«Andiamo!» ringhiò Ed fra i denti. «Vuoi finire linciata da questi pazzi, senza nemmeno avere il tempo di accorgertene?» La spinse lungo il passaggio, alternando sulla faccia un’espressione di sincere scuse e una del tipo ma-è-stato-solo-uno-scherzo, per accattivarsi la simpatia dei presenti. Ma dubitava di riuscire nell’intento. Helen ghignava piano. L’avrebbe strozzata.
La ragazza era da prendere con le molle. Bastavano tre o quattro bicchierini bevuti in successione per far succedere di tutto. Il guaio era che, di solito, succedeva. Come quella volta che aveva preso a calci un poliziotto sul ponte George Washington. Chissà fino a che punto di sopportazione doveva giungere un uomo per concludere un buon matrimonio!
A pochi passi dall’uscita, Ed diede una rapida occhiata dietro di sé. Gli spettatori erano ancora seduti immobili, come pietrificati da un fulmine. Sulla pedana, il vecchio Tubber pareva aver ripreso l’autocontrollo. Chissà come, sembrava essersi ridotto alle dimensioni normali. Aveva di nuovo l’aspetto mite che lo faceva assomigliare a Lincoln.
All’aperto, Helen si liberò dalla stretta. «Lasciami andare» esclamò sghignazzando. «Sono riuscita a far scaldare il vecchietto, eh?»
«Ci sei riuscita, eccome! Su, andiamocene di qui prima che quello cambi idea e ci scateni dietro i suoi fedeli.» Ma nonostante le sue parole, Ed era quasi certo che né il vecchio né i suoi sparuti seguaci avrebbero mai minacciato la loro incolumità fisica.
La ragazza che si era presentata come Nefertiti Tubber arrivò di corsa dalla tenda più piccola.
«Che cosa… Ho sentito mio padre…»
Helen la interruppe. «Calma, tesoro. Non è niente.»
Anche Ed disse la sua. «Le consiglio di tenere d’occhio suo padre. Un giorno o l’altro potrebbe esplodere.» Esaminò la ragazza dalla testa ai piedi con ammirazione.
La ragazza ancora ansimante riprese: «Ho sentito la sua voce così carica d’ira…»
Helen sbadigliò. «Ha un modo di parlare colorito quasi quanto il suo, tesoro. Si è solo scaldato un po’, tutto qui.»
«Sì, signorina Fontaine, ma mio padre non dovrebbe mai adirarsi. Lui è la Voce della Verità.»
Helen la osservò corrugando la fronte. «Come fa a sapere il mio nome?»
Nefertiti stava per rispondere, ma richiuse subito la bocca arrossendo fino alla radice dei capelli.
«Oh, santo cielo!» esclamò Helen ridendo. «La ragazzina sa arrossire. Erano anni che non vedevo più nessuno arrossire.»
«Già» disse Ed. «Come fa a sapere il nome di Helen?»
La ragazza rispose a voce bassa: «…Ho visto la sua fotografia sui giornali, signorina Fontaine.»
La guardarono tutti e due, Helen scoppiò a ridere di nuovo. «E così, mentre papà maledice la moda e i cosmetici, la figliola segue la cronaca mondana e sospira piena di desiderio.»
Il rossore si fece più intenso. «Oh, no… no…»
«Oh, sì, invece, tesoro mio. Ci scommetterei un milione.» Helen si rivolse a Ed. «Andiamo, Piccolo Ed. Sto morendo di sete. Ho bisogno di scaldarmi lo stomaco.» E si avviò verso l’aeromobile.
Prima di seguire Helen, Ed si voltò verso la ragazza e le disse: «Mi dispiace che suo padre si sia scaldato. Aveva fatto un bel discorso. È un uomo sincero. E io, nel mio lavoro, ho incontrato un mucchio di imbroglioni.»
Ed ebbe l’impressione che Nefertiti non fosse abituata a parlare con gli uomini. Per lo meno non a quattr’occhi. La ragazza parlò tenendo gli occhi bassi. «Immagino che ne abbia incontrati tanti, signor Wonder.» Si voltò rapidamente e tornò nella tenda.
