15

Erano stati lì, pensò Oberg.

La sua stanza d’albergo a Belem era vuota. Le finestre erano aperte e qualcuno aveva tirato indietro le tende ingiallite. Oberg aveva minacciato la polizia locale, e la polizia aveva fatto la voce grossa con la comunità di esuli americani. L’operazione aveva fruttato solo questo: una stanza vuota. Che però non era vuota da molto tempo.

Il suo vero nemico era stato il tempo. Il viaggio da Pau Seco a quella rumorosa città amazzonica di pescatori era piuttosto lungo, specie se compiuto in autobus. Eppure loro erano stati lì. Lui lo sentiva.

Restò in silenzio, cercando di concentrare la propria capacità di percezione.

Era qualcosa di più sottile di un profumo. Resisteva a dispetto del fetore del Ver-o-Peso e della polvere antica dell’albergo. Erano le tracce dello stesso oneirolita, pensò Oberg, le sue esalazioni aliene che aleggiavano nell’aria. Impronte di altri mondi.

Sapeva anche dove erano andati.

Un cane sciolto, così l’aveva definito il capo della base operativa brasiliana. Forse lo era, pensò Oberg. Forse era proprio un cane sciolto. Ma sapeva dove andare.


Il capo della base operativa all’ambasciata americana di Brasilia era un corpulento plurilaureato di Harvard di nome Wyskopf. Oberg lo contattò il giorno dopo il suo arrivo a Belem, per telefono, con più di una settimana di ritardo. La cosa irritò Wyskopf, che lo richiamò subito alla base.

— Non ho ancora finito qui — replicò Oberg, guardando nell’obiettivo del telefono. — Sono molto vicino.

Avrebbe potuto dire qualcosa di più accomodante, ma il viaggio da Pau Seco era stato lungo e lui si sentiva troppo stanco per trattare Wyskopf con diplomazia. Gli incarichi andavano portati a termine, pensò. Era una regola fondamentale.

L’altro aveva sospirato, concedendogli la sua immensa pazienza anche attraverso chilometri e chilometri di fibre ottiche. — Lavoriamo per la stessa gente — replicò. — Sono dalla vostra parte, d’accordo? Ma guardiamo la faccenda da un punto di vista meno ristretto. Non possiamo destinare una quantità infinita di risorse a questo scopo.

— Volete lasciar perdere?

— Non esattamente — rispose Wyskopf, e Oberg capì all’improvviso che invece volevano proprio lasciar perdere e che Wyskopf stava solo cercando una maniera indolore per comunicarglielo. Mio Dio, pensò allarmato. Ancora non capiscono!

— State facendo un errore — disse.

— Non sta a voi affermarlo. Non sta a voi insegnarmi il mio mestiere. — Silenzio per una frazione di secondo, poi di nuovo un sospiro. — Oltretutto non dipende da me. Ho ricevuto l’ordine di farvi rientrare. Questo è tutto.

Oberg strizzò le palpebre. Aveva passato tre giorni in viaggio, senza dormire molto. Si sentiva un po’ stordito, e stranamente distaccato. Erano solo parole, non contavano poi molto. Ma l’ignoranza di Wyskopf lo offendeva, e glielo disse.

— Ho qui il vostro profilo psicologico — ribatté Wyskopf. — Avrei potuto benissimo immaginarlo. Siete ossessivo e avete un complesso di persecuzione grande come un autocarro. Ho una pila di reclami sulla scrivania, provenienti dalla SUDAM, dall’esercito e da una mezza dozzina di funzionali civili. È stata una pessima decisione quella di inviarvi laggiù e continuerò a ripeterlo a chiunque me lo chieda. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è proprio un cane sciolto che vada in giro a smuovere le acque. — Si chinò verso la telecamera. — Ignorate il mio ordine di rientrare e vi assicuro che mi renderete un grosso favore.

— Voi non capite. La pietra…

— La pietra ha preso il volo! È ora di ammetterlo, non credete? Per fortuna nessuno, nemmeno al mercato nero, vorrà comperarla. Come droga è molto pericolosa. Orrenda. Dunque, lasciamola perdere! Con ogni probabilità scomparirà nella Città Galleggiante e non ne sentiremo più parlare. Nel frattempo rafforzeremo la sorveglianza a Pau Seco e negli istituti di ricerca. Presto o tardi ci sarà una fuga, è naturale, ma a quel punto avremo almeno il vantaggio di un’indagine preliminare.

— Non si tratta solo di quello.

— Mi rifiuto di discuterne ancora. Questa è politica. Mi capite, signor Oberg? Siete richiamato alla base. Voglio che domattina vi presentiate in questo ufficio, pronto a farmi le vostre scuse.

Oberg rimase sbalordito. — Non posso.

— Rifiutate? — Nella voce di Wyskopf aleggiò quasi una nota di sollievo.

— Sì — rispose Oberg. — Andate al diavolo. Rifiuto. Voi non capite. Voi…

— Stronzate — tagliò corto Wyskopf.

Lo schermo si svuotò.


Nessuno di loro capiva.

