19

Per circa trenta dei suoi trentatré anni, Ed Wonder aveva desiderato diventare un grande dirigente. L’aveva desiderato così intensamente che gli era rimasto in bocca un sapore amaro di cui non riusciva a liberarsi per non esserci riuscito. Nei limiti consentiti da una società stratificata e stagnante, aveva fatto tutto il possibile per realizzare la sua aspirazione. Era cresciuto in mezzo alle credenze popolari del suo Paese, compresa quella fola per cui ogni cittadino della Società del Benessere valeva quanto ogni altro cittadino e aveva le stesse probabilità di ogni altro di diventare un giorno presidente degli Stati Uniti, o qualsiasi altra cosa. Sfortunatamente aveva scoperto che la strada del successo era dura, quando c’era così poco lavoro da fare e la stragrande maggioranza della popolazione era resa inattiva dall’automazione. Chi aveva un lavoro, e perciò un reddito più alto di chi era iscritto nelle liste dei disoccupati, difendeva la propria posizione con le unghie e con i denti. Difendeva il proprio posto con violenta gelosia e, nei limiti del possibile, lo trasmetteva ai figli, ai parenti o, in mancanza d’altro, agli amici.

No. A mano a mano che passavano gli anni, era diventato sempre più chiaro che Ed Wonder aveva pochissime probabilità di diventare un grosso dirigente, con uno stuolo di dipendenti ai suoi piedi, con telefoni e dittafoni a portata di mano per impartire i suoi fondamentali ordini. All’epoca del suo primo incontro con Ezechiele Giosuè Tubber aveva praticamente raggiunto la conclusione che l’unica possibilità rimastagli era quella di sposare Helen Fontaine.

Adesso era diventato un grandissimo dirigente.

E Helen Fontaine era una delle sue dipendenti.

Lo stesso Buzz De Kemp lo era. E altri dipendenti si stavano aggiungendo all’elenco ogni minuto che passava. A dire la verità, era quasi oppresso dal numero delle persone ai suoi ordini.

La promessa di Hopkins in fatto di mezzi a disposizione non poteva essere meglio mantenuta. Dopo un quarto d’ora Ed Wonder si era trovato installato in un ufficio che occupava un piano intero. Nel giro di un’ora il personale era al completo. Tra gli altri c’era il signor Yardborough, che Ed scoprì chiamarsi Cecil; Bill Oppenheimer e il maggiore Leonard Davis. Due degli agenti di polizia assegnati al nuovo ufficio erano Johnson e Stevens, mentre il colonnello Fredric Williams avrebbe mantenuto i rapporti fra Ed e Dwight Hopkins. Hopkins aveva stabilito che il Progetto Tubber avrebbe dovuto essere segretissimo, data la sua natura, e quindi coinvolse solo il personale che già aveva avuto contatti con Ed. Hopkins sospettava che se i giornali ne avessero dato notizia, anche la sua reputazione adamantina ne avrebbe sofferto.

Ed guardò tetro il suo nuovo tavolo di lavoro.

Non sapeva assolutamente da che parte cominciare. Nel suo archivio c’erano solo i tre rapporti che lui, Buzz e Helen avevano fatto su Tubber. Non sarebbe stato molto utile rileggerli. Sapeva tutto sull’argomento e non era molto.

Accese il citofono e lo schermo s’illuminò. «Signorina…»

«Randy, signore. Randy Everett.»

Ed guardò l’immagine della ragazza e sospirò. «Randy, la Moda Domestica non le si addice affatto.»

«Sì, signore, ha ragione. Ma a dire il vero, se uso cosmetici…»

«Sente prurito» concluse Ed per lei.

Randy spalancò gli occhi. «Come fa a saperlo?»

«Sono un veggente» rispose Ed. «Senta, faccia venire il signor De Kemp.» Spense l’apparecchio. Era la prima decisione del capo del Progetto Tubber.


Buzz entrò strascicando i piedi, sigaro pendente dalle labbra. Si guardò intorno e fece un fischio di ammirazione. «Così, finalmente, il Piccolo Ed Wonder è diventato un pezzo grosso. Lavora sodo, incassa i tuoi quattrini, vota per il partito Democratico Repubblicano e vedrai che arriverai molto in alto. Accidenti, non hai nemmeno dovuto sposare la figlia del capo!»

