Da dietro la vetrata della cabina di regia, Jerry gli fece il solito cenno. Ed Wonder alzò gli occhi e guardò l’orologio dello studio. La trasmissione stava andando per le lunghe.
Ed interruppe l’ospite. «Se non le dispiace, facciamo un passo indietro. Lei ha usato termini che non sono familiari a tutti, ne sono certo.» Scorse in fretta i fogli degli appunti che aveva buttato giù nel corso del programma. «Ecco qua. Palin… palin…»
«Palingenesi» completò Reinhold Miller con una sfumatura di condiscendenza nella voce.
«Molto bene. E poi metempsicosi. È corretto?»
«Sì, proprio metempsicosi. Il trasferimento dell’anima da un corpo all’altro. Dal latino, che a sua volta aveva ripreso dal greco. Modestamente, ritengo di essere ancora la maggiore autorità del mondo in fatto di palingenesi e metempsicosi.»
«Bene, questa era la spiegazione della metempsicosi» disse Ed Wonder. «Ma ora ci dica: cos’è la palingenesi?»
«Significa rigenerazione, rinascita. È la dottrina della trasmigrazione delle anime.»
«Ma allora, in che cosa differisce sostanzialmente dalla metempsicosi?»
«Temo che il tempo limitato m’impedisca di entrare nel dettaglio come sarebbe necessario per chiarire a fondo l’argomento.»
«Peccato. Comunque, c’è un’altra questione che vorrei approfondire. Lei ha affermato di essersi reincarnato tre volte. Inizialmente sarebbe nato come Alessandro il Macedone, il conquistatore dell’impero persiano, poi morto per un attacco di febbre in seguito a una sbornia presa a Babilonia. A quel punto la sua… anima sarebbe volata nel corpo appena nato di Annibale, il Cartaginese che più tardi riuscì quasi a sconfiggere Roma. Dopo il suicidio di Annibale con una dose di veleno, si sarebbe risvegliato nel corpo del Maresciallo Ney, braccio destro di Napoleone. Dico bene?»
«È la verità.»
«Ecco la domanda che volevo farle: dov’è stata la sua… anima, tra una reincarnazione e l’altra? Se non ho dimenticato del tutto le mie nozioni di storia antica, Alessandro visse pressappoco quattro secoli prima di Cristo, e Annibale guidò i suoi elefanti attraverso le Alpi circa centocinquant’anni più tardi. Non dubitate delle mie date, amici! Quando si trattava di storia antica, ero il migliore di tutta la scuola. Ma andiamo avanti. Il Maresciallo Ney deve essere nato nel Diciottesimo secolo, se ha combattuto a fianco di Napoleone. Ed eccoci al punto. Tra le tre reincarnazioni c’è stato un bel salto.»
«Nella morte non esiste il tempo» ribatté Reinhold.
«Come ha detto?»
«Fra una vita e l’altra non si prova alcuna sensazione d’intervallo. Quando sono stato giustiziato nella mia esistenza come Maresciallo Ney, ho avuto un’improvvisa sensazione di dolore accompagnata da un bagliore luminoso. Subito dopo, ho avuto coscienza di essere di nuovo al mondo nel piccolo corpo di un neonato che strillava.»
Ed Wonder rimase un istante pensieroso con l’indice appoggiato alla punta del naso; poi, rendendosi conto di cosa stava facendo, ritrasse la mano. Se fosse riuscito a portare il programma alla TV avrebbe dovuto togliersi quell’abitudine, pensò. Sul video, quel vezzo avrebbe fatto una pessima impressione.
«Un’altra domanda, signor Miller» disse. «Non le sembra una coincidenza singolare che in tutte e tre le sue precedenti… reincarnazioni, sia stato uno dei più grandi geni militari della storia dell’umanità?»
«Forse la mia è un’anima con un grande destino.»
«Ci ha già detto qual è la sua attuale occupazione, signor Miller. Le dispiace ripeterlo?»
«Sono ragioniere.»
Ed Wonder scorse di nuovo gli appunti. «Ah, sì! Ragioniere, impiegato presso l’amministrazione dei Grandi Magazzini Brisby, in Pennsylvania. Credevo che in questi tempi di Società del Benessere tutto il lavoro di amministrazione fosse automatizzato. La Brisby dev’essere rimasta un po’ indietro. Ma non la sorprende di non essersi reincarnato nel generale Douglas MacArthur, o in Eisenhower, o magari nel Visconte Montgomery, almeno per coerenza?»
