22 L’occhio dell’idolo

La sottomarina non aveva voglia di rinunciare alla sua euforia post-coitum per rimorchiare fino a Minerva la zattera. Cirocco si sporse sulla prua e cercò di convincerla parlandole in una lingua che univa i suoni più antipatici dell’asma e della tosse asinina, ma la luce del grande animale marino si allontanò in direzione dell’abisso. L’aerostato, che per parte del percorso avrebbe potuto aiutarli, disse che aveva degli affari urgenti a ovest. Gli aerostati erano sempre disposti a dare un passaggio, ma solo se si andava dove erano diretti loro.

Ma la cosa non fu grave. Poche ore più tardi, da ovest cominciò a soffiare una brezza: poco più tardi, la zattera giunse alla base del cavo verticale centrale di Rea.

Mentre si avvicinavano a esso, Robin lo studiò attentamente. Cirocco non aveva esagerato. Minerva non era veramente un’isola, ma solo una sorta di piattaforma. Era stata formata nel corso delle epoche geologiche da animali simili ai cirripedi, ai molluschi, ai coralli e ad altri animali sedentari dei mari della Terra. Il fatto che sembrasse un’isola era dovuto al livello dell’acqua, che si era abbassato nel corso dell’ultimo milione di anni, perché, invecchiando, i cavi si erano tesi, e Gea si era lentamente allargata. A questa tendenza doveva aggiungersi il ciclo stagionale della bassa marea, che aveva un ciclo breve di diciassette giorni e uno lungo di trent’anni. In quel momento si era a poca distanza dal "minimo" della lunga fluttuazione, e il corpo principale dell’isola, costituito dalla piattaforma attorno al cavo, era a cinquanta metri dal livello dell’acqua. Lo spessore della piattaforma era variabile. In alcuni punti la sua larghezza era più di cento metri; in altri punti la massa di sabbia e di conchiglie si era spezzata, o per il proprio peso o per opera delle onde, e il cavo s’innalzava verticalmente dall’acqua. Ma Robin vide che il cavo, a perdita d’occhio, era incrostato dei resti di organismi viventi. Due chilometri al di sopra della sua testa si trovavano i resti di organismi vissuti all’epoca in cui sulla Terra c’era il Pliocene.

Si chiese come intendessero ormeggiare la Costanza, visto che il più vicino punto d’approdo era a cinquanta metri di altezza, ma ebbe la risposta quando la zattera si diresse verso il lato sud del cavo. Laggiù, uno delle varie centinaia di trefoli si era rotto a poca distanza dal livello del mare. La parte superiore formava un ricciolo che si allontanava dal cavo, molto in alto. Quanto alla parte più bassa, i coralli l’avevano ricoperta e trasformata in una baia, che racchiudeva un’area circolare di terreno a soli cinque metri sul livello del mare.

La Costanza venne presto ormeggiata, e Robin seguì Gaby e Salterio che si erano avviati lungo una spaccatura tra gli "scogli", costituiti da conchiglie larghe più di un metro che contenevano ancora l’animale vivo. Infine si trovarono sulla parte piatta del trefolo che si era rotto, che aveva un diametro di duecento metri.

Era una strana spiaggia, che terminava ai piedi dell’illimitata parete verticale del cavo. C’erano alberi scheletrici che crescevano dai depositi di sabbia, e un laghetto chiaro e immobile, nei pressi del centro. L’intera zona era cosparsa di pezzi di legno trasportati dal mare e lisciviati dalle acque, bianchi come ossa.

— Ci fermeremo un giorno o due — disse Oboe, che passava con un enorme carico di teli da tenda. — Ti senti meglio?

— Sto bene, grazie. — Sorrise alla titanide, ma in realtà era ancora scossa dal suo ultimo attacco di paralisi. Fortunatamente, Oboe si era presa cura di lei: senza il suo aiuto, Robin si sarebbe certamente ferita.

Raggiunse Gaby e la prese sottobraccio.

— Perché ci fermiamo qui? — le chiese.

