10

Il giorno fissato, Roberto Meirelles si svegliò prima dell’alba, con il presentimento che qualcosa stesse andando storto. Il problema era uno solo: portare a termine l’affare, oppure no?

Dormiva su un letto di legno nella sua baracca in una valle vicina alla città vecchia di Pau Seco. Una pessima sistemazione. La maggior parte delle acque di scolo della città scorrevano proprio accanto alla baracca, in un torrentello fangoso e puzzolente che oltrepassava altre abitazioni altrettanto squallide e andava a perdersi in un boschetto reso verdissimo e rigoglioso da quella ricchezza di concime naturale. Tutto ciò che Meirelles possedeva si trovava nella baracca: due T-shirt cachi scolorite, due paia di pantaloni da lavoro, un materasso, una fotografia della moglie e della figlia.

E la pietra.

Quella mattina, già nervoso ma ben deciso a non pensare alla giornata che l’attendeva, tolse la pietra esotica dal nascondiglio che le aveva creato, una fessura del materasso da cui aveva estratto un pugno di imbottitura, e la guardò con aria grave alla luce di una lampada a batteria.

Tu sarai la mia fortuna, pensò. Oppure la mia morte.

Prese la pietra con cautela. Nel tempo aveva imparato a conoscerne le sfumature. Sospesa come ora nel palmo aperto della sua mano, generava solo un impercettibile brivido di timore, un’eccitazione sottile che sembrava tramutarsi in una sensazione fisica, appena dietro gli occhi. Se l’avesse stretta con forza tra le dita avrebbe cominciato a funzionare. Avrebbe prodotto le visioni; visioni di posti così incredibili e lontani che Meirelles non riusciva nemmeno a immaginare dove si trovassero. Oppure, più spesso, visioni di casa sua.

Meirelles aveva saputo che gli oneiroliti erano venuti da un altro mondo, che avevano viaggiato per uno spazio inimmaginabile. All’inizio se ne era meravigliato, ma ora la cosa non gli sembrava più tanto strana o stupefacente. Era un dato di fatto, e i fatti diventano più accettabili, con l’abitudine. Ciò che per lui rendeva la pietra stupefacente, e preziosa, era la sua capacità di fargli rivivere i ricordi della moglie e della figlia a Cubatao. Con un po’ di fortuna, pensava, quella stessa pietra gli avrebbe permesso di arricchirsi e di tornare da loro.

Scrollò la testa. I sogni erano prematuri. Peggio, pericolosi. Rimise la pietra nel materasso e rimandò la decisione. Per quanto possibile, si sforzò di sgomberare la mente.

Fuori, il cielo cominciava a schiarirsi. Si sentiva il rumore delle prime pentole; i galli cantavano e l’abbaiare dei cani randagi spazzava via la notte. Era un mattino come gli altri, si ripeté con severità.


Gli piacesse o meno, Meirelles apparteneva alla categoria delle formigas. Detestava quel termine: lui era un tipo orgoglioso, e il paragone con un insetto lo umiliava. Tuttavia, dato che faceva parte di quell’orda di uomini costretti a passare la giornata nella miniera con il sole a picco sulla nuca, immaginava che il paragone fosse inevitabile.

Portava enormi borse di tela fissate con delle cinghie alle spalle e alla vita. Il lavoro e la dieta altamente proteica della mensa lo avevano reso magro ma forte. Aveva trentacinque anni e li dimostrava tutti, ma con il tempo era diventato fiero del proprio corpo. L’epidemia del virus di Oropuoche, che aveva colpito Pau Seco l’anno prima, non lo aveva nemmeno sfiorato. Il suo fisico era più resistente e certamente più sano di quanto sarebbe stato se lui fosse rimasto a Cubatao.

Il pensiero non era piacevole, e Meirelles lo scacciò. Dopotutto, sua moglie e sua figlia abitavano ancora là.

Scese i gradini di legno che in una lunga serie solcavano il pendio ripido della collina; scese una scala di corda e infine l’ultima strettissima rampa che portava sul fondo della voragine. La temperatura, laggiù, era di dieci gradi più alta, e Meirelles si legò uno straccio attorno alla fronte per fermare il sudore. Alcuni uomini erano già al lavoro, mentre i garimpeiros controllavano dalle tende oppure si univano al lavoro muniti di picconi e badili. L’ambiente estremamente primitivo non lo impressionava; del resto, anche le fabbriche della Mogi River Valley erano primitive.

