26

Teresa, ancora intontita, obbedì a un impulso misterioso e scese dal tetto della baracca nella stanza sul retro e da lì, attraverso la porta, raggiunse la cucina.

L’uomo in cucina aveva una pistola.

Byron e Wexler erano seduti al tavolo, immobili. Wexler fissava l’intruso, con gli occhi spalancati, la faccia pallida e i polmoni in subbuglio. Byron si girò lentamente a guardarla. Sembrò volerla avvertire con gli occhi. Non fare niente, non ti muovere. Ma c’era una tale disperata fragilità nel suo sguardo che lei se ne sentì spaventata.

Le encefaline erano potenti, ma lei le aveva prese ormai da qualche ora. Sentì il cuore battere forte e la punta delle dita intorpidirsi. Gli ormoni dell’ansia si riversarono nel suo sangue, gelandolo. Era diventata una specie di campo di battaglia chimico, pensò.

Guardò l’uomo con la pistola. Stava fermo sulla soglia, con la porta socchiusa alle spalle. Doveva avere all’incirca l’età di Byron, era stempiato e aveva una bocca sottile e imbronciata. I suoi occhi erano fissi, impassibili, remoti. Sembrava calmo, in una situazione che avrebbe reso nervosa qualunque persona normale. Il che era preoccupante. Non c’era modo di capire fin dove sarebbe arrivato.

La morte, pensò Teresa. La morte in abiti borghesi, ferma sulla soglia della sua porta.

L’uomo la guardò. — Voglio la pietra esotica — disse.

Lei rispose senza pensare. — Non ce l’ho più. — Una bugia.

Strano, che lei dovesse mentire.

L’intruso, che poteva essere solo Oberg, l’uomo dell’Organizzazione di cui aveva parlato Wexler, spostò la pistola in modo da puntarla contro Byron. — Portami la pietra o ucciderò questi uomini.

— È nell’altra stanza — cedette Teresa senza esitazioni. Capiva che lui stava facendo sul serio.

— Vai a prenderla — ordinò Oberg. — Lascia la porta aperta.

Lei urtò contro lo stipite, poi camminò come in sogno verso l’armadio dell’Esercito della Salvezza.

Guardando la scena dal punto dove era seduto, Cruz Wexler lottò per ritrovare il fiato.

Non riusciva a distogliere lo sguardo da Oberg. Oberg con la pistola, che in qualche modo era riuscito a trovarli. La pistola puntava la sua bocca a poca distanza da lui, ed era anche troppo facile immaginare un proiettile che ne usciva per affondare nelle sue carni.

Tanto stava morendo in ogni caso. L’enfisema era molto progredito e lui si sentiva allo stremo. Il suo denaro era stato confiscato dall’Organizzazione e non poteva dunque permettersi dei nuovi polmoni o una cura a lungo termine. Che importanza aveva il tipo di morte, dato che morire era comunque inevitabile?

Invece aveva importanza. E molta.

Negli ultimi decenni della sua vita si era perso a inseguire dei misteri. La Saggezza, la Gnosi, la Pietra Filosofale. Era stato un gioco, e anche un affare molto proficuo. Eppure, lui era stato sincero. Fin dall’inizio gli oneiroliti gli avevano ispirato la sensazione di trovarsi sull’orlo di una rivelazione sublime.

Ma la morte, come mistero finale e gnosi assoluta, lo spaventava terribilmente.

Guardò Oberg che a sua volta guardava Teresa. — Ora portala qui — disse l’uomo, riferendosi alla pietra. La temeva e l’avrebbe distrutta, insieme al mistero che vi era custodito.

Ci fu un movimento nel buio, oltre la porta ostruita dalla figura di Oberg, una specie di guizzo fulmineo… Wexler sentì il cuore martellargli all’improvviso dentro le costole.

Prendila.

Teresa osservò la pietra di Pau Seco, avvolta dalla tela cerata, nascosta nelle profondità del cassetto di legno.

Prendila. Toccala.

Era la voce, nuova e antica, dentro di lei. Quella voce che le encefaline avrebbero dovuto zittire. La voce della bambina morta nell’incendio quattordici anni prima, e viva dentro di lei, a dispetto di tutto. Ormai quasi vinta, a dir la verità, ma resuscitata una volta di più dalla drammaticità della situazione. Prendila, tienila in mano, toccala.

La pietra dei sogni. Il pozzo dei ricordi.

Si volse a guardare l’uomo con la pistola. Con grande impazienza, lui le fece cenno di sbrigarsi.

Lei mise la mano nel cassetto. Per un attimo senza tempo vide se stessa che gli consegnava la pietra e lui che se ne andava lasciandoli vivi. Meglio per tutti, pensò Teresa. Lei sarebbe stata libera dal giogo dei ricordi. Libera di rannicchiarsi nel ventre comodo e opaco dell’assuefazione alle encefaline. Sognò che succedesse, che Oberg permettesse a tutti loro di continuare a vivere.

Ma sapeva che non sarebbe stato possibile. Oberg era la Morte, ne aveva l’aspetto e l’odore. Li avrebbe uccisi. Era inevitabile.

Prendila. La voce era più insistente, ora. Quasi assordante.

Bene, pensò Teresa. Era la bambina a voler vivere, a preoccuparsi. Non lei. Lei non l’aveva mai desiderato.

Prese l’involto, senza aprirlo. Ma la vecchia tela cerata si sciolse e la pietra nuda ricadde nel cassetto. Lei allungò istintivamente la mano.

I poteri dell’oneirolita pulsarono nel suo braccio, mentre si voltava.

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