— È il punto panoramico di Rea — disse Gaby, indicando con il braccio la zona circostante. Ma la battuta non era molto felice. — In realtà, Rocky ha un lavoro da compiere. Ci vorranno due giorni, forse tre. Sei già stanca della nostra compagnia?

— No, ero solo curiosa di saperlo. Non dovrei esserlo?

— Sarebbe meglio di no. Ha delle cose da fare, e non posso dirti di cosa si tratta. Per il tuo bene, che mi creda o no. — Poi Gaby corse via, in direzione della zattera.

Robin si sedette su un tronco e guardò i titanidi e Chris che preparavano il campo. Un mese prima, si sarebbe alzata e sarebbe corsa ad aiutarli. L’avrebbe richiesto l’onore, perché rimanere seduta laggiù equivaleva a confessare la propria debolezza. Be’, maledizione, lei era davvero debole.

Se poteva confessarlo a se stessa, era merito di Oboe. La titanide aveva cantato per lei durante l’intero corso del suo recente attacco, in inglese e in titanide. Non aveva permesso a Robin di sottrarsi al suo aiuto, l’aveva costretta a prendere in considerazione altri modi di affrontare le sue crisi, oltre che con il puro coraggio. Quando era ritornata padrona delle proprie azioni, Robin si era accorta di non provare alcun fastidio per ciò che Oboe le aveva detto. Aveva saputo che Oboe era una guaritrice, attività che assommava in sé quella del medico, dello psichiatra, del confessore e del consolatore e forse anche altro. Robin aveva l’impressione che Oboe avrebbe fatto volentieri l’amore con lei nel modo privato, frontale, se la cosa fosse stata utile. Comunque, Oboe le aveva dato una pace mentale che non provava più da… non sapeva da quanto tempo: le pareva di essere uscita dall’utero materno già pronta a combattere contro il mondo intero.

Nasu si contorceva per uscire dalla borsa. Robin la aprì e lasciò che il serpente scivolasse un po’ sulla sabbia, sicura che non sarebbe andato lontano. Si frugò in tasca e trovò un pezzo di torrone avvolto in una foglia, lo tirò fuori dall’involucro e cominciò a succhiarlo. La sabbia era troppo fredda per i gusti di Nasu, che si avvolse attorno alla caviglia di Robin.

Cirocco era ferma davanti alla parete, senza muoversi, e fissava un’alta spaccatura verticale. Robin ne seguì con gli occhi il decorso, e capì che era lo spazio tra due fili del cavo. L’area in cui si trovavano, e che un tempo era uno di quei fili, era chiusa da tre di essi. Un’altra grande fessura come quella osservata da Cirocco si poteva scorgere tra il filo centrale e quello alla loro sinistra. Al di sotto della superficie del mare, evidentemente, i fili dovevano distaccarsi l’uno dall’altro. Ricordò la fotografia della montagna conica di Iperione, e della foresta che la copriva, sorte entrambe nella zona dove i fili del cavo si allargavano. Su quell’isola, invece, lo spazio tra i fili non superava i dieci metri, ed era parzialmente chiuso dalle conchiglie.

Vide che Gaby era ritornata, e che portava con sé un lume a petrolio. Gaby corse da Cirocco e glielo consegnò. Vide che confabulavano tra di loro, ma il suono della risacca le impedì di cogliere le parole. Cirocco diceva poche frasi, e chi parlava era soprattutto Gaby, e pareva piuttosto preoccupata. Cirocco continuava a scuotere la testa.

Alla fine, fu Gaby a cedere. Fissò Cirocco per un momento, e poi le due donne si abbracciarono: Gaby dovette rizzarsi in punta di piedi per baciare la vecchia compagna. Cirocco la abbracciò a sua volta, poi si infilò nell’apertura tra i fili del cavo. Si vide ancora per qualche tempo il chiarore del suo lume, e infine anche quello scomparve.

Gaby si recò sul bordo della spianata circolare, lontano da tutti. Si sedette a terra e si prese la testa fra le mani. Per due ore, non si mosse più.

