La mattina dopo, molto presto, Ed Wonder stava per sedersi davanti alla colazione con il giornale aperto sul tavolo, quando il colonnello Fredric Williams entrò come un turbine nel suo appartamento.
Ed Wonder alzò gli occhi.
«Riunione speciale nell’ufficio del signor Hopkins, Wonder» annunciò.
«Non ho ancora fatto colazione.»
«Non c’è tempo. Ci sono sviluppi importantissimi.»
Ed piegò il giornale e se lo ficcò in tasca, mandò giù in fretta un sorso di caffè bollente e si alzò.
Seguì il colonnello. Le due guardie del corpo, Johnson e Stevens, si unirono a loro nell’atrio. Ecco la mentalità burocratica, pensò Ed. Ieri l’avevano spedito a Elisio, proprio nell’accampamento del presunto nemico, senza dargli nemmeno una pistola ad acqua per difendersi. Ma ora, in questa supercommissione in cima al Nuovo Empire State Building, era contrario alle norme di sicurezza aggirarsi per i corridoi senza guardia del corpo.
Hopkins non era solo. Al contrario, il suo ufficio era affollato. Questa volta Ed Wonder riconobbe quasi tutti i presenti. C’erano Braithgale, il generale Crew, Buzz e Helen, il colonnello Williams, e i più importanti dirigenti del Progetto Tubber affidato alla direzione di Ed. Evidentemente, fra tutti i vari rami in cui era divisa l’indagine sul disastro, il suo progetto stava rapidamente imponendosi come il principale.
Quando tutti si furono seduti, Hopkins rivolse uno sguardo penoso intorno a sé, soffermandosi particolarmente su Ed e Buzz De Kemp.
«Prima di venire al rapporto del signor Wonder sulla sua visita a Elisio» esordì «desidero siano riassunti gli ultimi sviluppi. Signor Oppenheimer?»
Bill Oppenheimer, che con il maggiore Davis aveva innalzato per primo Ed e Buzz ai gradi di priorità assoluta, si alzò gesticolando nel suo modo caratteristico. «Per farla breve» disse «i bambini sotto i sei anni, tutti gli idioti e la maggior parte degli scemi sono esclusi.»
«Esclusi da che cosa?» tuonò il generale Crew.
«Dalle maledizioni» rispose Oppenheimer fissandolo. «Sentono la radio, vedono la televisione.» Bill Oppenheimer si risedette.
«Signor Yardborough» disse Hopkins.
Si alzò Cecil Yardborough.
«Quello che vi dirò è ancora allo stato di ipotesi. Abbiamo comunque già cominciato a muoverci in questa direzione, e ora che abbiamo mobilitato la facoltà di Parapsicologia di Duke dovremmo avanzare con maggiore rapidità.» Si voltò verso Ed Wonder come se si aspettasse una selva di obiezioni a quello che stava per dire. «Uno degli studiosi alle nostre dipendenze, con profonda esperienza nel campo della telepatia, ha ipotizzato una spiegazione scientifica del potere di Tubber.»
Non avrebbe raccolto più attenzione se si fosse messo improvvisamente a volare.
Yardborough proseguì: «Il dottor Jeffers ha espresso l’ipotesi che Ezechiele Giosuè Tubber, forse inconsciamente, abbia capacità telepatiche assai più sviluppate di quelle conosciute finora. La maggior parte delle persone dotate di capacità telepatiche riesce a mettersi in contatto con una sola persona alla volta, alcuni a comunicare con due o tre soggetti contemporaneamente, molto pochi riescono a trasmettere un pensiero a una quantità notevole di persone, ma solamente entro una distanza limitata.» Gli occhi di Yardborough girarono qua e là sulle facce attente. «Il dottor Jeffers ritiene che Tubber sia il primo essere umano in grado di stabilire il contatto telepatico simultaneamente con tutta la specie umana, indipendentemente dalla lingua.»
Braithgale distese le sue gambe lunghissime e le incrociò nel modo inverso.
«Che cosa c’entra questo con le maledizioni?»
«È solo la premessa dell’ipotesi di Jeffers» riprese Yardborough. «Egli ritiene anche che Tubber sia in grado di ipnotizzare telepaticamente. Questo significa che non avrebbe bisogno di trovarsi in presenza della persona ipnotizzata. Può farlo a qualsiasi distanza.»
