Ed Wonder ripercorse con la piccola Volksair l’autostrada per Super New York.
Accidenti, era andata così! Splendido! Ma l’aveva detto a Hopkins. La sua presenza sembrava un catalizzatore per le maledizioni di Tubber. Non poteva avvicinarsi e parlare con la Voce della Verità senza che saltasse fuori un altro anatema. Non che il vecchio esaltato non fosse in grado di arrabbiarsi anche da solo. Ed si chiese se la maledizione scagliata sui parchimetri si limitava a quelli di Woodstock o era un fenomeno universale. Evidentemente i misteriosi poteri di Tubber non avevano necessariamente effetti mondiali. Quando aveva spezzato le corde di quella chitarra, tutte le altre chitarre del mondo erano rimaste intatte, era chiaro. E a quanto diceva Nefertiti, quando aveva bruciato il teatro di spogliarello dove lei lavorava, il fulmine aveva colpito solo quel posto, non tutti gli spettacoli di striptease del mondo.
«Grazie, Grande Madre, per questi tuoi piccoli favori» mormorò Ed. Si fermò a un posto di ristoro per mangiare un panino e bere un caffè.
C’era una mezza dozzina di camionisti riuniti intorno al juke-box del locale; fissavano sconvolti la macchina. Il disco girava e l’altoparlante gracchiava: “I miei occhi hanno visto la gloriosa venuta del Signore. Avanza nel vigneto dove…”.
Un camionista disse: «Qualsiasi tasto schiacci, viene sempre fuori L’annuncio degli arcangeli!»
Un altro guardò il primo con disgusto «Ma di che cosa stai parlando? Non è L’annuncio degli arcangeli. È La Piccola Città di Betlemme!»
Un terzo intervenne: «Siete matti tutti e due. Mi ricordo benissimo quella canzone: la cantavano quando ero bimbo. È la Dolce Ninna-Nanna.»
Un negro scosse la testa rivolgendosi ai tre. «Ma non capite proprio nulla di Spirituals. È Scendi, Mosè.»
Ed decise di rinunciare al panino. Per quanto riguardava lui, sentiva sempre e soltanto Gloria, gloria, Alleluja.
Uscì dal locale e risalì sulla Volksair. Chissà quanto tempo sarebbe passato prima che la gente si desse per vinta e la smettesse d’infilare monete nel juke-box.
Riprese la strada per Manhattan e il Nuovo Empire State Building. In fondo era una fortuna che al vecchio Tubber piacesse scolare ogni tanto una birra; altrimenti ogni bottiglia di bevande alcoliche del mondo si sarebbe trasformata in succo d’arancia appena la Voce della Verità avesse riflettuto per un istante su tutta la gente che buttava via il tempo nei bar invece di prestare orecchio al bisogno di arrampicarsi su per il sentiero di Elisio, da bravi pellegrini.
Al Nuovo Empire State Building, la sua carta d’identità gli permise di superare i posti di blocco preliminari e di salire ai cinque piani riservati alla commissione di emergenza di Dwight Hopkins, che Ed non sapeva essere già diventati dieci.
Trovò Helen Fontaine e Buzz De Kemp nel suo ufficio, chini su un giradischi portatile che fissavano con occhio accusatore, come se la macchina li avesse volontariamente traditi.
Quando Ed entrò, Buzz si cavò il sigaro dalla bocca e disse: «Non ci crederai, ma…»
«Lo so, lo so» lo interruppe Ed. «Tu che cosa senti?»
Gli rispose Helen. «È una cosa fantastica. Per me è Vengo da sola in giardino.»
«No, ascolta» insistette Buzz. «Ascolta bene le parole. “Se seguirete me, vi farò pescatori di uomini, se seguirete me.” Limpido come l’acqua.»
Per Ed Wonder era sempre Gloria, gloria, Alleluja. Si lasciò cadere sulla sedia dietro la sua scrivania.
Buzz tolse il disco dal grammofono e ne mise su un altro.
«L’altro doveva essere un pezzo di rock, questo invece è il primo movimento della suite del Peer Gynt.» Mise in funzione il giradischi. Risuonarono le note del Mattino, primo movimento della suite del Peer Gynt, come doveva essere.
Ed diede segni d’interesse. «È ancora selettiva.»
Lo fissarono entrambi.
«Che cos’è ancora selettiva?» chiese Buzz in tono accusatorio.
«La maledizione.»
Helen si avvicinò al bar automatico che era stato finalmente installato. «Ho bisogno di un bicchierino. Come sarebbe a dire, maledizione?»
«Per me una vodka alla moscovita» disse Buzz.
«Whisky» fece Ed. «Doppio.»
Alzarono i bicchieri contemporaneamente, ma gli altri due continuarono a fissare biecamente Ed, al di sopra dell’orlo del bicchiere.
Ed parlò, sulle difensive. «Stavamo chiacchierando in un bar e quelli tenevano il juke-box al massimo volume; insomma, doveva gridare per farsi sentire.»
«Bravo» disse Buzz. «E perché non gli hai proposto di uscire?»