Durante l’assenza di Cirocco, trascorsero il tempo riposandosi e giocando. La cosa non diede alcun fastidio ai titanidi, e neppure a Chris. Gaby rimase in preda al nervosismo per gran parte del tempo. Robin divenne sempre più annoiata a ogni ora che passava.

I titanidi le insegnarono a intagliare il legno, ma Robin non aveva pazienza. Voleva chiedere a Chris di insegnarle a nuotare, ma non intendeva rimanere nuda davanti a lui. Gaby risolse il problema suggerendole di mettersi il costume da bagno, e ne fu rapidamente improvvisato uno. L’idea di un costume da bagno era assolutamente inedita per Robin, come quella di mettersi le scarpe per fare la doccia, ma il costume fece il suo dovere. Prese tre lezioni di nuoto nel laghetto centrale. In cambio, insegnò a Chris la lotta, arte che lui non conosceva. Dovettero sospendere provvisoriamente le lezioni quando si accorse che era molto facile colpire i testicoli e che dopo colpiti facevano molto male. Le dispiacque sinceramente, ma come poteva saperlo?

Ci furono soltanto due episodi a ravvivare quei due giorni. Il primo si verificò subito dopo la partenza di Cirocco, quando Gaby parve desiderosa di un po’ di moto. Li condusse lungo un sentiero molto stretto, che portava all’alta piattaforma che correva tutt’attorno al cavo. Per un’ora, tutti e sette procedettero con cautela su un passaggio impervio e accidentato, a strapiombo sul mare, cinquanta metri più in basso. Fecero quasi mezzo giro del cavo, prima di raggiungere un punto dove il passaggio era interrotto. E lì, in una nicchia tra due fili del cavo, videro una bassa e tozza colonnina di pietra, su cui poggiava la statua dorata di una creatura aliena.

A Robin fece venire in mente la Regina Rospa di una favola della sua infanzia. Si trattava chiaramente di una creatura acquatica, con sei zampe che terminavano con larghi piedi palmati. Accovacciata sul suo piedestallo, fissava il mare, gobba e piatta. Sulla sua superficie non cresceva alcuna forma di vegetazione, ma portava collane di alghe ormai secche. Aveva un solo occhio, ora ridotto a un’orbita vuota.

— È qui da almeno diecimila anni — spiegò Gaby. — E in passato c’era un occhio, nell’orbita. Era un diamante grosso come la mia testa. L’ho visto una volta, e pareva emanare una luce sua propria. — Sferrò un calcio alla sabbia, e Robin, con grande stupore, vide uscire una creatura grande come un grosso cane, che si affrettò a scappare. Aveva sei zampe palmate, era gialla e assai brutta, e sotto la pelle si scorgeva un mucchio di ossa. Era alquanto diversa dalla statua, ma pareva conservare con essa una vaga rassomiglianza. Si voltò una volta sola, spalancò la bocca, mostrando varie migliaia di denti gialli e lunghi, soffiò minacciosamente contro di loro e continuò ad allontanarsi.

— Quelle creature erano così feroci che un lupo avrebbe avuto un attacco cardiaco soltanto a guardarle. Erano così veloci che, prima ancora di riuscire a scorgerle, ti trovavi già sbudellato. Si nascondevano sotto la sabbia come quella che abbiamo visto. Quando la prima ti saltava addosso, saltavano fuori anche le altre, da tutte le parti. Ne ho visto una che era stata colpita da sette fucilate, ma che è ancora riuscita a uccidere l’uomo che le aveva sparato.

— Che fine hanno fatto? — chiese Chris.

Gaby raccolse da terra una grossa conchiglia e la gettò contro la statua. Dalla sabbia sbucò immediatamente una decina di teste, che spalancavano minacciosamente la bocca. Robin impugnò la pistola, ma non fu necessario. Le creature si guardarono attorno, confuse, poi ritornarono a nascondersi.