Meirelles si mise al lavoro come ogni giorno. Gli era impossibile ignorare il fatto, comunque, che quello non era un giorno come gli altri. La polizia militare stazionava in rigide falangi accanto agli alti recinti metallici che circondavano la miniera. Tutti quelli che entravano o che uscivano venivano perquisiti. E, per la prima volta da quando lui era arrivato, quel giorno c’erano soldati anche sul fondo. Si spostavano tra i garimpeiros e facevano molte domande.

Se avesse avuto un po’ di buonsenso, si rimproverò Meirelles, avrebbe lasciato la pietra nel materasso e se ne sarebbe dimenticato. In tutti i sensi.

Lui lavorava per un uomo di nome Claudio, un individuo noto per essere un nipote dei Valverde e già ricco per aver estratto dal suolo molte pietre di valore. Claudio incrementava i suoi profitti assumendo manodopera tra i poveracci che arrivavano in città in cerca di fortuna, procurando loro documenti falsi e minacciando poi di denunciarli all’autorità militare. Meirelles era appunto uno di questi. Guadagnava poco e spediva tutto a Cubatao, alla sua famiglia. Grazie ai documenti falsi non spendeva nulla né per mangiare alla mensa dei lavoratori né per dormire nella baracca.

Era un accordo duro ma abbastanza ragionevole, aveva pensato all’inizio. E se avesse estratto una pietra gli sarebbe toccata una percentuale, e avrebbe potuto trasferirsi con la famiglia lontano dalla letale Mogi River Valley. Tutto ciò che voleva era il denaro sufficiente a costruirsi una nuova vita.

Il tempo passava, molti oneiroliti venivano estratti, ma Meirelles non vedeva mai niente più della sua misera paga settimanale. Finché un giorno raccolse tutto il suo coraggio e andò ad affrontare Claudio nella grossa tenda sopra la miniera. Claudio lo blandì e gli promise che le cose sarebbero state diverse in futuro. Il giorno seguente, uno degli uomini di Claudio, membro di una setta indiana che si chiamava thug, gli fece un occhio nero e gli disse di accontentarsi di quanto gli veniva dato. Aveva un permesso di lavoro, no? che però poteva anche essere revocato. Doveva ricordarsi che era molto facile finire davanti alla corte marziale.

Meirelles non se ne dimenticò. Soprattutto il giorno in cui affondò il badile nell’argilla molle e lo sentì cozzare contro qualcosa di solido.

La giornata era quasi finita. Negli anfratti più profondi della miniera già si raccoglievano le ombre lunghe della sera. I lavoratori stavano radunando gli arnesi e si preparavano al lungo tragitto verso le docce e poi le mense. Sentendosi di colpo febbricitante, Meirelles affondò la mano nell’argilla umida e afferrò l’oggetto che aveva incontrato. Ancora curvo, scostando appena la terra che lo ricopriva, scorse il luccichio azzurrino della superficie di una pietra esotica. Era grossa, e perfetta; sicuramente di grande valore. Lui tremò, prendendola in mano.

Più tardi non seppe spiegarsi perché avesse deciso di rubarla. Il furto era difficile e pericoloso, inoltre non c’era un mercato pronto su cui un uomo come lui potesse contare. Senza dubbio, fu un atto irrazionale. Pensò alle blande assicurazioni di Claudio e all’uomo che gli aveva procurato un occhio nero. Pensò alla moglie e alla figlia, Pia, che tossiva nell’aria gialla e malsana della sua città natale. Una giornata intera nelle buche e nei labirinti della miniera a volte producevano in Meirelles una specie di sognante confusione, come se quelle cose aliene sotto la superficie influenzassero la sua mente rendendo il passato più reale e il presente meno pressante. Così, con Claudio e sua figlia nella mente, quasi come in sogno, tolse con il pollice l’argilla che ricopriva la pietra, l’avvolse nelle ghette di cotone e se la legò alla caviglia. Quando si rimise in piedi, il bordo dei pantaloni da lavoro ricadde naturalmente nascondendo il rigonfiamento.

