27 Scoppi di fiamma

— Questa potrebbe essere la parte più pericolosa del viaggio — disse Cirocco.

— Non sono d’accordo — disse Gaby. — Giapeto sarà peggio.

— Pensavo che il peggiore di tutti fosse Oceano — commentò Chris.

Gaby scosse la testa. — Oceano è duro, ma non ho mai incontrato difficoltà a passare. Se ne sta tranquillo, con le orecchie basse, intento a macinare i suoi piani. Io non penso di poter sopravvivere fino al momento in cui passerà all’azione. Questi cervelli pensano in funzione dei millenni. Giapeto è la regione più ostile. Quando lo attraversi, puoi essere certo che ti noterà e che cercherà di fare qualcosa.

Il gruppo era radunato attorno alla base del cavo centrale di Febe, che, come quello di Iperione, sorgeva in un’ampia ansa del fiume. O, meglio, il cavo aveva creato l’ansa con un processo che Cirocco chiamava cedimento millenario. Dal tipo di sedimenti che si erano raccolti attorno al cavo risultava chiaro che in origine Ofione scorreva fra i vari trefoli. Con la messa in tensione della periferia, il territorio sotto il cavo si era sollevato e il fiume aveva trovato un nuovo alveo.

— Hai ragione per quanto riguarda Giapeto e Oceano — disse Cirocco. — Anche se dubito che Oceano rimanga tranquillo ancora per molto. Comunque, questo è l’unico posto dove due forti regionali opposti a Gea confinano tra loro. Rea è troppo pazzo per essere definito un nemico. Al di là di Teti c’è Tea, che è ancora fedele a Gea, e al di là ancora c’è Meti, che è nemico, ma codardo. Dione è morto, e dopo di lui…

— Uno dei cervelli regionali è morto? — chiese Robin. — Che ripercussioni ha avuto sulla regione?

— Meno di quello che pensi — disse Cirocco. — Dione ha avuto la sfortuna di trovarsi tra Meti e Giapeto allo scoppio della guerra. Era troppo fedele per collaborare con i ribelli o anche solo per rimanersene nelle retrovie, e di conseguenza fu attaccato e mortalmente ferito. È morto da tre o quattro secoli, ma il territorio funziona lo stesso. Giapeto ha cercato di impadronirsene, ma non ha avuto successo. Credo che Gea sia in grado di provvedere a gran parte delle necessità della zona.

— Laggiù — disse Gaby — ho dovuto fare un mucchio di lavori. Su Dione le cose si guastano molto più in fretta, ma è un posto abbastanza tranquillo.

— Comunque — continuò Cirocco — soltanto in questa zona, con Febe e Teti, ci sono due nemici di Gea fianco a fianco. Io, quando posso, preferisco attraversare la zona a bordo di un aerostato, e potete farlo anche voi, Chris e Robin, se volete lasciarci ora. Attraverseremo Febe e Teti con la massima rapidità, ma dovremo passare per via di terra, perché, anche se per il momento posso ancora chiamare un aerostato, nessuno di loro sarà disposto a prendermi dal centro di Febe per portarmi al centro di Teti, che sono i posti in cui devo andare. — Fissò prima Chris e poi Robin.

— Io resto — disse Robin. — Ma vorrei andarmene di qui. Ho paura che Kong abbia… capite. Ne ho ancora per due giorni.

— Finché dura il vento, noi siamo a posto — disse Gaby. — Se cambierà, ci metteremo in cammino molto in fretta, ve lo assicuro. E tu, Chris?

Anche Chris pensava a Kong, ma non nella maniera creduta da Robin. Non era particolarmente ansioso di diventare un eroe, vivo o morto che fosse, ma lo turbava una cosa: che era stata l’unica vera possibilità da lui avuta fino a quel momento.

— Io resto — disse.