Ed la seguì con gli occhi. Accidenti, sapeva anche il suo nome. “Comunque” pensò, ergendosi in tutta la sua persona come un pavone quando fa la ruota “è meno strano che conoscere il nome di Helen.” Evidentemente Ai limiti del reale stava prendendo piede al punto che lui, il presentatore del programma, veniva riconosciuto per la sua voce anche da chi non l’aveva mai visto. Se fosse riuscito a portare la trasmissione alla televisione, allora sì che…
Si affrettò a raggiungere Helen.
Come la Volksair decollò, Ed e Helen si scambiarono le parti. Ora che si sentiva fuori pericolo, Ed Wonder riusciva a trovare umoristica la situazione di poco prima, mentre Helen diventava sempre più seria di minuto in minuto.
«Forse non avrei dovuto farlo» disse la ragazza dopo un lungo silenzio.
«Ma come? Non dirmi che la testa calda dell’alta società ha i rimorsi?»
Lei cercò di sorridere. «Devo ammettere che è un bellissimo vecchio. Hai notato la sua aria sincera?»
Adesso Ed pensava esattamente il contrario di quello che aveva detto a Nefertiti. «È una caratteristica, nell’ambiente del fanatismo religioso. Dovresti vedere qualcuno dei tipi che ho avuto nella mia trasmissione. Per esempio quello che sosteneva di aver visto atterrare un disco volante. Diceva di essersi avvicinato, di essere stato preso a bordo e trasportato in volo su Giove. Su Giove, evidentemente, c’era aria respirabile e la gravità era identica a quella della Terra. Gli hanno insegnato la religione locale e gli hanno ordinato di tornare sulla Terra a diffondere il loro messaggio. Gli hanno anche detto che molte volte nel passato erano venuti sulla Terra e avevano istruito un uomo per propagare il loro vangelo. Ogni volta, però, il messaggio non era arrivato a destinazione. Mosè, Gesù Cristo, Maometto e Budda sono stati alcuni di quelli che hanno tradito la vera religione rivelata loro dagli abitanti di Giove.»
Helen scattò irosamente: «Ma ti vuoi muovere? Ho bisogno di bere. Mi sento malissimo. Come hai fatto a non scoppiare a ridere in faccia a un tipo che le raccontava così grosse?»
Ed schiacciò più a fondo il pedale della propulsione. «È proprio quello che stavo per spiegarti. A dare retta a lui, sembrava che stesse raccontando la pura verità. La sincerità gli sprizzava da tutti i pori. All’indomani della trasmissione, sono cominciate a piovere centinaia di lettere da parte di gente che voleva sapere di più sulla sua religione rivelata. Aveva accennato al fatto che stava scrivendo un libro. Lo chiamava La nuova Bibbia. Ho ricevuto per lo meno cinquanta prenotazioni, e la maggior parte con il denaro accluso. Quando si tratta di religione, la gente è disposta a credere a qualsiasi cosa, te lo assicuro. E più la religione è strampalata, più fedeli raccoglie.»
«Piccolo Ed Wonder, dovrò suggerire a papà di dire a Mulligan di farti tornare alla lettura dei comunicati commerciali del mattino. La trasmissione Ai limiti del reale sta facendo di te un cinico.»
«Sarebbe proprio un bel favore, dopo tutta la fatica che ho fatto per conquistarmi un programma mio.»
Helen cambiò tono. «A parte questo, non dovresti parlare così della religione. Non c’è niente di male ad avere una fede vera.»
Ed la guardò con la coda dell’occhio. «Cosa vuol dire fede vera?»
«Oh, non fare il furbo!» esclamò Helen. «Sai benissimo che cosa voglio dire. Ma dove stiamo andando? Ho assolutamente bisogno di bere. Credo che lo scontro con il vecchio caprone mi abbia sconvolta.»
«Pensavo di fare un salto al Saloon. È un locale con un barman, non un bar automatico. E a me piace un barman vero. Mi fa sentire come a casa.»