Si voltò e scoprì che lo stesso Claudio, a qualche metro di distanza, stava guardando dalla sua parte. Meirelles si sentì gelare. Il panico lo prese allo stomaco e i testicoli gli rientrarono contro il corpo. Ma da parte di Claudio si trattava solo di un sospetto generico che lui nutriva nei confronti di tutti i suoi dipendenti. — Sbrigati — gli disse, agitando una mano in un cenno di disgusto. — È ora di andare.

Alla barriera di uscita Meirelles era ormai stravolto dalla tensione. Gli girava la testa, e un sudore freddo gli scendeva copioso dalla fronte. Incominciò a battere i denti. Era certo che la paura l’avrebbe tradito.

Invece, fu proprio la paura a salvarlo. Era il periodo in cui l’epidemia per il virus di Oropouche aveva raggiunto il culmine, per cui le guardie stavano alla larga dalle formigas, specialmente da quelle che mostravano qualche sintomo di malattia. Meirelles, con la fronte imperlata di sudore e i denti che battevano, probabilmente li spaventò. Fu perquisito da un militare giovane e pallido che lo toccò con lo stesso entusiasmo con cui avrebbe toccato una teglia rovente, quindi gli fu permesso di arrampicarsi indisturbato su per la collina fangosa cosparsa di rifiuti fino alla sua baracca, dove nascose immediatamente la pietra nel materasso.

La pietra divenne un simbolo della sua indipendenza da Claudio, l’incarnazione tangibile del suo orgoglio, della sua speranza, del suo futuro.


Meirelles era nato a Cubatao, un posto in cui secondo le statistiche solo un bambino su cinque arrivava alla pubertà.

Cubatao era una vecchia città industriale. Nel ventesimo secolo si era distinta come una delle zone più inquinate sulla faccia della terra, con le fabbriche che vomitavano nell’aria della vallata biossido di zolfo, monossido di carbonio e bifenili policlorinati. I veleni avevano denudato le colline e ucciso i bambini. Nel primo decennio del secolo successivo le industrie erano state nazionalizzate; per quanto obsolete, continuavano a rappresentare una buona fonte di guadagno, grazie ai bassi costi di manodopera e manutenzione. Nel mondo c’erano dei posti considerati molto peggiori, ma la Mogi River Valley continuava a rimanere pericolosa. Le fabbriche, modificate ma mai rimodernate del tutto, vomitavano nuovi veleni: cianuro, composti dell’arsenico, xylene e una nuova sostanza chiamata TCA.

Meirelles aveva un posto in fabbrica, e per tutto il giorno vuotava solventi all’interno di grossi catini antiruggine. Lavorava con un uomo che si chiamava Ribeiro, un patriota che difendeva le fabbriche tutte le volte che Meirelles osava dire che erano antiquate e pericolose. — Sono necessarie per l’economia del Brasile — affermava categorico.

— No — replicava Meirelles. — La vera ricchezza del Brasile sono le pietre esotiche.

— Le pietre — ribatteva Ribeiro — finiscono nelle mani degli stranieri.

— In cambio di denaro — insisteva Meirelles. — E non si potrebbe usare il denaro per modernizzare le fabbriche?

— Sciocchezze! Il denaro serve a pagare il debito nazionale. Non rimane niente per le fabbriche.

— Allora il Brasile non ha ricchezza.

— Senza le fabbriche non l’avrà mai! — riconcludeva Ribeiro con orgoglio. — Le fabbriche sono necessarie per l’economia del Brasile.

Era una sicurezza che Meirelles avrebbe voluto condividere. Ma era sposato. Aveva una moglie e una figlia. Nel corso dell’ultimo anno Pia si era ammalata due volte di bronchi, e lui sapeva che non sarebbe arrivata a compiere dieci anni se non fosse andata a vivere in un ambiente più sano. La maggior parte della gente che Meirelles conosceva era rassegnata come Ribeiro. È la volontà di Dio, dicevano. Ma lui aveva una diversa considerazione di se stesso, e sapeva che era giunto il momento di fare qualcosa.

Naturalmente, non aveva denaro. Avrebbe potuto raccogliere le sue misere cose e andarsene, semplicemente, ma aveva sentito raccontare storie terribili sui campi per profughi di Rio e di San Paolo. Dunque, aveva bisogno di soldi. E c’era un unico modo per fare soldi in fretta, secondo quanto si diceva in giro.

Pau Seco.

