21

Gli avevano dato una carta dettagliatissima della zona di Catskill, nella quale si trovava Elisio. Non era lontano dalla riserva indiana di Ashokan e dalla ex colonia degli artisti di Woodstock.

Ed attraversò la città di Woodstock, e superò Bearsville fino a una baita chiamata Shady. Da lì partiva la strada stretta e polverosa che dopo pochi chilometri conduceva alla comunità di Elisio. Lungo la strada, c’erano un paio di cartelli indicatori. Ed Wonder non aveva mai guidato la Volksair su una strada sterrata, ma a parte la nuvola di polvere sollevata, non trovò nessuna grande differenza.

Passò davanti a una villetta immersa nel verde, a qualche centinaio di passi dalla strada. Forse era meglio chiamarla capanna. Era circondata da un vasto giardino pieno di piante e fiori. Ed Wonder procedette e vide una seconda villetta molto simile alla prima, ma non identica. Senza troppo riflettere, pensò che fossero abitazioni estive di qualche anima solitaria che voleva piantare tutto e tornare alla natura durante i mesi caldi. Non che l’idea avesse per lui molto fascino, però, a rifletterci, potevano esserci dei lati non troppo spiacevoli…

Capì tutto quando vide una terza casetta sulla sinistra.

Era Elisio.

Piccoli viottoli si staccavano dalla strada principale a destra e a sinistra. Evidentemente conducevano ad altre abitazioni. Fece una smorfia. Quelle case erano abitate tutto l’anno? La gente viveva lì, completamente tagliata fuori dalla civiltà?

Si accorse che non c’era nemmeno un’antenna televisiva. Anzi, non c’erano neanche i pali del telefono. Concluse che in nessun modo doveva esserci un centro di distribuzione in tutta la comunità, e rabbrividì. Quella gente si faceva da mangiare in casa! Fece scendere al livello del suolo la Volksair per esaminare meglio la situazione. Gli apparvero alla vista tre casette vicine. Non c’era nessuna aeromobile parcheggiata, tranne la sua.

«Roba da matti» mormorò.

Alcuni ragazzi giocavano nel bosco, arrampicati sugli alberi. Passavano da un ramo all’altro come una piccola tribù di scimpanzé. La prima cosa che Ed si chiese fu come mai i genitori permettevano ai loro figli di rischiare l’osso del collo. C’erano mille argomenti contro la TV, ma per lo meno teneva i ragazzi lontani dalle strade e dai giochi pericolosi. Un ragazzetto poteva cacciarsi in una situazione pericolosa, se lasciato in completa libertà come questi. Poi gli venne in mente un’altra riflessione. Forse era un bene esporre i bambini a un certo grado di pericolo nei loro giochi. Un braccio rotto, nel periodo della crescita, poteva anche rientrare in un ampio concetto di educazione, e aveva certamente un valore di esperienza.

Si stava avvicinando ai ragazzi per chiedere indicazioni, quando vide a una certa distanza una persona che riconobbe. Lentamente avanzò con la macchina. Era una seguace di Tubber, una delle donne che dava il benvenuto ai fedeli all’ingresso della tenda a Kingsburg, la sera in cui lui e Helen avevano fatto arrabbiare Ezechiele Giosuè Tubber per la prima volta.

Wonder fermò l’aeromobile accanto alla donna e le disse: «Ah… cara sorella…»

La donna si voltò e aggrottò la fronte, evidentemente sorpresa di vedere un’aeromobile su quella strada… se strada si poteva chiamare un viottolo di Elisio. Evidentemente non lo riconosceva. Esitando, disse: «Buongiorno, caro fratello. Posso esserle di aiuto?»

Ed saltò fuori dal suo scarafaggio e rispose: «Vedo che non si ricorda di me. Ho assistito a un paio di riunioni di… ehm… della Voce della Verità.» Avrebbe dovuto preparare meglio quel primo incontro. La verità era che non aveva la minima idea di quello che avrebbe trovato e stava improvvisando.

«Ho pensato di venire a vedere com’è Elisio» aggiunse.

La faccia della donna si addolcì. «È un pellegrino?»

«Ecco, non proprio. Desidero solo saperne di più.» Lasciò la Volksair lì dov’era e la seguì. A Elisio non c’erano problemi di parcheggio. «Spero di non disturbarla.»

«Oh, no.» La donna continuava a camminare. «Devo solo consegnare alcuni miei scritti al tipografo.»