— Erano qui per proteggere l’occhio dell’idolo — dise Gaby. — La razza che lo ha costruito è sparita da molto tempo. Soltanto Gea potrebbe descriverla. Tra l’altro, non si può neppure essere certi che fosse un idolo, perché qui non hanno mai venerato altri che Gea. Era una sorta di monumento, penso. Comunque, da migliaia di anni non se ne interessava più nessuno.

"Fino a cinquant’anni fa, beninteso. Fu allora che cominciarono ad arrivare i pellegrini, e Gea creò queste creature come caricature di quelle originali. Diede loro un’unica missione nella vita: quella di proteggere l’occhio a tutti i costi. E lo protessero bene. Nessuno riuscì a rubare l’occhio fino a quindici anni fa. Conoscevo almeno cinque persone che sono morte qui, dove siamo noi, e certo non furono le uniche.

"Ma una volta sparito l’occhio, ai guardiani non rimase più niente da fare. Gea non li aveva programmati perché si uccidessero, e quindi continuano così: mangiucchiano qualcosa, e diventano sempre più vecchi. Insomma, aspettano di morire."

— Dunque, tutto per mettere alla prova la gente — commentò Robin. — Quelle creature non esistevano neppure, prima che sfidasse la gente a… mettersi in viaggio per fare gli eroi… — Non riuscì a proseguire. Si sentì prendere nuovamente dall’ira.

— Esattamente. Quello che non vi ha detto, però, è che Gea è piena di posti come questo. Sono certa che vi ha raccontato la solita storiella dei cento e uno draghi, e delle gemme grosse come palloni. In realtà, questo posto è stato completamente battuto da generazioni di pellegrini, per tutti gli scorsi cinquant’anni, tutti alla ricerca di qualche eroica stupidaggine da compiere. Molti sono morti senza portare a termine l’impresa, ma se continueranno ad arrivarne degli altri, prima o poi non resterà nessuna impresa da compiere. I draghi sono quelli che se la sono vista più brutta. Ne restano pochi, mentre i pellegrini sono ancora tanti. Gea è in grado di tirare fuori in quattro e quattr’otto un nuovo drago quando ce n’è bisogno, ma ormai è alquanto in arretrato. Sta diventando vecchia, e non riuscirà più a recuperare. Ogni cosa si guasta, e passa del tempo prima che venga riparata. Non credo che restino più di una decina di draghi, e più di una ventina di monumenti da saccheggiare.

— C’è la crisi delle imprese eroiche — commentò Valiha, e non capì perché Robin scoppiasse a ridere.

Per tutta la strada del ritorno, Chris rimase di malumore. Robin sapeva che si immaginava intento a fare l’eroe, anche se lui stesso non se ne rendeva conto. In fin dei conti era un maschio, intrappolato nei suoi giochi penisti di soldatini. A Robin, l’assenza o la presenza di draghi risultava del tutto indifferente.

Il secondo episodio fu di natura assai diversa. Si verificò dopo il secondo periodo di sonno. Gaby, che la prima volta non aveva dormito, si svegliò e uscì dalla tenda, e scorse nella sabbia una serie di grosse impronte. Chiamò i titanidi, che si trovavano sulla zattera e che giunsero al galoppo. Al loro arrivo, anche Chris e Robin erano in piedi.

— Dove diavolo vi eravate cacciati? — chiese Gaby, indicando un’impronta che era lunga un metro.

— Riparavamo la Costanza — spiegò Cornamusa. — Oboe ha scoperto che il bordo era danneggiato dalle onde, e…

— E queste? Non dovevate occuparvi voi della…

— Ascolta un momento — disse Cornamusa, innervosito. — Tu stessa mi hai detto che sull’isola non c’era nessun pericolo. Né sulla terra né sul…

— Sì, sì, scusa. Non discutiamone più. — Robin non si sorprese affatto, nel vedere che Gaby faceva così in fretta retromarcia. I titanidi perdevano la calma così raramente, che lo spettacolo di un titanide irritato era sufficiente a riportare la serenità. — Osserviamo meglio.