Ai titanidi non piaceva Febe. Tendevano a sobbalzare a ogni minimo rumore. A un certo punto, Valiha per poco non salì su un piede a Robin. Rimasero accanto al fuoco a poca distanza dal cavo e intonarono i loro canti, attività che Chris giudicò analoga a quella di fischiare nel buio per farsi coraggio.

Non osò biasimarli. Aveva paura anche lui.

Cirocco aveva promesso di fare in fretta. Non si era parlato di qualcuno che la accompagnasse durante la visita a Febe, neppure di Gaby. La Maga sapeva che Febe non intendeva neppure svuotare la sua vasca di acido, e che quindi lei avrebbe dovuto comunicare come meglio poteva, dalle scale. Non c’era nessun motivo di prolungare l’incontro più del minimo indispensabile. Cirocco doveva chiedere a Febe di ritornare all’alleanza con Gea per godere dei benefici del suo amore: ossia, per evitare le conseguenze della sua collera, poiché Gea, anche se non era in grado di fare molto per migliorare la situazione di Febe, poteva causargli gravi danni. Febe si sarebbe rifiutato, e avrebbe detto a Cirocco di andarsene, accompagnando forse le sue parole con una dimostrazione di potere capace di impaurirla ma non di recarle danno. Febe non era uno sciocco. Sapeva che uno dei raggi era puntato su di lui come un cannone da assedio cosmico, e conosceva la Grande Stretta.

Cirocco aveva parlato con Chris della Grande Stretta, che era stata la maggiore arma di Gea durante la Rivolta di Oceano. L’interno di ciascun raggio era coperto di uno spesso strato verde, costituito di alberi della "foresta verticale". Verticale perché era verticale il terreno su cui spuntavano. Gli alberi crescevano orizzontalmente dalle pareti del raggio ed erano talmente grandi da fare impallidire una sequoia terrestre.

Per poter praticare la Grande Stretta, dapprima Gea aveva privato di umidità la foresta per varie settimane. Era diventata la più grande pila di legna da ardere che si fosse mai immaginata. Non fu necessario che Gea premesse troppo, per sradicare milioni di alberi che caddero sulla zona notturna sottostante. Aveva coperto in questo modo Oceano, dando fuoco ai tronchi e poi chiudendo la valvola inferiore del raggio. La tempesta di fuoco aveva carbonizzato Oceano fino allo strato di roccia. E pareva che Oceano avesse imparato la lezione, perché erano passati diecimila anni prima che avesse osato nuovamente sfidare Gea.

Le ore si trascinarono, e Cirocco non fece ritorno. Aveva già fatto così tante volte le scale che portavano ai cervelli regionali, che sapeva quasi al minuto la durata del percorso. Era improbabile che passasse con Phoebe più di un’ora, ma il tempo passò, scandito dal lento movimento dell’orologio giroscopico, e Cirocco non fece ritorno. Quando Gea ebbe terminato un’altra delle sue rivoluzioni di sessantun minuti, Chris chiese se non fosse il caso di preparare l’accampamento. Ma l’idea non incontrò molti sostenitori, anche se Robin e Chris erano svegli da molto tempo. Gaby non volle neppure discuterne; anche se non lo disse espressamente, tutti sapevano che se Cirocco non fosse ritornata presto, Gaby sarebbe andata alla ricerca della sua vecchia amica, con o senza l’aiuto degli altri.

Chris si allontanò dal gruppo e si stese sul terreno asciutto. Orientò il corpo in direzione da nord a sud, e si posò sulla pancia l’orologio di Gea, ponendone l’asse sul piano di rotazione est-ovest. Pretendere di vederlo muoversi era come pretendere di vedere l’acqua mentre si stava congelando, ma quando distolse lo sguardo per qualche istante e poi ritornò a guardare, lo spostamento divenne perfettamente visibile. Avevano anche un orologio meccanico, che era più utile perché funzionava sempre, indipendentemente dall’orientamento, ma quello era più divertente. Gli dava l’impressione di sentire Gea che ruotava sotto di lui. Ricordava un’esperienza analoga, da lui fatta in una notte chiara, sulla Terra, e all’improvviso provò uno struggente desiderio di ritornare a casa, guarito o non guarito. Sentirsi piccolo di fronte all’immensità del cielo stellato era assai più piacevole che alzare lo sguardo sullo scuro, titanico raggio che conduceva a un invisibile, ma tangibile, paradiso.