«Piantala» sbottò Ed «altrimenti ordino al generale Crew di arruolarti nell’esercito.» Sogghignò a quell’idea. «Soldato Buzz De Kemp, il più sudicio e pigro sciacquino dell’esercito.»

«Mi si prende in giro, eh?» disse Buzz.

«Senti, Buzz» chiese Ed «che cosa devo fare?»

Buzz osservò la punta del sigaro con occhio attento, poi guardò ogni angolo dell’ufficio con aria pensosa.

«Per prima cosa» suggerì «penso che tu debba far installare un bar automatico qua dentro.»

Ed lo squadrò da capo a piedi.

Sulle difensive, Buzz spiegò: «Sai, io ne ho già uno nel mio ufficio, ma non possiamo continuare ad andare avanti e indietro. Sei tu il capo del progetto.»

«Bene, e poi?»

«E poi potremmo darci da fare per cercare di scoprire che cos’è un anatema, una maledizione. E quando noi… cioè tu, perché io a quel punto non ci sarò… e quando tu andrai a trovare Tubber un’altra volta, sarà bene che ti porti dietro un bel po’ di munizioni.»

«Che cos’è una maledizione? Ma tutti sanno che cos’è!»

«Molto bene. Dimmelo.»

Ed ci pensò su. Poi accese il citofono. «Il maggiore Davis, per favore.» La faccia di Lenny Davis apparve sullo schermo.

«Sì, signore.» Il maggiore non si era ancora abituato all’idea di avere per capo l’uomo che solo il giorno prima aveva interrogato e quasi cacciato fuori dall’ufficio.

«Vorremmo scoprire che cos’è una maledizione» disse Ed. «Trovi qualche scienziato che sappia tutto sugli anatemi.»

Il maggiore lo guardò esterrefatto. «Quali scienziati sanno che cos’è una maledizione, signore?»

«E anche chi non lo sa» rispose secco Ed chiudendo la comunicazione.

Buzz De Kemp rimase profondamente impressionato.

Ed riprese: «E ora che facciamo?»

«Si va a pranzo. Ma prima andiamo nel mio ufficio a farci un aperitivo. Dovremo far venire anche Helen. A proposito, che cosa sta facendo Helen?»

«Si occupa della sezione Moda Domestica. Deve scoprire tutto quanto è possibile sull’argomento.»

Buzz guardò la punta del sigaro. «È una buona idea. Ha chiesto la collaborazione di studiosi?»

Ed Wonder si morse un labbro. «No. E invece hai ragione tu. Se abbiamo a disposizione mezzi illimitati, è meglio utilizzarli. Dio solo sa quanto tempo ci rimane prima che Tubber entri in azione di nuovo,» Riaccese il citofono. «Maggiore Davis.»

La faccia del maggiore era ancora più tesa della sera prima, pensò Ed. «Sì, signore» disse il maggiore.

«Lenny, mandi una squadra di scienziati anche nell’ufficio di Helen. Vogliamo scoprire che cosa provoca prurito alle donne.»

Il maggiore aprì la bocca, scosse la testa, poi richiuse la bocca. «Sì, signore» disse infine.

Quando la faccia del militare scomparve dallo schermo, Buzz rimase a guardare l’apparecchio pensoso. «Sai» disse «ho idea che il maggiore non durerà molto. Gli vedo già delle ombre verdastre intorno alle branchie.»

Ed Wonder si alzò. «Ne troveremo un altro» concluse. «E ora, l’aperitivo prima del pranzo.»


Quando tornarono dal ristorante e attraversarono gli uffici del piano riservato a Ed Wonder, notarono che il personale era aumentato di due dozzine, e che era stata installata una serie di cervelli elettronici con annessi operatori e schede perforate. Ed si chiese a che cosa sarebbe servita tutta quella roba. Probabilmente a niente. Forse Dwight Hopkins voleva solo che fossero a portata di mano nel caso che dovessero venire utili.

Randy, la segretaria, gli annunciò: «Il professor McCord la sta aspettando nel suo ufficio, signor Wonder.»

«Chi diavolo è questo professor McCord?»