«Tipografo?»

«Sì, quella casa lì di fronte. È la nostra tipografia.»

Ed Wonder osservò la casa indicata. Differiva di poco dalle altre villette. «Vuol dire che stampate…»

«Tutto quello di cui abbiamo bisogno.» La donna non aveva l’aspetto tetro di quando Ed l’aveva vista al raduno sotto la tenda a Kingsburg. Ma a pensarci bene, rifletté Ed, in quell’occasione lui si aspettava di trovare facce tetre. Gente fanatica, puritana, pronta a condannare le umane debolezze, come il ballo, il bere, il giocare a carte.

«Anche libri?» chiese, quando ormai erano sulla porta. L’idea che Ed aveva della stampa di libri implicava sterminate distese di gigantesche presse, interamente automatizzate, con colossali rotoli di carta che si svolgevano a velocità fulminea da una parte e volumi finiti che uscivano dall’altra, per essere impacchettati e inscatolati, sempre automaticamente.

«Stampiamo libri, opuscoli, persino un piccolo settimanale. Mandiamo questo materiale ai pellegrini di tutta la nazione che non sono ancora del tutto pronti a unirsi a noi qui a Elisio.» Salutò uno dei due uomini che si trovavano nella tipografia. «Kelly, ho finalmente trovato gli ultimi due versi.»

Kelly stava in piedi davanti a una cosa che Ed riconobbe vagamente come una primitiva pressa da stampa. Con la gamba sinistra azionava un pedale, simile al meccanismo che faceva girare le prime macchine da cucire. Contemporaneamente, con la mano destra, prendeva un foglio di carta bianca, lo inseriva con abilità tra i rulli e lo toglieva con altrettanta destrezza con la sinistra, ripetendo il procedimento con veloce regolarità.

«Salve, Martha» disse Kelly. «Molto bene. Se ne occuperà subito Norm.»

Ed stava a guardare affascinato. Se gli finiva la mano fra la matrice e…

Kelly lo guardò sorridendo. «Mai vista una pressa a mano prima d’ora?»

«Veramente no» rispose Ed.

«Kelly, questo è un nuovo pellegrino» gli spiegò Martha. «Ha seguito alcuni raduni di Giosuè.»

Ci fu il solito scambio di banalità. Per parecchio tempo Ed continuò a guardarsi intorno stupito. Non avrebbe potuto essere più sorpreso se fosse entrato in una stanza dove delle donne stessero cardando la lana e altre la stessero filando con i fusi. Ancora non lo sapeva: avrebbe potuto vedere anche quella scena.

Mentre Martha e Kelly discutevano tra loro i particolari tecnici del libro che evidentemente dovevano stampare, Ed si avvicinò all’altro tipografo che stava lavorando nella sala.

L’uomo alzò la testa e lo salutò con un sorriso. «Il mio nome è Haer, caro fratello» disse. «Norm Haer.»

«Ed. Ed Wonder. Che cosa diavolo sta facendo?»

Haer sorrise di nuovo. «Sto disponendo i caratteri a mano. Questo è un California corpo dieci. Un carattere di cui si è perso lo stampo ormai.»

«Pensavo che i caratteri venissero disposti in fila da una macchina che assomiglia un po’ a una macchina da scrivere.»

Haer scoppiò a ridere. «Era il vecchio modo quello. Qui a Elisio facciamo tutto a mano.» Mentre la sua mano andava avanti e indietro, le righe incolonnate nella cassetta crescevano lentamente.

«Senta, perché fa così?» chiese Ed con una certa esasperazione nella voce. «Benjamin Franklin stampava così, ma da allora abbiamo scoperto alcuni accorgimenti.»

Le dita del compositore non rallentavano il ritmo di lavoro. Era evidentemente il tipo d’uomo che non perdeva mai il buon umore. Per lo meno, fino a quel momento aveva continuato a sorridere.

«Ci sono molte considerazioni da fare» disse. «Primo, si prova molta soddisfazione nel creare un prodotto finito con le proprie mani. Specie se si tratta di un prodotto di particolare valore. Il mondo del lavoro ha perduto qualcosa da quando il calzolaio non ha più fatto un paio di scarpe partendo dalla pelle conciata e lavorando con chiodi e martello al suo deschetto, ma è stato invece messo davanti a una macchina gigantesca, per controllare quattro ingranaggi, girare ogni tanto un interruttore o premere un pulsante, per quattro o cinque ore al giorno.»