— Riprendete quelle borse, quadrupedi!

— Questa volta mi porti tu in spalla, Capitano? — gridò Cornamusa.

— Ehi, Rocky, come fai a stare in equilibrio?

Il ritorno di Cirocco fece perdere a Chris ogni sonnolenza. Il gruppo sì trasformò in un turbine di energia, e Cirocco indirizzò questa energia verso il compito di raccogliere i loro effetti e di portarli nelle canoe. Ma, alla fine, Gaby le rivolse la domanda che incuriosiva tutti.

— Allora, Rocky, com’è andata?

— Non male, direi. Era più… disposto a parlare delle altre volte. Ho quasi avuto l’impressione che fosse lui a… — Sollevò lo sguardo, diede un’occhiata a Chris, e poi serrò le labbra. — Ti dirò poi. Ma sento che c’è qualcosa che non va. Non si tratta di una cosa che si possa definire, ma ho avuto l’impressione che meditasse qualche suo piano. Più presto ce ne andremo di qui, meglio mi sentirò.

— Anch’io — disse Gaby. — Muoviamoci.

Nel salire in groppa a Valiha, anche Chris cominciò a preoccuparsi. Aveva le mani sudate, si sentiva un tremolio allo stomaco, vampate di calore che gli correvano lungo il corpo. Unendo questi sintomi a una sorta di presentimento che gli pareva di provare, era certo che fosse imminente un attacco del suo male.

E allora? Che succedesse pure; quelle persone erano in grado di badare a se stesse. Se qualcuno era destinato a farsi del male, quello era probabilmente lui. Non era la prima volta che provava il desiderio di avvertire dell’imminente scoppio di una crisi coloro che gli stavano accanto. Come tutte le altre volte, prima decise di non dire niente, poi cambiò idea, infine ritornò alla prima scelta. Quella titubanza costituiva una difesa perfetta, perché finiva col rimandare la decisione finché era troppo tardi.

Ma non questa volta! Si voltò verso Gaby, che cavalcava alla sua destra, a un metro da lui. E, voltandosi, vide con la coda di un occhio che Valiha si era girata a sua volta per guardarlo, e con la coda dell’altro occhio scorse un movimento.

E riuscì a vederla una frazione di secondo prima che la vedesse Valiha. Solo una bocca aperta piena di denti aguzzi, che si avvicinava in silenzio, e un cerchio tagliato da una sottile linea orizzontale. Era lontana, e poi divenne vicina; in un attimo. Non c’era tempo.

Chris saltò addosso a Gaby, e la colpì con forza sufficiente a staccarla dalla groppa di Salterio e a farla cadere a terra.

— A terra! Tutti a terra! — gridò, mentre Valiha gridava un allarme in titanide.

Il suono li colpì come un pugno, come una valanga, quando la bomba volante riaccese il motore e accelerò, a meno di un metro da terra. L’aria echeggiò del ritmo del suo motore; poi Chris fu accecato da quello che sembrava un lampo al magnesio, e il suono si abbassò nella lontananza. Si toccò la nuca, e si accorse che aveva i capelli bruciacchiati.

Gaby, che era ancora sotto di lui, si liberò, ansimando. Robin era stesa a terra, dieci metri più in là. Sollevava le mani davanti agli occhi, e dal pugno le uscì una sottile linea bianca, seguita immediatamente da una seconda. I proiettili poi esplosero come petardi, senza raggiungere il bersaglio.

— È sceso dal cavo! — esclamò Cirocco. — Tutti a terra!