La verità era diversa. Al Saloon, Dave Zeiss gli faceva credito; cosa che in un bar automatico non sarebbe stato possibile. Già solo il fatto di portare Helen Fontaine in giro voleva dire spendere un mucchio di soldi. Bisognava vestirsi in modo da essere alla sua altezza, bisognava essere in grado, su sua richiesta, di accompagnarla in locali di lusso come il Sala Swank. In fondo era già fortunato che la ragazza non si rifiutasse di salire sulla sua piccola Volksair. Lei pensava che la vetturetta tedesca fosse una forma di snobismo. Le sue Cyclon della General Ford erano vere aeromobili. Naturalmente, anche le due posti sportive. Che poi Helen fosse in grado di guidarle, nel caso in cui avesse dovuto ricorrere alla guida manuale in una situazione di emergenza, era tutto da vedere.
«Non mi pare di esserci mai stata» disse con aria svagata. «Ma perché non ti piacciono i bar automatici?»
«Non è che non mi piacciano, ma preferisco un locale con il suo bravo barman. Quando ho cominciato a bere, tutti i bar avevano i barman.»
Helen lo guardò. «E come? Non puoi avere più di trent’anni, Piccolo Ed» disse.
«Trentatré. E poi, ho cominciato a bere molto giovane.»
«Povera me, mi sento uno straccio. È ancora lontano questo tuo posto? Trentatré hai detto? Perché continui a lavorare alla radio, Piccolo Ed? Perché non ti dai agli affari, come tutte le persone che conosco io? Non contano niente i soldi per te?»
Ed rovesciò gli occhi all’indietro, sapendo che nel buio non si sarebbe vista l’espressione della sua faccia. «Non so. Mi piace la radio. Naturalmente preferirei lavorare alla televisione. Sei certa di non poter dire una parola in mio favore a tuo padre?»
«Uffa! Non resisto più. Dov’è questo tuo posto?» Il suo tono era diventato petulante. Era proprio una ragazza viziata!
«Ecco, ci siamo.» Ed abbassò la leva per l’atterraggio e scese nell’area di parcheggio del Saloon.
Il locale era lontano dal centro e il parcheggio non era sotterraneo. Per tutto il tempo necessario a spegnere il motore della Volksair, aprire la portiera a Helen e accompagnarla alla porta brillantemente illuminata del bar, Ed Wonder continuò a mormorare fra sé: “Già, perché non mi do agli affari? I soldi non contano niente per me? E perché non allenare trichechi nell’acquario dei pesci rossi?”.
Le luci al neon dell’ingresso mandavano un bagliore accecante; appena varcata la soglia, però, la penombra tanto cara a chi vuol bere in pace costringeva a fermarsi finché gli occhi non si erano adattati all’oscurità.
«Sediamoci al banco» propose Helen. «Ordinami un Travalica, mentre vado a rinfrescarmi» e scomparve nella toilette.
Ed andò a sedersi su uno sgabello del banco. Proprio un Travalica, distillato d’erbe jugoslavo che per essere appena bevibile doveva essere stato imbottigliato almeno all’età della pietra! “Sicuro come la congiuntura” pensò Ed “che quando esce con uno dei suoi amici milionari ordina birra.”
Dave Zeiss comparve con in mano la spugna per pulire il banco. I due si scambiarono le solite amenità, poi Ed gli chiese di fargli credito. Il barman acconsentì, e allora Ed ordinò da bere.
«Potresti spegnere la TV e il juke-box?» chiese poi.
Dave sorrise. «Non capisco come mai a voi della radio non piace sentire la musica e guardare la televisione.»
«È proprio perché lavoro alla radio che non mi piace» brontolò Ed. «Il fatto che io lavori dalla mattina alla sera per intrattenere chi non ha altro da fare che starsene seduto vicino a una di quelle stupide scatole, non implica che anche a me piaccia la stessa roba.»
