17

Invece tornarono la mattina dopo. Nel frattempo il sistema di guardia era stato organizzato in tutti i particolari e tutti i desideri di Ed e Buzz furono soddisfatti. I due trascorsero parecchie ore a scambiarsi informazioni, ma erano cose ormai risapute. Buzz De Kemp era passato attraverso una trafila quasi identica a quella di Ed. Era stato preso in consegna da due agenti e scortato fino al Nuovo Empire State Building. L’avevano preso per via degli articoli scritti su Tubber. Avendo insistito nella sua versione, la sua qualifica di precedenza era salita da “C” ad “A” e poi, quando Ed aveva confermato per filo e per segno la sua storia, ad “assoluta”.

Vennero a cercare Ed e Buzz la mattina dopo. Ma non erano Oppenheimer e il maggiore Davis. Evidentemente, adesso erano pezzi più grossi che si occupavano di loro. Fu un colonnello seguito da due aiutanti a mettere dentro la testa nella stanza. Il colonnello Fredric Williams, del controspionaggio dell’Aeronautica, che li accompagnò a un’ennesima intervista.

Buzz s’infilò il romanzo in una tasca della giacca. «Nel caso che si debba fare la solita anticamera burocratica» disse. «Sapete com’è: precipitati e aspetta. Corri e aspetta. Mi porto dietro qualcosa da leggere.»

Il colonnello gli diede un’occhiataccia. Buzz si voltò, prese dal tavolo una manciata di sigari che aveva ordinato la sera prima e se li ficcò nella tasca interna della giacca. «Avrò bisogno di carburante, anche.»

Seguirono il colonnello. I due tirapiedi con le guardie chiudevano la fila alle loro spalle, ancora con i lembi delle giacche spostati e le mani sul calcio della pistola. Ed si chiese quale eventuale pericolo temessero. Erano sigillati negli ultimi piani del più alto edificio di Super New York, circondati a occhio e croce da almeno cinquecento poliziotti scelti.

La loro destinazione era al piano superiore. Lassù c’erano due sale d’attesa, non una sola. La prima delle due era vastissima, con una dozzina di scrivanie e altrettanti funzionari al lavoro. La seconda era piccola, presidiata da una sola impiegata: una donna di mezza età piuttosto matronale, che sembrava il monumento dell’efficienza.

Disse con voce piena di energia: «Il signor Hopkins vi sta aspettando, colonnello. Gli altri sono già arrivati.»

«Grazie, signorina Presley.»

Lo stesso colonnello aprì la porta d’accesso all’ufficio interno.

Chiunque fosse stato l’architetto che aveva progettato il Nuovo Empire State Building, certamente si era reso conto che quest’ultimo piano sarebbe stato la sede della più alta autorità. Quell’ufficio era il simbolo stesso dell’autorità.

Ed Wonder non era mai stato in tutta la sua vita in un luogo simile. Soltanto Hollywood gliene aveva dato una pallida idea. Ma, nonostante il cinema, rimase immobile a guardarsi intorno estatico e imbarazzato.

C’era un unico tavolo che sembrava sospeso al soffitto con un sottile cavo invisibile piuttosto che appoggiato al pavimento. Dietro al tavolo sedeva una persona che era evidentemente il signor Hopkins. Chi fosse in realtà il signor Hopkins venne immediatamente in mente sia a Ed Wonder sia a Buzz De Kemp. Il giornalista reagì addirittura con un leggero sibilo di stupore.

Dwight Hopkins, il genio del compromesso. Dwight Hopkins, il potere dietro al trono. Dwight Hopkins, che, come un colosso, dominava la politica occidentale.


Era un uomo a cui non piaceva la pubblicità. Non ne aveva bisogno. Tuttavia Dwight Hopkins, il braccio destro, il pool di cervelli condensato in una sola testa, secondo alcuni l’alter ego del presidente Everett MacFerson, non poteva rimanere completamente ignoto al cittadino che si interessava di politica. Il presidente MacFerson poteva essere, ed effettivamente era, una figura, un simbolo, un’immagine pubblica i cui veri sforzi, per quanto riguardava il governo del Paese, andavano più in là di quelli del sovrano regnante in Gran Bretagna. Ma nemmeno gli uomini politici del calibro di MacFerson potevano essere in possesso di quel non so che che attraeva i voti delle masse: dovevano pure esistere, dietro le quinte, i Dwight Hopkins. Era sopravvissuto a tre presidenti, passando dai Repubblicani Democratici ai Conservatori Liberali e di nuovo ai primi, senza nessun mutamento nella loro politica… e nella sua. Raramente i due partiti che si alternavano al potere negli Stati Uniti del Benessere si trovavano divisi sui problemi fondamentali; non veniva nemmeno presa in considerazione l’opportunità di sollevare dispute per influenzare la simpatia degli elettori. Si votava per il candidato preferito, non per i princìpi.

