38 Un pezzo di bravura

Non si trattava semplicemente di ammettere che Chris aveva ragione. Robin se ne era resa conto fin dall’inizio. Partire da sola per un viaggio come quello era stato uno sbaglio.

Cercò di muovere il braccio, e riuscì finalmente a muovere la punta di un dito. Trangugiò lentamente la saliva. Uno dei suoi timori era sempre stato quello di affogare nella propria saliva. E poteva succedere. Così come poteva succedere di peggio. Per esempio, poteva scoprire, una volta ripreso il controllo, di essersi rotta la schiena. In tal caso era destinata a rimanere laggiù, al buio, per l’eternità, e anche se gran parte del tempo l’avrebbe trascorsa nella pace dell’oblio, le prime settimane non promettevano niente di buono.

Oppure, mentre era immobile, l’Uccello della Notte poteva calare su di lei e… be’, fare quello che faceva alle vittime immobilizzate.

Si sforzò di girare gli occhi per controllare se davvero, come temeva, l’Uccello della Notte fosse posato su una stretta cornice di roccia, poco sopra di lei. Ma, ancora una volta, non riuscì a scorgerlo.

Per scacciarlo, ricordò, bisogna fischiare. E poi si disse che era ridicolo. Aveva quasi vent’anni, e dall’età di sei non aveva più avuto paura dell’Uccello della Notte. Tuttavia, se in quel momento fosse riuscita a gonfiare le gote, si sarebbe messa a zufolare come un canarino.

Sapeva che i suoni lontani da lei uditi erano quelli di Chris e Valiha, o lo scroscio di ruscelli lontani, ma la sua immaginazione continuava a presentarle l’immagine dell’Uccello della Notte. Sapeva anche che un simile animale non era mai esistito, né sulla Terra né laggiù, e che era solo una storia che si raccontavano tra loro le bambine. Ma la caratteristica dell’Uccello della Notte era appunto quella di non lasciarsi vedere. Volava con ali d’ombra, e assaliva alle spalle; cambiava dimensione e forma per adattarsi a qualsiasi area buia: dentro una galleria, sotto una cuccetta, in un angolo dimenticato. E la creatura che la inseguiva. … ammesso che ci fosse davvero… si comportava come l’Uccello della Notte. Non si lasciava vedere. Si udiva soltanto, di tanto in tanto, il rumore secco degli artigli, del becco che si chiudeva di scatto.

Aveva visto che nelle caverne c’erano molti altri animali, oltre a quelli che aveva già incontrato, e anche varie specie di piante. C’erano lucertole trasparenti come vetro, con un numero variabile di gambe, da due a varie centinaia. Amavano il caldo, e diventavano sempre più numerose, cosicché, al suo risveglio, la prima cosa da fare era quella di toglierle dal sacco a pelo. C’erano animali simili a stelle di mare, e chiocciole aventi le forme più strane, l’una diversa dall’altra come i fiocchi di neve. Una volta aveva visto un uccello lampada catturato, in volo, da un predatore invisibile, e un’altra volta aveva scorto quello che forse era un pezzo del corpo di Gea privo della copertura di roccia, o forse era una creatura al cui confronto una balenottera azzurra avrebbe fatto la figura di un pesciolino. Non seppe mai che cosa era: le uniche caratteristiche da lei notate furono che la superficie era tiepida, che aveva la consistenza della carne o della gommapiuma e che, fortunatamente, non si muoveva.

E se tutte quelle creature vivevano in una caverna che a una prima occhiata sembrava solo una sterile distesa di rocce, perché non poteva esserci anche l’Uccello della Notte?

Prima di muoversi, attese di riavere il pieno controllo del suo corpo, e poi risalì in cima alla scarpata lungo cui era rotolata quando le avevano ceduto le gambe. Uno dei suoi uccelli lampada era morto schiacciato perché la gabbia era finita sotto di lei, e l’altro stava per morire, ma faceva ancora un po’ di luce. Prima controllò il proprio corpo, poi l’equipaggiamento. Aveva male a un fianco, ma non le parve di avere costole rotte. Si era rotta un’unghia e aveva vari graffi, ma niente di più. Un controllo dell’equipaggiamento che aveva ancora con sé dopo averne eliminato varie parti le mostrò che non mancava niente.

