Il mattino seguente, Ed Wonder non aveva quasi più dubbi. Scorse i dispacci delle telescriventi. Non era una moda nazionale, era una moda mondiale che aveva invaso l’Europa Confederata, il Complesso Sovietico, a cui non erano sfuggiti nemmeno gli aborigeni delle isole Galapagos.
Mode ce n’erano state anche prima. Mode di ogni tipo, e la gente ci andava matta. Ma la follia degli hula hoop di dieci anni prima non era stata niente in confronto a quello che succedeva ora. A mano a mano che il tempo dedicato a guardare la televisione raggiungeva quello dedicato al lavoro nell’occupazione giornaliera del cittadino medio, la lievissima tendenza a ribellarsi contro la mummificazione totale davanti allo schermo in salotto veniva assorbita dal nuovo cinema tridimensionale, che per lo meno, costringeva la gente a camminare fino al teatro più vicino, e dalle mode, dalle mode, e ancora dalle mode.
Nuove mode nel cibo, negli abiti, nel linguaggio, nuove mode in ogni campo. Era un sistema per mezzo del quale i manipolatori della nuova teoria economica dell’invecchiamento-per-stile riuscivano a tenere in piedi la spaventosa produzione dei loro beni. Se le decappottabili erano le auto di moda, le berline scomparivano del tutto, e solo uno svitato, un anticonformista si sarebbe fatto vedere in giro su una macchina chiusa. Se si portavano abiti di tweed, i tessuti di gabardine erano al bando, e tanto valeva gettare nella pattumiera il vestito comprato ieri. Se veniva di moda il cibo cinese, la cucina italiana, turca, russa o scozzese, o qualsiasi altra cucina fosse stata in auge il mese prima, lasciava la scena. E il ristorante, che troppo ottimisticamente avesse fatto una scorta nelle dispense e nei frigoriferi di leccornie in voga ieri, poteva anche gettare tutto quel ben di Dio a gatti e cani.
Sì, di mode ce n’erano state anche prima, ma come questa mai.
Negli ultimissimi tempi, quasi tutte le mode che iniziavano in occidente si diffondevano anche nel Complesso Sovietico. Se tutti a Super Washington bevevano il cocktail “Sapore della battaglia”, dopo tre mesi al Cremlino si brindava con lo stesso miscuglio alla salute del Numero Uno.
Se i bermuda in seta stampata di madras impazzavano a Super New York come abito da sera all’ultimo grido, entro poche settimane invadevano anche le strade di Pechino intorno alle anche sottili delle belle cinesine.
Ma per lo meno ci volevano settimane.
Da quanto Ed Wonder potesse giudicare, l’attuale Moda Domestica si era diffusa in tutto il mondo simultaneamente. I dati che aveva a disposizione lo confermavano in modo inequivocabile. Forse nessun altro se ne rendeva conto, ma Ed Wonder sì.
Era cominciata sabato sera alle otto e trentacinque, ora locale. Dalla serie di dispacci d’agenzia, frammentari e confusi, Ed scoprì che la moda era esplosa un’ora più tardi nel fuso orario immediatamente a ovest, quattro ore più tardi, al secondo esatto, in Inghilterra, sei ore dopo nell’Europa Confederata. E così via, seguendo i fusi orari. Non si era diffusa secondo le norme dell’iniziativa umana. Era apparsa nello stesso istante su tutto il globo.
Alcuni giornalisti avevano cercato di dimostrare, indubbiamente in buona fede, che le cose non stavano così. Nessuno, fino a quel momento, era riuscito ad afferrare la verità così come la sospettava Ed Wonder.
Ed lesse divertito l’articolo di un giornalista che cercava di far risalire a molti mesi prima l’inizio della Moda Domestica, sostenendo che aveva a lungo covato sotto la cenere ed era sbocciata improvvisamente. Lo stesso giornalista passava poi a pontificare: la moda non sarebbe durata. Era contro la stessa natura delle donne. Era uno stile che non avrebbe esercitato a lungo il suo fascino sulle rappresentanti del gentil sesso. L’articolo rivelava poi che la Moda Domestica era già diventata una vera benedizione del cielo per i pubblicitari di Madison Avenue. L’Associazione degli industriali tessili aveva immediatamente approvato la spesa di cento milioni di dollari per una campagna pubblicitaria alla radio, alla televisione e con i proiettori celesti, che stroncasse la nuova moda sul nascere, e nuovi stanziamenti erano in corso. Si diceva che anche i fabbricanti di cosmetici si fossero riuniti in segreto per affrontare la situazione d’emergenza. Ma i giornalisti ignoravano, e lo ignoravano tutti tranne Ed Wonder, lo stesso Tubber e i suoi pochi fedeli, che alla maledizione non era stato posto nessun limite temporale. Era stata pronunciata per l’eternità. Sempre dando per scontato che la maledizione di Tubber, comunque riuscisse a renderla efficace, mantenesse indefinitamente il potere iniziale.
