea e si chiese se potesse continuare a vivere. Amò Dambak, Violoncello e Corno da Caccia. Cantarono insieme il Quartetto Mixolidio Diesis, e Sarangi divenne la retromadre di Flauto. Dambak fu l’antepadre, Violoncello l’antemadre e Corno da Caccia il retropadre.’»
Il canto proseguiva nello stesso tenore. Chris ascoltava la musica, perché quell’elenco di nomi non aveva molto significato per lui. L’albero genealogico seguiva soltanto la linea delle retromadri, citando però ogni volta anche gli altri genitori.
Anche Chris, al pari di Valiha, avrebbe potuto seguire i propri antenati per dieci generazioni, ma sapeva di risalire, attraverso migliaia di generazioni, fino alle scimmie, o ad Adamo ed Eva. Nel caso di Valiha, invece, tutta la storia della sua razza era concentrata in dieci generazioni. L’undicesima era rappresentata da Serpentone. Capì cosa significava essere un titanide, un membro di una razza artificiale. Le parole con cui si apriva il canto potevano essere vere, alla lettera. I titanidi erano stati creati verso il 1935.
Ma il canto era qualcosa di più che un elenco di retromadri e di gruppi costituitisi per dare origine alla successiva generazione. Di ciascuno, Valiha cantò le imprese: sia gli atti di coraggio, sia anche gli errori. Chris udì le grandi sofferenze degli anni della guerra con gli angeli. Poi giunse la Maga, e spesso il canto parlò degli stratagemmi adottati per richiamare la sua attenzione al Festival.
— "E Tabla ebbe il favore della Maga. Cantando l’Assolo Eolio, diede vita a Valiha, di cui finora si è cantato poco, e che lascia alle future generazioni il canto delle sue imprese. Valiha ha amato Hichiriki, nato col Quartetto Frigio in un altro ramo dell’Accordo Madrigale, e Cembalo, un Trio Lidio dell’Accordo del Preludio. Da loro nasce Serpentone (Trio Mixolidio Doppio Bemolle) Madrigale, che canterà il proprio canto."
Terminò, si schiarì la gola e si guardò le mani.
— In inglese — disse — è meno scorrevole che in titanide.
— Serpentone sarà orgoglioso dei suoi antenati — disse Chris. E aggiunse: — Però, questo non è proprio il migliore degli inizi, vero? — Indicò l’oscurità intorno a loro, le rocce spoglie. — Dovevano esserci anche Hichiriki, Cembalo, e gli altri tuoi amici, vero?
— Sì — disse lei, pensosa. — Anzi, avrei dovuto chiedere di cantare una parte anche a te.
— Te ne saresti pentita subito.
— Allora, canta qualcosa a bocca chiusa. Sta per nascere.
Era vero. Chris sentì il desiderio di fare qualcosa… bollire l’acqua, chiamare il medico, assistere Valiha. Ma il parto fu rapidissimo, e se c’era bisogno di assistenza medica, ne aveva bisogno Chris: di un tranquillante.
— Non posso fare niente?
— Segui le mie istruzioni — disse Valiha, ridendo. — Raccoglilo. … senza rovinare il cordone ombelicale, che gli serve ancora per qualche tempo. Portamelo. Sollevalo con due braccia, sotto lo stomaco. Il tronco cadrà in avanti; non fargli battere la testa, ma non preoccuparti.
Chris si avvicinò al piccolo titanide.
— Non respira!
— Non preoccuparti. Respirerà quando sarà pronto a farlo. Portamelo.
Serpentone era un mucchietto informe di ossa e di pelle bagnata. Per un momento, Chris non riuscì a capire quale parte fosse la testa; poi scorse una faccia aggraziata di bimbo di pochi anni, addormentata, con i capelli rosa appiccicati sulle guance. Un bimbo… no, perché aveva i seni già formati. E neppure una bambina. Era il solito aspetto dei titanidi, che agli occhi dei terrestri parevano una razza composta di sole femmine. Scorse il piccolo pene tra le zampe anteriori, completo di peluria rosa.