Non contava più le volte in cui aveva evitato di stretta misura il pericolo: mani che scivolavano sulla corda, rocce che cadevano a poca distanza da lei, sabbie mobili che fortunatamente risultavano poco profonde, l’onda di piena phe si avventava lungo il letto di un ruscello poco prima che lei lo attraversasse. Un tempo, quando era a casa propria, il pericolo la esaltava. Ora non più.

Il viaggio le era parso facile, quando ne aveva parlato con Chris e Valiha. Attraversare la caverna dirigendosi sempre a est, fino a raggiungere Tea. Ma presto si era accorta che la caverna non seguiva una linea retta, se non in modo assai approssimativo. Inoltre non sapeva se rimaneva sempre allo stesso livello. Il viaggio era iniziato alla profondità di cinque chilometri sotto la superficie di Gea. Lo strato di rocce che ricoprivano la struttura esterna di Gea era spesso trenta chilometri. C’era tutto lo spazio perché la caverna passasse sotto la camera di Tea.

Due semplici strumenti avrebbero potuto risolvere questi problemi di orientamento. Su Gea, salendo si diventava più leggeri, mentre scendendo ci si appesantiva. La differenza veniva misurata da un semplice dinamometro: una molla, un peso in fondo, e una scala graduata. Quanto alla direzione, l’orologio giroscopico permetteva di determinarla perché si fermava quando il suo asse era nella direzione nord-sud. Ruotandolo di novanta gradi, dal senso in cui prendeva a girare si determinavano l’ovest e l’est. Ma Gaby e Cirocco non avevano previsto di scendere, e non avevano preso con sé il dinamometro. E l’orologio era rimasto con Cornamusa.

Aveva dovuto procedere a tentoni, ritornando infinite volte sui suoi passi, dopo avere esplorato corridoi promettenti che però terminavano in qualche distesa di roccia. E aveva dovuto cancellare ogni volta le indicazioni lasciate per Chris e Valiha per segnarne delle altre. Il suo timore era quello di muoversi in cerchio, e di dover vedere un giorno davanti a sé l’accampamento che aveva lasciato tanto tempo prima. Forse, si diceva ogni tanto, era meglio sedersi ad aspettare che i compagni la raggiungessero. Chissà se le gambe di Valiha erano guarite, chissà se era già nato il piccolo titanide? Sarebbe stato bello avere di nuovo compagnia. In tre avrebbero potuto cercare meglio la strada, e Chris avrebbe fatto la sua parte di esplorazione, eliminando parte del rischio.

E ogni volta che questi pensieri le si erano affacciati alla mente, si era rimessa in cammino, più decisa di prima. Se aveva perso l’illusione dell’intrepidezza, almeno le rimaneva l’ostinazione. E una volta accettata la paura, poteva affrontarla e vincerla.

Dopo un tempo incommensurabile, trovò davanti a sé una galleria simile a quella di cui si erano serviti per uscire dalla sala di Teti. Niente di particolare in questo: ne aveva già esplorato un centinaio, tutte uguali tra loro. Ma ormai si aspettava così poco, che ciò che vide alla fine della galleria fu più che una sorpresa. Per un attimo non riuscì a muoversi a causa dello stupore. L’aria aveva un odore pungente. Si guardò a destra e a sinistra, poi in basso, e vide un sottile strato di liquido chiaro. I suoi stivali fumavano.

Fece un balzo indietro, e si affrettò a toglierseli. Per poco non entrava nell’acido…

— Tea! — esclamò. E poi le venne in mente che poteva essere Teti, o Febe, e che lei non aveva modo di saperlo. Dal punto in cui era, il corridoio continuava ancora a lungo, e lontano si scorgeva solo una macchia di luce che doveva essere il cervello regionale.

— Tea, ti devo parlare!

Tese l’orecchio, controllando il livello dell’acido che copriva il pavimento, poco lontano da lei. Se il livello fosse salito, Robin avrebbe insegnato agli uccelli-lampada l’arte della fuga.

Ricordò che la voce di Crio era molto bassa; forse quella di Tea non poteva giungere fino a lei. Gridò di nuovo. Si era aspettata un mucchio di guai, ma non che il cervello fosse irraggiungibile.

— Tea, sono Robin della Congrega, un’amica di Cirocco Jones, la Maga di Gea, Imperatrice dei Titanidi… — Cercò di farsi venire in mente i vari titoli di Cirocco, da lei uditi alla Casa della Melodia, pronunciati con irritazione da Gaby in un momento di sconforto, ma non gliene venne in mente nessuno.

