25

Il viaggio fu una lunga agonia. Non sarebbero arrivati prima di mezzogiorno. Non sapevano nemmeno dove Tubber aveva rizzato la tenda. Non avevano nessun modo di sapere quando avrebbe cominciato a predicare. Se era come a Saugertis, non ci sarebbe stato un solo sermone al giorno, ma parecchi, a ciclo continuo. Forse aveva cominciato molto presto.

Ed Wonder immaginava che Tubber non sarebbe riuscito a finire la prima predica. Nell’istante in cui il pubblico avesse capito di chi si trattava, sarebbe stata la fine. Imprecò silenziosamente. Magari avevano già capito. Magari il giornale di Oneonta aveva già pronta l’edizione straordinaria con la grande notizia in prima pagina. Certamente il quotidiano “Oneonta Star” era un abbonato della AP-Reuter e riceveva il notiziario per telescrivente. Se un cronista brillante aveva collegato le due storie e rivelato che il tanto discusso profeta era in città, a quell’ora Tubber era già stato linciato dalla folla.

Per quanto riguardava il problema d’individuare la tenda di Tubber, avrebbero potuto risparmiarsi le ansie. Il vociare della folla era udibile a grande distanza. Ed Wonder staccò il pilota automatico e guidò manualmente. S’infilò nei quartieri meridionali della città senza ridurre la velocità.

«Ehi, amico, calma!» strillò Buzz.

«La sirena» proruppe Ed. «Dev’esserci un bottone o una leva. Trova la sirena! Questa maledetta aeromobile deve pur avere una sirena!»

Buzz si diede da fare. L’ululato della sirena si sparse sulla cittadina a ondate intermittenti. Attraversarono come una freccia il centro mentre il traffico si faceva da parte, a destra e a sinistra. E il traffico non era poca cosa. Ed Wonder sospettò che la grande maggioranza degli abitanti stesse partecipando al linciaggio.

Giunsero in vista del luogo dei disordini. C’era un incendio. Quando furono abbastanza vicini, videro che la tenda bruciava.

Era la stessa identica scena del tentativo di linciaggio dell’operatore del cinema a Kingsburg. Con una sola differenza: la folla era dieci volte più numerosa, troppo numerosa perché la polizia potesse intervenire.

C’erano migliaia di persone: urlavano, agitavano le braccia, e il frastuono era spaventoso. Ai margini della calca, però, la gente si limitava ad agitarsi senza nemmeno rendersi conto di quello che stava accadendo al centro di quello smisurato grappolo umano, e senza poter fare niente.

Sorvolando la folla con l’aeromobile della polizia, Ed Wonder e Buzz De Kemp poterono afferrare l’intera scena. Nel centro, Ezechiele Giosuè Tubber e sua figlia venivano sballottati di qua e di là, mentre l’incendio della tenda, alle loro spalle, mandava riflessi tragici sui volti degli assalitori. Non c’era traccia degli altri seguaci del profeta. Nonostante la tensione e l’eccitazione, la mente di Ed fu attraversata da una rapida immagine. Gesù abbandonato dai discepoli e dallo stesso Pietro dopo il tradimento di Giuda. Dov’erano i seguaci di Tubber, per pochi che fossero? Dov’erano finiti i devoti pellegrini che salivano la via di Elisio?

Sollevò la vettura fino all’altezza di dieci metri e si portò al di sopra del centro della folla urlante, al di sopra di mille bastoni agitati al vento. Si annusava dappertutto l’odore dell’odio. Quell’agghiacciante odore di odio e di morte, che non si conosce se non si è vista una folla impazzita o un combattimento all’ultimo sangue. Le urla erano diventate un solo boato di furia sanguinaria.


Buzz gridò. «È impossibile. Andiamocene via. È troppo tardi. Ammazzeranno anche noi!» Gli occhi del giornalista erano pieni di terrore.

Ed raggiunse il centro della mischia.

Urlò a Buzz: «Mettiti al volante, è in guida manuale. Abbassati al massimo!»

Saltò nel sedile posteriore. Prima aveva notato che a bordo c’era un oggetto importante. Mentre Buzz De Kemp s’infilava sotto il volante e prendeva saldamente la guida dell’auto, Ed staccò velocemente il fucile mitragliatore dalla spalliera del sedile di dietro.

«Ma che cosa fai?» gridò il giornalista, Sempre più atterrito.