Ed meditò se fosse il caso di riferire a Mulligan i suoi sospetti, poi decise che era meglio soprassedere.
Se gli avesse esposto quella follia di sortilegi scagliati da un ciarlatano girovago, il Grassone avrebbe concluso che si era dedicato per troppo tempo al programma Ai limiti del reale. Gli avrebbe detto che quegli argomenti gli avevano dato alla testa e che era ora che si occupasse di problemi meno impegnativi.
Ed vagò senza meta fino al tavolo di Dolly. Come il giorno prima, la ragazza era venuta al lavoro con un vestito che sembrava aver messo per l’ultima volta quando aveva tredici anni. Era uno straccetto di cotone adatto a una scampagnata. Niente rossetto, né rimmel, né cipria. Nemmeno un paio di orecchini. Assolutamente niente.
«Allora, ti piace la nuova Moda Domestica, Dolly?» le chiese Ed.
Quasi tutto il personale maschile non aveva fatto altro che seccare le ragazze con continue domande relative al loro nuovo aspetto. Dolly era pronta a considerare Wonder come il suo tormentatore numero uno; eppure, non c’era malizia nella domanda di Ed.
«Insomma, Piccolo Ed, è una moda come le altre» rispose Dolly. «Viene, e dopo un po’ di tempo se ne va. Non è che a me piaccia o dispiaccia in modo particolare.»
Ed riprese, a bassa voce: «Senti, in questi ultimi due giorni, hai provato a farti il trucco?»
Lei corrugò la fronte, perplessa. «Veramente… sì, un paio di volte.»
«E…?»
Dolly esitò un attimo arricciando il nasetto aggressivo. «Insomma, accidenti… prudeva. Sai, come quando ti prendi una violenta scottatura al sole e la pelle comincia a venire via.»
Ed Wonder scosse la testa. «Senti, Dolly» disse poi «chiamami Buzz De Kemp, al “Times Tribune”, per favore. Cioè, sempre che lavori ancora là. Devo parlare con qualcuno.»
La ragazza gli lanciò la strana occhiata che si meritava e si diede da fare con il telefono.
Ed Wonder prese la chiamata al suo tavolo.
«Salve, Buzz. Non ero certo che lavorassi ancora lì.»
La voce all’altro capo del filo era allegra. «Non solo ancora qui, ma coccolato dalle affettuose carezze di un aumento di stipendio. Piccolo Ed, vecchio mio. Pare che una strampalata organizzazione di estrema destra abbia dato un ultimatum all’editore per alcuni miei articoli. Pretendeva il mio licenziamento immediato. Così, il Vecchio Ulcera pensa che un servizio giornalistico capace di smuovere le acque al punto da commuovere quei vecchi bufali, potrebbe sradicare dai televisori una mezza dozzina di quei citrulli dei nostri concittadini per un numero di minuti sufficiente a leggere il giornale. E così mi ha dato l’aumento.»
Ed chiuse gli occhi addolorato davanti alle stranezze della vita. «Buon per te» disse. «Ma io ho bisogno di vederti. Va bene da Dave Zeiss, fra un quarto d’ora? Offro io da bere.»
«Mi hai convinto» esclamò De Kemp al settimo cielo. «È meglio di un appuntamento romantico. E penso che tu sia affascinante, anche con quegli strani baffi.»
Ed riattaccò il ricevitore e si diresse verso l’ascensore.
Ed aveva fatto il più in fretta possibile, ma quando arrivò al bar, il giornalista aveva già due bicchieri di vantaggio. Il Saloon era praticamente vuoto. Ed scambiò le solite amenità con Dave Zeiss, ordinò un whisky allungato con seltz e propose a Buzz di ritirarsi in un angolo appartato.
Buzz lo guardò di sbieco, pur alzandosi dallo sgabello del banco per aderire alla proposta di Ed. «Le cose di cui dobbiamo discutere sono così intime che le orecchiette rosa di Dave non possono ascoltarle?»