Dave scosse la testa. «Mi dispiace davvero, signor Wonder, ma non posso spegnerli. Ho altri clienti. Sa com’è la gente. Se c’è troppo silenzio nel locale, si agita. Se non ci fosse musica in continuazione, se ne andrebbe al bar più vicino.»
«Volevo parlare di cose serie con la signorina che mi accompagna.»
«Le assicuro, signor Wonder, che sarei felice di accontentarla, ma non servirebbe a niente. Ammesso che gli altri clienti rimangano, accenderebbero subito le radioline portatili. Non c’è quasi più nessuno che esca di casa senza almeno un transistor. Normalmente hanno anche il televisore tascabile.»
Una voce nuova intervenne nella conversazione. «To’, il Piccolo Ed Wonder!»
Ed si voltò. «Salve, Buzz! Cosa fa da queste parti il diabolico cronista? E dimmi: come riesci a conservare il posto al giornale, se ti vesti come uno straccione e sei sempre ubriaco, ventiquattrore su ventiquattro?»
«Solo qualche volta, Piccolo Ed, non sempre» disse l’altro. «Dave, che diresti di una vodka? E la segni sul polsino della camicia, naturalmente.»
Dave Zeiss reagì prontamente. «Signor De Kemp, se dovessi sempre segnare sul polsino quello che beve, tutte le mie camicie sarebbero nere fino al gomito.»
«Hai sentito?» chiese scandalizzato a Ed. «Tutto quello che un buon bevitore vorrebbe da un barman è un po’ di gentilezza. Sono il miglior cliente di questo spaccio di gin. Pago i conti fino all’ultimo spicciolo, appena riscuoto lo stipendio. E che cosa mi fa questo barman quando la lingua mi pende dalla bocca arsa come una cravatta rossa? Si prende gioco di me. È colpa mia se sono un cattivo amministratore delle mie sostanze? Sono l’unica persona di mia conoscenza capace di entrare in una porta girevole e uscirne dall’altra parte con tre dollari in meno.»
«Signor De Kemp, lei è il miglior cliente di ogni bar di Kingsburg» ribatté Dave, seccato. «Non solo di questo.» Quindi prese le tazze di rame e gli ingredienti necessari per fare una buona vodka alla moscovita.
«Ma di cosa sono fatti quegli zampironi che ti metti in bocca?» chiese Ed arricciando il naso.
De Kemp si tolse di bocca l’oggetto incriminato e lo fissò con sguardo amorevole. «Questo non è uno zampirone, è un vero sigaraccio da duro. Quando ero bambino ho visto Tyrone Power giocare a poker con un baro del Mississippi tenendo in bocca uno di questi zampironi. Non me ne sono mai dimenticato. In me si è perso l’ultimo grande baro da battelli del Mississippi, Piccolo Ed. Avevo lo spirito adatto per diventarlo. È una maledetta vergogna che i battelli a pale siano scomparsi da tutti i nostri fiumi.»
Ed notò con la coda dell’occhio Helen che stava tornando e piroettò sullo sgabello per aiutarla a sedersi. Aprì la bocca per parlare ma non gli venne in mente niente da dire, perciò la richiuse.
Buzz De Kemp, voltato dall’altra parte, non l’aveva vista arrivare. «Piccolo Ed» disse «che cos’è questa tresca di cui sento parlare, di te che cerchi di succhiare il sangue a una sgualdrinella dell’alta società? Mi è stato detto che stai facendo di tutto per sposare la figlia del padrone. Ti sei stufato di lavorare, eh? Possibile che lei non abbia nemmeno un amico sincero?»
Ed Wonder chiuse gli occhi, con un’espressione di muta agonia dipinta in faccia.
Helen abbassò il suo sguardo aristocratico lungo la linea del naso e fissò il cronista. «Che cos’è?» chiese a Ed, invece di chi è?
Ed fece un grugnito. «Signorina Fontaine, ho il piacere di presentarle Buzz De Kemp, del “Times Tribune”. Ammesso che ci lavori ancora. Buzz… la signorina Helen Fontaine.»
