Prese l’ascensore e uscì. Osservò dalla soglia il bar all’angolo. C’era la coda consueta. Non si diede la pena di dare un’occhiata agli altri bar del quartiere. Che bisogno c’era? Risalì invece la strada fino alla prima bottiglieria.
La situazione aveva fatto passi da gigante. La folla si era accalcata davanti all’ingresso dello spaccio di liquori e un grassone in piedi sulla soglia la stava tenendo a bada. Quando Ed fu abbastanza vicino, sentì le parole del ciccione: «Mi dispiace, gente, sono rimasto senza. Tutto esaurito. Sto aspettando i fornitori.»
«Almeno una bottiglia di gin o di rum?» domandò una voce.
«Non avete capito. È tutto letteralmente esaurito. Whisky, gin, rum, cognac. Tutto. Tutto esaurito.»
«Neanche una goccia?» domandò un altro incredulo. Il proprietario del negozio sembrava dispiaciuto. «Mi»
pare di avere solo qualche bottiglia di Crema di Menta.
«Che roba è?» chiese il primo. «È alcolica?»
«È un cordiale» gli spiegò Ed. «È un liquore dolce che sa di menta. Un po’ meno forte del whisky.»
«Si può bere allungato con la coca-cola?» domandò un terzo.
Ed chiuse gli occhi rabbrividendo alla sola idea.
«Insomma, datemene una bottiglia, accidenti! Devo pur avere qualcosa da bere in casa. Sto diventando matto.»
«Datene una anche a me.»
Il gruppo cominciò a spingere. Il grassone disse precipitosamente: «Solo una bottiglia a testa, amici. Me ne sono rimaste poche. E dovete capire che è roba speciale. Quindici dollari a bottiglia.»
Ed Wonder tornò a casa. All’angolo della via in cui abitava si era radunata una folla. Si avvicinò e si alzò in punta di piedi per vedere oltre le loro teste l’oggetto del loro interesse. Nel mezzo del cerchio c’era un trio di ragazzini che facevano giochi di abilità: giochetti molto elementari. La folla li osservava in un silenzio interrotto solo da qualche grido d’incoraggiamento. Ogni tanto veniva lanciata qualche monetina ai ragazzini. Il loro repertorio era limitatissimo.
La scena fece tornare in mente a Ed che doveva presentarsi alla più vicina scuola come artista disoccupato.
Lo fece solo il giorno successivo. Non perdette troppo tempo. Non c’erano più molti attori, musicisti e gente di teatro come un tempo. Evidentemente a Kingsburg non c’erano veterani del circo o del vaudeville. Il mondo dello spettacolo, come ogni altro aspetto della vita moderna, era stato invaso dall’automazione. Grazie alla TV, un gruppo di artisti relativamente modesto poteva intrattenere contemporaneamente duecento milioni di spettatori. Con il cinema, dodici attori potevano recitare una commedia per milioni di persone contemporaneamente, mentre ai tempi del teatro vero e proprio uno spettacolo poteva essere seguito al massimo da poche centinaia di persone alla volta. E grazie alla radio, la voce di un cantante di musica leggera poteva acquistare in una serata fama mondiale, mentre gli antichi cantanti dei caffè-concerto riuscivano solo a suscitare singhiozzi alcolizzati nelle poche decine di persone che si radunavano intorno ai tavoli dei locali notturni. E i musicisti? In questo campo l’automazione aveva raggiunto il vertice, con la riproduzione di dischi e nastri.
L’industria dello spettacolo ormai impiegava molto meno personale di dieci anni prima, per non parlare di epoche precedenti.
Come se non bastasse, quando venne il suo turno Ed ebbe un’ulteriore delusione. Durante l’intervista presero accuratamente nota di tutto ciò che aveva fatto nella vita, ed evidentemente conclusero che la sua collaborazione sarebbe stata di ben scarsa utilità.
Pensava di poter fare il presentatore di uno spettacolo di varietà?
Ed Wonder sospirò. Sì, pensava di poterlo fare.
Va bene, l’avrebbero tenuto in considerazione.
Se ne andò e risalì sulla Volksair.
Eppure, doveva fare qualcosa. Gli veniva continuamente in mente che lui, Buzz e Helen erano le sole tre persone, al di fuori della cerchia di Tubber, che sapessero come stavano realmente le cose.
Uno strillone con un pacco di giornali sotto il braccio gridava: «Edizione straordinaria!» Da molto tempo, pensò Ed, le edizioni straordinarie erano scomparse. I notiziari della radio e della TV avevano decretato la morte di quella vecchia istituzione giornalistica.