— Sono un’amica della Maga — terminò, augurandosi che bastasse. — Se mi ascolti, devi sapere che sono qui per sua commissione. Ti devo parlare.

Tornò ad ascoltare, anche questa volta senza alcun risultato.

— Se mi stai già parlando, parla più forte, perché non ti sento — gridò. — Per la Maga è molto importante che io ti parli. Se abbasserai il livello dell’acido e mi permetterai di avvicinarmi, potremo parlare più agevolmente. — Stava per dire che la sua presenza non costituiva alcun pericolo per Tea, ma le ritornò in mente il tono di superiorità con cui Cirocco si era rivolta a Crio. Non sapeva se fosse pericoloso darsi le arie che si era data Cirocco; forse era la cosa peggiore da farsi. Ma era altrettanto possibile che Tea capisse solo la forza, e che la uccidesse al primo istante di debolezza.

— Ti devo assolutamente parlare — continuò, decisa. — E, perché possa farlo, devi abbassare il livello dell’acido. Ti comunico che Cirocco si inquieterà, e con lei Gea, se non farai come dico. Se ami e rispetti Gea, lasciami avvicinare. Se temi Gea, lasciami avvicinare!

Sembravano frasi vuote. Certo Tea era in grado di notare la paura che si nascondeva dietro quelle parole.

Ma il livello dell’acido si stava abbassando. Robin si avvicinò con cautela, e vide che dove prima ce n’erano alcuni centimetri, adesso ne rimaneva solo una sottile pellicola.

Si mise a sedere e aprì lo zaino. Si avvolse i piedi con degli stracci prima di infilarli nuovamente negli stivali, e poi si protesse anche gli stivali con altri stracci. Infine proseguì il cammino. Controllando dopo qualche passo, vide che la fasciatura resisteva all’acido.

A quanto pareva, anche Tea procedeva con cautela. L’acido si ritirava con una lentezza estenuante, ma alla fine Robin si trovò in una sala uguale a quella da lei vista in occasione delle visite a Crio e a Teti.

— Parla — disse la voce, e per poco Robin non corse via, perché era la voce di Teti. Con uno sforzo di volontà, dovette ricordarsi che anche Crio aveva la stessa voce piatta, disumana, priva di inflessioni, come costruita all’oscilloscopio.

— Non muoverti — proseguì la voce. — Pena la vita. Posso entrare in azione più rapidamente di quanto tu non creda, e perciò non fare affidamento sulle tue precedenti esperienze. Ho il diritto di ucciderti perché questa è la mia camera sacra, data a me da Gea medesima, inviolabile a tutti, fuorché alla Maga. Ringrazia la mia lunga amicizia con la Maga e il mio amore per Gea, se sei riuscita a giungere viva fin qui.

Non usa mezzi termini, pensò Robin. Quanto alle parole stesse… se le avesse pronunciate un umano, lei lo avrebbe giudicato pazzo. E forse Tea era pazzo, se la cosa poteva avere significato. Il termine "pazzia" era largo a sufficienza per coprire anche quella che era perfetta sanità di mente per un’intelligenza aliena.

— Se pensi di girarti e di fuggire — proseguì Tea, colto evidentemente da qualche sospetto — sappi che sono al corrente di quanto è successo quando hai visitato Teti. Sappi che Teti è stato colto alla sprovvista, mentre io, già da varie migliaia di rivoluzioni, sapevo del tuo imminente arrivo. Non c’è bisogno che riempia la mia sala. Sotto la superficie del fossato ho apprestato un organo capace di lanciare un getto di acido sufficientemente potente per farti a pezzi. Perciò, parla; o muori.

Robin pensò che le minacce di Tea erano un buon segno, così come la disponibilità a parlare era segno di un carattere particolarmente mite, per un dio di serie B.

— Ho già detto tutto quello che dovevo dire — fece, con tutta la fermezza possibile. — Dato che eri in ascolto, già conosci l’importanza della mia missione. Nel caso non mi avessi ascoltato, ripeterò quanto ho già detto. Ho un comunicato di grande importanza per Cirocco Jones, la Maga di Gea. Ha assoluta necessità di sapere quanto devo dirle. Se non potrò dirglielo, si offenderà.

Non appena detto questo, si morse la lingua. Davanti a lei c’era Tea, alleato di Gea, e l’informazione che lei portava a Cirocco era che Gea aveva ucciso Gaby. La cosa poteva avere poca importanza, ma c’era il rischio che Teti, che senza dubbio doveva averci avuto lo zampino, se ne fosse vantato con Tea. Dato che sapeva cosa era successo nella sala di Teti, tra Tea e lui doveva esserci comunicazione.