«Ah, certo» ribatté Ed «ma quel calzolaio di un tempo riusciva a produrre forse un paio di scarpe al giorno, mentre il secondo ne produce oggi dieci o ventimila.»

Il tipografo sorrise. «È vero. Ma il secondo ha l’ulcera, odia sua moglie ed è semialcolizzato.»

Ed Wonder chiese improvvisamente: «Che cosa faceva prima di diventare tipografo compositore per Tubber? Non mi sembra che sia un rozzo…» Lasciò la frase interrotta a metà. Si era accorto che non era molto diplomatica.

Norman Haer stava ridendo di cuore. «Non faccio il tipografo per Tubber, ma per Elisio. Prima ero direttore generale della Società Editoriale Mondiale, con sedi a Super New York, Nuova Los Angeles, Londra, Parigi e Pechino.»

Ed aveva sperimentato quanto fosse duro tentare di scalare la piramide nello Stato del Benessere. La concorrenza era spietata quando solo un terzo delle forze di lavoro potenziali del Paese era assorbito dalle necessità della produzione. Disse, con tono compassionevole: «È arrivato fino in alto e poi l’hanno scaricata, vero?»

«Non proprio» rispose Haer. «Ero un azionista troppo importante per questo. Un giorno mi capitò fra le mani un opuscolo di Giosuè Tubber. Da allora lessi tutto quello che potei trovare di suo. E la settimana seguente dissi alla Società quello che pensavo veramente di lei e venni a Elisio per installare questa tipografia.»

L’uomo era ovviamente un po’ tocco, pensò Ed, felice o non felice che fosse. Lasciò cadere quell’argomento. «Che lavoro sta facendo, ora?» gli domandò.

«Un’edizione a tiratura limitata degli ultimi versi di Martha Kent.»

«Martha Kent?» Ed Wonder conosceva quel nome. La poesia non era il suo forte, ma che un’americana vincesse il premio Nobel per la letteratura non era cosa da tutti i giorni e che potesse passare inosservata. «Vuol dire che vi ha dato il permesso di pubblicare un suo libro?»

«Io la metterei in modo diverso» fece Haer, sempre sorridendo. «È più esatto dire che è Martha che se lo sta pubblicando.»

«Martha!» esplose Ed. I suoi occhi schizzarono verso la donna con cui era entrato, che stava ancora parlando con Kelly alla pressa piana. «E quella sarebbe Martha Kent?»

«In persona» sghignazzò Haer.

Ed Wonder mormorò una specie di saluto e si riunì agli altri due. Come se la stesse accusando, disse: «Lei è Martha Kent.»

«Sì, caro fratello» disse la donna sorridendo.

«Senta» riprese Ed «non voglio sembrarle troppo curioso, ma perché fa pubblicare il suo volume di poesie in una tipografia scalcinata come questa?»

«Non lo dica a Tubber» rispose Martha con un sorriso birichino da bimba «ma è per far soldi.»

«Far soldi!» esclamò Ed disgustato.

Kelly aveva finito la carta; smise di pedalare, si pulì le mani sul grembiule e si avviò verso una pila di libri ammucchiati in un angolo. Ne prese uno e tornò accanto a Ed. Glielo porse senza dire una parola.

Ed girò il volume nelle mani. Era rilegato in pelle. Era diverso dagli altri libri. Lo aprì e scorse le pagine. La carta pesante aveva una patina antica. L’autore gli era sconosciuto. Sentiva però di tenere fra le mani un’opera d’arte.

I due lo guardarono, divertiti e sconcertati allo stesso tempo.

Per dire qualcosa, Ed mormorò: «Non ho mai visto carta come questa. Dove l’avete trovata?»

«L’abbiamo fatta» rispose Kelly.

Ed chiuse gli occhi, li riaprì dopo un istante. «Ma perché avete bisogno di soldi?» disse. «Evidentemente fate tutto.» Additò il vestito di Martha Kent. «Moda Domestica, vero?»

«Sì. Ma evidentemente non possiamo fare del tutto a meno dei soldi, anche a Elisio. Per esempio, abbiamo bisogno di francobolli per spedire le pubblicazioni. A volte abbiamo bisogno di medicine. E dobbiamo comprare il sale.»

«Non capisco» disse Ed sulle difensive. «Lei, Martha Kent, scrive un libro che potenzialmente è un best seller. Lo porta qui e ne fa un’edizione a tiratura limitata, composta a mano, stampata con una pressa a pedale su carta fatta in casa. Quante copie ne tirate? Un migliaio?»