«Non tocca a me chiedere spiegazioni. Comunque lo spirito eterno conosce vie misteriose.»
«Adesso, un’ultima domanda. In questa trasmissione, abbiamo già avuto due o tre casi di reincarnazione. Nelle persone che pretendono di essere… rinate, mi ha sempre colpito un particolare: non si tratta mai del giardiniere che innaffiava le piante di melone nel giardino di Tamerlano, ma sempre di Tamerlano in persona. Non la serva della gleba che spazza il focolare a Mosca, ma invariabilmente la grande Caterina. Come mai voi reincarnati siete sempre stati dei pezzi grossi, nel passato?»
Miller incassò la frecciata con lo stesso atteggiamento con cui era solito incassare tutto: calmo, dignitoso e con una sincerità apparentemente genuina che, secondo Ed, gli ascoltatori più sprovveduti probabilmente prendevano per oro colato.
«Potrei citarle il caso di Bridey Murphy.»
«Touché!» esclamò Ed allegramente. «Mi ha colto in fallo. Amici, ricorderete certamente che, nel 1956 o giù di lì, tutto il Paese si appassionò alle vicende di quella signora del Colorado la quale, in stato di trance ipnotica, riviveva l’esistenza di una pastorella irlandese della seconda metà del Diciottesimo secolo.»
Il telefono sul tavolo si mise a suonare. Ed Wonder sollevò il ricevitore.
Era Dolly. «È in linea il professor Dee, Piccolo Ed. Vorrebbe fare qualche domanda al tuo ospite.»
Ed fece un cenno a Jerry in cabina di regia.
«Cari ascoltatori» annunciò poi al microfono «abbiamo al telefono il professor Varley Dee. I più assidui tra voi lo ricorderanno certamente. Insegna Antropologia alla nostra università, e ha preso parte a questo programma, in qualità di esperto, almeno cinque o sei volte. Il professore è uno dei grandi scettici del nostro tempo. Chi lo conosce, sa che non è un uomo a cui la si possa dare a bere facilmente. Il professor Dee desidera fare qualche domanda al nostro ospite di questa sera, e se il signor Miller non ha obiezioni, metteremo in funzione il telefono con derivazione, per permettervi di sentire direttamente sia la domanda sia la risposta. È d’accordo, signor Miller?»
«Sono pronto a rispondere a qualsiasi domanda» fu la risposta tranquilla di Miller.
«Avanti, allora. È ancora lì, professore?» chiese Ed Wonder al telefono.
Sì sentì la voce ineguale di Varley Dee. «Signor Miller, ha detto di essere stato Alessandro il Grande. Se è vero, dovrebbe ricordare con precisione la battaglia di Isso, la più famosa vittoria di Alessandro.»
«La ricordo come se fosse avvenuta ieri.»
«Non ne dubitavo» commentò Dee in tono sarcastico. «Mi dica, dunque: dove si trovava Tolomeo durante la battaglia?»
«Chi?»
«Tolomeo, Tolomeo. Colui che divenne il capostipite della dinastia macedone in Egitto, l’antenato di Cleopatra.»
«Ah!» esclamò Reinhold schiarendosi la gola. «La sua pronuncia è difettosa. Tolomeo…»
«Ho studiato greco antico per otto anni» lo interruppe il professor Dee, con voce tagliente.
«…combatteva all’ala sinistra.»
«Un accidente!» sbottò Dee. «Tolomeo era…»
«Signori, signori» ammonì Ed gentilmente «ricordatevi che siamo in diretta.»
«…uno dei fedelissimi e combatteva al fianco di Alessandro insieme a Clito e a tutti gli altri…»
«Sciocchezze!» lo rimbeccò Miller. «Deve averlo letto in qualche stupido libro di storia. So io dove combatteva. Chi può saperlo meglio di me? Ero là!»
Jerry si era rimesso a fare segni a Ed dalla cabina di regia. Il tempo a disposizione era scaduto.
Ed voleva interrompere la conversazione telefonica, ma proprio in quel momento Dee stava parlando. «È vero, devo ammettere che io invece non mi trovavo là. Tuttavia, alcuni di questi storici che lei insulta, compreso Tolomeo che ha lasciato una descrizione della battaglia, c’erano. Comunque, ho pronta un’altra domanda. Rimaniamo pure a Tolomeo. Qual era il suo cognome?»
La faccia di Miller era tesa e perplessa.
«Avanti, andiamo!» lo esortò il professore. «Era uno degli amici più intimi di Alessandro.»
Sia pure di malavoglia, Ed lanciò il salvagente all’ospite.