Cercò di sollevarlo, dapprima con cautela, e poi, dopo alcuni tentativi, mettendosi d’impegno. Serpentone pesava quanto lo stesso Chris. Aveva la pelle scivolosa, ma non c’era una goccia di sangue su di lui. Pareva un bambino di pochi anni, gravemente denutrito, con gambe simili a grissini, benché più lunghe di quelle dello stesso Chris. Aveva i fianchi stretti, il corpo corto e il torso lungo; quando Chris lo sollevò, il torso scivolò in avanti, come previsto. Quando Chris sciolse attentamente le spire del cordone ombelicale per portarlo alla madre, Serpentone si agitò e lo colpì alla caviglia, con una delle gambe posteriori. Valiha cantò qualcosa, e il piccolo si calmò subito.
Chris lo consegnò a Valiha, che lo sistemò davanti a sé e se lo appoggiò al petto. Serpentone aveva la testa che ciondolava. Chris notò che il cordone ombelicale non partiva dal centro dell’addome, ma dalla vagina posteriore del piccolo, e terminava nella vagina posteriore della madre. ,
Chris aveva già visto dei titanidi piccoli, ma non neonati. Serpentone gli sembrava… no, non brutto, ma strano, buffo. Del resto, anche i neonati umani gli erano sempre parsi buffi. Era un po’ imbarazzato e impacciato da tutta quell’esperienza, e questo gli dava fastidio: si conciliava male con l’immagine che Valiha aveva di lui come di un umano adulto, vigoroso e deciso, descrizione che era il miglior complimento da lui ricevuto da lungo tempo.
Serpentone tossì, e cominciò a respirare. Dopo qualche respiro affannoso, trovò il giusto ritmo, e a questo punto aprì gli occhi. O vide troppe cose insieme, o non riuscì a mettere a fuoco la vista: batté gli occhi e tornò a nascondere la faccia sul petto della madre.
— Per qualche tempo, sarà alquanto impacciato — disse Valiha. — Cosa pensi di lui?
— È bellissimo, Valiha.
Lei aggrottò la fronte e tornò a guardare il piccolo, come per controllare di averlo osservato bene. Poi disse: — Non parlerai sul serio. Dimmi la verità.
Chris, come un condannato sulla scala sul patibolo, si schiarì la gola e confessò: — È buffo…
— Proprio così — disse Valiha. — Ma presto migliorerà. Hai visto gli occhi?
Valiha gli pettinò i capelli, e Chris lo lavò e lo asciugò. Presto il cordone ombelicale si staccò. Dopo essere stato ripulito, Serpentone parve un po’ più robusto di prima. Presto i suoi muscoli trovarono il giusto tono e riuscì a sollevare il torso senza aiuto. Mentre si prendevano cura di lui, continuò a osservarli con i suoi occhi scintillanti, ma non disse una parola.
Valiha era emozionatissima. — Sai — disse — è un’esperienza meravigliosa. La ricordo perfettamente. Da un momento all’altro ti desti, passi da un mondo di puri desideri e pure sensazioni a uno pieno di oggetti e di creature. E senti il desiderio di parlare. Nel tuo cervello si forma la prima idea da comunicare agli altri. Conosci le parole, ma finché non hai l’esperienza, sono concetti un po’ misteriosi. Per un po’, sei pieno di domande, ma non devi mai chiedere il nome degli oggetti. Vedi una pietra e pensi: "Oh, ecco com’è fatto un sasso!". Poi la raccogli e pensi: "Ecco cosa vuol dire raccogliere un sasso". Questa sensazione di scoperta è così piacevole che il più diffuso sogno a occhi aperti dei titanidi è quello di poter rinascere per riviverlo. E per qualche tempo farà molte domande, anche se gran parte di esse saranno quelle che non hanno risposta. Cerca di essere paziente, e di non incoraggiarlo troppo al fatalismo. Avrà lui stesso il tempo di…
— Tu sei un umano — disse distintamente Serpentone, in inglese.
Chris rimase a bocca aperta. Serpentone sorrideva in modo arcano, come una piccola Monna Lisa.
— Sono un umano molto sorpreso… — cominciò a dire Chris, ma si bloccò. Pensò che doveva dire qualcosa che non fosse né troppo infantile né troppo scherzoso, e non sapeva cosa dire. Lo interruppe Serpentone.
— Come ti chiami? — chiese.
— Mi chiamo Chris.
— Io mi chiamo Serpentone.
— Piacere di fare la tua conoscenza.
Il piccolo gli sorrise. — Anch’io. — Si voltò verso la madre. — Valiha, dov’è il mio serpentone?