Buzz scosse la testa. «Pfui! lei non può essere Helen Fontaine. Quella è una vamp. Acconciature all’ultimo grido, trucco che ci vogliono due ore per impiastrarselo sulla faccia. Ho visto tante fotografie di Helen, e…»
Helen guardò Ed. «Mi sono lavata la faccia e legata i capelli per sentirmi più a mio agio» disse, sulle difensive. «Quella tenda doveva essere piena di pulci. Sentivo un gran prurito dappertutto.» Prese il bicchiere colmo di Travalica e se lo versò in gola d’un fiato, senza piegare il polso e buttando la testa all’indietro.
Buzz apprezzò molto il gesto e disse: «Bene, per lo meno lei beve come mi hanno detto che sa bere Helen Fontaine.»
Ed non poté fare a meno di guardarla a occhi spalancati, pur continuando a tendere il bicchiere a Dave perché lo riempisse di nuovo. «Senti, Helen» disse «non avrai per caso preso sul serio la sparata di quel vecchio imbroglione?»
«Non dire sciocchezze» rispose lei, osservando il barman che le riempiva nuovamente il bicchiere di Travalica. «C’era davvero troppo sudiciume in quella tenda… almeno immagino.»
Buzz, che aveva a sua volta spinto il suo bicchiere verso Dave, come se Ed Wonder avesse invitato a bere anche lui, chiese: «Di che cosa state parlando voi due? Quale tenda?»
«Helen e io siamo andati a un raduno religioso» rispose Ed in tono impaziente. «Un vecchio rottame fuori di sé che si chiama Ezechiele Giosuè Tubber.»
«Oh, Tubber» fece eco Buzz. «Volevo mettere insieme un paio di articoli su di lui, ma il capo cronista mi ha detto che i nuovi culti religiosi non interessano più nessuno.»
Helen lo guardò come se lo vedesse soltanto in quel momento. «È stato ai suoi raduni?» chiese.
«Sì, ci sono stato. Ho il pallino delle teorie politico-economiche anticonformiste» rispose il giornalista. «Un vero e proprio pallino.»
Per quanto avesse già mandato giù due bicchierini di quella potente mistura, Ed notò che la ragazza sembrava molto più sobria di prima. Per mantenere la conversazione sul nuovo argomento, con la muta preghiera che non tornasse più sulle malignità di Buzz riguardo ai suoi propositi matrimoniali, Ed disse: «Economia politica? Dovrebbe essere un santone, non un economista.»
Prima di rispondere, Buzz buttò giù un lungo sorso di vodka. Poi appoggiò il bicchiere al tavolo e puntò il sigaro verso Ed. «Dove finisca la religione e dove cominci l’economia è un problema insolubile, Piccolo Ed. Troverai che la maggior parte delle religioni del mondo hanno le loro basi nel sistema economico del loro tempo. Prendi per esempio il Giudaismo. Quando Mosè stabilì quelle sue leggi, amico, esse coprivano ogni aspetto della vita nomade del popolo ebraico. Rapporti di proprietà, trattamento degli schiavi, dei servi e dei dipendenti, problemi di denaro. E il lavoro. Lo stesso dicasi per la religione di Maometto.»
«Ma questo succedeva molto tempo fa» obiettò Ed.
Buzz fece una specie di ghigno, si ficcò il sigaro in bocca e, stringendolo tra le labbra, disse: «Vuoi un esempio più recente? Prendi Padre Divino. Non hai mai sentito parlare del suo movimento? È cominciato negli anni della grande depressione e, credimi, se non fosse scoppiata la seconda guerra mondiale, la religione di Padre Divino avrebbe invaso tutto il Paese. Perché? Perché era sostanzialmente un movimento economico sociale. Dava da mangiare alla gente in un periodo in cui molti facevano la fame. Era una specie di comunismo primitivo. Tutti gettavano quello che avevano nel calderone comune. Se non avevi niente da dare, andava bene lo stesso, eri ugualmente il benvenuto. Poi tutti si mettevano a lavorare, trasformando le vecchie case in rovina che avevano acquistato in ciò che loro chiamavano paradisi. Chi poteva, lavorava fuori della comunità come cameriere, autista, cuoco, eccetera, e quello che guadagnava finiva nel calderone comune. Quando un paradiso aveva risparmiato una somma sufficiente, e quando il numero dei nuovi convertiti era cresciuto a sufficienza, compravano un’altra casa in rovina e creavano un altro paradiso. Andò tutto a vele spiegate fino a quando scoppiò la guerra. Allora i seguaci del Padre Divino se ne andarono a tutta velocità a guadagnarsi cento dollari alla settimana nei cantieri navali.»