Chris fece come diceva, e fissò la sagoma scura del cavo, sullo sfondo delle lontane sabbie di Teti. Capì cosa li avesse salvati: aveva scorto il movimento della bomba volante prima che arrivasse alla parte più bassa della sua traiettoria, durante la sua discesa da qualche punto del cavo.

— Eccone un’altra! — avvertì Cirocco. Chris cercò di appiattirsi a terra. Udì alla sua destra il rombo del secondo assalitore, seguito da due altri, a pochi secondi di distanza.

— Questa situazione mi piace poco — disse Gaby, parlando quasi all’orecchio di Chris. — I titanidi sono troppo grossi, e il terreno è troppo piatto. — Chris si voltò, e vide che Gaby era a pochi centimetri da lui, con la faccia sporca di terra. Gaby gli strinse la mano. — Grazie — gli mormorò.

— Non piace neanche a me — disse Cirocco. — Ma non possiamo ancora alzarci.

— Allora — suggerì Gaby — raggiungete il punto più basso che vedete. Svelti! Qui attorno, il punto più basso è quello dove si trova Salterio.

Il titanide era dietro di loro, a circa due metri di distanza, in una depressione che neppure per un grande ottimista poteva superare i quaranta centimetri.

Quando Chris si affiancò a loro, Gaby diede una pacca sul fianco a Salterio.

— Non alzarti a dare un’occhiata in giro, vecchio mio — gli disse Gaby.

— No, certo. E tu, Capo, tieni la testa bassa. — Poi Salterio tossì: un suono strano, quasi melodioso.

— Tutto a posto? — chiese Gaby.

— Mi devo essere fatto male cadendo. — Non volle dire di più.

— Ti faremo dare un’occhiata da Oboe, quando tutto sarà finito. Maledizione! — Si pulì la mano sui calzoni. — Siamo finiti nell’unico punto umido di questa maledetta collina?

— Nordovest! — gridò Valiha, da una posizione dove Chris non riusciva a scorgerla. Non cercò di vedere la bomba volante in avvicinamento: cercò solo di farsi piccolo piccolo. Il mostro passò su di loro con un profondo ruggito, seguito immediatamente da due altri. Chris si chiese perché il primo fosse giunto isolato, anziché in formazione.

Quando si azzardò a guardare, riuscì a vederne uno che si staccava dal cavo. Era solo un puntino, e si trovava probabilmente a una quota di tre chilometri. Era rimasto lassù, puntato verso il basso, in attesa dell’occasione giusta. Avrebbe potuto gettarsi su di loro mentre si avvicinavano al cavo, ma aveva preferito attendere, per coglierli alle spalle quando avessero lasciato il cavo.

Anche quest’ultimo essere, comunque, pareva avere capito l’inutilità del tentativo di catturare uno di loro. Passò a un’altezza di cinquanta metri, e ringhiò in tono di sfida. Un altro accese il motore quando ancora era a mezz’aria, e non resistette alla tentazione di passare su di loro alla stessa quota del compagno. Fu però un grave errore, perché offrì a Robin un bersaglio largo, entro la portata utile, con il tempo sufficiente per prendere la mira, e il tempo di sparare tre colpi. Il secondo e il terzo colpo andarono a segno. Chris riuscì a vedere bene la sagoma veloce, illuminata dai due lampi dei proiettili che esplodevano. Era un cilindro affusolato, con ali rigide nella parte posteriore e una doppia coda. Sotto l’ala si scorgeva un occhio. La bomba volante era un grosso squalo nero dei cieli, tutto bocca e appetito, con aggiunta di effetti sonori.

Per un momento parve che la creatura non fosse stata danneggiata dai colpi di Robin. Poi cominciò a perdere liquido incendiato che si riversò nel cielo, e infine l’intera zona fu illuminata da una violenta luce giallastra. Chris vide l’esplosione, ma per poco non riuscì a udirne il rumore, perché più alto saliva il grido di vittoria di Robin dalle Nove Dita.