Era la leggenda dei bassifondi. Sembrava che laggiù la ricchezza si trovasse sottoterra. Dicevano che proveniva dallo spazio e che era lì perché la gente la trovasse. Tutti ci credevano, anche se erano in pochi a crederci abbastanza da tentare l’avventura. Inoltre, quelli che erano partiti non erano più tornati. Una mattina Meirelles si svegliò e trovò Pia ancora una volta con la difterite. Respirava a fatica ed era cianotica. Quel pomeriggio spese gli ultimi risparmi per comperarle le medicine, poi raggiunse la strada maestra, con la speranza che un autocarro gli desse un passaggio. Date le circostanze, non poteva più esitare.


Nell’arco della giornata, Meirelles fece parecchi viaggi su e giù per le ripide pareti della miniera, trasportando nelle borse il materiale incoerente, dal luogo degli scavi fino alle grosse macchine di legno sulla cima. Le macchine avrebbero separato l’argilla dalle eventuali pietre, per poi scaricare i residui in un burrone. Meirelles lavorò fino allo stremo, quando i crampi alle gambe lo costrinsero a fermarsi. Aveva il respiro sibilante. I suoi polmoni non erano più quelli di un ragazzo. Non era una formiga efficiente come altre, e questo lo preoccupava. C’era il rischio che Claudio decidesse di liberarsi di lui. L’avrebbe semplicemente licenziato o l’avrebbe consegnato all’autorità militare? Meirelles non lo sapeva, e non aveva nessuno a cui chiederlo. Le persone, lì, arrivavano e sparivano come fantasmi. La competitività era estrema, e l’amicizia un bene raro.

L’unico amico di Meirelles a Pau Seco era Ng. Se di amico di poteva parlare. Era uno straniero, e aveva vissuto una vita molto diversa dalla sua. Meirelles aveva saputo che Ng cercava una pietra di profondità, così lo aveva avvicinato in un bar della città vecchia. Non avevano parlato della pietra. Entrambi ci pensavano, si capisce, altrimenti non avrebbero perso tempo l’uno con l’altro. Ma era necessario preparare il terreno, pensava Meirelles, e Ng sembrava capirlo. Parlarono della miniera, si scambiarono vecchi ricordi.

Si incontrarono molte volte, e Meirelles giunse alla conclusione che il piccolo vivace vietnamita era in qualche modo simile a lui. Si era staccato dalla famiglia, come Meirelles. Avrebbe potuto tornare in patria dopo la guerra, e intraprendere la carriera militare, ma aveva scelto di rimanere in Brasile. Quando lui gli chiese perché, Ng si strinse nelle spalle. Era una cosa che non si poteva spiegare a parole. Meirelles lo capì.

— Siete un contrabbandiere — gli disse alla fine.

Ng socchiuse gli occhi sottili. — Sì, tra le altre cose.

— Dicono che volete comperare una pietra.

— A patto che sia quella giusta.

— Dicono che l’offerta è interessante.

— Sì — confermò Ng. — Molto interessante.

Meirelles abbassò la voce, in modo da renderla appena udibile sopra il tintinnio dei bicchieri e il brusio di altre conversazioni. — Come faccio a sapere che posso fidarmi?

— Non potete — rispose Ng. — Dovete fidarvi oppure no. Io non posso garantire nulla.

— Capisco — disse Meirelles.


Ma alla fine s’accordarono. Ora il giorno era giunto e lui si sentiva sopraffatto da un nervosismo che minacciava di tradirlo. La polizia militare aveva occhi dappertutto.

Quando risuonò l’ultimo fischio, Meirelles sollevò lo sguardo, quasi con costernazione. I canali più profondi della miniera erano già invasi dalle ombre. La parete occidentale era buia e il cielo si tingeva di blu di china. All’interno delle tende dei garimpeiros brillavano già le lampade. Lui scrollò la testa: il tempo l’aveva giocato.

Presto dovrai decidere, pensò.

Si arrampicò a fatica su per le rampe di scale e si sottopose ancora una volta alla perquisizione, prima di uscire dalla zona recintata. La paura, questa volta, non poteva difenderlo. Una guardia dall’aria bovina lo scrutò negli occhi e gli ficcò le mani nei vestiti mentre i colleghi guardavano e facevano commenti osceni. — Va bene — gli disse infine la guardia, con disprezzo. — Vai pure.