«Sì.»
Si sedettero uno di fronte all’altro a un tavolo d’angolo, il più lontano possibile dalla televisione e dal juke-box. Ed squadrò il giornalista con aria tetra e infine disse: «Ho visto quel tuo pezzo sui cambiamenti di stile insensati.»
Buzz De Kemp tirò fuori dalla tasca della giacca un sigaro lungo venti centimetri e lo accese. «Roba fina, eh? A dire il vero…»
«Un momento» s’intromise Ed, ma l’altro ignorò l’interruzione.
«…il sistema risale ai primi anni dopo il sessanta, quando i veicoli su cuscini d’aria erano alla loro infanzia. Sai da chi ho preso l’idea per il mio servizio? Dal vecchio di cui parlavamo l’altra sera. Ha più statistiche lui sui disastri che sta combinando al Paese l’attuale sistema economico della nostra Società del Benessere che…»
«Tubber!» esclamò Ed.
«Proprio lui. Alcuni dei suoi dati sono un po’ sorpassati. Molte delle sue rilevazioni statistiche sono vecchie di una decina d’anni. Ma non per questo sono meno valide ora, anzi. L’ultima volta che l’ho sentito parlare era imbarcato in una crociata contro lo spreco di risorse indotto dalla produzione di materiale da gettare via dopo essere stato usato una sola volta. Il vecchio ce l’aveva con le bistecche e la carne in genere venduta in involucri di alluminio per la cottura immediata, con i biscotti e le torte contenute in scatole metalliche da mettere in forno. E le trappole per topi, in alluminio. Ti tolgono anche la fatica di tirare fuori il topo morto: si butta via trappola e topo insieme. E i rasoi di plastica con lama incorporata. Li si usa una volta sola, poi si gettano nella pattumiera.» Buzz scoppiò a ridere e aspirò una lunga boccata di fumo dal suo sigaro.
«Senti» disse Ed «lascia stare questa roba. Ho sentito la stessa musica la sera che sono andato al raduno con Helen. Quello che voglio sapere da te è questo: l’hai mai sentito scagliare una maledizione?»
Il giornalista lo guardò perplesso: «Fare che cosa?»
«Lanciare una maledizione. Una formula magica. Pronunciare un sortilegio contro qualcuno.»
«Ehi, che cosa credi? Il vecchio non è pazzo! È solo un visionario che vede tutto nero. Preannuncia il diluvio universale che sta per venire. Non crede di certo nelle maledizioni, e anche se ci credesse, non maledirebbe nessuno.»
Ed bevve l’ultimo sorso di whisky. «Non maledirebbe nessuno? La verità è che ha evidentemente maledetto l’intera umanità. Almeno la metà: le donne.»
Buzz De Kemp si tolse il sigaro di bocca e lo puntò verso Ed Wonder. «Piccolo Ed, sei suonato. Rimbecillito. Impazzito. E per di più ubriaco fradicio. Quello che dici non ha senso. Follia pura.»
Ed aveva deciso di dirgli tutto. Doveva pure sfogarsi con qualcuno, e non gli era venuto in mente nessuno più adatto di Buzz. «E va bene» ribatté. «Ascoltami solo un minuto.»
Naturalmente gli ci volle molto più di un minuto. Durante l’esposizione, Buzz lo interruppe solo per ordinare di nuovo da bere.
Quando Ed ebbe finito, il sigaro del giornalista era spento. Buzz lo accese di nuovo e cominciò a riflettere, mentre Ed scolava il bicchiere appena riempito.
«È una storia splendida» disse infine Buzz. «La sfrutteremo insieme.»
«Che cosa?»
Buzz si appoggiò coi gomiti al tavolo, il sigaro proteso in avanti. «È la storia di Padre Divino che si ripete. Ti ricordi quello che dicevo di Padre Divino, l’altra sera?»
«Ma che cosa diavolo c’entra questo con…»
«No, ascolta me ora. Alla fine degli anni Trenta, Padre Divino era solo uno dei tanti evangelizzatori che aveva scelto di fare una vita grama nei bassifondi di Harlem. Aveva sì e no un centinaio di seguaci. Un giorno ci fu un accoltellamento o una violenza del genere in uno dei suoi paradisi, e il giudice lo condannò a una lieve pena. Tuttavia, un paio di giornalisti sentirono parecchi seguaci di Padre Divino dire che il giudice sarebbe stato colpito dalla vendetta celeste, che Padre Divino l’avrebbe colpito a morte. Dopo nemmeno due giorni, il giudice morì d’infarto. Un cronista, pregustando il pezzo a effetto, andò a intervistare il predicatore nella sua cella, in galera. Quello stette al gioco e disse, chiaro e tondo: “Mi ha spezzato il cuore, dovevo farlo”. Vecchio mio, credimi, quando Padre Divino è venuto fuori da quella prigione, tutta Harlem era in strada ad aspettarlo.»