— Di che informazione si tratta?

— Questo riguarda solo la Maga. Se Gea vorrà fartelo sapere, te lo dirà lei.

Ci fu un silenzio in cui Robin invecchiò di almeno vent’anni. Poi, quando non giunse nessuno schizzo di acido, sentì il desiderio di gridare di gioia. Se poteva dire impunemente a Tea una cosa come quella, il rispetto di Tea nei riguardi di Cirocco doveva essere davvero grande.

Cominciò a muoversi verso la scala; lentamente, per non innervosire Tea. Dopo tre passi, Tea riprese a parlare.

— Ti ho detto di non muoverti. Dobbiamo chiarire ancora alcune cose.

— Non vedo quali possano essere. Oseresti fermare una persona che porta un messaggio per la Maga?

— L’osservazione può essere priva di importanza. Se ti distruggessi, come è mio diritto, anzi, come è mio obbligo secondo la legge di Gea, nessuno potrebbe riferirlo. La Maga non saprebbe mai che sei passata di qui.

— No, non è affatto tuo obbligo — obiettò Robin. — Io ho già visitato Crio. Sono stata nella sua sala, e non sono stata uccisa. È bastato il permesso della Maga. Lo so, e lo sai anche tu.

— La mia sala non è mai stata violata — disse Tea. — Così è, e così deve essere. Solo la Maga è stata dove stai ora tu.

— E io ritorno a dirti che ho visitato Crio. Nessuno è più fedele a Gea di Crio.

— La mia fedeltà a Gea non è seconda a nessuno — disse Tea, in tono di grande virtù.

— Allora devi fare come ha fatto Crio, e lasciarmi andare.

Forse si trattava di un complesso problema morale per Tea. Ci fu una lunga pausa.

— Se sei così fedele a Gea — riprese poi Robin — perché parli con Teti? — Si chiese se era la giusta cosa da dire. Ma ormai doveva continuare fino in fondo, senza cedimenti.

Tea non era uno sciocco. Capiva di essersi lasciato scappare un’indiscrezione, quando aveva ammesso di sapere cosa era accaduto nella sala di Teti. Perciò, invece di negare, rispose come Crio aveva risposto a Cirocco.

— Non si può fare a meno di ascoltare. È così che sono costruito. Teti è un traditore. Continua a sussurrare eresie. Tutto è immediatamente riferito a Gea, com’è naturale. Di tanto in tanto risulta utile.

Robin giunse alla conclusione che o Teti non sapeva cosa era successo a Gaby, o non lo aveva detto a Tea. Nonostante il gran parlare che si faceva degli occhi e delle orecchie di Gea che vedevano tutto, Robin aveva avuto l’impressione che i sensi di Teti non raggiungessero una grande distanza. Sospettava che l’ingresso alla sua sala, cinque chilometri sopra il suo livello, fosse troppo lontano per osservarlo direttamente. Tea, comunque, non sapeva nulla dei discorsi di Gaby: se avesse saputo qualcosa, l’avrebbe subito riferito a Gea, che avrebbe ordinato di non far conoscere a Cirocco le circostanze della morte di Gaby. In tal caso, Tea avrebbe ucciso Robin fin dall’inizio.

— Non hai risposto alla mia domanda — disse Tea. — Cosa mi vieta di ucciderti e di distruggere il tuo corpo?

— Mi stupisco di sentirti parlare di tradimento.

— Non ho intenzione di tradire.

— Eppure la Maga è la rappresentante di Gea, e tu vuoi ingannarla. Comunque, lasciamo da parte questo aspetto e consideriamo solo il lato pratico. La Maga, se è ancora viva, sa… — Detta questa frase, si accorse dell’errore.

— Non sai neppure se sia viva? — fece Tea, con voce stranamente insinuante.

— Non lo sapevo finché non sono entrata — si affrettò a dire Robin. — Ma, naturalmente, adesso è ovvio che è viva. Se non lo fosse, non mi avresti lasciato arrivare fin qui.

— Ammetto la verità di quello che dici. La Maga è viva. — Sulla superficie conica di Tea cominciarono a guizzare scintille rossastre. Robin si sarebbe allarmata, se non avesse già visto le stesse scintille su Crio, quando Cirocco l’aveva sgridato. Tea stava ricordando qualcosa di poco gradevole.