«Signori, il tempo a nostra disposizione è scaduto. Mi dispiace molto, forse avremo occasione d’incontrarci di nuovo. Grazie…»
«Il cognome era Soter» fece in tempo a gridare al telefono il professor Dee. «Quando Alessa…»
A quel punto Jerry staccò la linea telefonica.
«Grazie mille, professor Dee» si affrettò a dire Ed. «E soprattutto grazie a lei, signor Miller, per essere venuto a spiegarci la sua triplice reincarnazione. Qui radio Wan, la Voce della valle dell’Hudson, che vi parla da Kingsburg, stato di New York. Avete ascoltato Ai confini del reale, un’ora con Ed Wonder.» Poi strizzò l’occhio alla regia e disse: «E ora, un po’ di musica leggera, Jerry!»
La luce rossa si spense. Lo studio non era più collegato con la rete. Ed Wonder si sprofondò nella poltrona e si stirò con complicati movimenti delle spalle. Davanti al microfono era sempre in tensione, specie quando si trattava di programmi lunghi, nei quali gli toccava sostenere tutto il peso del dialogo.
Fu Reinhold Miller a parlare per primo. «Poco fa lei ha accennato alla possibilità che io partecipassi ancora una volta a questa trasmissione» disse. «Sarei molto lieto…»
«Sono convinto che lo sarebbe» lo interruppe Ed Wonder, sbadigliandogli deliberatamente in faccia.
L’altro lo guardò fisso. «Come sarebbe a dire?»
La borsa di Ed Wonder era appoggiata sulla superficie morbida del tavolo. Tutti i tavoli degli studi radiofonici erano imbottiti per evitare che gli ospiti inesperti facessero rumori spiacevoli tamburellando sul ripiano con le dita o con la matita. Ed tolse dalla borsa alcuni fogli di carta e un libretto di assegni. «Concludiamo» disse. «Le spettano cinquanta dollari, più le spese, giusto?»
«Questo era l’accordo, infatti.»
Ed Wonder aveva già in mano la penna. «Mi guardi bene in faccia, Miller» disse. «Questo è un programma per gente strampalata, d’accordo. Gente che racconta di aver visto piccole creature verdi saltare fuori da dischi volanti, chiaroveggenti, medium, negromanti, zingari, streghe d’ogni genere. Ce n’è stato perfino uno che giurava di essere stato un lupo, da giovane.» Mentre parlava, Ed continuava a scrivere rapidamente. «Però voglio dirle una cosa. La maggior parte di questa gente è sincera. Per quanto ne so io, può darsi che alcuni di loro siano quello che effettivamente sostengono di essere. In questo programma, abbiamo vedute molto larghe.»
«Io… io non capisco dove vuole arrivare, signor Wonder.»
«E io invece credo che lo capisca benissimo. Quando le ho offerto di venire alla radio promettendole cinquanta dollari e il rimborso spese per il disturbo, credevo che fosse veramente convinto, a ragione o a torto, di essere vissuto nel passato in varie reincarnazioni.» Ed Wonder fece un verso di disprezzo. «Chiunque è in grado di leggere qualche notizia su personaggi storici come Alessandro, Annibale e Ney» concluse.
Le labbra di Miller erano serrate ed esangui.
«Lei non ha il diritto di parlarmi in questo modo. Sono venuto qui in buona fede» protestò.
«E anche perché le faceva gola intascare cinquanta dollari senza fatica, vero? Però l’imbroglio è saltato fuori: non è stato capace di rispondere alle domande del professor Dee. Nella sua qualità di storico aveva letto molto più di lei su Alessandro e i suoi amici.»
«Signor Wonder, sono pronto ad ammettere di aver dimenticato molti particolari delle mie passate reincarnazioni. D’altra parte, anche lei ha certo dimenticato molti avvenimenti della sua vita.»
Ed Wonder continuava a sbadigliare, sventolando l’assegno appena compilato per fare asciugare l’inchiostro. «Questo per le spese di viaggio. E ora le faccio un secondo assegno per il furto.»
Reinhold diventò paonazzo per la rabbia. «Accetterò il rimborso spese perché ne ho bisogno. Ma se pensa che abbia cercato di imbrogliarla, signore, si tenga pure i suoi cinquanta dollari.»
«Padronissimo di fare come vuole. Ma firmi comunque la ricevuta dell’intero compenso, per favore.»
Reinhold Miller afferrò la penna, firmò, prese l’assegno del rimborso spese, poi si alzò di scatto e uscì dalla porta imbottita che si apriva sull’atrio. Ed Wonder lo seguì con lo sguardo, poi infilò le carte nella borsa.
