21

Byron sapeva che la stava perdendo. Ormai era evidente.

Non parlò delle pillole. Del resto, parlarono molto poco in generale. Le discussioni erano superflue, utili solo a fomentare bugie. Lui la vide gettare il flacone delle pillole in un canale di scarico e ciò gli accese nel cuore un barlume di speranza. Più tardi scoprì che le pillole erano custodite in un angolo dell’armadio. Teresa aveva buttato solo il flacone, e la scena era stata recitata a suo uso e consumo.

Byron capì che quella era la vecchia Teresa, la stessa che lui aveva trovato sui gradini di casa anni prima. Una Teresa spaventata dalla morte, eppure desiderosa di morire. Quella parte di lei che voleva sopravvivere era stata messa a tacere. Indovinava anche dov’era cominciato tutto, nella stanza d’albergo sul Ver-o-Peso. Lui non aveva il potere di richiamarla alla vita. Non poteva giungere fino a lei, perché lei non lo amava.

Non era abituato ad analizzare le cose con tanta schiettezza, ma ormai i fatti erano diventati troppo chiari e dolorosi per poterli negare.

Cenarono insieme. C’era il pane comperato al mercato, tagliato in fette irregolari, e un pezzo di vero manzo. Quel pasto rappresentava quasi la fine del loro capitale. Teresa mangiò in modo meccanico. Quando ebbe finito disse che usciva a fare una passeggiata. — Ti accompagno — si offrì Byron. Ma lei scrollò la testa. Voleva rimanere sola.

Sola con le sue pillole, pensò lui. Sola a guardare la Città Galleggiante riempirsi di luci, e le onde infrangersi contro la diga. Lei si chiuse la porta alle spalle e Byron rimase nella baracca, ad ascoltare il ticchettio della pompa di sentina e le tavole del pavimento che gemevano mentre la balsa si alzava e si abbassava ritmicamente.

Ripensò a Keller.

Keller che era ritornato in terraferma e aveva ripreso la sua carriera nella rete, arrendendosi alla propria sorte.

Keller di cui lei era innamorata.

Keller, che avrebbe potuto aiutarla.

Il pensiero era molto scomodo, ma non poté evitarlo.

Un tempo si era dispiaciuto per l’amico. Keller rappresentava ciò che anche lui aveva rischiato di diventare. Una vittima, Cristo. La vittima di una serie di concause: l’infanzia, l’esercito, la propria codardia. Peccati perdonabili, aveva detto una volta Teresa. Ma adesso Keller se n’era andato, e questo era davvero inammissibile.

Ironia della sorte, pensò Byron. Teresa si stava uccidendo… e l’unica cosa che poteva fare per lei era andare da Keller e pregarlo di tornare.

Pregarlo di togliergli la donna che amava.

Uno scherzo amaro del destino. Pensò al tatuaggio che aveva sul braccio e al suo significato. Stava quasi decidendo di mandare un messaggio a Keller tramite il suo produttore, Vasquez, quando udì qualcuno bussare alla porta.

Aprì, con circospezione.

Si trovò davanti Cruz Wexler. Alla luce del crepuscolo avrebbe potuto avere mille anni. Respirava l’aria gonfia di salsedine così a fatica che c’era da dubitare che ne traesse giovamento.

— Voglio parlare con lei — disse Wexler.


Teresa lo trovò ad aspettarla quando tornò dalla passeggiata. La sua prima reazione fu di istintiva e immediata felicità. Wexler rappresentava il legame con un tempo più felice della sua vita.

Lo abbracciò e gli sedette di fronte. Solo allora si accorse di quanto le ultime settimane lo avessero invecchiato. Wexler si era ritirato a Carmel ormai da diversi anni, passando dalla celebrità a una vita da eccentrico di paese, e Teresa sapeva che la sua natura in buona parte istrionica aveva risentito di quel periodo di declino. Ma lei lo aveva sempre ritenuto sincero a proposito degli oneiroliti. Sincero nella sua convinzione che appartenessero a un altro mondo, e in buonafede anche quando contraddiceva gli scienziati governativi. Parlava sempre di ciò che definiva la gnosi, il Mistero, una specie di saggezza ancora da conquistare, e il suo ottimismo era stato inarrestabile quanto ingenuo. Gli ultimi avvenimenti dovevano averlo traumatizzato.

Continuarono a parlare, incuranti della notte. Teresa aveva preso una pillola mentre era fuori, ma solo una, e l’effetto si limitava a una lieve euforia che mascherava la stanchezza. In ogni caso, in quel momento non aveva voglia di pensare alle pillole.

