Gli oneiroliti, o pietre esotiche, avevano modellato il passato di Keller e creato la sua storia. Quello che aveva detto a Teresa corrispondeva più o meno alla verità. Non ne aveva mai tenuto in mano nessuno per più di un secondo. Però li aveva sognati in continuazione.
I suoi sogni erano ambientati nella giungla e lui, Keller, era contemporaneamente narratore e protagonista. In alcuni, si vedeva proprio nei panni di quell’anonimo forao che era uscito inciampando dall’entroterra brasiliano con una strana pietra in mano. Spaventato dalle visioni che produceva, aveva nutrito comunque la speranza di ricavarne un buon guadagno. Era rimasto deluso quando aveva scoperto di non riuscire a vendere la pietra e la delusione si era tramutata in spavento quando alla fine il governo di Valverde gliel’aveva confiscata. Nel sogno, l’uomo veniva torturato dagli agenti del FUNAI, anche se, nella realtà non esistevano prove, i quali volevano sapere il luogo preciso del ritrovamento. L’economia della nazione, gli spiegavano, non avrebbe potuto reggersi a tempo indefinito sull’oro e sulla bauxite. Raccontaci dove l’hai trovata, ordinavano con calma, e poi azionavano gli elettrodi.
Dissolvenza e ripresa dall’alto. Il Rio delle Amazzoni: giungla, fattorie, allevamenti di bestiame, dighe, e soprattutto lande desolate. Le spire languide del fiume che dà il nome alla regione, color marrone e inondate dalla luce del sole. Keller riviveva la storia in tonalità color seppia: per quattro volte il Bacino delle Amazzoni aveva respinto l’invasione di uomini civilizzati. Aveva scacciato, indebolendoli e decimandoli con la dissenteria, i bandeirantes portoghesi venuti alla ricerca dell’Eldorado. Aveva concesso ai Gesuiti solo una dilazione, prima di rivendicare le loro missioni già prostrate da sovvenzioni governative irrisorie e dalla severità di quell’immensa terra spietata. Poi c’era stato il boom della gomma e la giungla era stata invasa per ricavarne il lattice, ma i malesi coltivavano alberi di migliore qualità in piantagioni più accessibili. E sul finire del ventesimo secolo si erano compiuti sforzi prolungati per popolare l’interno. Si erano costruite autostrade, villaggi, pozzi petroliferi e miniere, il tutto finanziato, purtroppo, da un debito internazionale così alto che alla fine era diventato insostenibile. E così, le neonate oasi di civiltà erano cadute a pezzi. I villaggi erano diventati città fantasma e le viti si erano insinuate fin sulle autostrade.
Adesso era in atto la quinta invasione.
Stacco. I bassifondi di lamiera e cartone attorno a Rio e a San Paolo, cisterne illuminate dai fari, ondate umane che si dirigevano verso ovest. Le macchine penetravano la giungla oppure solcavano il suo cielo.
Le pietre dei sogni, battezzate "oneiroliti" da un attonito geologo dell’Università Federale, erano molto più preziose di quello che avrebbe immaginato il più avido dei forao. Dapprima si era solo osato sussurrare che avessero un’origine extraterrestre. Poi se n’era parlato in tono scettico, e infine lo scetticismo si era tramutato in aperta meraviglia. Naturalmente i test con il carbonio erano privi di significato: le minuscole pietre dovevano essere rimaste nel sottile strato di suolo del Bacino per un tempo considerevole, a testimonianza di un impatto astrologico molto anteriore all’epoca dei bandeirantes. In più, gli oneiroliti non erano soltanto passivi. Avevano un’anima codificata, incredibilmente stipata di informazioni. Ogni molecola era un dizionario di atomi, una sintassi di elettroni. Usavano un linguaggio binario e universale, contenevano una nuova fisica e una nuova cibernetica, lasciavano intuire tecnologie di cui non si era mai sentito parlare.