Lui si diresse subito alla baracca, salendo a gambe rigide su per la collina. Con mano tremante tolse il foglio di lamiera ondulata che gli serviva da porta.

La pietra era ancora là, dentro il materasso.

Meirelles la tirò fuori e la fissò con aria irritata. Era stata la pietra a metterlo in quella situazione impossibile. Doveva incontrare Ng in un bar della città vecchia: l’avrebbe trovato? Oppure avrebbe incontrato, al suo posto, la polizia?

Era disposto a rischiare la sua vita per quella di Pia. Senza pensarci due volte. Ma se la polizia lo prendeva, che cosa ne sarebbe stato di lei?

Quel dannato pezzo di roccia, pensò. E proprio allora, tenendolo in mano, avvertì parte del suo mistero arrivare fino a lui. Per un attimo fu sopraffatto dal ricordo della bambina che gli correva incontro dalla porta della loro casa di Cubatao… e gli venne in mente che era stata la pietra a mantenerlo onesto per tutta la durata degli ultimi tre anni trascorsi a Pau Seco. Un altro uomo, o meglio un uomo senza pietra, avrebbe finito per dimenticare il passato e costruirsi una nuova vita. Si sarebbe crogiolato nel lusso di poter dimenticare. Meirelles non aveva avuto tale privilegio.

Confuso, avvolse la pietra in un pezzo di tela cerata e se la nascose nei pantaloni.

Fuori era buio. Le colline erano punteggiate di fuochi, e dalla città vecchia cominciava a giungere un crescendo di voci e di suoni.

Era ora di andare all’appuntamento con Ng.


Il bar non aveva nome. Del resto, anche tutti gli altri bar della città vecchia di Pau Seco non l’avevano. Erano intercambiabili, svolgevano la medesima funzione, dunque non c’era ragione di distinguerli con un nome o con altro. Meirelles riconobbe quello che cercava perché si trovava all’incrocio tra la strada della miniera e il lurido sentiero che costeggiava i barrios. Esitò ancora per un attimo sulla porta. Ora la sua paura era ancora più profonda.

Per arrivarci, aveva oltrepassato la collina dove si trovava la baracca di Ng, e proprio mentre guardava in quella direzione, due militari corpulenti gli erano passati accanto quasi correndo. Tramortito dalla paura, lui si era voltato a guardarli un’altra mezza dozzina di volte, mentre si facevano strada su per la collina, fendendo il buio con le luci elettriche ad alta pressione. Meirelles non aveva dubbi sul luogo cui erano diretti. Stavano cercando Ng. Sapevano il suo nome e dove viveva.

Il vietnamita poteva esserne al corrente oppure no. In entrambi i casi, pensò, era possibile che l’omino fosse ancora al bar. In attesa. Pronto a concludere l’affare. Lui pensò al denaro e si passò la lingua sulle labbra.

Ma se la polizia sapeva di Ng, rifletté, non avrebbe tardato molto a trovarlo. C’erano militari dappertutto. Magari ce n’erano anche al bar, ad aspettare che lo scambio venisse effettuato, e in questo caso lui rischiava di essere arrestato insieme al vietnamita. Oppure Ng progettava di appropriarsi della pietra senza pagare. Meirelles si sentiva impotente, ma sapeva che la pietra era la sua unica arma.

Chiuse gli occhi e spinse la porta con le spalle sospirando.

Dentro c’era soltanto la penombra consueta e il clamore delle voci. Il puzzo della cachaca e della birra a buon mercato lo fece vacillare, e la pressione di corpi caldi lo costrinse contro il muro. Era acutamente conscio della presenza della pietra sotto i vestiti. In pochi secondi i suoi occhi si abituarono alla luce tremolante della lampada e lui girò lo sguardo verso il tavolo d’angolo dove si era incontrato con Ng il mese prima. Il vietnamita lo stava aspettando.

Era seduto al tavolo con altri tre. Indossava la solita maglietta lacera e i pantaloni da lavoro cenciosi. Gli altri erano vestiti in modo analogo, ma portavano cappelli a tesa larga calati sugli occhi alla maniera delle formigas più giovani, appena arrivate dalla città. Una specie di travestimento, pensò Meirelles, sebbene non troppo efficace. E anche scomodo, con quel caldo. Si fece strada verso il tavolo, dal momento che non c’era traccia di polizia militare. Si incuneò in una sedia e aspettò che fosse Ng a parlare.