Un sospiro, come di sollievo, rimase sospeso nella stanza.
«Non regge» disse secco Ed Wonder.
Tutti si voltarono verso di lui, Helen e Buzz compresi, e nei loro occhi sembrava esserci una luce come di disapprovazione.
Ed mise le mani avanti. «Sì, sì. Lo so. Tutti quanti vogliono che la teoria regga. La gente è fatta così. Perde la testa davanti a fenomeni a cui non può appiccicare un’etichetta. È semplice: dev’esserci una spiegazione a tutto. Però, questo dottor Jeffers non spiega i poteri di Tubber. Certo, potrei anche accettare la teoria per quanto riguarda la maledizione scagliata sulla radio e la TV e perfino per quella del cinema. Potrebbe anche coprire la maledizione dei juke-box.»
«Maledizione dei juke-box!» sbottò qualcuno.
«Sono cominciati ad arrivare i primi rapporti sull’argomento» disse Hopkins con voce calma. «Prosegua, signor Wonder.»
«Tuttavia non spiega certe conseguenze fisiche del potere di Tubber, come le fessure scomparse nei parchimetri, o l’incendio di un locale notturno in cui il proprietario rappresentava spettacoli di striptease con una troupe di ragazze minorenni. Così come non spiega la rottura a distanza delle corde di una chitarra.»
Jim Westbrook, che sedeva in un angolo e che solo ora fu notato da Ed, disse: «Forse il possessore della chitarra ha solo pensato che le corde fossero rotte, sotto l’azione dell’ipnosi di Tubber.» Ma sembrava che il consulente tecnico fosse il primo a non credere alle proprie parole.
«La verità è che non sappiamo niente» riprese Ed. «Forse esiste un principio, in natura, in base al quale quando si crea il bisogno di un certo tipo di personalità, la specie umana ne produce un esemplare. Magari la natura ha stabilito che ora c’è bisogno di un uomo con i poteri di cui dispone Tubber. C’era bisogno di un Newton, quando comparve. Possiamo spiegarcelo? No. Ci fu una fioritura eccezionale di supergeni in città come Firenze, all’epoca del Rinascimento. È possibile spiegare il perché della fantastica capacità di Leonardo e Michelangelo? Lo sa il cielo. I tempi chiedevano la loro presenza. La razza umana doveva uscire dal Medio Evo.»
Dwight Hopkins sospirò e si passò la mano sul mento e sulla bocca.
«Molto bene» disse. «Comunque, signor Yardborough, faccia in modo che l’ipotesi del dottor Jeffers sia sviluppata con tutti i mezzi a disposizione. Priorità assoluta. Non dobbiamo lasciare inesplorata nessuna possibilità. L’emergenza nazionale sta crescendo spaventosamente. E ora» continuò Hopkins «veniamo a un altro punto, assai spiacevole. Generale Crew, per favore?»
Il generale scattò pesantemente in piedi. Prima ancora che aprisse la bocca, la sua faccia era diventata scura. Prese la copia di un giornale dal tavolo di Hopkins e lo agitò in aria con forza.
«Chi è il traditore che ha soffiato tutta questa storia alla AP-Reuter?»
«AP-Reuter!» esplose Buzz. «Vuol forse dire che qualcuno è arrivato prima di me? Questa non dovevano farmela!»
Ed Wonder si tolse il giornale che aveva infilato in tasca, guardò la prima pagina. Il titolo era a caratteri cubitali: MALEDETTE DA UN PREDICATORE RADIO E TV.
Non c’era bisogno di leggere l’articolo. Ed sapeva che non sarebbe mancato un solo particolare.
«Pensavo che nessuno ti avrebbe creduto» disse rivolto al giornalista.
Buzz sorrise, si tolse il sigaro di bocca e lo puntò al petto di Ed. «È qui che mi è venuto il colpo di genio. Era la mia storia, sin dall’inizio, e dovevo vederla stampata su un giornale. Ieri mi hai lasciato in mano l’ufficio. Così ho mandato un paio di ragazzi a Kingsburg a requisire il Vecchio Ulcera. L’hanno sollevato di peso dalla sedia al giornale e l’hanno portato qui. L’ho portato in giro a vedere con i suoi occhi… Gli ho mostrato tutta la gente che lavora al Progetto Tubber. Finalmente gli è entrata in testa. Che lui personalmente ci creda o no, si è reso conto che la storia più colossale del secolo è esplosa proprio nella sua città, sotto la sua sedia. Avevo già il pezzo pronto. Ha solo dovuto prenderlo e portarlo con sé.»