Le implicazioni erano evidenti. Il controllo degli oneiroliti rappresentava il controllo sul futuro economico e politico dell’intero pianeta. In un secolo iniziato in sordina vent’anni prima, la scoperta venne interpretata come il segno di un reale cambiamento, a lungo invocato. Era la Nuova Ricostruzione, una specie di rivoluzione industriale destinata a riformare l’economia globale. Per la prima volta dal tempo dei grandi dibattiti ecologici, i centri di potere focalizzarono l’attenzione sull’entroterra brasiliano. Una nuova razza di forao cominciò a invadere la foresta. Il luogo dell’impatto, un deposito di pietre frammentarie vasto parecchi chilometri e di profondità indefinita, venne recintato e suddiviso sulla base di antiche leggi brasiliane sui diritti minerari.
La corsa alla prosperità fu subito disseminata di ostacoli. Il regime di Valverde attraversava un periodo di grande instabilità politica. I ribelli avevano occupato un capoluogo di provincia, e c’era la possibilità che alcune vie di comunicazione importanti venissero danneggiate.
Fu richiesto un intervento. In breve si intraprese una guerra vera e propria.
Da quel momento in poi, gli incubi di Keller diventavano più personali.
La seconda notte della sua permanenza nella Città Galleggiante ci fu un temporale. Ventate di pioggia tiepida giunsero fino a lui, seduto a bere con Byron Ostler sotto la tettoia metallica del suo patio di bambù. L’acqua, lì intorno, era gremita di zattere e di baracche che si susseguivano lungo vie d’acqua aperta che gli indigeni chiamavano canali. Era il quartiere degli artisti, con alcove illuminate da lanterne cinesi e ruote a vento in movimento che si stagliavano contro le luci delle città sulla costa. Solo il lieve ondeggiare del pavimento ricordava loro che si trovavano a un chilometro da terra, su una precaria struttura di ponti di barche e ancoraggi.
Byron parlava di Teresa, beveva birra messicana da una lattina accartocciata e infilava tessere memorizzate in un generatore musicale. Keller ascoltava, fissando il canale di acqua scura.
— Lei non corre pericolo — disse Byron. — Ne sono convinto. Nemmeno noi, del resto. Wexler ha pensato a tutto. — Trangugiò un sorso di birra. — Al primo segnale di pericolo la riporto indietro, Ray. Nessun dubbio. Ma il progetto era suo fin dall’inizio. Era a Carmel con Wexler quando lui ha organizzato tutto. Forse l’ha convinto parlandogliene.
Forse, pensò Keller. Ma in lei l’aveva colpito soprattutto la fragilità. Un certo nonsoché nel modo di atteggiare la bocca, gli occhi lievemente piegati all’ingiù. Se Byron asseriva di preoccuparsi per lei, rifletté, forse non avrebbe dovuto permetterle di affrontare quel viaggio.
— E allora… — incominciò a dire.
— Lo so. — Il chimico oneirolita si alzò e gettò in acqua la lattina vuota, oltre il parapetto della baracca galleggiante. — Qualunque cosa tu intendessi dire, Ray, io ci ho già pensato. D’accordo? Mi importa molto di ciò che le succede. Davvero. Ma lei ha bisogno di venire. Quello che le pietre l’aiutano a fare non basta. Ha bisogno di andare oltre, più in profondità.
— Sei stato tu a vendergliela — lo accusò Keller.
Ci fu un momento di silenzio e per un attimo Keller ebbe paura di aver superato i limiti consentiti dalla loro vecchia amicizia. Ma poi Byron disse con calma: — Non gliel’ho venduta. Gliel’ho regalata.
Keller fissò pazientemente l’acqua.
— Tre anni fa non l’avresti riconosciuta — continuò il chimico. — Faceva soldi vendendo rottami ai galleristi e spendeva tutto in oppiacei da laboratorio. Encefaline sintetiche. Una vera porcheria. Venne da me con un rotolo di banconote in mano, e la sua mano era come un uncino, magrissima. «Voi vendete le pietre», mi disse. Risposi di sì. Riuscii a conoscerla meglio. Mi mostrò dove viveva, un angolo in una vecchia stazione di servizio. C’era un arredamento sommario e un grosso contenitore pieno di pillole. La portai da un medico e lui disse che i suoi neuropeptidi presentavano gravi squilibri. In pratica, Teresa corteggiava la morte. Sul serio. Era a un passo dal prenderla sottobraccio. Le dissi: «Morirai». Lei non rispose nemmeno, si limitò ad annuire. Lo sapeva, e non le importava. Ma la pietra era una cosa nuova. Forse la scambiò per un’altra droga, ma fu diverso. La prese in mano…
— E cominciò ad avere le visioni — continuò Keller.