«Duecento» rispose Martha.

«E poi le vende. Per quanto? Cento dollari l’una?»

«Due dollari» rispose Martha.

Ed richiuse gli occhi. La sua faccia esprimeva angoscia. «Due dollari per un libro simile?» sbottò. «Io non sono un bibliofilo, ma una prima edizione di poesie di Martha Kent, limitata, fatta a mano, dovrebbe avere un valore inestimabile. Ma a parte questo, se solo mettesse il manoscritto nelle mani di un grosso editore, fareste una fortuna.»

Kelly, con voce convincente, disse: «Lei non capisce. Non abbiamo bisogno di una fortuna. In questo momento a Elisio farebbero comodo circa quattrocento dollari, per comprare medicine e…»

Martha la interruppe rapidamente per rivolgersi a Ed. «Ma non faccia sapere questo a Giosuè Tubber. Giosuè non sempre è un uomo pratico. S’indignerebbe se sapesse che ci siamo abbassati al punto di pubblicare questo libro solo per guadagnare dei soldi.»

Ed era sbalordito. Chiese: «E lui che cosa ne farebbe? Lo regalerebbe?»

Martha e Kelly, all’unisono, come se non ci fosse niente di più logico, risposero: «Sì.»

«Esco a prendere una boccata d’aria» disse Ed.

Tornò alla sua Volksair facendo sforzi per non strapparsi i capelli dalla disperazione.

“D’accordo, maledizione!” pensò Ed. Si poteva pure ammettere che avessero le loro buone ragioni. Quella piccola comunità, sorta sulle colline e nei boschi di Catskill aveva le sue virtù. Aria pura. Paesaggio stupendo con sullo sfondo i monti del Belvedere. Un posto magnifico per i bambini, probabilmente. Anche se solo Dio sapeva dove potevano andare a scuola. Ripensò a quest’ultimo fatto. Se Tubber aveva il titolo di accademico e Martha Kent era una sua seguace, allora si poteva anche immaginare che ci fossero altre persone capaci d’insegnare, sia pure nei limiti della tradizione delle antiche scuole di campagna.

E va bene. Elisio aveva le sue qualità, anche se in inverno doveva essere un affare ben diverso. Esaminò altre due o tre casette che sorgevano intorno. Avevano tutte il comignolo. Santo cielo! Quella gente aveva un focolare e ci bruciava la legna. Ceppi che evidentemente segavano loro stessi. Non avevano nemmeno bruciatori a nafta per il riscaldamento centrale. Fino a che punto si poteva tornare indietro, fino all’età della pietra?

A ripensarci, però, forse era magnifico anche l’inverno da quelle parti. Soprattutto appena dopo una nevicata. Ed Wonder aveva l’abitudine, ogni volta che veniva una nevicata abbondante, di lasciare Kingsburg in auto e fare una gita in campagna, solo per vedere la neve di primo mattino, sui rami spogli degli alberi, nei campi… prima che il sole e la mano dell’uomo distruggessero l’incanto. Naturalmente, non lasciava mai le strade principali. Qui sarebbe stato diverso. Pensò che una nevicata veramente intensa avrebbe sepolto il villaggio e gli abitanti non sarebbero riusciti nemmeno a scendere fino a Woodstock a fare acquisti.

Che stupido! Non avevano alcun bisogno di andare a Woodstock, o in qualsiasi altro luogo, a fare acquisti. Tutto quello di cui avevano bisogno se lo facevano in casa, era ovvio.

Ma come avrebbero fatto per le cure mediche nel caso che qualcuno si fosse ammalato, quando la comunità era isolata dalla neve? Chissà, forse fra loro c’era chi ne sapeva anche di medicina. Pareva che avessero tutto.

D’accordo, si potevano pure ammettere le loro grandi qualità. Comunque, erano matti come una squadra di cappellai di Alice nel Paese delle Meraviglie. Seppellirsi in quel posto, condurre un’esistenza da pionieri. Niente radio, niente televisione…

Chissà quante volte quei ragazzi che giocavano sugli alberi avevano avuto il permesso di scendere in città per andare al cinema. Probabilmente mai. Forse non conosceva a fondo Ezechiele Giosuè Tubber, ma era evidente che il vecchio profeta non doveva proprio gradire i film moderni, pieni di delitti, violenze e sentimenti che probabilmente gli apparivano come perversioni.