«E l’AP-Reuter l’ha ripresa dal “Times Tribune”, disgraziato!» lo assalì Ed. «Capisci che cos’hai fatto?»
«So io cos’ha fatto» interloquì Hopkins. «Ha reso ridicolo il governo. Credevo di aver messo in chiaro che questa fase delle indagini doveva essere mantenuta segreta fino al giorno in cui avessimo in mano elementi più definiti.»
Ed Wonder era in piedi e rifletteva a velocità vertiginosa. «Ha fatto di molto peggio. Ha firmato la condanna a morte di Tubber e di sua figlia.»
Buzz lo guardò accigliato, senza capire.
«Non dire sciocchezze, amico. È ovvio che non ho rivelato dove si trovano. Sono al sicuro nella loro casetta di Elisio. Certo, moltissima gente ce l’avrà a morte con loro. Una buona occasione per dare una lezione al vecchio Zechi. Così scoprirà che razza di vipera lo considera il mondo intero.»
«Ma non è a Elisio!» esclamò Ed. «In questo momento si trova a Oneonta, con quella ridicola tenda, a diffondere il suo vangelo. Avanti, Buzz! Sei stato tu a combinare il guaio, e adesso verrai con me. Lo linceranno.»
Buzz scagliò per terra il sigaro. «Maledizione!» mormorò avviandosi alla porta.
Anche il generale si era alzato. «Aspettate un momento. Potrebbe essere la soluzione migliore.»
Ed Wonder lo investì con un’occhiata di disprezzo.
«Come quell’altra trovata geniale, quella del tiratore scelto che gli spara da lontano? Si limiti a prendere in considerazione solo due possibili conseguenze, mio caro soldato. Primo: supponiamo che Tubber si metta a scagliare maledizioni contro la folla che lo assale per linciarlo. Ha idea di che cosa potrebbe accadere? Oppure, seconda ipotesi: supponiamo che la folla riesca a prenderlo e lo faccia fuori. Pensa che l’effetto delle maledizioni avrà fine con la sua morte? Come facciamo a dirlo con certezza?»
Buzz era già fuori della porta e stava attraversando gli uffici esterni a grandi passi. Ed lo seguì.
«Un momento!» chiamò Hopkins. La sua proverbiale calma era finita chissà dove. «Posso avvertire la polizia di Oneonta.»
«No!» gridò Ed senza voltarsi indietro. «Tubber e Nefertiti conoscono bene me, mentre la presenza di qualche piedipiatti dalla mano pesante potrebbe avere il solo effetto di aumentare i fuochi d’artificio.»
Nell’atrio, Johnson e Stevens scattarono in piedi come molle.
Ed li investì con una serie di ordini. «Telefonate al garage. Fate preparare per noi il mezzo più veloce che la polizia abbia a disposizione. Dev’essere pronto prima che noi arriviamo giù. Spicciatevi, buffoni di piedipiatti!»
Si precipitò come un toro infuriato per il corridoio fino all’atrio degli ascensori.
Quando arrivò, Buzz ne aveva già chiamato uno. S’infilarono nella cabina, premettero il bottone della discesa rapida e quasi sentirono le gambe cedere sotto la spinta dell’accelerazione.
L’aeromobile li aspettava. Ed si fece riconoscere e saltò sul sedile anteriore insieme a De Kemp.
«Come accidenti funziona questa maledetta macchina?» chiese Buzz. «Non ho mai guidato un’aeromobile automatica.»
Ed Wonder conosceva bene le Cyclon di Helen. «Così!» esclamò, e compose sul dispositivo elettronico la combinazione che avrebbe fatto dirigere la vettura all’uscita del ponte Washington e alle autostrade del Nord. Successivamente prese la mappa nel cassetto del cruscotto e localizzò Oneonta. La cittadina, situata all’estremità settentrionale dello Stato di New York, non era più distante dalla metropoli di Kingsburg, ma si trovava più a ovest. La strada più breve era quella che passava da Binghamton.