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Persa nei due mondi, tra lo stordimento delle encefaline e i poteri della pietra esotica, Teresa aprì gli occhi.

Vide la baracca galleggiante di Byron. Ricordò una baracca simile, molti anni prima. L’uomo nell’altra stanza si chiamava Oberg. Ma avrebbe potuto chiamarsi anche Carlos.

Serrò la pietra tra le dita.

Se si fosse guardata allo specchio, forse avrebbe visto le scarpe da tennis legate con lo spago e la tuta lacera. Era proprio ciò a cui si era ribellata; la visione che l’aveva perseguitata da quel fatidico giorno nell’albergo sul Ver-o-Peso.

Sarebbe caduta nello specchio, precipitando nella storia e tornando a essere se stessa.

Dentro di lei, la voce della bambina era più forte e più insistente che mai. L’avvertiva che sarebbe morta, che l’uomo con la pistola l’avrebbe uccisa e che doveva fare qualcosa. Subito.

Era la stessa voce che l’aveva sostenuta durante l’incendio, pungolandola quando lei voleva lasciarsi morire, perché lo meritava.

Ma la morte non era così arrendevole. Era venuta finalmente a finire ciò che aveva incominciato. Si era ripresentata all’appuntamento mancato molti anni prima. Lei l’aveva aspettata e forse desiderata fin dal giorno dell’incendio, ormai lo poteva ammettere. Aveva cercato la pace nelle pillole, per mettere fine all’eterna lotta dentro di sé…

No, disse la voce.

Per un attimo, i ricordi presero il sopravvento. Sentì il fumo toglierle il fiato e avvertì il calore dell’incendio alle sue spalle. Carlos era morto. Mama era morta. Sarebbe dovuta morire con loro, perché non era una brava bambina e non lo sarebbe mai stata. Era la colpa su cui aveva fondato tutta la sua vita.

Sii me stessa, insisteva la voce. Fammi tornare.

No, pensò Teresa…

Poi sentì il tavolo della cucina sbattere sul pavimento, spaccandosi. Cruz Wexler si gettò in avanti… ci fu uno sparo, e Wexler rovinò a terra, sanguinante. In quel momento la porta si aprì e Ray entrò nella stanza, condotto fin lì da chissà quale miracolo. Le batté forte il cuore, vedendolo. Ma anche lui era esausto e sanguinante… Oberg gli puntò contro la pistola.

E va bene, pensò Teresa, arrendendosi. Con un movimento immaginario abbracciò la bambina, si consegnò interamente alla pietra e lasciò che il tempo tornasse indietro a quando lei era giovane, intera e desiderosa di vivere. Desiderosa che anche Ray vivesse. Corse verso Oberg, o Carlos, con ai piedi le scarpe da tennis legate con lo spago e la tuta stracciata sulle ginocchia. Si concesse di odiarlo, con tutta se stessa, e di dirgli urlando quella antica e sacrosanta verità. Che lei non era cattiva. Non era cattiva, per niente.

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