In seguito, dopo i tranquilli funerali di Wexler nella Città Galleggiante, Byron capì che era giunto il momento di andarsene.
Ne aveva già parlato con Teresa, giorni prima. Si erano scambiati i saluti in privato e lui l’aveva tenuta per un attimo stretta tra le braccia.
— Non è necessario che te ne vada — gli aveva detto lei. Ma Byron aveva deciso. Era ora di tornare nel mondo.
Teresa gli aveva regalato la pietra.
— Non ne ho bisogno — gli aveva assicurato. Sul viso aveva un’espressione nuova, un sorriso da ragazzina. — Sono già stata laggiù.
Byron si allontanò con Ray lungo il canale. Era una giornata chiara e luminosa, il cielo si chinava a incontrare il mare, all’orizzonte. Byron spostò lo zaino da una spalla all’altra. Keller gli porse la mano.
Byron la strinse, pur vedendo l’amico tradire una smorfia. — Stai bene?
— Meglio, grazie. — Keller abbozzò un sorriso. — Hai la pietra?
Lui annuì. Era nello zaino.
Non sapeva bene perché l’avesse presa. Forse era stato l’istinto a suggerirgli che poteva tornare utile.
Strano, pensò. Wexler aveva passato la vita a cercare qualcosa di alieno in quelle pietre. Una saggezza più profonda, un modo per estraniarsi dal mondo. E invece non era così. Byron era stato testimone del cambiamento avvenuto in Teresa, a partire dalla notte in cui Oberg li aveva aggrediti. Sembrava che una vecchia frattura si fosse finalmente saldata. Era un cambiamento sottile, impercettibile come il suo nuovo modo di muovere gli occhi, ma molto profondo. All’improvviso, Byron aveva scoperto che non era più preoccupato per lei. Dunque le pietre non insegnavano il modo di uscire dal mondo, ma di rientrarci.
Tutti i debiti erano pagati. — Teresa si sta riprendendo molto bene — dichiarò. Poi aggiunse, d’impulso: — Abbi cura di lei, Ray. Fallo per me.
Keller annuì.
Byron si avviò deciso verso la terraferma. Si voltò di nuovo, dopo qualche passo, per fissare la sua immagine nella memoria. Keller con gli occhi pieni di un antico dolore, appoggiato a una rete metallica, il ginocchio piegato e la Città Galleggiante alle spalle. — Ora vivi qui — osservò.
Forse aveva ragione.
Keller tornò indietro costeggiando il canale. Avvertì, come già altre volte, una curiosa leggerezza. Erano i fili da Angelo privati della presa, pensò. Stavano seccando e morendo dentro di lui. Ma c’era di più.
Ora vivi qui.
Si arrampicò su un montante a catena e scorse l’oceano oltre la diga. L’oceano era implacabile, scuro, più vasto di quanto si potesse immaginare. Assomigliava alla memoria, non quella audiovisiva ma alla sua, che conservava i ricordi di Meg, di Teresa, di Byron, della sua vita. Un oceano ampio, profondo e misterioso. Un oceano che lo conteneva, più che non il contrario, e che non avrebbe tollerato un tradimento. Ma c’erano giorni come questo, pensò Keller, in cui le acque erano calmissime e sembravano augurargli un futuro luminoso.
Tornò sulla passerella e si diresse verso la vecchia baracca galleggiante. Teresa era ad attenderlo sulla soglia, tranquilla nella luce del sole. Un soffio di vento proveniente dal mare lo fece rabbrividire. Lei gli tenne aperta la porta. — È meglio rientrare — suggerì. — Fa freddo, qui fuori.