— Come dicevo, la Maga sa che io e i miei amici siamo scesi fino a Teti. I miei amici sono ancora vivi, e lo rimarranno a lungo. Presto o tardi, la Maga verrà a cercarli, e… — Nuove scintille, e Robin si chiese cosa aveva detto. Comunque, a quanto pareva, l’idea che Cirocco scendesse a cercare gli amici risultava alquanto allarmante agli occhi di Tea.

— La Maga verrà a cercarci — continuò. — Quando troverà i miei amici, saprà che sono venuta qui. Tu potrai dire che mi sono persa nelle grotte, ma la Maga non sarà soddisfatta finché non avrà trovato il mio corpo. E un corpo morto per cause naturali, e non bruciato dall’acido!

Tea non disse niente, e Robin si chiese se era davvero possibile che Cirocco scendesse a cercarli. Perché non era ancora venuta? Si era dimenticata di Gaby? Impossibile.

A quanto pareva, Tea doveva essere della stessa idea.

— Va’, allora — le disse. — Vattene in fretta, prima che cambi idea. Porta alla Maga il tuo messaggio, e che per tutta la tua vita ti sia di cattivo auspicio questa sfacciata dissacrazione della mia sala.

Robin pensò che se ci fosse stata un’altra strada, lei non si sarebbe certamente recata laggiù, ma si guardò bene dal dirlo. L’acido stava salendo, e c’era la possibilità che Tea riuscisse a orchestrare un incidente plausibile. Raggiunse di corsa la scala e cominciò a salire gli scalini a tre per volta.

Non rallentò quando, dietro di lei, la sala di Tea scomparve dietro una curva. Non intendeva fermarsi fino alla cima, ma alla fine la stanchezza la fece cadere in ginocchio e dovette riposarsi. Poi si rimise sulle spalle lo zaino e riprese a salire.

L’uscita della scala di Tea era coperta di neve. All’inizio, Robin non capì cosa fosse, e la studiò con cautela. Sapeva dai libri che la neve era soffice e morbida, ma questa non lo era affatto. Era dura e compatta.

Si infilò tutte le maglie e i vestiti che aveva, e si coprì con la coperta. Gli uccelli luminosi erano scomparsi, e intorno a lei tutto era buio. L’ultimo uccello da lei messo in gabbia era quasi morto. Salendo le scale di corsa, non aveva fatto in tempo a catturarne un altro.

Per prima cosa doveva uscire all’esterno, per cercare il mare crepuscolare e individuare la direzione dell’ovest. Cercò di ricordare se il cavo centrale di Tea si trovava a nord o a sud dell’Ofione, e non riuscì a ricordarlo, anche se era importante. Gaby aveva detto che il modo migliore per attraversare Tea era quello di mantenersi sul fiume ghiacciato. Sapeva comunque che il cavo era a poca distanza dal fiume: una volta orientatasi, contava di percorrere un breve tratto a sud, e se avesse visto che il terreno saliva, si sarebbe diretta a nord.

Prima ancora di uscire dalla foresta dei singoli fili costituenti il cavo, cominciò ad avere i brividi. Non si era immaginata che potesse fare così freddo. Era stato un errore abbandonare la giacca imbottita che Chris le aveva detto di portare con sé. Ma nelle grotte quel massiccio indumento la impacciava.

Per fortuna aveva ancora gli stivali, anche se aveva gettato via il rivestimento interno di pelliccia perché le faceva sudare il piede. Come gli altri indumenti, avevano sopportato bene l’uso. Strofinò con la neve le punte, per togliere i resti di acido, e pensò che se non si fosse messa presto in movimento, avrebbe corso il rischio di morire congelata. Pensò di riposarsi prima di partire, ma l’unico posto era la scala, e lei non voleva ritornare laggiù, dove forse Tea poteva raggiungerla.

Ricordava che il territorio attorno al cavo era dominato da una catena di montagne che correvano dagli altopiani settentrionali a quelli meridionali. Ofione seguiva un percorso quasi rettilineo in tutta la regione, e solo nel centro si suddivideva in due rami che poi si ricongiungevano in corrispondenza del cavo centrale. Uno dei due rami era sempre coperto di ghiaccio, ma l’altro, durante il ciclo climatico trentennale di Gea, si sgelava occasionalmente per dare una stentata primavera. Robin sapeva che quell’epoca era ancora lontana, ma pensava di non avere difficoltà a trovare il fiume coperto dal ghiaccio.

