La riunione del comitato locale dell’Associazione Stephen Decatur si svolse nella sala delle assemblee della Profumi Coy, S.p.A. Ed Wonder non sapeva nemmeno che Wannamaker Doolittle, il presidente della Coy, fosse membro dell’Associazione. Ecco subito un contatto utile. I profumi Coy facevano molta pubblicità a Kingsburg.
Maledetta sfortuna, ancora. Non ci sarebbe stato tempo, prima dell’inizio dei lavori, per fare incontri con le persone importanti presenti. Il raduno era già in corso. Anzi, il suo ingresso in compagnia di Mulligan fece alzare più di un sopracciglio, compreso quello di Jensen Fontaine, che stava seduto bene in vista all’estremità del tavolo intorno al quale una trentina di soci del comitato erano radunati.
Presero rapidamente posto su due sedie libere, uno lontano dall’altro. La parola in quel momento era a Wannamaker Doolittle in persona. Stava agitando un giornale ed esponeva il suo punto di vista con aria allarmata, almeno così sembrò a Ed.
«E sentite questa» diceva il capo della Coy. «Sentite le parole di questo scardinatore delle istituzioni americane.» Lesse l’articolo, con un tono d’accusa nella voce poderosa: «“L’invecchiamento pianificato dei prodotti mediante una continua trasformazione stilistica rappresenta uno degli elementi più incredibili di questa nostra incredibile economia. L’esempio più significativo è il cambiamento, che avviene due volte all’anno, dei modelli di aeromobili a Detroit. L’anno scorso, gli autoveicoli privati della General Ford potevano benissimo circolare di notte con quattro luci, due fari anteriori, due luci di posizione dietro. Quest’anno montano quattordici fari esterni, piazzati davanti, dietro e sui fianchi. Evidentemente, i progettisti di aeromobili non sono riusciti a mettersi d’accordo sull’uso di questa batteria di fari. Su alcuni modelli, i fari posteriori erano inutilizzati, nemmeno collegati all’impianto elettrico delle vetture. Un altro esempio lo si può trovare nell’ultima produzione di cucine. Nel tentativo d’inculcare nella testa delle casalinghe che le loro attuali cucine sono antiquate, gli ultimi modelli hanno un quadro comandi così complicato da assomigliare più alla plancia di una nave che a un elettrodomestico. Ciascuna cucina è munita di almeno trentacinque pulsanti e manopole. Smontando una di queste cucine, l’Associazione Difesa Consumatori ha scoperto che molte manopole non erano collegate a nessun dispositivo interno. Erano comandi falsi”.»
Wannamaker Doolittle fissò insistentemente i presenti, con uno sguardo carico d’accusa. Batté il giornale che teneva nella mano sinistra sul palmo della destra. «Sovversione comunista» disse. «Insidioso attentato clandestino, volto a scardinare le nostre istituzioni.»
«Bravo, bravo!» applaudì qualcuno, battendo i pugni sul tavolo. Tutti si unirono all’approvazione generale con mormorii d’indignazione.
«Chi è questo Buzz De Kemp?» domandò Doolittle. «Siamo arrivati al punto che i nostri giornali assumono il primo sovversivo che si presenta nelle false vesti di onesto giornalista? Non esiste, una forma di controllo? Non viene esaminata la sua scheda di sicurezza?» Diede una manata al giornale. «Chi è quel direttore di giornale che permette di pubblicare attacchi così espliciti a due dei più importanti elementi della nostra economia, le aeromobili e gli elettrodomestici? La settimana scorsa il presidente degli Stati Uniti ha esortato il popolo americano a comprare, comprare, comprare per mantenere alto il nostro grado di prosperità. Come possiamo aspettarci che i nostri prodotti vengano interamente consumati se le donne conducono una vita da schiave fra elettrodomestici antiquati e le famiglie girano in aeromobili sgangherate, fuori moda già da un anno?»
Ed Wonder aveva drizzato le orecchie sentendo nominare Buzz De Kemp. Buzz doveva essere andato fuori di senno per scrivere cose simili. Voleva forse crearsi una fama di anticonformista?
Jensen Fontaine, che evidentemente presiedeva la seduta, batté sul tavolo un colpo di martello. «Sia messa ai voti una mozione per raccomandare all’editore del “Times Tribune” di fare in modo che questo giornalista insoddisfatto, comunque si chiami…»
«Buzz De Kemp» disse Ed, senza riflettere.
Tutti gli occhi dei presenti si girarono subito verso Ed Wonder che improvvisamente sentì il colletto della camicia troppo stretto.
«Lei conosce questo bell’esemplare di comunista?» sbottò Jensen Fontaine.
«Ecco, sì, signore. L’ho incontrato parecchie volte. Ma non è un comunista. A sentire lui, ha il pallino delle teorie politico-economiche un po’ fuori dai binari…» La voce gli morì in gola quando si accorse che le sue parole non erano apprezzate.
Una voce cupa brontolò: «Non si può giocare con il catrame senza sporcarsi le mani.»
Fontaine batté un altro colpo di martello sul tavolo. «Allora, la mozione?»
Mulligan si affrettò ad alzarsi. «Propongo che un comitato composto da alcuni soci di questa Associazione, scelti fra gli inserzionisti del “Times Tribune”, scrivano una lettera all’editore lamentandosi degli articoli filocomunisti di questo signor De Kemp.»
«Approvo la mozione» disse uno dei presenti.