«L’ha fatto venire il maggiore Davis, signore.»

«Ah, probabilmente è un esperto in fatto di maledizioni o di prurito, allora.»

Dopo che Ed e Buzz furono entrati nell’ufficio, Randy Everett rimase imbambolata a guardare la porta qualche minuto, sbalordita.

Il professor McCord si alzò al loro ingresso. Dopo qualche minuto in cui si scambiarono i soliti banali convenevoli, si sedettero tutti e tre.

Il professore cominciò: «Sono stato praticamente sequestrato da due agenti di polizia e condotto immediatamente nel suo ufficio. Benché io sia pronto a mettermi al servizio del mio Paese, non ho la minima idea…»

«Lei è professore di che cosa?» domandò Ed.

«Etnologia; sono specializzato nelle tribù dei bantù africani.»

«Il maggiore è più in gamba di quello che pensavo» disse Buzz, scegliendo un nuovo sigaro nella tasca della giacca. «Professore, che cos’è una maledizione?»

Gli occhi profondi del professore si puntarono sul giornalista. «Vuol dire nel senso di uno stregone che maledice qualcuno?» Quando i due annuirono, proseguì. «È l’espressione del desiderio che il male colpisca una persona. Normalmente viene invocato sulle vittime designate un avvenimento dannoso.»

«Allora, forse non abbiamo usato il termine esatto» disse Ed Wonder. Rimpiangeva di non aver dato retta a Buzz, quando gli aveva suggerito di installare un bar automatico nell’ufficio. C’era qualcosa in tutta quella storia che sembrava esigere la presenza continua dell’alcol. Non un bicchierino e basta. Ma un altro bicchierino, e un altro ancora. «Forse la parola che vorrei mi definisse è incantesimo o sortilegio.»

Il professore, ovviamente, non capiva che cosa volessero sapere da lui. «Un incantesimo» disse «è normalmente una combinazione di parole, o di suoni articolati, dalla quale si suppone possa derivare una conseguenza magica. Il termine ci viene dal latino. Il sortilegio è suppergiù la stessa cosa, un atto di stregoneria. Era una parola di uso corrente nel Medio Evo.» Il professore aveva la fronte corrugata dallo stupore.

Ma anche Ed Wonder e Buzz De Kemp erano perplessi.

«Lo so, lo so» disse Ed. «Ma io non volevo solo la definizione. Prendiamo per esempio uno dei suoi stregoni bantu. Scaglia una maledizione su qualcuno, va bene, ma come fa?»

Il professor McCord lo guardò stupito.

«Come fa a scagliare la maledizione?» intervenne Buzz. «Che cosa fa materialmente?»

«Ogni stregone» rispose il professore «usa una procedura diversa. Normalmente si serve di un recipiente intagliato e dipinto, nel quale mescola strani ingredienti, e di una formula composta di parole magiche.»

Ed si sporse in avanti sul tavolo. «Questo lo sappiamo. Quello che vogliamo sapere da lei è che cosa sia una maledizione. Insomma, sa cos’è…?»

Il professore sbatté le palpebre.

«Sto morendo di sete» annunciò Buzz. Si alzò e uscì dall’ufficio.

Ed lo guardò uscire, pieno d’invidia. Si voltò di nuovo verso il professore. «Lo scopo a cui miriamo è quello di scoprire semplicemente che cosa sia una maledizione, un incantesimo, un sortilegio.»

«Ma gliel’ho appena detto!»

Si guardarono negli occhi per alcuni secondi. Infine Ed allungò una mano e accese il citofono interno. «Randy!»

«Sì, signore?»

«Faccia installare in quest’ufficio un bar automatico il più presto possibile!»

Spense l’apparecchio e tornò al professore. «Crede all’inferno? Sa, Lucifero…»

«No. Ma che c’entra con…»

«O nella magia nera?»

«Non credo in nessuna forma di magia.»

Ed si stava scaldando. Tese un dito contro di lui. «E allora, come fa uno stregone a maledire qualcuno? Non mi dica che non ci riescono! Ci sono troppe prove.»

«Oh!» disse il professor McCord annuendo. «Capisco dove vuole arrivare, finalmente. Sa che cosa sono i liban? Ho preso la docenza studiando quell’argomento.»