Jerry lo chiamò dalla regia. Ed si alzò ed entrò in cabina accendendosi una sigaretta. «Dove diavolo vai a trovare i vestiti, Jerry, nei pacchi dono dell’Esercito della Salvezza?» gli chiese. «Mi rovini il programma. E che cosa fumi in quella pipa preistorica, carbon fossile?»
Il tecnico brontolò qualcosa senza togliersi la pipa di bocca, poi disse: «Non siamo alla televisione. E anche se lo fossimo, non sarei io davanti all’obiettivo delle telecamere. Sei riuscito a fregargli i quattrini, eh, Piccolo Ed?»
«Che cosa dici?»
«A quello là, Alessandro il Grande.»
«Era un imbroglione.»
«Non sono di questo parere. Può darsi che gli manchi una rotella, ma credo che fosse sincero. Era convinto di dire la verità.»
«Secondo me, no. Questo programma ha un bilancio limitato, Jerry.»
«Eh, già. E se avanza qualche spicciolo alla fine del mese, va a finire nelle tue tasche.»
«E a te che cosa importa?»
«Niente. Mi piace vederti lavorare. Grazie all’automazione, possono licenziare nove persone su dieci, ma rimarrà sempre con noi l’eterno imbroglione.»
Ed Wonder diventò rosso. «Ti consiglio di non ficcare il naso nei miei affari, se non vuoi avere guai.»
Jerry si tolse la pipa di bocca e grugnì divertito. «Guai? Da te, Piccolo Ed? E che cosa mi combineresti?» Si osservò pensoso le nocche della mano destra. «Guai che un bel colpo sui denti non sistemerebbe?»
Ed fece un mezzo balzo indietro. Si riprese e disse con aria cattiva: «Mi hai fatto venire qui per dirmi questo?»
«Il Grassone è venuto a cercarti mentre eri in trasmissione. Vuole vederti.»
«Mulligan? Che cos’è venuto a fare a quest’ora?»
Ed Wonder si voltò e se ne andò senza aspettare la risposta. La porta a isolamento acustico della cabina di regia dava in un piccolo atrio. Accanto c’erano due porte identiche: quella dello Studio Tre, che Ed Wonder aveva utilizzato per la trasmissione, e quella del corridoio degli uffici.
Percorse il corridoio ed entrò nel suo ufficio; prima di andare al suo tavolo a lasciare la borsa, però, si fermò davanti alla scrivania di Dolly. Alla vista della ragazza, fece finta di svenire.
«Santo cielo! Che cosa ti sei fatta alla testa?»
Dolly si sfiorò i capelli con una mano. «Ti piace, Piccolo Ed? È l’ultimissimo grido dall’Italia. Si chiama “Acconciatura Fantasia”.»
Lui scosse la testa, assumendo un’espressione di finto dolore, «Non verrà mai la moda dei capelli naturali?» chiese, in tono tragicomico. Poi, con la solita voce: «Senti, Dolly, cerca di essere più sveglia quando sono in trasmissione, capito? Non c’è bisogno di sprecare tante parole. Taglia corto. Bastava che dicessi: il professor Dee, domande. Non sono stupido. Avrei afferrato al volo.»
La ragazza strinse le labbra. «Sì, signor Wonder.»
«Bene, ricordatelo.»
Andò al suo tavolo e chiuse a chiave la borsa in un cassetto. Si avviò poi all’ufficio di Matthew Mulligan sistemandosi la cravatta a farfalla. Davanti alla porta esitò un attimo prima di bussare due volte, piano.
Il direttore della stazione radio era seduto alla scrivania e ascoltava il programma di musica leggera Rock Swing che andava in onda subito dopo la trasmissione di Ed. Ma non sembrava che l’ascolto gli giovasse alla digestione.
«Voleva vedermi, signor Mulligan?»
Il direttore, un uomo anziano, lo guardò fisso negli occhi e declamò: «La mia Patria, nel bene e…» Lasciò la frase a metà.
Ed Wonder sbatté le palpebre. Quello, evidentemente, aspettava che lui finisse la citazione. Frugò nella memoria. Cercò di prendere tempo. «Dunque… la mia Patria, nel bene e…»
«La mia Patria, nel bene e nel male» concluse Mulligan in tono accusatore. «Vedo che non è socio.»
Adesso era tutto chiaro! Accennava all’Associazione Stephen Decatur, un’organizzazione estremamente reazionaria che considerava i seguaci della società John Birch troppo a sinistra. Ed aveva sentito dire che Matthew Mulligan ne era socio.