La faccenda fu conclusa rapidamente, all’unanimità. Ed Wonder concluse che Dave Zeiss, quello del Saloon, avrebbe dovuto aspettare un bel po’ prima di recuperare i quattrini che Buzz gli doveva.
Poi fu la volta di un lungo rapporto, molto dettagliato, da parte di un certo comitato per la biblioteca. A quanto pareva l’Associazione aveva avuto da ridire sulla sezione per bambini della biblioteca comunale. Il rapporto riguardava il rifiuto del municipio di bandire Robin Hood perché non finisse nelle mani dei bambini.
Ed Wonder dovette improvvisamente scuotersi. Jensen Fontaine aveva appena pronunciato il suo nome.
Il padre di Helen stava dicendo: «Durante la mia assenza, so che abbiamo ricevuto parecchie lettere riguardanti il carattere sovversivo delle cosiddette prediche di un certo…» abbassò gli occhi sugli appunti davanti a sé sul tavolo e sbuffò con incredulità. «…Ezechiele Giosuè Tubber. Il socio Helen Fontaine, mia figlia, e un redattore della stazione radio Wan sono intervenuti a uno di questi raduni religiosi; come conseguenza, Helen è stata costretta a letto per qualche tempo. Il signor Edward Wonder darà ora un resoconto completo dei fatti.»
Ed si alzò. Ormai quella storia non gli piaceva più, e aveva l’infelice sensazione che, alla fine, non gli avrebbero certo dato la medaglia.
«A dire la verità» incominciò Ed «non sono un’autorità in fatto di attività sovversive clandestine. Capisco che si tratta di un problema importante e che bisogna impedire che il Paese sia rovesciato dai comunisti, eccetera… Ma, dovete capire, sgobbo da mattina a sera alla radio. Forse ad alcuni di voi è capitato di sentire il programma Ai limiti del reale, in onda ogni venerdì sera…»
La voce di Mulligan si fece sentire minacciosa. «Il resoconto su Tubber, Piccolo Ed, il resoconto su Tubber. Niente pubblicità.»
Ed si schiarì la gola. «Sì, signore. Allora, francamente, da quello che ho potuto sentire io, Tubber è anticomunista più che comunista. Per lo meno, così dice lui. Si lamenta che la gente sia troppo materialista, e che si concentri troppo sui beni che possiede o consuma, invece che sui beni spirituali… Almeno così mi pare.»
Uno intervenne: «In chiesa, il mio sacerdote predica le stesse cose tutte le domeniche. Il lunedì ce le siamo già dimenticate.»
Un altro disse: «Ah, davvero, è così, eh? Questo è un problema di cui volevo discutere da tempo. Che cosa c’è che non va nella nostra società dei consumi? Che cosa accadrebbe alla nostra economia se dessimo retta a questi pretesi capi religiosi?»
Fontaine rimise in azione il martello. «Prosegua» ordinò a Ed. Non sembrava troppo soddisfatto della piega che aveva preso il suo resoconto, almeno fino a quel momento.
«Ecco, tutto quello che vi posso dire è che non mi è sembrato un comunista. Per la precisione, Helen, la signorina Fontaine, gli ha fatto una domanda diretta a questo proposito, e lui ha messo bene in chiaro di non essere comunista.»
La donna che aveva esposto la situazione della biblioteca, affascinata dal nuovo argomento, domandò: «Ma che cosa c’entra questo con il fatto che Helen è dovuta ricorrere a cure mediche? Che cosa le ha fatto?»
Ed lanciò uno sguardo angosciato a Jensen Fontaine, il quale aveva aperto la bocca come per dire qualcosa ma poi aveva stretto talmente le labbra che sarebbe stato difficile inserirvi la punta di un coltello.
Ed si decise a rispondere. «Insomma, la signorina Fontaine lo stava, come dire… lo stava provocando, in un certo senso. Lui è andato su tutte le furie, e… le ha lanciato una maledizione.»
Ci fu un attimo di silenzio assoluto. Stavano pensando tutti alla stessa cosa a cui aveva pensato Fontaine sentendolo la prima volta.
Ed cercò di spiegare meglio. «Cioè, ha fatto un sortilegio su di lei.»
Wannamaker Doolittle domandò: «Un sortilegio?»
«Una specie di stregoneria, una formula magica» rispose Ed.
«Cosa c’entra questo con il fatto che è a letto?»
Ed, disperato, mormorò: «Dice di sentire un prurito fortissimo.»
Jensen Fontaine batté sul tavolo un colpo di martello. «Basta con queste divagazioni assurde. Vuole ripetere esattamente quello che ha detto questo fanatico?»
Nei suoi anni desolati di aspirante attore, Ed aveva dedicato molto tempo a esercitare la memoria per imparare le battute. Fece uno sforzo mentale. Disse: «Grosso modo, le sue parole erano queste: “In verità, io maledico la vanagloria delle donne. In verità…” quando Tubber si eccita passa al tu, biblico, costellato di immagini retoriche… “In verità, mai più tu troverai piacere nella vanità. In verità, mai più troverai piacere nella moda o nei cosmetici.”»
Ed si fermò lì, sperando che fosse sufficiente. «Non sono proprio le sue parole, ma quasi. Perciò, capite, non stava solo maledicendo Helen. Da come ha parlato, praticamente si tratta di una maledizione scagliata contro tutte le donne…»
Si fermò a metà frase perché proprio in quell’istante una punta di ghiaccio gli punse la base della spina dorsale e un brivido gelato incominciò a salirgli, piano piano, verso il cervello.