— L’hai portata? — chiese l’omino in un soffio.

Meirelles si sentì quasi mancare. Era evidente, dal suo comportamento disinvolto e quasi divertito, che l’orientale non sapeva nulla del raid della polizia alla sua baracca, e non immaginava neppure lontanamente di essere ricercato.

Doveva dirglielo?, si chiese Meirelles.

Scrutò i compagni del vietnamita. Erano in tre. Due uomini e una donna. L’uomo sulla sinistra era alto, forse americano, con l’espressione attenta e un paio di occhi che indugiarono nei suoi forse un po’ troppo a lungo. Quello sulla sinistra era più basso e anche più nervoso, con i capelli lunghi, color bianco sporco. La donna che sedeva tra di loro era di una bellezza enigmatica, ma sembrava turbata: teneva le mani intrecciate e aveva la fronte corrugata.

È lei che vuole la pietra, pensò Ng.

— È qui — disse Meirelles, con la voce roca, in inglese. — È qui… l’ho portata.

Vide una luce sottile brillare negli occhi scuri di Ng.

— Dategli il denaro — suggerì il vietnamita.

— Non vedo la pietra — protestò l’uomo con i capelli bianchi.

La donna gli toccò la mano, come per comunicargli qualcosa, magari un avvertimento. L’americano alto si limitò a guardare.

L’uomo con i capelli bianchi sospirò, si mise una mano in tasca e ne tolse due pezzi di carta. Uno per Ng e uno per lui. Un oggetto così privo di consistenza, pensò Meirelles. Per un attimo, lo scambio sembrò ridicolo. L’oneirolita, una cosa solida, per quel pezzo di carta.

Lo stese e lo guardò abbastanza a lungo per capire che, almeno, sembrava regolare: un assegno della banca di Bradesco, con una cifra così alta, in cruzeiros, da fargli girare la testa. — D’accordo — udì la sua voce dire. — Va bene.

Ng intascò il suo assegno e sorrise.

Meirelles tirò fuori la pietra esotica avvolta nel pezzo di tela cerata. L’uomo dai capelli bianchi la guardò con sospetto. — Come facciamo a sapere che è proprio quella che vogliamo?

Ma la donna gli sfiorò di nuovo il braccio. — È quella giusta.

Lo sente, pensò Meirelles. È una sensitiva. La guardò allungare la mano verso la pietra e avvertì la sua esitazione, il rispetto per il mistero che nascondeva. — Prendetela — le disse. — Toccatela pure. Non vi farà effetto attraverso la tela cerata. — Lei non capì il suo portoghese, ma sembrò rassicurata dal suo tono di voce.

Ng strinse la mano di Meirelles, per sigiare la felice conclusione dell’affare.

Adesso, pensò Meirelles. Se voleva dirgli della polizia, doveva farlo adesso. Se uscivano da quel bar senza che Ng ne sapesse qualcosa, probabilmente il vietnamita li avrebbe invitati tutti a casa sua, dove la polizia li stava aspettando.

Ma se gliel’avesse detto, Ng avrebbe preteso che lui restituisse il denaro?

Tastò l’assegno che aveva in tasca, una presenza che gli riscaldava il cuore. Un biglietto di ritorno tra le braccia di sua moglie e di sua figlia. Un biglietto per uscire da Pau Seco e tornare a Cubatao. Un pezzo di carta in grado di assicurargli una vita migliore.

Ritirò la mano, mentre l’orientale si alzava. Gli americani erano già in piedi.

— Aspettate — disse.

— Che cosa c’è? — chiese Ng socchiudendo gli occhi.

Meirelles sentì il sudore imperlargli la fronte. Guardò il vietnamita in faccia. Non era abituato a facce come la sua, così difficili da decifrare.

— La polizia — disse con un filo di voce. — Qualcuno vi ha tradito.

L’omino lo fissò con aria grave, per un tempo che gli parve interminabile. Si piegò sul tavolo di legno, con le nocche serrate e una espressione terribile negli occhi. Meirelles non riuscì a distogliere lo sguardo. Risparmiami, pensò, ormai in preda al panico.

Ma Ng si limitò a stringergli la mano una seconda volta.

— Grazie, Roberto — gli disse. — Grazie per avermelo detto.

I tre americani lo seguirono fuori.

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