Riuscì a capire le grida dello strillone. Disordini razziali da qualche parte. Non ebbe bisogno di leggere il giornale per immaginarsi che cosa fosse successo. Gente annoiata che andava su e giù per strada senza niente da fare. Disordini razziali. Chissà quanto tempo sarebbe passato prima che esplodessero risse religiose. Lotte fra razze diverse, lotte fra gruppi di diversa religione, lotte politiche. Erano meravigliosi passatempi, vero?
Doveva fare qualcosa. Doveva trovare il punto di partenza. Improvvisamente cambiò direzione. Invertì la marcia e seguì la strada verso sud, fino alla città universitaria.
Fortunatamente non ebbe difficoltà a trovare il professor Varley Dee. Era nel suo ufficio alla facoltà di Antropologia. Ed Wonder aveva invitato spesso il professore alla sua trasmissione, in qualità di esperto; non gli era mai capitato, però, di fargli visita all’università.
Il professore accolse Ed con un sorriso scherzoso e gli indicò una poltrona. «Ah, vedo che perfino il Piccolo Ed Wonder è finito sulle liste dei disoccupati, dopo il guasto alla radio. Un fenomeno affascinante. I tecnici ci capiscono qualcosa? Che cos’è questa teoria sulle macchie solari?»
«Non saprei» rispose Ed. «Ogni volta che c’è un’interferenza nelle trasmissioni radio, dovuta a fattori atmosferici o altro, saltano sempre fuori le macchie solari. È tutto quello che so sull’argomento.» In realtà Ed non voleva lasciarsi invischiare in una discussione tecnica con il polemico professore. In quel modo non sarebbero mai arrivati a parlare del motivo della sua visita.
Di punto in bianco cambiò argomento. «Senta, professore, vorrei che mi dicesse qualche cosa su Gesù Cristo.»
Dee lo guardò con un luccichio negli occhi. «Chi intende dire quando dice Gesù Cristo?»
Ed era esasperato. «Santo cielo, Gesù Cristo. Gesù di Nazareth. Nato il giorno di Natale. Morto sulla croce. Il fondatore del Cristianesimo. E chi altro?»
«Ci sono Gesù e Gesù, Piccolo Ed. A seconda di quale religione segue, oppure se non ne segue alcuna e le interessa la figura storica di Gesù. Vuole la mitologia o la storia?»
«Sto parlando di cose reali. Il vero Gesù. Quello che…»
«E va bene. Allora, per incominciare, il suo nome non era Gesù. Si chiamava Giosuè. Gesù è un nome greco, lui invece era ebreo. E non è nato a Nazareth. Al suo tempo in Palestina non esisteva una città di nome Nazareth; solo più tardi qualcuno si prese la briga di far quadrare la realtà con le profezie che, si dice, avevano preannunciato la venuta del Messia. E non è stato il giorno di Natale. I primi Cristiani presero quella data dalle tradizioni pagane nel tentativo di popolarizzare la nuova religione. Natale era originariamente il solstizio d’inverno, e i calendari inesatti dell’epoca lo facevano cadere intorno al venticinque dicembre. Recentemente è stato anche messo in discussione il fatto che morì sulla croce. Se è morto così, bisogna concludere che ha impiegato troppo poco tempo a morire. L’orrore della crocifissione come esecuzione capitale consiste nella spaventosa durata dell’agonia. Robert Graves ha suscitato grande impressione con l’ipotesi che Gesù fosse sopravvissuto al supplizio sulla croce e che, dopo un periodo di inanimazione catalettica, sia scomparso spiritualizzandosi.»
Ed lo guardava a occhi spalancati.
Con voce gutturale, Varley Dee riprese: «Voleva sapere di più sulla storia di Gesù Cristo. Bene. Questo è solo l’inizio. Per esempio, un gruppo di studiosi molto seri dubita perfino che Giosuè avesse intenzione di dare vita a una nuova religione. Secondo loro era solo un buon ebreo che professò con convinzione la sua fede per tutta la vita.»
«Senta» domandò Ed. «Non è rimasto più niente di quello che ho imparato a catechismo da piccolo?»
Il professore ghignò acidamente. «Invece è rimasto molto. Ma allora, le dispiace dirmi che cosa vuole sapere?»
«Ecco, per esempio…» disse Ed «la storia della moltitudine sfamata con due o tre pesci e poche forme di pane, e che alla fine ha lasciato delle ceste colme di avanzi.»
Dee alzò le spalle. «Probabilmente è una parabola. Molti insegnamenti di Giosuè erano in forma di parabola.»