«No, non lo sono» ammise Ed con franchezza. «Avevo intenzione di interessarmene, ed eventualmente di associarmi, ma il lavoro mi ha tenuto troppo impegnato. A proposito, ha ripensato alla possibilità di trasferire il mio programma alla televisione?»
«No, non ci ho pensato» rispose Mulligan, schiarendosi la voce. «Vuole sedersi o no? M’innervosisce saltellandomi così davanti agli occhi. Non l’ho fatta venire qui per parlare di lavoro, Piccolo Ed, ma dato che siamo in argomento, mi dispiace doverle dire che il programma non si svolge come mi ero immaginato io quando mi aveva proposto l’idea. Sì, è vero, ha messo le mani su qualche bel tipo che sostiene di essere andato sulla luna con un disco volante, ma perché non è mai riuscito a trovarne uno che è tornato con un pezzo di luna preso per ricordo? E i veggenti, poi! Nel suo programma abbiamo bisogno di qualcuno che predica la caduta del Numero Uno dal Cremlino martedì prossimo, e che martedì avverrà una rivoluzione in Russia. Allora sì, che troveremmo gente disposta a finanziare la trasmissione con milioni di dollari di pubblicità!»
Ed Wonder avrebbe voluto avere il coraggio di reagire a quella sparata con una smorfia di disgusto. Invece si affrettò a cambiare discorso. «Per quale ragione mi ha fatto chiamare, signor Mulligan?» chiese.
«Come? Ah, sì. Che cosa fa domani sera, Piccolo Ed?»
«Ho un appuntamento con una ragazza. Domani è il mio giorno libero, signor Mulligan.»
«Benissimo. Ci porterà anche lei. Ha mai sentito parlare di un buffone chiamato Ezechiele Giosuè Tubber?»
«Non mi pare. Un nome così non lo si dimentica. Comunque non credo che mi sarà possibile mandare a monte l’appuntamento.»
Il direttore ignorò l’obiezione. «È un caso di fanatismo religioso, o giù di lì. Ma quello che conta è che l’Associazione ha ricevuto un paio di lettere e una telefonata di gente che aveva da ridire su di lui, mi capisce? Dicono che è un sovversivo.»
«Mi pareva che avesse parlato di fanatismo religioso.»
«Sì, ma quel tipo è anche un sovversivo. Un sacco di rossi si nascondono dentro a un saio da religiosi. Come quell’arcivescovo in Inghilterra, come diavolo si chiama? O quei rabbini ebrei che predicano contro la segregazione razziale. Comunque sia, all’ultima riunione della sezione locale dell’Associazione è stato deciso di indagare su questo Tubber. Hanno affidato a me l’incarico.»
Ed aveva pochi dubbi su come sarebbe andata a finire quella conversazione. Cercò di attaccarsi all’unico filo di speranza che aveva. «Ecco, vede, il mio appuntamento…»
«Io non capisco un’acca di fanatismo religioso» lo interruppe Mulligan «ma lei, per via del suo programma, vive in mezzo a questi rompiscatole. È la persona più adatta per andare a quel raduno. Eccole l’indirizzo. È uno spiazzo non fabbricato in Hudson Street. Farà un rapporto alla prossima riunione dell’Associazione.»
«Signor Mulligan, non saprei riconoscere un sovversivo nemmeno se me lo trovassi sotto il letto.» Poi giocò la sua ultima carta. «La ragazza con la quale ho appuntamento è Helen.»
«Helen?»
«Helen Fontaine. La figlia di Jensen Fontaine.»
«Helen Fontaine! Com’è possibile che una ragazza della classe della signorina Fontaine trovi in…» Il resto del commento si confuse in un borbottio. Mulligan si morse le labbra. «Allora» riprese «avrà parlato al signor Fontaine della sua trasmissione, ora che va in onda regolarmente?»
«Ne va matto» rispose Ed in fretta. «Me lo diceva proprio l’altra sera. Eravamo in salotto a berci qualcosa mentre aspettavo che Helen finisse di vestirsi.»
«Ah, davvero?» Il direttore della radio mosse i muscoli della faccia come se masticasse. «Bene, veniamo al dunque. Il signor Fontaine è un membro dell’Associazione, come Helen del resto, anche se lei non si fa vedere spesso. Perché non va con Helen per una mezz’ora a questo raduno sotto la tenda? Mezz’ora dovrebbe essere più che sufficiente.»