Lei gli porse lo strumento musicale; gli occhi del piccolo scintillarono quando lo ricevette e se lo fece girare tra le mani. Si portò l’imboccatura alle labbra e soffiò, e nell’aria echeggiò una nota in chiave di basso.
— Ho fame — disse poi. Valiha se lo accostò al seno, ma la curiosità del piccolo era troppo forte e non gli permetteva di concentrarsi sul latte materno: girava gli occhi da tutte le parti, cercava di spostare la testa. Guardò Chris, poi guardò lo strumento che stringeva nella mano, e Chris vide comparirgli negli occhi un’espressione di profonda meraviglia. In quel momento, Chris fu assolutamente certo che entrambi pensavano alla stessa cosa.
Ecco, questo è un serpentone.
Il piccolo si comportò come previsto da Valiha. Era goffo, e ansioso di fare. Quando ripresero il cammino, trotterellò per dieci minuti, poi si lanciò al galoppo. Pareva tutto gambe, e gran parte delle gambe era costituita dalle ginocchia. Quando sorrideva, non c’era più bisogno di uccelli-lampada.
Aveva un grande bisogno di affetto, e non gli risparmiarono vezzeggiamenti. Per vari giorni, comunque, Chris lo guardò con una punta di sospetto, aspettandosi che si mettesse nei guai, e dicendosi che la presenza di un giovane titanide scatenato l’avrebbe fatto invecchiare precocemente, ma alla fine cessò di preoccuparsi. Il piccolo conosceva i suoi limiti, e non li oltre passava mai. I piccoli titanidi avevano istintivamente una sorta di "limitatore", che impediva loro di mettersi nel pericolo. Qualche raro incidente capitava anche a loro, certo, ma la proporzione era quella con cui capitava agli adulti. Secondo Chris, forse era questa la differenza tra loro e gli umani: l’impossibilità di compiere qualcosa di temerario. Nel caso di Serpentone, però, gli pareva un’ottima cosa.
La presenza di Serpentone rallegrò talmente la loro esistenza che Chris cessò virtualmente di pensare a una cosa che l’aveva sempre preoccupato nella prima parte del viaggio. Ritornò a preoccuparsene quando trovarono gli abiti pesanti di Robin, sotto uno dei segni da lei lasciati sulle rocce.
— Le avevo detto di tenerli a tutti i costi! — esclamò, mostrandoli a Valiha. — Maledizione, quella non sa cosa sia il freddo, ti pare?
— Che gusto ha il freddo? — chiese Serpentone.
— Non posso risponderti, figlio — disse Valiha. — Dovrai attendere finché non l’avrai assaggiato di persona. Aveva altri vestiti, Chris. Indossandoli tutti…
— Chi è Robin, Chris?
— Una nostra buona amica, che era con noi prima della tua nascita — disse Chris. E aggiunse: — E che, se non la raggiungeremo, si troverà in un brutto guaio.
— Posso mettermi quei vestiti?
— Prova, ma ti terranno troppo caldo. Comunque, puoi portare i vestiti e queste altre cose. D’accordo?
— Sì, Chris. Se riesci a prendermi.
— Scordatelo, giovanotto. E piantala di prendermi in giro. Non è colpa mia se sei più veloce di me. Ma sai fare questo? — Si rizzò sulla punta di un piede, cosa del resto facile in quella bassa gravità, e fece una piroetta da danza classica, con un dito sulla cima della testa, seguita da un inchino. Valiha applaudì, e Serpentone lo guardò con sospetto.
— Come, su un piede solo? Io…
— Hai perso la scommessa. Adesso prendi questa roba e…
S’interruppe e si voltò indietro. Alle sue spalle si era accesa una luce più forte di quella che avesse visto da… non sapeva neppure lui da quanto. Udì un basso ronzio, e comprese che lo udiva già da qualche tempo, senza notarlo. Si udì un’esplosione lontano.
— Che cos’è?
— Aspetta. Non fare domande per qualche momento… Valiha, mettetevi dietro quelle rocce. State più bassi che potete…
All’improvviso, una voce prese a parlare al megafono. L’eco la distorceva, ma Chris udì il proprio nome e quello di Valiha. Si accesero altri bengala, che scesero lentamente, appesi a piccoli paracadute. Il rombo divenne quello di un elicottero. La voce quella di Cirocco.
Finalmente era venuta a prenderli.