Buzz De Kemp rientrò portando una bottiglia e tre bicchieri. Nei bicchieri c’erano alcuni cubetti di ghiaccio. Buzz pose tutto quanto sul tavolo davanti a Ed.

Il professore disse freddamente: «Non per me. Non a quest’ora della giornata.»

Buzz lo guardò con aria di commiserazione e versò da bere per sé e per Ed. Tornò alla propria sedia con il bicchiere pieno e disse: «A che punto siete arrivati?»

«Siamo arrivati ai liban» rispose Ed. Poi, al professore. «No. Pensavo di essermi trovato davanti più o meno tutto quello che si poteva sapere in questo campo, in quel mio strampalato programma Ai limiti del reale, ma evidentemente mi sbagliavo.»

La faccia dell’etnologo assunse un’espressione compiaciuta. «I liban sono una parte così vitale della stregoneria africana che mi stupisce siano un fenomeno così poco noto. Un liban non è esattamente uno stregone, dato che nasce all’interno della casta dominante e non si può diventare liban senza far parte della casta. Si tratta di un gruppo, non numeroso, di famiglie. Il liban è l’eminenza grigia della tribù, e nessun membro della tribù oserebbe intraprendere qualsiasi impresa senza prima consultarlo. Per esempio, se i guerrieri devono partire per una battaglia, lui predice se avranno successo o no, dà ai guerrieri sacchetti di polvere sacra o altri portafortuna da appendere alle lance. Quello che desidero chiarire è che il liban non è un imbroglione. La sua posizione è ereditaria, discende da una tradizione più che millenaria. Credetemi, se un liban maledice un membro della tribù, la maledizione funziona.»

«Come?» chiese Buzz secco.

Il professore lo guardò. «Perché tutti quanti sanno che sarà efficace. La vittima, il liban, e tutti gli altri membri della tribù.»


Era lo stesso tipo di risposta che Ed aveva ricevuto da Varley Dee. Non serviva a niente. La verità era che quasi nessuno dei miliardi di persone coinvolte nemmeno sapeva che Ezechiele Giosuè Tubber esisteva, per non parlare del fatto che spargeva maledizioni a destra e a sinistra.

«Ma questa storia dei liban cosa c’entra con Tubber?» chiese Buzz.

«Tubber?» chiese il professor McCord. «Tubber chi?»

«Ezechiele Giosuè Tubber» rispose Ed in tono scocciato. «Non sa certo chi è.»

«Intende dire Josh Tubber?» domandò ancora McCord. «L’accademico Ezechiele Giosuè Tubber?»

«Accademico?» domandò Buzz.

«Josh ha ottenuto il titolo di accademico in economia politica mentre io mi preparavo alla libera docenza» lo assicurò McCord. «Uno studioso insuperabile.»

Ed Wonder chiuse gli occhi in un muto appello agli dèi del cielo.

«Allora lo conosceva quand’era giovane» incalzò invece Buzz. «Ci dica, a quell’epoca progettava di fondare, ehm… diciamo, una nuova religione? Una religione basata su molte premesse socio-economiche?»

«E, ancora più importante» interloquì Ed «le ha mai confidato qualcosa a proposito di una capacità, un potere di maledire le cose? Di scagliare una maledizione… per esempio, sulla TV?»

Il professor McCord ribatté: «Non siate ridicoli.»

Ed accese il citofono. «Bill Oppenheimer» disse.

La faccia di Oppenheimer riempì lo schermo. Era la prima volta che Ed lo vedeva da quando era stato interrogato il giorno prima. «Sì, signore» disse Oppenheimer.

«Ha l’incarico di raccogliere tutti i dati biografici su Tubber» gli comunicò Ed. «Per cominciare, abbiamo rintracciato un elemento che riguarda i suoi studi. Ha preso il titolo di accademico in economia politica a…» fece segno con una mano a Oppenheimer di aspettare e si voltò verso McCord. «Quale università?»

«Harvard.»