Ma che cosa diavolo facevano tutto il giorno?

E quell’assurda conversazione che aveva appena fatto con Martha Kent, Kelly e Haer? In quel libro dovevano essere andati mesi di lavoro. E il prodotto di tutto quel lavoro? Quattrocento dollari. E perché avevano deciso di guadagnare quella somma? Avevano bisogno esattamente di quattrocento dollari per acquistare cose di cui la comunità aveva assolutamente bisogno. Oh, splendido! Che cosa c’era di male a produrre per ottocento dollari, mettendone quattrocento da parte per bisogni futuri? Il professor McCord non aveva detto a Ed che Tubber era laureato in economia? Che cosa insegnavano alla facoltà di economia di Harvard, in quei tempi?

A quel punto delle sue riflessioni, Ed scorse un’altra persona che conosceva e che stava entrando in una delle villette. Era Nefertiti Tubber.

La chiamò, ma evidentemente la ragazza non lo sentì.

Wonder respirò profondamente, raddrizzò la spina dorsale, fece scorrere l’indice della mano destra all’interno del colletto della camicia e si lanciò in una delle azioni più coraggiose della sua vita. Marciò dritto verso la casa e bussò alla porta.

La voce di Nefertiti esclamò: «Avanti, caro fratello.»

Ed aprì la porta e rimase immobile sulla soglia per un istante. Ogni tanto, nelle sue letture, si era imbattuto nel termine “rabbrividire”. I personaggi dei libri rabbrividivano. Non era mai riuscito a farsi un’idea chiara di che cosa rappresentasse quell’immagine che gli pareva solo letteraria. Ora lo sapeva. Ed Wonder stava rabbrividendo.

Tuttavia, a meno che la Voce della Verità non fosse nascosta in una delle due stanze più piccole di cui pareva provvista la villetta, oltre al locale più ampio a cui si accedeva direttamente dalla strada, Nefertiti era sola. Nulla in Nefertiti Tubber pareva richiamare l’idea di brivido. Ed smise di rabbrividire.

La ragazza disse: «Eccola qua, Edward, caro fratello. Vedo che è venuto da me.»

Non era con quel tono che di solito i seguaci di Tubber pronunciavano le parole “caro fratello”.

Ed richiuse la porta alle sue spalle. Lei gli si avvicinò, con le braccia lungo i fianchi, e si fermò davanti a lui.

Era la cosa più semplice del mondo. Non dovette pensarci nemmeno per un istante. Se ci avesse pensato, forse non l’avrebbe fatto. Non avrebbe fatto ciò che invece accadde, naturalmente.

La strinse forte fra le braccia e la baciò con profonda sincerità sulla bocca. Le labbra di Nefertiti sembravano fatte apposta per baciare. Ma non doveva averle tenute molto in esercizio.

Nefertiti Tubber non si mosse. Continuò a tenere la sua faccia contro quella di Ed, gli occhi aperti.

E allora Ed la baciò di nuovo.

Dopo qualche istante, nervosamente, si ricordò di dire: «Mmh… dov’è tuo padre, eh… tesoro?»

La ragazza ebbe un tremito come se le desse fastidio dover parlare. «È andato a Woodstock a meditare su qualche bicchiere di birra.»

Ed chiuse gli occhi e rivolse un muto appello ai suoi angeli custodi, se ne aveva. «Ezechiele Giosuè Tubber in città a bere birra?»

«Perché no?» Nefertiti lo prese per mano e lo condusse fino al sofà.

Anche il sofà, notò Ed, era fatto a mano; perfino l’imbottitura, i cuscini e le borchie. Qualcuno doveva aver impiegato molti giorni di lavoro per fabbricare quel mobile. La ragazza si sedette accanto a lui.

«Non so» riprese Ed «ma chissà perché, pensavo che tuo padre fosse contrario all’alcol. A dire la verità mi aspettavo da un momento all’altro che il mio bar automatico cominciasse a versare latte, o roba del genere, quando ordinavo qualcosa per tirarmi su.»

Ed pensò che quella era una grande occasione di cui approfittare, invece di stare lì a perdere tempo baciando Nefertiti. Indipendentemente dal fatto che Nefertiti Tubber avesse estremo bisogno di esercitarsi.

«Sentì, Nefertiti…» disse «sapevi che la persona che fece diventare famoso il tuo nome era la più bella donna dell’antichità?»