Dopo il primo chilometro, si alzò un forte vento gelido che le fece lacrimare gli occhi. Si fermò per coprirsi meglio con la coperta, facendo una sorta di cappuccio. Mentre si stava così sistemando, vide qualcosa che si avvicinava a lei. Non riuscì a scorgerlo bene, al buio e in mezzo alla neve, ma era bianco, grosso come un orso, con grandi braccia e molti denti. Si fermò a osservarla, e anche Robin lo osservò, finché l’essere non si avvicinò a lei.

Forse non aveva cattive intenzioni, ma lei non volle correre rischi. Colpito dal primo proiettile, l’animale si osservò con grande sorpresa la macchia rossa che gli si allargava sul pelo. Continuò ad avvicinarsi, e lei gli sparò contro l’intero caricatore: a questo punto l’animale si ripiegò su se stesso e non si mosse più. Robin, con le mani intirizzite, ricaricò l’arma. La creatura era immobile, ma lei non andò a controllare. Fece un largo giro attorno a essa, e riprese il cammino.

Giunta al fiume gelato dovette decidere da che parte recarsi. Era nel centro di Tea, e in entrambe le direzioni avrebbe dovuto percorrere duecento chilometri prima di incontrare la luce del giorno.

A est c’era Meti, che pareva caldo e invitante, ma che, secondo Cirocco, non lo era affatto. Meti era un nemico di Gea, ma meno pericoloso di Teti. A ovest, naturalmente, c’era Teti, il deserto. Chissà come, dai ghiacci di Tea sembrava meno brutto di prima. Poi Robin ripensò al calore delle dune, e ai fantasmi nascosti nella sabbia, e si diresse a est. In realtà non desiderava tornare indietro, ma almeno era rimasta ferma per qualche momento e non aveva pensato al freddo che cominciava a sentire ai piedi.

Presto il freddo cominciò a salirle in tutto il corpo, e sentì il desiderio di riposarsi, ma proseguì con ostinazione, anche se tendeva a entrare in un dormiveglia, a confondere la realtà con il sogno. Per vario tempo le parve di sostenere una lunga conversazione con Gaby, senza ricordare che Gaby era morta. Sparò contro una forma che si muoveva, che forse era un’altra di quelle creature simili a orsi, e forse era soltanto un mucchio di neve. Quando staccò le dita dal calcio della pistola, il metallo era talmente freddo che un brandellino di pelle le rimase attaccato.

La luce lampeggiante, quando la scorse, ore e ore più tardi, a tutta prima le parve una seccatura. Era inspiegabile. Doveva essere un’allucinazione. Ma quando urtò contro una trave verticale di metallo, si fermò, perplessa. C’era una luce rossa, lampeggiante. Scorse una costruzione posata su palafitte metalliche, a dieci metri d’altezza. C’era anche una scala a pioli che permetteva di salire.

Scorse una macchia chiara, accanto alla scala. E una targhetta, posta a circa un metro e mezzo d’altezza. Tolse la neve che la copriva e lesse:

GRUPPO EDILE PLAUGET
RIFUGIO N. 11
"BENVENUTI, VIAGGIATORI!"
Gaby Plauget, Prop.

Robin strabuzzò gli occhi e rilesse varie volte la scritta per paura che svanisse. Poi afferrò il primo piolo, ringraziando Gaby del fatto di averlo messo di legno e non di metallo come la sua pistola.

Si sollevò a forza di braccia, controllando dove metteva ogni volta i piedi, perché ormai erano insensibili. Tre scalini per volta. Dopo un tempo lunghissimo, si guardò in alto e le parve che la scala fosse ancora lunga come l’ascesa all’Everest.

La porta si aprì sopra di lei. Si sporse una faccia. Robin si augurò che fosse Cirocco, perché la Maga era l’unica persona che potesse trovarsi laggiù; la Maga aveva una salvataggio da fare, nella regione di Tea. Se si fosse trattato di chiunque altro, sarebbe stato un miraggio.

— Robin!

Sentì l’odore del caffè e del cibo che cuoceva. Troppo bello per essere vero, e inoltre non era Cirocco. La cosa era talmente ridicola che non valeva la pena di pensarci, perché la faccia era quella di Trini, la sua amante di mille anni prima, a Titantown. In quell’istante capì che era tutto un sogno, sia l’edificio, sia Trini.

Perciò si lasciò andare, e finì con la schiena contro un alto ammasso di neve, ai piedi della scala a pioli.

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