Dwight Hopkins sedeva dietro al tavolo. A un lato, in una poltrona, con le gambe incrociate, c’era un generale. All’altro lato, un civile dall’aspetto grigio. Di fronte ai tre, in fila, c’erano Jensen Fontaine, Helen Fontaine e Matthew Mulligan.

Ed si guardò intorno in ogni angolo della stanza. Non si era sbagliato: i Tubber non c’erano.

Hopkins salutò con un cenno i nuovi venuti. «Lei dev’essere Buzz De Kemp, ha l’aspetto del giornalista. E lei è Edward Wonder. Perché la chiamano Piccolo Ed?» La voce era ferma, come se non ci fosse più nessuna fretta ora che la faccenda era nelle sue mani.

«Non so perché» rispose Ed.

Mulligan sbottò: «Senta, Wonder, se questa storia è una sua…»

Il generale fece un colpo di tosse. «Basta così, signor Mulligan. Il signor Wonder si trova nella sua stessa posizione. Siete stati condotti tutti qua per aiutarci a risolvere un problema di primaria importanza per il nostro Paese.»

«Per il mondo intero» precisò con voce dolce il civile alto e grigio.

Jensen Fontaine disse bellicoso: «Esigo di sapere se quei comunisti di Super Washington credono di poter impunemente arrestare cittadini che godono di una reputazione e…»

Dwight Hopkins stava fissando il magnate di provincia con uno sguardo inespressivo. Lo interruppe per chiedergli: «Signor Fontaine, a suo parere, qual è la causa del fenomeno che ha messo fuori uso la radio e la televisione e, in un secondo tempo, anche il cinema?»

Jensen Fontaine lanciò un’occhiata penetrante verso l’uomo politico e proclamò: «La mia Patria, nel bene e nel male…»

«Sono d’accordo con lei» disse Hopkins amichevolmente. «Ma risponda alla mia domanda.»

Fontaine scattò: «Sabotaggio del Complesso Sovietico. Ecco qual è la causa. Per travolgere l’industria americana. Attività sovversiva…»

«E come hanno fatto a ottenere questi risultati?»

«Non è compito mio scoprirlo. Voi, gentaglia, laggiù a Super Washington, avete lasciato infiltrare i russi nel governo. Persino al ministero della Giustizia. Sono sicuro che la CIA potrebbe scoprire i colpevoli in un batter d’occhio, se i suoi quadri non fossero pieni di agenti comunisti. E ancora…»

Hopkins lo interruppe per la terza volta. «Lei può andare, signor Fontaine. I nostri più vivi ringraziamenti per la sua collaborazione.»

Jensen Fontaine ormai era surriscaldato. Alzò un braccio per riprendere la tirata con maggior enfasi, ma il colonnello Williams gliela bloccò a mezz’aria. «Mi segua, l’accompagno all’uscita, signore.»

Gli occhi di Mulligan saettarono da Hopkins a Fontaine che si stava dibattendo, senza convinzione. «Ma insomma, non può trattare così il signor Fontaine!» blaterò.

Le sopracciglia bianche di Hopkins si alzarono di un centimetro.

«Signor Mulligan, le sue opinioni coincidono con quelle del signor Fontaine?»

Anche Mulligan fu accompagnato all’uscita.

Dwight Hopkins esaminò Helen, Ed e Buzz. «Ho letto i rapporti su di voi. Voi tre eravate le persone a cui volevo veramente parlare. Mi dispiace, signorina Fontaine, se il modo con cui ho trattato suo padre non è parso molto cortese.»

«Lasci stare» lo rassicurò Helen facendo una smorfia. «Ogni tanto i modi bruschi fanno bene a papà.»

Hopkins si appoggiò alla spalliera della sedia e guardò solennemente i suoi tre interlocutori.

Poi cominciò a parlare. «Venerdì scorso la televisione e la radio hanno smesso di funzionare. Per parecchie ore il governo non ha preso alcuna iniziativa. Si presumeva che i tecnici avrebbero rapidamente scoperto la causa del guasto e trovato il rimedio. Tuttavia, quando si seppe che il fenomeno aveva una portata mondiale, fu nominato un comitato straordinario. Il giorno seguente, il Presidente ha autorizzato l’uso di fondi speciali per ampliare il comitato e conferirgli maggiori poteri. Il terzo giorno, il comitato è stato trasformato in commissione. Il giorno successivo, infine, il congresso, riunito in sessione segreta, ha votato una legge che assicura alla commissione risorse praticamente illimitate; io sono stato nominato presidente della commissione, responsabile solo di fronte al Presidente. Il generale Crew e il professor Braithgale, qui accanto a me, sono i miei principali assistenti.»