— Non funziona per tutti, ma per lei sì. Le si schiusero nuovi mondi. Voleva fissarli, in qualche modo. Allora le comperai gli attrezzi per la pittura su cristallo che esegue anche adesso, sulla base di paesaggi visti in trance. La disintossicammo dalle encefaline e finalmente i neuropeptidi cominciarono a stabilizzarsi. Da allora non ha più usato droghe. — Alzò la mano ossuta. — Sono passati tre anni.
— Tutto grazie alle pietre?
— Immagino di sì. A volte… — Byron sorrise con un’ombra di falsità. — A volte mi illudo che sia merito mio.
— Ma verrà a Pau Seco — osservò Keller.
— È un accordo che ha preso lei — replicò Byron, con dolcezza. — Credo che l’avesse in testa fin dall’inizio. Ho cercato di saperne di più sul suo passato, e ho scoperto che non ne ha. Sembra uscita dal nulla, dopo il grande incendio del ’37. Era solo una bambina, orfana di entrambi i genitori, coperta di ustioni di terzo grado e traumatizzata al punto da aver perso completamente la memoria. Venne adottata da una famiglia di profughi che le diedero persino il nome, dal momento che non l’aveva. Lei cominciò quasi subito a usare le pillole. Era un modo per uccidersi lentamente, capisci? Le pietre non hanno risolto la situazione. Hanno toccato qualcosa dentro di lei, risvegliando una parte della sua anima, ma è solo una tregua. — Guardò l’amico con espressione triste. — Una specie di armistizio con la morte. Ma le pietre che abbiamo non sono le uniche, Ray. Sono come immagini strappate da una rivista. Qualunque cosa lei abbia intravisto in loro, ha bisogno di vederla con maggiore chiarezza.
— Potrebbe anche non trovare quello che cerca — disse Keller. — Potrebbe venire laggiù solo per morire.
— O per vivere — ribatté Byron, a pugni stretti. — Credo che sarà così — dichiarò.
Con passo malfermo, dal momento che era quasi ubriaco, Byron guidò di nuovo Keller all’interno della casa galleggiante, scese al piano inferiore, isolato e sotto il livello dell’acqua, sicuramente poco adatto a chi soffrisse di claustrofobia, e attraversò un’anticamera dalle pareti scure, illuminata da un’unica lampadina rossa.
— È qui — spiegò in tono tranquillo aprendo una seconda porta. — Volevi vederlo? Eccolo.
Passò un po’ di tempo prima che gli occhi di Keller si abituassero all’oscurità.
C’era una gran quantità di vaschette piene di un fluido scuro in movimento. Il caldo nella stanza era soffocante. Ci doveva essere un generatore da qualche parte, pensò Keller. Cristo! Era un’immagine spettrale… migliaia di gestazioni in atto in quelle vaschette fotofobiche, silenziose e del tutto aliene.
Era lì che Byron riproduceva le sue pietre.
Keller registrò tutto meticolosamente. Era il suo compito, visto che era un Angelo. Tutto quello che vedeva e che aveva visto dal momento in cui Leiberman aveva riattivato il suo impianto, era stato registrato in modo indelebile nella sua memoria AV. Alla fine, il circuito integrato che aveva sotto la pelle avrebbe contenuto migliaia di ore di esperienza diretta, un reportage che nessuna videocamera aveva mai catturato.
Byron espose il proprio lavoro con l’orgoglio ostentato ed eccessivo di un ubriaco, tanto che Keller arrivò a dubitare della sua sincerità.