Ed Wonder lo squadrò con un’occhiata di disapprovazione. «Non poteva essere qualche piccolo istituto religioso? No. Doveva essere proprio Harvard.» Ritornò a Oppenheimer. «All’università di Harvard. Metta in moto una squadra di uomini. Scoprite tutto quello che si può scoprire su Tubber. Che cosa ha studiato. Qualsiasi libro che abbia anche solo aperto deve essere analizzato, parola per parola. Scovate i compagni di corso e fatevi raccontare tutti i particolari che possono ricordare. Scavate nella sua vita extrauniversitaria. Agganciate tutte le donne con cui abbia avuto un appuntamento: dovrebbero essere sui cinquanta, ora. Ha una figlia. Indagate sulla donna che lui ha sposato. Che cosa è avvenuto di lei. Se è ancora viva… Insomma, non c’è bisogno che aggiunga altro. Vogliamo un rapporto completo su ogni fase della vita di Tubber. Ne parli col generale Crew, se è necessario. Se ha bisogno di uomini, mobilitate l’FBI, la CIA e tutti i servizi segreti.»

«Ricevuto» disse Oppenheimer. «Sì, signore.» La sua faccia si dissolse sullo schermo.

«È così che si fa» commentò Buzz eccitato. «Bravo, Piccolo Ed. Hai la statura del vero capo.»

Perplesso, il professor McCord disse: «Se le interessa controllare Josh Tubber, non troverà molto a Harvard. Ha solo preso il titolo di accademico, là. Se non ricordo male, ha preso la docenza alla Sorbona, e si è laureato a Leyda o a Heidelberg. In filosofia classica, mi pare.»

«Filosofia?» fece eco Ed.

«Prediligeva l’edonismo etnico, se non ricordo male» disse compiaciuto McCord.

Buzz scolò il bicchiere come se fosse disperato. «Edonismo!» esclamò. «Tubber? Vuol dire insomma l’adagio del mangia, bevi e divertiti che tanto domani dobbiamo morire?»

«L’edonismo va molto più in là di questo» ribatté McCord sostenuto. «Detto in poche parole, Epicuro non solo diceva che gli uomini ricercano il piacere di fatto, ma anche che devono fare così perché solo il piacere è bene. Tuttavia, la sua definizione di…»

«D’accordo» lo interruppe Ed. «Allora Tubber aveva il pallino della filosofia. Senta, professore, l’affiderò ai miei collaboratori che prenderanno nota di tutto quello che può ricordare di Tubber e di tutto quello che sa a proposito di liban, stregoni, incantesimi e maledizioni.»

Quando il professore se ne fu andato, Ed e Buzz si guardarono.

«Ho ordinato di far installare in questa stanza un bar automatico» disse Ed.

«Se la prendono comoda. Pensavo che questo progetto avesse la priorità “assoluta assolutissima”» disse Buzz.

Si guardarono negli occhi ancora per qualche istante.

Infine Ed accese il citofono. «Il maggiore Davis» chiese. Quando la faccia del maggiore Davis apparve sullo schermo, Ed disse con aria di rimprovero: «Lenny, gli etnologi sono certamente degli scienziati rispettabilissimi, ma non sanno cosa sia una maledizione o un sortilegio. Trovi qualche studioso che s’intenda veramente di maledizioni. E ce la metta tutta, Lenny. Vogliamo risultati concreti.»

Il maggiore Leonard Davis lo guardò mogio mogio e con aria dispiaciuta aprì la bocca per esprimere le sue proteste o per lo meno un’autodifesa, ma poi la richiuse. «Sì, signore» disse invece. «Studiosi che s’intendono di maledizioni.» La sua faccia svanì.

Buzz fece un segno di approvazione a Ed. «Stai imparando in fretta, vedo.»

«Chissà dov’è finito il nostro bar automatico» disse Ed senza badargli.

Si guardarono in faccia di nuovo. Ed riaccese il citofono. «Mi metta in comunicazione con James Westbrook. Vive a Kingsburg, in periferia.»

«Sì, signore» rispose Randy, e dopo pochi istanti apparve sullo schermo la faccia di Jim Westbrook.

«Salve, Piccolo Ed» disse. «Mi dispiace, sono molto occupato. Se non ti secca…»

Ed Wonder ignorò le sue parole. «Senti, l’altro giorno, quando parlavamo di miracoli, tu hai detto che ci credevi. O meglio, hai affermato che tu credi possibili certi fenomeni straordinari inspiegabili per mezzo delle attuali conoscenze scientifiche.»