Buzz De Kemp, evidentemente, non si lasciava impressionare nemmeno da una personalità come Dwight Hopkins. Aveva tirato fuori dalla tasca uno dei suoi zampironi e, tenendo il sigaro in bocca, cominciò a parlare cercando i fiammiferi nelle varie tasche.

«Mi sembra che voi, gente, vi stiate eccitando come un gruppo di bambini ritardati mentalmente davanti a uno spettacolo di disegni animati. Per esempio, il maggiore ci diceva, ieri sera, che è una faccenda importante come una guerra. E…»

«Una guerra atomica, signor De Kemp» lo interruppe Hopkins.

«Non dica sciocchezze» sbottò Helen in tono irritato.

Dwight Hopkins si voltò verso il suo collaboratore in borghese, l’uomo alto e grigio. «Professor Braithgale, le dispiace illuminarci circa le conseguenze della situazione in cui ci troviamo?»

Il professore aveva la voce secca e chiara, e sembrava che stesse tenendo una conferenza o una lezione all’università, piuttosto che una conversazione amichevole.

«Che cosa succede a una società civile, quando una situazione economica eccezionalmente sviluppata non è accompagnata da un adeguato volume di divertimenti pubblici?»

Ed, Buzz e Helen fissarono simultaneamente il professore, corrugando la fronte; ma nessuno dei tre si azzardò a dare una risposta. Si trattava ovviamente di una domanda retorica.

Infatti proseguì. «L’essere umano medio non è in grado di autoprogrammarsi. Per lo meno, non ne è in grado l’individuo-massa di oggi. Non è capace di pensare da solo a come impiegare il suo tempo. Non ne ha mai avuto occasione. L’uomo si è evoluto in condizioni tali per cui il tempo e le energie che aveva a disposizione venivano programmate per lui da altri. Lavorava, e lavorava da dodici a diciotto ore al giorno. Tutto il giorno, per tutti i giorni. Oppure moriva di fame. Ogni minuto della sua giornata era determinato in una sfera esterna a lui. Il tempo che poteva dedicare ai divertimenti era poco: i giochi tradizionali e il ballo erano una fonte sufficiente di distrazione e divertimento. L’uomo non ha mai avuto possibilità di annoiarsi… troppo raramente aveva il tempo di distrarsi. Questa situazione è durata per il 99,99 % della storia dell’umanità.»

Braithgale fece una pausa e squadrò i suoi ascoltatori. Poi riprese con voce ancora più asciutta: «Bisogna ammettere che l’ozio è essenziale all’attività creativa. Fino a che non si forma una classe che non dipende dal lavoro manuale, un gruppo che ha tempo di fare qualche cosa che va oltre l’attività indispensabile per sopravvivere, non può esistere la condizione di uno sviluppo culturale. Ma l’ozio, di per sé, non è automaticamente creativo.

«E veniamo al nocciolo della questione: che cosa succede a una civiltà che ha a disposizione tutto… tutto meno l’attività predeterminata per l’individuo medio privo d’iniziativa creativa? In altre parole, che cosa succede a una Società Affluente, a questa nostra Società del Benessere, se improvvisamente vengono a mancare la radio, il cinema e, soprattutto, la televisione? Televisione, il grande oppio pacificatore per l’uomo della strada.»

Ed Wonder era pensoso. «Il teatro» suggerì «il circo, le feste di carnevale.»

Il professore annuì: «Sì, è vero, ma queste cose sarebbero come una goccia in un grande secchio, anche quando, e se, riuscissimo a organizzarlo e ad addestrare il personale necessario. Quanto tempo potrebbe occupare un’attività di questo genere?»

Buzz tirò fuori di tasca il romanzo e lo sventolò davanti agli altri.

«C’è la lettura» disse.

Braithgale scosse la testa. «L’individuo medio non vuole leggere, signor De Kemp. La lettura richiede da parte dell’uomo un notevole contributo di attività intellettuale. Il lettore deve crearsi l’immagine delle azioni descritte sul libro, immaginare i toni di voce, le espressioni, eccetera. La gente comune non è all’altezza di un simile impegno creativo.»

Il professore sembrò voler cambiare argomento.

«Ricordate di aver letto dei disordini che misero sottosopra Costantinopoli durante l’impero di Giustiniano a causa di insignificanti imbrogli accaduti nelle corse ippiche? Ebbene, in quell’occasione migliaia di persone persero la vita.»

Rimase per un istante in silenzio, guardandoli fissi come per creare una tensione enfatica. «È mia opinione» dichiarò infine «che la principale causa della caduta di Roma sia stata la formazione di un’immensa classe di oziosi. La società romana non aveva più problemi di sussistenza materiale: le colonie fornivano tutto il necessario. Al popolo veniva distribuito il cibo gratuitamente. Il popolo aveva tempo libero, ma non aveva la creatività sufficiente per autoprogrammarsi.»