Byron si scusò e trasferì il materassino nell’altra stanza. Solo allora Wexler le chiese di raccontargli del Brasile e Teresa si ritrovò a parlare a ruota libera. Gli disse anche di Ray. La pillola l’aveva messa in grado di dire cose che sorprendevano lei per prima. Parlò della nuova pietra, della sua potenza, dei terribili ricordi che aveva evocato in lei e in Keller. Parlò della scintilla di conoscenza che li aveva percorsi. Descrisse il dolore e la sorpresa e rimase sbalordita quando si accorse che una lacrima le rigava la guancia. Strano. Non si sentiva triste. Stava bene.

Wexler annuiva con espressione pensierosa. Aveva la barba lunga ispida e grigia. Il suo respiro era pesante e difficoltoso, come se l’espirazione e l’inspirazione non fossero un atto automatico ma un compito che svolgeva a fatica. I suoi occhi erano colmi di sollecita premura.

Le parlò degli Esotici.

Aveva passato la vita dedicandosi a quella ricerca. Probabilmente faceva parte della sua natura porsi domande che nessun altro si poneva. Tutti si preoccupavano di trarre dagli oneiroliti dei dati tecnici, ma nessuno si preoccupava di interrogativi più profondi. Forse per paura, insinuava Wexler. Ma lui aveva visto i paesaggi delle visioni, aveva potuto gettare uno sguardo sul vortice della storia.

— Se qualcuno me lo chiedesse ora — disse — affermerei che era tutto previsto. Proprio tutto. C’è un tipo di pietra, molto comune, con microvoltaggi binari: in pratica, è fatta per parlare alle macchine. Comunica anche qualche altra cosa, a gente come noi. Produce visioni, un senso di consapevolezza, un senso di pericolo imminente. E poi ce n’è un’altra, più rara. Ha molte più cose da dire, ma a un prezzo.

Lei scosse la testa. — Non capisco.

— Nemmeno io, a dire la verità. Ma posso immaginare. Molto dipende da ciò che gli Esotici pensavano di noi, dal tipo di creature che credevano che fossimo. Secondo me, pensavano che fossimo esemplari rotti. Fratturati. Divisi. — Tacque per riprendere il fiato. — Divisi al nostro interno. Non collettivamente, ma individualmente. La mente contro se stessa. Credo che questa scoperta li abbia sorpresi.

— Loro erano diversi? — chiese Teresa.

— Erano interi là dove noi siamo spezzati. Forse l’avevi già capito.

Sì, l’aveva capito. I ricordi erano dolci, ma qualche volta anche dolorosi, inquietanti. La pillola stava finendo il suo effetto, pensò. Avvertì il flusso graffiante della sobrietà.

— Ci hanno anticipato — continuò Wexler. — Avevano capito che eravamo molto abili in campo tecnologico. Immaginavano a quali livelli saremmo potuti arrivare.

Lei scrollò il capo, ancora confusa.

— Ebbene, che cosa abbiamo fatto? — chiese Wexler. — Siamo riusciti a manipolare la mente, ma non a risanare le sue ferite. Non abbiamo creato degli esseri interi, ma delle creature fratturate, divise. Abbiamo soldati costruiti dalla nascita, e interi battaglioni di nevrotici. Addestriamo le nostre psicosi come se fossero cani, per ricavarne dei benefici. Ci costruiamo per essere adatti alla funzione che dobbiamo svolgere.

— Come Ray — commentò Teresa.

— Come Ray e come tutti gli altri. Ed è pericoloso. Ci rende privi di scrupoli. Addirittura privi di anima.

L’aveva già detto altre volte. Teresa lo ricordava nella sua tenuta di Carmel, una fantasiosa casa di campagna in stile spagnolo che aveva comperato con il denaro dei suoi primi successi e poi mantenuto, senza grandi cure, con gli introiti di ritorno dai laboratori come quello di Byron, o con i corsi impartiti a una folla disordinata di artisti provenienti dalla Città Galleggiante. Aveva parlato in modo altrettanto convincente delle tradizioni di Paracelso, della Gnostica e della saggezza criptica. Grandiose futilità che si riducevano a questo: un vecchio malato in una baracca galleggiante in sfacelo. Il pensiero l’avvilì.

Probabilmente Wexler si accorse del suo scetticismo. Dondolò la testa e mise le mani sul tavolo. Mani da vecchio, con la pelle pallida e rugosa, le unghie rosicchiate. — Scusa — disse. — A volte mi lascio trasportare.

— Non sono riuscita à sopportarlo — confessò Teresa. — La pietra di Pau Seco era tutto ciò che volevo. Davvero. Rivolevo i miei ricordi. Me stessa. Ma non sono riuscita a sopportarlo.