Oberg andò in un bar, placò l’appetito con un piatto di feijoada, bevve e giocò a carte con tre pescatori. Vinse, e poi, continuando a bere, perse tutto. Camminò a lungo nelle strade buie e deserte della notte, da solo. Era un soldato, un veterano e un patriota, pensò. Ed era arrivato più vicino a quella dannata cosa di tutti i carrieristi delle agenzie federali.

Ne era stato toccato. Letteralmente.

Era uscito dalla guerra con due decorazioni e un grande rispetto per gli orrori del combattimento. Aveva visto spettacoli terribili, aveva partecipato ad azioni spaventose… ma questo era nella natura della guerra, e non ci si poteva tirare indietro. La guerra era una condizione della mente. La guerra era tutto o niente. Così gli avevano insegnato al corso di addestramento. Oberg aveva fatto parte di un battaglione speciale composto da soggetti che gli psicologi definivano "Aggressivi Latenti". Erano uomini altamente motivati, predisposti alla violenza. Si erano offerti tutti come volontari, anche Oberg. O meglio, era stata la sua mappa genetica a rendere inevitabile il volontariato. Secondo gli esami, possedeva tutti i tratti caratteristici: scarico a punta nel cervelietto, periodici episodi di spersonalizzazione, un sistema endorfinico striminzito, un passato di violenze minori. Il suo co, un contadino georgiano di nome Toller, gli spiegò che loro erano unici, proprio perché nati senza il "bernoccolo della simpatia". Sogghignava, dicendolo. Dio ci ha fatti così. Ed era vero, no? Forse banale ma innegabile.

Si autodefinivano Creati da Dio. Le truppe alla base di approvvigionamento li chiamavano Trucidabambini.

Erano il battaglione del terrore. Penetravano nelle zone di guerriglia ed effettuavano incursioni punitive nei villaggi di posseiros, distruggendo i raccolti, bruciando le case, radendo al suolo le basi politiche ed economiche dei guerriglieri. Era un compito vile e sanguinario. Su questo erano tutti d’accordo. Ma era adatto a loro. Dio ci ha fatti così.

Oberg salì di grado e acquistò una certa notorietà.

Non gli importava ricordare che cosa era successo in quegli anni. L’aspetto positivo era che la guerra gli aveva dato un’identità, la consapevolezza di se stesso. Era uscito dalla casa dei genitori adottivi in una regione rurale nel sud del Texas, dove la sua vita era stata un susseguirsi di violenze e di umiliazioni. Rimase incredulo quando un sorvegliante del riformatorio gli disse che avrebbe imparato ad amare l’esercito. Eppure accadde proprio così. L’esercito gli diede un’educazione, un’istruzione e una disciplina. L’esercito analizzò il suo carattere e lo spiegò, infine gli trovò il modo di rendersi utile. E se l’esercito gli chiedeva di sfogare le sue perversioni nell’entroterra di quel terribile paese, ubbidire era il meno che lui potesse fare.

Al momento del congedo pensò che la parentesi violenta della sua vita fosse terminata. Seguì il consiglio di un commilitone ed entrò nel servizio civile dell’Organizzazione. Era un buon agente, nonostante ciò che aveva detto Wyskopf. La sua vita era stata lineare, almeno fino a quel momento. Se non aveva una moglie, una famiglia o gli altri contrassegni tipici di un’esistenza normale, forse dipendeva solo dal fatto che non riusciva a scrollarsi di dosso l’immagine di Aggressivo Latente, di Creato da Dio, di appartenente a quell’esigua minoranza nata senza il bernoccolo della simpatia. Ma non ci pensava molto spesso.

Aveva nutrito una profonda forma di sospetto verso gli oneiroliti ancora prima di essere assegnato all’istituto di ricerca in Virginia. In parte si trattava di un’istintiva paura e ostilità verso tutto ciò che era estraneo e che rappresentava l’Altro. Ma c’era anche una repulsione più intima. Non gli piaceva entrare in una stanza dove c’era stata una pietra. Era sensibile alle sue emanazioni. Gli si drizzavano i capelli e gli si rovesciava lo stomaco. Era conscio dell’enorme importanza degli oneiroliti e dei dati contenuti al loro interno, ma quelle pietre erano un dono di provenienza incerta, e i doni lo portavano sempre a interrogarsi sui motivi. Le pietre contenevano una quantità di informazioni astratte, ma quasi nulla sugli Esotici. Chi erano? Da dove venivano e che cosa volevano? E poi, quella strana interazione con i soggetti di Vacaville. Era come un antico film. Dissotterratori di cadaveri provenienti dallo spazio. Oberg prendeva l’idea molto sul serio, anche se sapeva che gli studiosi avrebbero riso di lui. Ma gli studiosi non sapevano vedere in prospettiva. Avere dei sospetti era il suo mestiere. Rappresentava le agenzie di spionaggio federali. Rappresentava i sospetti meno espliciti, ma non per questo meno radicati, dei loro dipendenti. Per vent’anni il mondo si era cullato nella sconsiderata familiarità con quegli oggetti, mentre Oberg sviluppava la sua professionale paranoia.