Helen, stancamente, proseguì: «E allora lui se l’è presa con i juke-box e li ha maledetti. Santo cielo, ma non c’è nessuno che possa cacciarlo via prima che si arrabbi? Non solo ha messo fuori uso i juke-box, ma anche tutti i dischi di musica leggera e immagino anche le registrazioni su nastro.»
«A me, comunque, i juke-box non sono mai andati a genio» commentò Ed. «E poi, evidentemente, non aveva nemmeno una monetina da infilare nel parchimetro. Allora…»
«Ehi, questa sì che è buona!» esclamò Buzz. «Non dirmi che ha maledetto anche i parchimetri.»
«Non c’è più la fessura per infilare la moneta» gli disse Ed. «Sentite, è accaduto qualcosa d’importante mentre ero via?»
«No, “badrone”» rispose Buzz. «Tutto si ferma quando Vostra Eminenza è assente. Abbiamo trascinato qua dentro un mucchio di professori, studiosi, e ogni tipo di scienziato, dai biologi agli astronomi. Ne continuano a venire, ma, al massimo, riusciamo a convincerne uno su cento che parliamo seriamente quando gli chiediamo di dirci che cosa sia una maledizione. Alcune dozzine di loro li abbiamo addirittura messi al lavoro per studiare l’argomento… almeno speriamo. Ma nessuno sa da che parte cominciare. Non si può affrontare una maledizione con la mentalità da laboratorio. Non è misurabile, pesabile, analizzabile. Fra tutti quelli che abbiamo radunato, ne abbiamo trovato soltanto uno che crede alla realtà delle maledizioni.»
«Davvero ne abbiamo trovato uno?» chiese Ed, sorpreso.
«Un tizio di nome Westbrook. Quello che mi preoccupa è che molto probabilmente è pazzo.» Buzz gettò il mozzicone del sigaro nel cestino della carta straccia.
«Jim Westbrook? Ah, già! Mi ero dimenticato di averlo fatto venire. Jim Westbrook non è pazzo. Partecipava spesso alla mia trasmissione come esperto. Che cosa vi ha raccontato?»
«Suggerisce di mobilitare l’intera facoltà di Parapsicologia dell’università di Duke, come primo passo. Poi propone d’inviare in Europa, anzi in Vaticano, a Roma, la richiesta di una squadra dei loro massimi esperti in esorcismi.»
«Chi diavolo si occupa di esorcismi in questi tempi?»
«Gli esorcisti, gli esorcisti, è ovvio. Gli archivi della Chiesa Cattolica contengono probabilmente più dati sugli esorcismi e sugli spiriti del male di qualsiasi altra biblioteca in tutto il mondo. Westbrook ritiene che per eliminare gli effetti di una maledizione bisogna ricorrere agli esorcismi. Suggerisce anche di ammansire il Numero Uno, quello del Cremlino, per cercare di ottenere il permesso di scavare negli archivi della Chiesa Ortodossa, se ne sono rimasti, e anche di rivolgersi agli inglesi per sapere se la Chiesa d’Inghilterra ha conservato qualche vecchio documento nei ripiani più alti delle sue biblioteche. In tutte queste religioni, in un momento della loro storia, si è parlato di esorcismi e di spiriti del male.»
Ed reagì con un grugnito. «Immagino che dovrei andare io a riferire a Hopkins e Braithgale, ma conosco quei due: mi terrebbero su fino a notte fonda. Tubber mi ha riempito la testa con i suoi progetti.»
Helen finì di bere. «Un volantino di Tubber è finito nelle mani di papà, e papà dice che la via di Elisio è la strada a un supercomunismo.»
Buzz fece un versaccio. «Jensen Fontaine è qualificato a giudicare il programma di Zechi Tubber quanto un eunuco a far parte della giuria del concorso di Miss America.»
«Sì, fa anche dello spirito» protestò Ed. «Comunque, sono troppo stanco per pensare. Che ne direste di andare nel mio appartamento, farci una bella bevuta e mettere una pietra su questa storica giornata?»
Buzz cercò imbarazzato un nuovo sigaro. «Ehm, Piccolo Ed…»
«Senti» lo bloccò Ed immediatamente. «Sono stufo di sentirmi chiamare in quel modo. Il primo che mi chiama Piccolo Ed, si ritrova con un occhio nero.»
Buzz De Kemp lo guardò sbattendo le palpebre. «Amico, non mi sembri più il vecchio Pic… Ed Wonder, cioè. Neanche un po’, neanche un po’.»
«Temo che noi due non potremo essere della partita, Ed» disse rapidamente Helen. «Buzz mi ha invitata a uscire con lui, stasera.»
Ed guardò prima l’una poi l’altro. «Davvero?» disse grattandosi pensoso la punta del naso. «Bene.»
Helen, come per giustificarsi, disse: «Credo che se anche non potrò più sfoggiare abiti alla moda io stessa, forse riuscirò a insegnare a questo disordinato ad avere un aspetto meno offensivo per la dignità della sua professione.»
«Sorella, ti sei scelta una bella gatta da pelare» la rimbeccò Buzz ironico. «Sono il tipo che dopo aver comprato un abito da duecento dollari, e prima ancora di essere uscito dal negozio del sarto, ho già l’aspetto di uno che ha dormito vestito in un pagliaio.»
«È ridicolo» borbottò Ed. «Buonanotte.»