— È lo stesso procedimento che si usa nei laboratori governativi — spiegò. — Solo un po’ più economico. Il fluido nelle vaschette è una soluzione supersatura, leggermente più complessa dell’acqua marina. Una volta trovato il mezzo, il resto è semplice. Gli oneiroliti si riproducono. Forse "riprodursi" non è la parola giusta, dal momento che tecnicamente non sono organismi viventi, ma non so in quale altro modo definirlo. Le pietre liberano una sostanza che porta dentro di sé tutte le connotazioni originali e che agisce da cristallo generatore. Attorno a questo cristallo si formano le nuove pietre, identiche alle prime. È impossibile distinguere le copie dagli originali. La tecnica per la riproduzione delle pietre è stato il primo dato a essere decodificato dai campioni apparsi all’inizio. Questo significa che, chiunque le abbia create, ha dato molta importanza alla loro riproduzione. Gli Esotici, chiunque siano o fossero, volevano farci diffondere le pietre ovunque.
Si capiva che ne era affascinato. Byron era stato educato in un collegio militare, e quando era eccitato dimenticava il gergo della classe lavoratrice per usare parole come "ridondanza".
Nelle fumose profondità delle vaschette, Keller scorse il colore pallido e la forma nebulosa delle nuove pietre appena nate. Vita minerale. Poteva percepirne il mistero come se fosse stato una cosa concreta.
— Sono indistruttibili — spiegò Byron. — Si possono spezzare lungo il loro asse di simmetria, ma non si possono bruciare, né frantumare e nemmeno dissolvere. In teoria, se si riuscisse a raccogliere tutte le pietre brasiliane in un unico posto, si potrebbe metterle insieme come si fa con i puzzle. Da un punto di vista topologico sono in massima parte ortorombiche o triclini, che sono le forme più comuni. Nessuno può dire con esattezza di che cosa siano fatte. Risulta evidente che sono state costruite, o meglio, che la sostanza da cui sono composte è stata costruita operando ben oltre il livello subatomico. Micropotenziali complessi si propagano lungo l’asse di simmetria, ed è su questo che agiscono i tecnici di laboratorio. Le proprietà fisiche verificabili sono piuttosto insolite e alcuni hanno ipotizzato che le pietre esistano in molte di più delle tre dimensioni tradizionali.
— Un problema scientifico serio — commentò l’altro.
— Molto serio.
— Hai usato queste pietre per salvare la vita di Teresa — osservò Keller.
Vide l’espressione dell’amico indurirsi nella penombra. — Puoi dirlo forte.
— Ti importa tanto di lei?
Ci fu una pausa. — Non sono abbastanza ubriaco per questo genere di conversazione — rispose infine Byron.
— Ma sei preoccupato per lei — insisté Keller.
— Sono preoccupato per il Brasile. Per quel nuovo tipo di pietre. Non solo per il semplice pericolo fisico. — Il chimico scrollò la testa. — A volte penso che andrà tutto bene. Ci credo davvero. Forse il viaggio supererà addirittura le nostre aspettative. Andremo laggiù, torneremo indietro, e lei avrà trovato quello che cerca. Forse inizieremo una nuova vita insieme. — Aggiunse, in tono più cauto: — Magari accetterà di…
— E se non trovasse quello che cerca?
— Probabilmente ne morirebbe. O si lascerebbe morire. E questa volta non sarei più in grado di fermarla.
Sotto l’effetto dell’alcol, Keller dormì male, ondeggiando nel letto di bambù e sognando un campo di manioca a Rondonia. Nella sua mente, alcune parole aleggiavano simili a grossi volatili. Amnesia, angoscia, disfasia, afasia. Nel sogno riusciva a vedere solo la parte sinistra delle cose. Quando parlava, le parole uscivano sghembe e vacue.
Si svegliò all’alba, con un alone di sudore sulla federa del cuscino.
Comperò il pranzo in una bancarella vicino alla diga. Byron arrivò dopo mezzogiorno, con un sorriso assente sulle labbra. Gli porse una busta contente un documento di riconoscimento ottenuto al mercato nero, il passaporto e il biglietto aereo per il Brasile.