Esaminarono attentamente le impronte, seguendo l’intera serie per vedere da dove proveniva la creatura e dove fosse diretta. Il risultato delle loro ricerche fu assai inquietante. Le impronte comparivano improvvisamente ai bordi della spianata, si dirigevano verso l’accampamento, facevano un giro attorno alla tenda di Gaby, poi svanivano nuovamente in direzione del mare.

— Che cosa poteva essere? — chiese Valiha, rivolta a Gaby, che, con un ginocchio a terra, studiava alla luce della lanterna una delle impronte.

— Vorrei saperlo anch’io. Mi sembrano le zampe di un uccello. Su Phoebe ci sono uccelli grossi come questo, ma non sono in grado né di volare né di nuotare, e non so come potrebbero arrivare fin qui. Oppure, può darsi che Gea abbia creato una nuova specie. Dovrebbe essere una sorta di pollo gigantesco.

— In qualsiasi caso — disse Robin — preferisco non incontrarlo.

— Neanch’io. — Gaby si rialzò in piedi. Era preoccupata. — Nessuno tocchi le impronte. Rocky vorrà vederle, quando ritornerà. Può darsi che lei sappia cosa sono.

Cirocco ritornò otto rivoluzioni più tardi, stanca e affamata, ma più sicura di sé di quando era partita. Robin notò che aveva ripreso a sorridere. Evidentemente, la sua missione era andata meglio del previsto.

Robin voleva dirle qualcosa, ma le uniche cose che le veniva no in mente erano del tipo: "Allora, com’è andata?" o: "Co s’hai fatto, di bello?" e Gaby l’aveva avvertita di non fare domande. Per il momento, lasciò perdere.

— Forse avevi ragione, Gaby — disse Cirocco, mentre si di rigevano all’accampamento. — Io ti garantisco che non volevo…

— Più tardi, Rocky. Prima, ti devo far vedere una cosa.

La condusse nel punto dove si trovavano le orme misteriose. Erano meno nette di prima, ma ancora leggibili. Cirocco si inginocchiò alla luce della lanterna, e sulla sua fronte si formarono delle rughe profonde. Pareva che l’idea stessa di una simile creatura fosse per lei ripugnante.

— Hai ragione — disse infine. — Non ho mai visto niente di simile, e ti assicuro che conosco bene questa maledetta ruota. — Cantò qualcosa in titanide. Robin guardò Oboe, che aggrottò la fronte.

— Liberamente tradotto, ha detto che a Gea piace fare degli scherzi come a tutte le divinità. Non è una cosa nuova.

— Una gallina gigante? — disse Cirocco, con aria dubitativa.

Robin non riuscì più a resistere.

— Scusatemi, ma devo fare una cosa… — disse, e corse via nell’oscurità. Quando giunse al bordo della spianata, scese fino a un gruppo di scogli non diversi da quelli dove era ormeggiata la zattera. Giunta in un punto dove gli altri non potevano vederla, cominciò a ridere. Cercò di fare meno rumore possibile, ma presto cominciò a sentire un dolore alla milza, e le spuntarono le lacrime. Non credeva che si potesse ridere di più; poi udì la voce di Gaby.

— Ehi, Rocky, vieni qui! Abbiamo trovato una penna!

Robin ritornò a ridere.

Quando infine riprese il controllo di se stessa, infilò il braccio in un crepaccio tra i coralli e prese due trampoli fatti di bastoni e conchiglie. Avevano legacci che permettevano di fissarli alle gambe, e un appoggio per il piede.

— Gaby e Cirocco — disse. — I maggiori esperti di forme viventi di Gea. — Si accostò alle labbra uno dei trampoli, e poi lo scagliò lontano.

— Sbrigati. Tra un poco arriverà Gaby, per vedere come stai — disse qualcuno. Robin sollevò gli occhi e vide Oboe. Le mostrò il secondo trampolo e lo lanciò a raggiungere il primo.

— Grazie del divertimento.

— Non c’è di che — disse Oboe. — Credo che Valiha abbia dei sospetti, ma non è il tipo che parla. — Rise. — Penso che questo viaggio mi piacerà. Ma niente scherzi con il sale, d’accordo?

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