Ed intervenne di nuovo con impazienza. «Ma che cosa diavolo…» poi lasciò la frase a metà.
«Ma certo» rispose Buzz in fretta. «Non capisci? Il vecchio Tubber maledice la vanità delle donne, scaglia un maleficio sui cosmetici e sulla ricercatezza dell’abbigliamento femminile. E che cosa succede il giorno dopo? Esplode la follia della Moda Domestica. Una coincidenza, è ovvio: ma che fantastica coincidenza.»
Già, era proprio ovvio. «Va bene» disse Ed, lentamente «ma che cosa volevi dire quando hai tirato fuori l’idea di sfruttare la storia insieme?»
Il sigaro era di nuovo teso verso di lui, come a dare maggior enfasi alla spiegazione. «Non fare il tonto. È un’occasione che viene una volta sola nella vita. Fino a ora, in quel tuo strampalato programma sei solo riuscito a trovare una sfilza di pagliacci. Fanfaroni che giurano di aver solcato lo spazio su dischi volanti, spiritualisti che non hanno un minimo di spirito per tenere su la trasmissione, guaritori miracolosi che non riescono a toglierti nemmeno un foruncolo. Ma questa volta hai messo le mani su una storia esplosiva. Fatti in quattro e aggancia il vecchio Tubber per la prossima trasmissione. Ha maledetto la vanità, e il trucco funziona. Hai capito? Funziona! E c’è di più; ci sono testimoni. Tu eri presente, Helen Fontaine era presente. C’era la figlia di Tubber e c’era qualche dozzina di suoi seguaci. Hai una massa di testimoni in buona fede e genuini, pronti ad affermare che lui ha maledetto la vanità delle donne e che il giorno dopo la Moda Domestica ha invaso il mondo. Non riesci a vedere una storia splendida come questa nemmeno quando ti casca sulle ginocchia?»
«Santo cielo!» esclamò Ed spaventato.
«Ti sosterrò con una serie di pezzi sul “Times Tribune”. Prima reclamizzo il programma per qualche giorno, poi esplodo con un paginone pieno di fotografie e disegni. Magari nel supplemento della domenica. Fotografie di Tubber, della tenda, di sua figlia. Tubber nell’atto di scagliare una maledizione. La solita roba.»
La fantasia di Buzz stava trascinando anche Ed. Con tutta quella messa in scena, forse l’interesse sarebbe stato tale da convincere qualche pezzo grosso a fare pubblicità al suo programma. Chissà, forse gli avrebbero trovato un buco alla TV.
«Ma il programma di venerdì è già preparato» disse. «Sono impegnato con la ragazza telepatica.»
«Buttala a mare. Rinvia. Questo è un argomento che scotta. Devi sfruttare Tubber finché la Moda Domestica è ancora una novità. Fra due settimane sarà roba vecchia. È una moda, questa, che i pezzi grossi non lasceranno vivere a lungo. Non possono permetterselo. Grandi magazzini, istituti di bellezza, produttori di cosmetici stanno già facendo il diavolo a quattro. Vogliono che il Presidente faccia uno di quei suoi interventi persuasivi per dire alle donne degli Stati Uniti che stanno distruggendo il benessere del Paese.»
«Hai ragione!» esclamò Ed. «Mi darò subito da fare. Devo tirare fuori qualche persona disposta a far parte della tavola rotonda. Per fargli domande, capisci.»
«Io!» disse Buzz. «Verrò io alla tua trasmissione. Ho sentito parlare Tubber almeno una decina di volte. E poi devi far partecipare Helen, dato che è stata lei la causa della maledizione. Magari potremmo convincerla a implorarlo per ritirare la maledizione.»
«D’accordo» disse Ed accettando il suggerimento. «E l’ultima sarà Nefertiti, sua figlia. È bella come un gioiello. E ha anche una bella voce. La convincerò. Mi ha fatto capire che il vecchio Tubber aveva già esercitato i suoi sortilegi, parlando nell’ira, come dice lei.»