— Mi chiedo se è vero.

Lei lo guardò con occhio torvo. — Tu non c’eri.

— Logico. Ma sono convinto che loro vogliano proprio questo — dichiarò Wexler. — Ha senso, non credi?

Teresa si sentì offesa, misteriosamente minacciata.

— È la parte di loro che ritengono più preziosa — continuò lui. — Una parte che non lascerebbero mai passare da una macchina. Un tesoro di conoscenza autentica. Il tempo e la storia. Ma con la possibilità di essere trasmesso solo da una mente all’altra, capisci? Una mente integra.

— Non muoio dalla voglia di provarlo.

— Forse ne hai bisogno — osservò lui, con dolcezza.

Lei si alzò. Cominciava a farle male la testa. Wexler era venuto a confonderla, e questo la irritava. — Provaci tu — replicò con insolenza. — Provalo su di te.

Lui parlò quasi sottovoce. — Mi spaventa — ammise. Era una confessione. — Sarebbe sconvolgente, dopo tutto questo tempo. La gnosi, la conoscenza reale… sono quasi un sogno. Ma l’idea mi spaventa. — Sorrise, con espressione assente. — Ma c’è dell’altro. Credo che l’sperienza richieda una buona dose di innocenza. Che io non possiedo.

— Credi che la possieda io? — Per qualche strana ragione, Teresa stava gridando. Le parole uscivano dalle sue labbra senza più freni. — Non sono innocente! — Cominciava ad avvertire una sensazione di panico. Aveva bisogno di una pillola. Di tranquillità. Di pace. Il suo corpo lo esigeva. — Io non sono brava!

Corse alla porta.


Byron aveva ascoltato tutto dall’altra stanza.

Quando raggiunse Wexler, il vecchio era in piedi. — Mi dispiace — disse subito. — Pensavo…

— È così da allora — gli riferì Byron.

— Volevo aiutarla.

— Lo so.

— Be’… dovrei andare.

— Lo pensavi davvero… tutto ciò che le hai detto? — chiese Byron.

Wexler annuì.

— Non possiamo fare niente per lei.

— Pare di no.

— Ma Ray potrebbe aiutarla?

Il vecchio si strinse nelle spalle. — Forse sì.


Wexler permise che Byron gli sistemasse un materasso in un angolo della baracca. Ormai era troppo tardi per tornare a casa di Cat e il respiro gli causava qualche problema. Così accettò l’offerta. Tre persone in una baracca di due stanze.

Era sveglio quando Teresa rientrò. La vide muoversi nell’oscurità con la grazia sublime che le derivava dall’uso delle encefaline. Stava tornando alla vecchia assuefazione con terrificante rapidità.

Forse era stato uno sprovveduto a permetterle di andare a Pau Seco. Purtroppo, non aveva previsto niente del genere. Certo, aveva sospettato che potesse verificarsi una crisi, ma non aveva certo immaginato un crollo di quelle dimensioni. L’impresa era stata organizzata con puntigliosa meticolosità, con grande profusione di denaro e con la certezza che la vita di Teresa non sarebbe mai stata in pericolo.

Ma non aveva considerato la propria debolezza.

Così, ora le doveva tutto l’aiuto che era in grado di offrire. Per questo era venuto fin lì.

Ma l’aiuto di cui Teresa aveva bisogno non era in suo potere. Anche Byron l’aveva capito.

Wexler si addormentò e sognò un futuro terrificante in cui uomini come Oberg guidavano navi spaziali verso le stelle, con armature metalliche saldate alla carne come le corazze dei coleotteri e circuiti proteici appuntati sul sistema nervoso. Più che un sogno era una profezia, tanto che si svegliò con la precisa sensazione di un pericolo imminente. Gli sembrava quasi che il conflitto in atto tra Oberg e Teresa, fra Teresa e le sue paure, si sarebbe presto espresso su un palcoscenico più ampio. La loro presenza lì era solo il prologo della tragedia.

Era un’idea opprimente. Un’idea a cui non voleva pensare.

La luce aspra del mattino gli colpì dolorosamente gli occhi.

Era terribile, pensò, sentirsi così vecchio e spaventato.

Teresa stava preparando la colazione. Lui decise di non parlare della conversazione che avevano avuto la sera precedente. Le si avvicinò con cautela, apparentemente interessato solo al cibo.

Era per lui, spiegò Teresa. Lei non aveva fame.

— Byron è uscito? — chiese Wexler.

— È andato in terraferma. — Teresa lo guardò, dall’altro lato del tavolo. — Credo che volesse parlare con Ray.

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