«Gli altri miracoli, allora. Risuscitare i morti, curare i lebbrosi, cose di questo tipo…»
Dee stava diventando impaziente. «La medicina moderna compie miracoli del genere con facilità. Ai tempi di Giosuè la procedura per dichiarare una persona morta era primitiva, per non dire di peggio. Per dir la verità, non c’è bisogno di risalire tanto nel tempo. Sapeva che la madre di Robert Lee è stata dichiarata morta ed è stata sepolta, e che dopo poco tempo è rinvenuta ed è stata salvata? Per quanto riguarda la lebbra, il termine era ed è poco significativo sul piano scientifico, e a quei tempi comprendeva dalle più semplici irritazioni della pelle alle più gravi infezioni veneree. I curatori miracolosi si trovavano a ogni angolo di strada e nessuna personalità religiosa poteva sperare di far molta strada se non era in grado di fare una brillante figura in quel campo. Per di più, è noto che Giosuè disprezzava i suoi contemporanei che continuamente gli chiedevano di mettersi alla prova con interventi miracolosi.»
Ed Wonder si agitò sulla sedia. «A parte Gesù, che cosa pensa degli altri autori di miracoli? Maometto, per esempio.»
Dee lo guardò con aria critica. «Con il suo programma, Piccolo Ed, a quest’ora dovrebbe avere la testa piena di miracoli e dei loro autori. Certo, la storia ne è piena: Gesù, Maometto, Hassan Ben Sabbah…»
«Questo mi giunge nuovo» lo interruppe Ed.
«…fondatore della setta ismailita dei Musulmani. I suoi seguaci, detti “gli Assassini”, erano fanatici oltre ogni immaginazione. Comunque, avrebbe compiuto miracoli, compreso quello di trasferirsi fisicamente a centinaia di chilometri di distanza istantaneamente.»
«Ma…» azzardò Ed. L’atteggiamento del professor Dee suggeriva un grosso “ma”, a quel punto.
«Ma» riprese Dee «ogni serio studio compiuto da accademici famosi sulla vita di questi personaggi miracolosi raramente fornisce le prove di avvenimenti razionalmente non spiegabili.»
Era esattamente il contrario dell’opinione espressa il giorno prima da Jim Westbrook. Ed si agitò sulla sedia di nuovo. L’intervista col professor Dee si risolveva in un fiasco completo.
Si alzò.
«Bene, professore, la ringrazio molto. Non voglio abusare oltre del suo tempo.»
Dee gli rivolse un’occhiata raggiante. «È stato un vero piacere, Piccolo Ed. E sarò molto lieto di partecipare al suo programma, ogni volta che ne avrà bisogno, quando l’attuale guaio alle onde radio sarà superato.»
«Non sarà superato» disse Ed tetro, preparandosi a lasciare la stanza.
L’altro rimase interdetto. «Ma che cosa dice? Perché…»
«Perché uno di questi signori che fanno miracoli, di cui abbiamo parlato finora, ha scagliato una maledizione sulla radio» rispose Ed. «Arrivederci a presto, professore.»
Passarono parecchi giorni prima che Ed decidesse di rimettersi in contatto con Helen e Buzz. Parecchi giorni trascorsi in ozio letargico. Parecchi giorni d’indecisione e di crisi.
Doveva esserci qualcosa che lui, Buzz e Helen potevano fare. Ma da dove cominciare? Nessuno di loro osava avvicinarsi al profeta miracoloso. D’altra parte, Ed Wonder era preoccupato da quello che Tubber avrebbe potuto decidere di fare di sua iniziativa. Non aveva bisogno di catalizzatori come Ed o gli altri per agire. Era perfettamente in grado di pensare da solo a nuove maledizioni. E forse ci stava pensando.
Decise di telefonare a Helen Fontaine e di proporle un appuntamento. Magari, insieme, sarebbero riusciti a tirar fuori un’idea. Alla peggio, Helen sarebbe stata per lo meno capace di trovargli da bere, un’impresa sempre più difficile sia in un locale che nel proprio bar automatico.
Non dovette nemmeno telefonare. Helen lo batté sul tempo.
Il dispositivo di allarme lo informò che era desiderato al telefono. La faccia di Helen apparve sul piccolo schermo quando lo accese. Sembrava disperata.
«Piccolo Ed! Sai dove si è cacciato Buzz?»
Ed la guardò aggrottando la fronte. «No. L’ultima volta che l’ho visto è stato quando eravamo tutt’e tre insieme al tuo club.»
«È scomparso.»
«Che cosa significa questo?»
«Ho cercato di mettermi in contatto per proporgli di riunirci di nuovo noi tre e discutere la crisi. Ma non è al giornale. E non è a casa.»
«Avrà preso una sbornia solenne» suggerì Ed. «Come biasimarlo?»
«Ho controllato ogni bar e club della città. Non c’è. Non è da nessuna parte.»
Improvvisamente Ed ebbe idea. «Pensi che sia andato a trovare Tubber?»
«È proprio quello che temo» rispose lei con gli occhi sbarrati.
«Sono subito da te.» Ed si preparò per uscire.