— Dove siete, bombe volanti? — gridava la ragazza.

Tutti alzarono la testa per guardare la fine della creatura, che salì ancora per un breve tratto prima di iniziare la caduta che la portò a toccare terra sull’altra sponda dell’Ofione.

Passati altri dieci minuti senza scorgere traccia delle creature, Cirocco strisciò fino a Gaby e le suggerì di raggiungere le barche, di corsa. Chris era della stessa idea; certo, sul fiume c’era il pericolo di essere aggrediti, ma qualsiasi cosa era preferibile che starsene incollati su quel fazzoletto di terra.

— Giusto — disse Robin. — Ecco come dobbiamo fare: non bisogna perdere tempo; quando vi darò il segnale, gli umani monteranno in groppa ai titanidi, che si dirigeranno alle barche di gran carriera. Sedetevi al contrario, e tenete gli occhi bene aperti. Dobbiamo tenere sotto controllo tutte le direzioni, e dobbiamo essere pronti a gettarci a terra istantaneamente, perché può darsi che non abbiamo più di due o tre secondi. Qualche osservazione?

— Sali su un altro — disse Salterio, tranquillamente.

— Perché? È una cosa così grave? Ti sei rotto una gamba?

— Peggio, credo.

— Passami quella lampada, per piacere, Rocky. Grazie, adesso… — S’interruppe, gridò inorridita, lasciò cadere la lampada. Alla sua pallida luce, si era finalmente vista le mani e le braccia, che erano sporche di sangue color rosso scuro.

— Cosa ti ha fatto? — gemette Gaby. Si inginocchiò accanto a Salterio e cercò di girarlo. Cirocco gridò a Oboe di recarsi subito da lui, poi ordinò a Robin e Valiha di stare di guardia. Soltanto quando Cirocco ritornò a occuparsi del titanide ferito, Chris comprese che il fango appiccicaticcio che aveva sulla faccia e sul petto era mescolato al sangue perso da Salterio. Sorpreso, si spostò un poco più lontano, ma anche laggiù trovò il terreno cosparso di sangue. Il titanide ne aveva perso laghi, giaceva in una polla da lui stesso formata.

— No, no — disse, quando Gaby e Oboe cercarono di sollevarlo. Oboe si fermò, ma Gaby le ordinò di ricominciare. Invece di obbedire, però, la guaritrice titanide accostò la testa a quella di Salterio e auscultò per un attimo.

— Non serve — disse. — La sua morte è giunta.

— Non può essere morto.

— Vive ancora. Su, cantiamogli l’addio mentre è ancora in grado di ascoltarci.

Chris si allontanò, e andò a inginocchiarsi accanto a Robin. Lei non disse niente, si limitò a guardarlo per un momento, poi riprese a scrutare il cielo. Chris ricordò, con un brivido, che pochi minuti prima era sicuro di avere un attacco. In effetti, un attacco c’era stato, ma non del tipo da lui atteso.

Non si udiva altro rumore che il canto di Oboe e di Gaby. La voce di Oboe era dolce e melodiosa, priva di dolore. Chris si rammaricava di non poter capire le parole. Quanto a Gaby, non sarebbe mai stata un grande cantante, ma la cosa non aveva importanza. Piangeva, ma continuava a cantare. Alla fine rimasero solo i suoi singhiozzi.

Cirocco disse che occorreva voltare il corpo. Dovevano esaminare la ferita, disse, per capire cosa fosse successo e per conoscere meglio le bombe volanti. Gaby non fece obiezioni, e si limitò ad allontanarsi.

Quando fecero leva sulle gambe e lo girarono di lato, sul fango si rovesciò una massa informe e umida. Chris dovette allontanarsi e inginocchiarsi a terra. Lo stomaco continuò a sobbalzargli ancora a lungo, dopo essersi completamente svuotato.

