42 Sulle ali dei venti

Cirocco sedeva su una sporgenza piatta di roccia, sopra la Casa del Vento, confine occidentale della formazione simile a una mesa che conferiva al cavo chiamato Scala di Cirocco l’aspetto di una mano affondata nel terreno dell’Iperione orientale. Sotto di lei, i singoli trefoli del cavo si allargavano come le nocche nodose delle dita, levigate da milioni di anni di vento continuo. Tra un filo e l’altro, dove ci sarebbe stata la pelle del palmo, si spalancavano grandi fori ellittici che inghiottivano l’aria e la facevano passare all’interno. Dai fili poi raggiungeva il lontano mozzo di Gea, per infine tornare a scendere lungo i vari raggi, nel grande ciclo di rimescolamento che era l’essenza della vita di Gea. Il terreno era brullo, ma una vita su scala molto più grande, che si manifestava in quel cavo, permeava l’intera zona fino alle sue più segrete molecole, e faceva vibrare a Cirocco tutte le ossa.

Gea era così maledettamente grande, ed era così facile lasciarsi prendere dalla disperazione.

Era possibile che in tutta la storia di Gea ci fosse stata una sola persona che avesse osato sfidarla. Cirocco, la grande Maga, aveva fatto solo finta, si era data le arie di poter davvero parlare a Gea da pari a pari, ma solo lei sapeva quanto fossero vuoti questi atteggiamenti. Solo lei conosceva la lista delle proprie criminali debolezze. Dapprima, Gea aveva dovuto pestare i piedi nelle vicinanze della Maga per richiamarla all’ordine. Ma poi, con il passare del tempo, non aveva neppure più avuto bisogno di alzare il piede; Cirocco stessa strisciava sotto le sue suole come un verme, convinta che farsi calpestare era giusto e santo.

E adesso era chiaro che si trattava dell’unico comportamento possibile. Colei che aveva osato ergersi a sfidare Gea era morta, e il suo corpo era stato consumato da quell’humus rabbioso che era il corpo di Gea. Era una grande lezione di realismo politico. Non c’era dubbio che Gaby era stata una sciocca. La sua ribellione, pietosamente debole, abbozzata, era scomparsa insieme con la sua vita. Non appena aveva mosso i primi passi, l’intera potenza di Gea si era scatenata su di lei. Gea aveva ucciso Gaby con la stessa indifferenza con cui un elefante addormentato poteva schiacciare una pulce.

Cirocco sedeva lassù da varie ore, senza muoversi, ma, quando udì il grido che giungeva dal basso, girò la testa e si alzò in piedi. All’inizio, l’angelo era solo una macchiolina alata, ma presto divenne più grande. Seguendo abilmente con le ali multicolori le ingannevoli correnti del vento, si posò a due metri di distanza da Cirocco. Dietro di lui c’erano altri cinque uomini alati.

— Sono ritornati a Titantown — disse l’angelo. Cirocco respirò, sollevata. Erano stati i ragazzi stessi a insistere per salire al mozzo. Evidentemente, erano troppo piccoli per meritare la collera di Gea. L’angelo sogguardava Cirocco, aggrottando le sopracciglia.

— Sei proprio sicura di volerlo fare? — le chiese.

— Non sono mai stata sicura di niente. Andiamo.

Accompagnata dagli angeli, raggiunse l’orlo del precipizio. Sotto di lei c’era il foro chiamato Grande Ululato, noto anche come Antevagina di Gea, per la sua forma di monumentale fessura verticale collocata tra due lunghi affioramenti rocciosi orizzontali simili a gambe. Vibrava costantemente, in una lugubre chiave di bordone.

Gli angeli le si misero alle spalle. Due di essi, uno per parte, le afferrarono le braccia con mani ferree. Gli altri quattro li avrebbero sostituiti più avanti, nel corso del rischioso volo nella completa oscurità.

Cirocco fece un passo al di là dell’orlo, e il vento la trascinò con sé come una foglia. Entrò nel cavo e cominciò a salire in direzione del mozzo.

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