Jim Westbrook, sullo schermo del telefono, sembrava che avesse veramente fretta, tuttavia trovò il tempo di dire: «Sono contento che abbia corretto il tuo modo di esprimerti. Non mi piace il termine di miracolo.»

Ed riprese: «Una cosa ancora: credi nelle maledizioni?» Aspettò con ansia la risposta dell’altro.

«Certamente. Mi sono anche occupato di questo argomento.»

«Vorrei precisare che non mi riferisco a quei casi di stregoneria in cui la vittima è convinta sin da prima del potere dello stregone e per cui, quando quello scaglia la maledizione, entra in gioco un fenomeno di autosuggestione. Voglio dire…»

Westbrook lo interruppe: «Ho davvero fretta, comunque… Senti amico, lo stregone non ha bisogno di convincere la vittima che inevitabilmente sarà una vittima. La vittima si convince perché effettivamente l’incantesimo agisce. Ho scoperto che non si tratta di superstizioni di cui farsi gioco. Non dipende dalle personali credenze della vittima o dello stregone. Per fare un’analogia, i pendoli della radioestesia funzionano anche in presenza di persone che non credono affatto nel loro funzionamento.»

«Continua» lo incoraggiò Ed.

«Per le maledizioni è la stessa cosa. Ho potuto accertarlo durante una seduta spiritica. Se vuoi provare una sensazione insolita, diciamo profondamente emotiva, cerca d’immaginare di togliere una maledizione che non credevi di poter imporre, perché eri convinto che le maledizioni non agissero; solo che la povera vittima è effettivamente stregata e tu non hai la minima idea di come si faccia a togliere l’incantesimo. Caro mio, è molto, molto peggio del caso dell’ipnotizzatore dilettante che ha messo qualcuno in trance, gli ha impartito un ordine postipnotico e si trova poi nell’impossibilità di revocare l’ordine. Per lo meno, in questo caso, ci sono decine di libri nelle biblioteche e nei negozi che spiegano come si debba fare. Ma prova a trovare un solo libro che ti spieghi come togliere una maledizione di dosso a una persona che hai maledetto senza immaginarne le conseguenze. Mio caro amico, è come se tu dicessi: “Non sapevo che la pistola fosse carica”.»

Westbrook stava per aggiungere ancora qualcosa, ma improvvisamente diede uno sguardo all’orologio. «Senti, Piccolo Ed, non ho tempo di stare qui a parlarti di maledizioni.»

«Ah, è così che la pensi, eh?» ghignò Ed.

Westbrook corrugò la fronte. «Cosa vorresti dire?»

Ed rispose, felice: «Ti comunico che da questo istante sei ufficialmente arruolato. Dovrai parlare, fino a scoppiare, di ogni più piccolo particolare che riguarda le maledizioni.»

L’altro ribatté: «Piccolo Ed, ti consiglio di chiamare un medico al più presto. Arrivederci.» E tagliò la comunicazione.

Ed Wonder, più allegro che mai, esclamò: «Stereotipato, eh?» Accese il citofono. «Maggiore Davis» disse.

Il maggiore Davis comparve sullo schermo, stanco e sulle difensive: «Sì, signore.»

«C’è un certo James Westbrook, che abita nella periferia di Kingsburg. Voglio che lo porti immediatamente qui e che registri tutto quello che sa a proposito di maledizioni. Ah, un particolare, maggiore. Probabilmente non vorrà venire. Tuttavia, è un caso di… ehm… precedenza assoluta. Sarà bene che mandi quattro uomini.»

«Sì, signore. Per fare più in fretta, potrebbe darmi altri dettagli? Dove lavora? Che cosa fa? Potrebbe non essere in casa.»

«Fa il consulente tecnico, specializzato in rabdomanzia.»

«Rabdomanzia» ripeté il maggiore Davis stupito.

«Sì, rabdomanzia, radioestesia. Va in giro a cercare acqua con i pendolini.»

Il maggiore Davis lo fissò, come se il suo orgoglio fosse stato profondamente ferito.

«Sì, signore. Precedenza assoluta. Portare qui quell’uomo che va in giro con i pendolini» disse dopo un istante di silenzio.

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