Più tardi gli dissero che la ferita di Salterio era un taglio che correva lungo l’intero corpo, e che gli aveva quasi staccato il tronco dalla parte inferiore. A quanto pareva, la lunga ala di destra della bomba volante gli era passata lungo il fianco, pochi istanti dopo che Chris aveva gettato a terra Gaby. L’ala aveva fatto un taglio così netto da far pensare che la sua parte anteriore fosse affilata come un rasoio.

Portarono Salterio sulla riva del fiume, in un punto dove alcuni alberi offrivano una protezione dalle bombe volanti. Chris rimase con Robin, e osservò Gaby, che tagliò dalla testa di Salterio la fluente criniera arancione, si alzò, la annodò strettamente. Senza altre cerimonie, i titanidi fecero rotolare il corpo fino all’acqua e lo spinsero nella corrente con dei lunghi rami. Salterio divenne una forma scura che dondolava tra le onde. Chris lo continuò a osservare finché non scomparve alla vista.

Rimasero laggiù per altre dieci rivoluzioni, perché non volevano incontrare il corpo. Tutti erano svogliati, e nessuno aveva voglia di parlare. I titanidi passarono il tempo tessendo e cantando a bassa voce. Quando Chris chiese a Cirocco di tradurgli quei canti, lei gli rispose che parlavano di Salterio.

— Non sono canti particolarmente tristi — gli disse. — Nessuno di loro era amico intimo di Salterio. Ma neppure i suoi migliori amici terrebbero il lutto come facciamo noi. Ricorda, per loro se n’è andato definitivamente. Non esiste più. Ma è esistito, e se deve sopravvivere in qualche senso, sopravvive nei canti. Di conseguenza, ricordano cantando quello che era per loro. Cantano le azioni da lui compiute, quelle che lo hanno reso una persona amata. Non è molto diverso da quel che facciamo noi, a parte il fatto che non credono in una vita futura. E proprio per questo, secondo me, il loro canto funebre è tanto più importante.

— Io, personalmente, sono ateo — disse Chris.

— Anch’io. Ma è una cosa diversa. Entrambi abbiamo conosciuto il concetto di una vita dopo la morte e poi lo abbiamo rifiutato: lo abbiamo conosciuto anche se nessuno ce lo ha mai insegnato, perché tutte le culture umane sono impregnate di questa idea. Te la vedi costantemente sotto gli occhi. Quindi sono convinta che in fondo al nostro cervello, anche se lo neghiamo, c’è una parte di noi che spera che ci sbagliamo. Anche gli atei hanno esperienze di distacco della mente dal corpo, quando ritornano in vita dopo essere clinicamente morti. È una convinzione profonda della nostra mente, e non esiste nella loro. Quello che mi stupisce è che siano una razza così allegra, nonostante questa assenza di speranza. Mi chiedo se sia stata Gea a inserire in loro questa allegria, o se ci siano arrivati da soli. Non l’ho mai chiesto a Gea perché in realtà preferisco non saperlo: preferisco credere che abbiano la capacità di sollevarsi al di sopra della futilità del tutto, di amare così tanto la vita e di non chiedere altro a Gea.

Chris non aveva mai pensato ai vantaggi di quella che veniva definita una "decorosa sepoltura". Non poteva fare a meno, alla maniera umana, di pensare al corpo come alla persona: l’identificazione che spingeva gli umani a chiudere in una cassa i loro morti per tenere lontano i vermi, o di bruciarli per escludere ogni possibilità di ulteriori spoliazioni.

La sepoltura nel fiume aveva una sua poesia agreste, ma Ofione non si curava di rispettare i morti. Il fiume aveva depositato Salterio su un mucchio di fango, tre chilometri a valle. Quando passarono davanti a esso, i titanidi non lo degnarono neppure di uno sguardo. Chris invece non riuscì a staccare gli occhi dalla scena. Il cadavere coperto di animali spazzini intenti a divorarlo ritornò per molto tempo a turbare i suoi sonni.

Загрузка...