«No» sospirò lei. E si accostò ancora di più a Ed stringendosi più forte fra le sue braccia. «Raccontami.»

«Immagino che tuo padre ti abbia dato quel nome perché il marito di Nefertiti, Akhnaton, è stato il primo faraone egiziano a insegnare che esisteva un solo Dio.» Ed Wonder aveva appreso quelle nozioni dal professor Varley Dee, una sera, alla trasmissione Ai limiti del reale. Uno dei suoi fanatici ospiti aveva espresso la convinzione che gli ebrei fossero stati i primi a diffondere il monoteismo.

«A dire il vero non è così» disse lei. «Figurati che lui era un agente pubblicitario. Il mio vero nome è Sue.»

«Un agente pubblicitario!»

«Ehm…» tentennò lei, come se le dispiacesse di dover parlare. «Sì, molto tempo fa, quando facevo la stripteuse.»

«Quando facevi che cosa?»

«La spogliarellista, nell’organizzazione Borsht.»

Ed Wonder ebbe un sussulto. I suoi occhi fissavano Nefertiti, imbambolati. «Senti» disse disperato «credo di avere le traveggole. Giurerei che hai detto che facevi la spogliarellista per l’organizzazione Borsht.»

«Ehm… abbracciami ancora, Edward. Quella è storia passata, prima che mio padre mi salvasse e mi conducesse a Elisio.»

Ed sapeva che la cosa migliore da fare era cambiare argomento. Parlare di qualsiasi altra cosa. Ma non ci riusciva. Come non sarebbe riuscito a smettere di tormentare con la lingua un dente cariato, nonostante il male.

«Insomma, vorresti dire che tuo padre ti lasciava fare la spogliarellista?»

«Oh no! Questo era prima che diventasse mio padre.»

Ed Wonder chiuse gli occhi. Era rassegnato al peggio.

Nefertiti raccontò in breve tutta la sua storia. «Ero un’orfanella e fin da bambina mi ero messa in testa di darmi al teatro. Così, a quindici anni scappai dall’orfanotrofio e alla fine, mentendo sulla mia età, trovai lavoro in uno spettacolo di spogliarello. Mi avevano attaccato l’etichetta di Nefertiti la Modesta, la ragazza che arrossisce dalla testa ai piedi. Gli affari della troupe però andavano male; al giorno d’oggi nessuno ha più voglia di andare a vedere lo striptease in un locale notturno, quando la TV gli porta in casa gli spettacoli migliori. Comunque, per farla breve…»

«Il più breve possibile, sarà meglio» mormoro Ed.

«…papà mi ha salvata.» La sua voce assunse un tono di autogiustificazione. «Fu la prima volta che lo sentii parlare nell’ira. Poi mi portò qui, e in un certo senso mi adottò.»

Ed non domandò in che senso l’avesse adottata. Invece chiese: «La prima volta che l’hai sentito parlare nell’ira? E che cosa fece?»

Nefertiti, a disagio, rispose: «Ha quasi incendiato il night club. Una specie di, ecco, di colpo di fulmine, pressappoco.»

La mente gli turbinava. Con uno sforzo enorme riuscì a riportarsi alla realtà. Doveva approfittare dell’occasione. Non poteva starsene lì seduto a balbettare davanti a quella profusione di curve che gli veniva offerta così candidamente.

«Dunque» cominciò con voce ferma, liberando la mano dalla stretta di lei e voltandosi in modo da guardare Nefertiti negli occhi, con aria seria. «Non sono venuto qui solo per vedere te.»

«No?» Un’espressione offesa apparve sulla faccia della ragazza.

«Ecco, non solo per vedere te» cercò di correggere in fretta. «Il governo mi ha affidato una missione molto importante, Nefertiti. Di grande responsabilità. Una parte del mio lavoro consiste nello scoprire… insomma, devo scoprire il più possibile su tuo padre e sul suo movimento religioso.»

«Oh, meraviglioso! Allora dovrai passare molto tempo qui a Elisio.»

Si trattenne dal rispondere enfaticamente di no e proseguì. «Ora, cominciamo dal principio. Ho le idee molto confuse, a proposito di questa nuova religione che tuo padre cerca di diffondere.»

«Ma perché, Edward? È la cosa più semplice del mondo. Mio padre dice che le grandi religioni sono molto semplici, almeno prima che si corrompano.»

«Allora, per esempio, chi è questa Grande Madre di cui continuate a parlare?»

«Chi è? Ma sei tu, Edward.»

Загрузка...