Ma si era convinto della natura assolutamente deleteria delle pietre solo con il recente arrivo di oneiroliti di profondità dal Brasile. Aveva visto la loro influenza su criminali incalliti come Tavitch… e l’aveva avvertita anche su di sé.

Il contatto era stato breve e inevitabile. Oberg viveva nella base di ricerca e parecchie volte al giorno faceva la spola tra la sua camera, più simile a una cella, e le toilettes comuni. Le toilettes erano separate dall’ala degli internati solo da una porta chiusa a chiave. Un giorno d’inverno stava appunto compiendo quel pellegrinaggio, maledicendo il vento gelido venuto dal Canada che filtrava attraverso le inadeguate strutture isolanti dell’edificio prefabbricato, quando la porta di sicurezza si era aperta e il prigioniero Tavitch era entrato nel corridoio.

Tavitch era palesemente fuori di sé. Roteava gli occhi e aveva la bava alla bocca. Sostò vicino alla porta, fissando Oberg. Un paio di inservienti lo raggiunsero, ansimando, e gli si misero ai lati. Sembrava che nessuno dei due avesse il coraggio di prenderlo per un braccio. — Toccava a te chiudere quella dannata porta! — disse uno. L’altro tacque, con gli occhi fissi su Tavitch.

Tavitch l’assassino. Tavitch che sosteneva di vedere il passato. Oberg rabbrividì. Era in trappola.

Il prigioniero lo fissò. I loro occhi si incontrarono e Oberg rimase di sasso quando l’altro mostrò di riconoscerlo. — Cristo — disse piano.

Tavitch aveva i pugni contratti.

— Prendilo — disse a uno dei due uomini, ma Tavitch si slanciò in avanti, direttamente verso di lui. L’istinto gli suggerì di ritirarsi, ma per non perdere di dignità di fronte agli inservienti, decise di gettarsi contro Tavitch. Caddero sul pavimento avvinghiati.

Il contatto fu breve. Un secondo, forse. Ma fu sufficiente.

Inorridito, Oberg sentì la natura aliena della pietra pulsare dentro di lui.

Aprì gli occhi e scorse un villaggio dell’entroterra. Un villaggio Indio, probabilmente. Uomini con i capelli tagliati a scodella e le magliette stracciate, donne con i seni penduli scoperti. Un villaggio lungo il corso del fiume, pensò stordito, forse rifugio di sertao rivoluzionari oppure deposito di armi per il Blocco Orientale. O forse niente di tutto questo. Ma c’era in atto un assalto, e lui aveva un fucile in mano. Si trovava al centro dell’azione di rappresaglia, sparava addosso agli indigeni e vedeva i loro occhi simili a quelli dei cervi abbagliati dalla luce dei fari. Continuava a sparare, provando una grande euforia: era come un crescendo parossistico, l’acuto erotismo di un’esecuzione di massa. Creati da Dio. Ma all’improvviso smise di essere piacevole. Per chissà quale orribile miracolo, si trovò a condividere il terrore e il dolore degli indios che stava uccidendo, come se i proiettili devastanti colpissero anche la sua carne e il villaggio che bruciava fosse il suo. Il dolore e l’umiliazione ribollirono dentro di lui in modo inarrestabile, e questo era molto peggio di una ferita. Era un pozzo profondo dal quale poteva emergere chissà quale atrocità, da un momento all’altro.

Cercò di riprendere fiato quando finalmente gli inservienti spinsero via Tavitch. Il corridoio ritornò a fuoco. Un incubo, pensò quasi con disperazione. Ma Tavitch lo fissava con un ghigno astuto e terribile.

— Tu e io — disse. — Tu e io.

Oberg vomitò sul pavimento.


Fu molto metodico nel divorziare dall’Organizzazione. Ritirò una grossa somma di denaro da un conto di Belem prima che gli revocassero il credito. Inoltre, aveva il denaro di altri conti segreti personali.

Non portava rancore a Wyskopf o alla gente che Wyskopf rappresentava. La loro ingenuità era inevitabile, probabilmente collegata con il famoso "bernoccolo della simpatia". Tutti scambiavano le sue preoccupazioni riguardo agli oneiroliti per un’ossessione, ma non era così. La questione era molto più sottile. Oberg era un Aggressivo Latente, un Creato da Dio, un essere al di fuori della normalità. Come la pietra, rappresentava una deviazione della natura. La sua capacità di comprensione era dunque più acuta, più completa.

Ora conosceva qualche particolare in più su di loro. Teresa Rafael, Byron Ostler, Raymond Keller. Sapeva che aspetto avevano. Sapeva dove erano stati e, ancora più importante, dove erano diretti.

Prese un volo mattutino. Era piacevole lasciarsi alle spalle il Rio delle Amazzoni seminascosto dalle nubi, alzarsi senza sforzo nel cielo inondato di luce descrivendo una curva a est e poi a nord, dimenticarsi del passato e dell’Organizzazione. Era un cane sciolto, perché no?, con una missione purificatrice da compiere, determinato, e pronto a colpire.

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