Braithgale arrivò alla conclusione: «Un uomo ha bisogno di fare qualcosa. Ma se non ha la capacità d’inventarsi qualcosa da fare, che cosa gli succede quando gli vengono a mancare contemporaneamente la televisione, la radio, il cinema?»

«Ho letto dei disordini in Inghilterra» disse Ed. «E anche a Chicago, per la verità.»

Intervenne il generale rivolto a Hopkins: «Dobbiamo prendere provvedimenti nei confronti di questi maledetti giornalisti. Si dedicano un po’ troppo a questo genere di notizie.»

Dwight Hopkins non badò al generale. Tamburellando sul tavolo con un grosso fascio di fogli, disse a Ed, Buzz e Helen: «Francamente, il vostro resoconto mi stupisce e mi lascia ancora incredulo. Tuttavia c’è un elemento che parla a vostro favore; siete tutti e tre d’accordo fin nei minimi particolari, senza contraddizioni. Se non fosse per il cinema, un fenomeno inspiegabile in termini di disturbi atmosferici, ammetto che non sarei affatto incline a prendere in considerazione il vostro punto di vista. Tuttavia… che cosa le succede, signor De Kemp?»

Guardarono tutti insieme il giornalista che osservava esterrefatto il libro tascabile fra le mani. «Devo aver preso un altro libro per sbaglio» mormorò incredulo. «Ma non è possibile.» Guardò gli altri con aria accusatrice. «Questa roba è in francese.»

Ed guardò perplesso il libro, sorpreso dall’imbarazzo di Buzz. «Non è francese. A me sembra tedesco.»

Fu la volta di Helen. «Non è tedesco. Io conosco il tedesco. Mi pare russo.»

Buzz, sulle difensive, obiettò: «Non dire stupidaggini. Non vedi che non è l’alfabeto cirillico. Io dico che è francese… però, non è possibile. Stavo leggendo questo libro poco prima di entrare qui. L’illustrazione della copertina è la stessa, e…»

Il professor Braithgale si alzò. «Faccia vedere» disse asciutto. «So leggere e scrivere tutte le lingue romanze, il tedesco, lo svedese e il russo. Non capisco come sia possibile, ma…» Le sue parole si persero in un mormorio stupefatto. I suoi occhi grigi, normalmente sereni, si incupirono. «Ma questo è… è sanscrito, mi pare.»

«Faccia vedere a me» intervenne Hopkins in tono deciso. «Qual è il problema?» Il professore gli porse il romanzo tascabile. «Ma come, a me pare italiano. Non conosco quella lingua, però…»

«Santo cielo!» esclamò Ed. «L’ha fatto di nuovo. Ha maledetto i libri!»

«Che cosa?» strillò il generale. «È completamente impazzito?»

«No, mi ascolti» disse Ed alzandosi. «Guardi quel rapporto davanti a lei. Può ancora leggerlo, non è vero? Io riesco a leggerlo. E posso leggere questi appunti che ho in tasca. E ora guardi il giornale.» Eccitato, lo mostrava a tutti. «Le notizie sono chiarissime, ma guardate la pagina dei fumetti. Le parole sono tutte confuse, sembrano un geroglifico. A me sembra tedesco, ma io non so il tedesco. Quello ha maledetto le letture frivole.»

«Si sieda» ordinò Dwight Hopkins. Al citofono disse: «Signorina Presley. Desidero che mi faccia avere parecchi libri, di lettura amena e di studio. Voglio anche che mi si riferisca immediatamente perché non sono stati portati qui Ezechiele Giosuè Tubber e sua figlia.»

«Sì, signore» rispose chiara la voce efficiente della signorina Presley. «I Tubber non sono stati ancora trovati. Gli agenti inviati sulle loro tracce informano che hanno lasciato Saugertis. Sembra che il predicatore fosse profondamente sconvolto perché nessuno ascoltava il suo messaggio.»

«Abbiamo idea di dove si siano diretti?» chiese vivacemente Hopkins.

«Uno dei seguaci ha detto che andavano a Elisio. In nessuno dei sessantaquattro stati dell’unione esiste una simile località. Forse si trova nell’Europa Confederata, o…»

«Basta così, signorina Presley» la interruppe Dwight Hopkins. Spense il citofono e guardò prima Braithgale poi il generale. Quest’ultimo gridò: «Che cosa sta succedendo?»

Braithgale sapeva che cosa stava succedendo. «Elisio» disse lentamente. Un altro modo per descrivere i Campi Elisi degli antichi greci.

«Che diavolo sono i Campi Elisi?» chiese il generale.

«Il Paradiso» rispose Dwight Hopkins. Si passò una mano sul mento, come se stesse controllando se si era sbarbato bene. «Il nostro amico Tubber è volato in cielo.»

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