«Quello che ha detto può valere per Padre Divino o per i Maomettani» obiettò Helen «ma non tutte le religioni sono a base economica.»
Buzz De Kemp la guardò fisso. «Veramente, io non ho detto che le religioni siano un fatto economico; comunque, me ne citi una che non sia come sostengo io.»
«Non sia sciocco. Il Cristianesimo.»
Buzz buttò la testa all’indietro e scoppiò a ridere. Poi spense il sigaro. «Qualcuno ha scritto che se il Cristianesimo non fosse sorto al momento giusto, se lo sarebbero inventato i Romani, tanto gli faceva comodo. E non è detto che non lo abbiano fatto davvero.»
«Lei è pazzo. I Romani perseguitavano i Cristiani. Chiunque abbia letto qualche riga di storia lo sa.»
«All’inizio li perseguitavano, ma dopo essersi resi conto che era la religione perfetta per una società schiavistica, hanno fatto del Cristianesimo la religione di Stato. Prometteva la torta in cielo, dopo la morte. Soffrite sulla terra, mangiate pane e acqua, in cielo vi aspetta il dolce. Quale fede migliore di questa, per mantenere in riga un popolo sfruttato?»
«La serata sta diventando divertente» disse Ed con voce tetra. «Dieci minuti fa pensavo che voi due foste sbronzi, e ora stiamo discutendo di politica e religione. Helen, non credi che potremmo trovare un divertimento migliore? Facciamo ancora in tempo ad andare a uno spettacolo. Ho un paio di biglietti per…»
Ma Helen si stava riscaldando. «Da come parla, mi par di capire che lei è ateo» disse rivolta a Buzz.
Il cronista si sprofondò in un inchino da clown. «Un ateo con tendenze agnostiche» precisò con un grugnito. «Per la verità, non posso vantarmi di avere alcuna superiorità intellettuale. Mia madre veniva da una famiglia agnostica da generazioni, e mio padre, benché nato Avventista del Settimo Giorno, diventò poi ateo fino al midollo. Ha presente uno di quegli atei che si divertono a mettere con le spalle al muro qualche semplice e onesto Battista con domande del tipo: “Se Adamo ed Eva erano i soli esseri umani viventi, con chi si è sposato Caino?”. Così, sono cresciuto in un’atmosfera priva di ogni fede in qualsiasi religione organizzata. Sono diventato agnostico per la stessa ragione per cui lei è diventata Metodista o Presbiteriana…»
«Appartengo alla chiesa episcopale!» lo interruppe Helen con veemenza, per nulla placata dall’autoaccusa del giornalista.
«Come i suoi genitori? E se per uno scherzo del destino lei fosse nata in una famiglia di Musulmani? O di Scintoisti? Che cosa sarebbe ora? No, signorina Fontaine… lei è veramente Helen Fontaine, vero? Temo che sia lei sia io manchiamo di originalità.»
«Questo discorso, comunque, non vale per me» disse Ed. «Entrambi i miei genitori erano Battisti e io sono passato alla chiesa episcopale.»
Buzz De Kemp fece un verso rumoroso. «Sai, Piccolo Ed, incomincio a sospettare che sotto quell’aspetto di giovane daino innocente dai princìpi incorruttibili che presenti al mondo, batta un cuore di ottone. Guardiamo in faccia alla cruda realtà. Sei un opportunista. Essere episcopale vuol dire tutto.»