Con il calcio dell’arma Ed Wonder infranse il finestrino posteriore destro. La sirena continuava a ululare. Gli uomini che guidavano l’assalto della folla, una dozzina di esaltati che stavano malmenando il profeta barbuto, istupidito e incapace di reagire, e Nefertiti, che urlava e graffiava cercando di avvicinarsi a suo padre, guardarono in su. Per la prima volta udirono l’urlo lacerante della sirena, più forte del frastuono della folla.

Ed fece passare la canna del mitragliatore attraverso il finestrino infranto e prese la mira. Non aveva mai avuto in mano un’arma simile in vita sua. Tirò il grilletto e il tuono secco della raffica rimbombò nella grossa vettura assordandolo, mentre il potente rinculo gli faceva perdere l’equilibrio.

La scarica, almeno per il momento, fece il suo effetto. Sotto di loro, gli uomini si dispersero. Gettò il caricatore vuoto dal finestrino.

«Abbassati!» gridò a Buzz.

«Non fare pazzie! Non possiamo…»

Ed si slanciò sul sedile davanti e mise in funzione la leva. Ancora prima che la vettura si fosse appoggiata al suolo, Ed aveva spalancato la porta. Servendosi del mitra come di una clava, si lanciò verso il vecchio che si reggeva in piedi a fatica.

L’incredibile audacia dell’attacco fu la ragione del successo. Roteando il pesante mitra per la canna, ancora rovente dopo la raffica, Ed trascinò il profeta ripudiato fino all’aeromobile e lo spinse sul sedile posteriore. Fronteggiò la folla, momentaneamente immobilizzata dallo stupore, minacciandola con il mitra puntato, come se fosse ancora carico, e urlò: «Nefertiti!» Non riusciva a vederla.

Buzz gridò di nuovo: «Andiamocene via!»

«Taci!» tuonò Ed.

La ragazza arrivò piangendo, inciampando a ogni passo. Avanzava tra la folla immobile, con il vestito tutto strappato. Ed la spinse sul sedile e si afferrò alla vettura che incominciava a sollevarsi da terra. Sentì una mano che lo afferrava a un piede. Scalciò alla disperata. La mano mollò la presa; ormai erano fuori portata.

«Ci inseguiranno!» gridò Buzz. «Avremo alle spalle mille aeromobili!»

Tutta l’energia che aveva sorretto Ed fino a quel momento svanì improvvisamente. A stento riuscì a non vomitare. Tremava come se avesse brividi di febbre.

«Non c’inseguiranno» disse con voce rotta. «Avranno paura del mitra. Abbastanza coraggiosi per uccidere un vecchio e una ragazza, ma non abbastanza per affrontare un fucile mitragliatore.»

Nefertiti, ancora scossa da un tremito isterico, si stava occupando di suo padre. Cercava di metterlo a sedere diritto sul sedile e nello stesso tempo di ricomporre alla meglio quello che rimaneva del proprio vestito strappato.

Per la prima volta da quando era stato salvato, Tubber fece sentire la sua voce.

«Mi odiano» disse, ancora istupidito. «Mi odiano. Mi volevano uccidere.»

Buzz era finalmente riuscito a scuotersi di dosso il terrore che lo aveva paralizzato nel momento più drammatico. «Ma che cosa si aspettava?» grugnì. «L’arco di trionfo, forse?»

Dopo qualche difficoltà, Ed riuscì a far entrare la coppia malconcia e stracciata dei Tubber nel Nuovo Empire State Building. Fulminò con un’occhiata di fuoco le guardie alla porta principale, afferrò il telefono ed esclamò: «Il generale Crew. Priorità assoluta. Parla Wonder.»

Il generale rispose al telefono dopo pochi secondi.

Ed proruppe: «Ho con me Tubber. Veniamo su immediatamente. Convochi subito una riunione nell’ufficio di Dwight Hopkins. Voglio che ci siano tutti i dirigenti del mio settore e anche tutti quelli che hanno a che fare con il Progetto Tubber.» Guardò gli agenti. «E poi, ah già, dica a questi suoi piedipiatti di farci passare.» Gettò la cornetta del telefono a una delle guardie armate e si avviò verso l’ascensore.

Buzz sorreggeva l’anziano profeta da un lato, Nefertiti dall’altro.

Salirono direttamente all’ultimo piano.

«Dovremmo portarli prima al tuo appartamento» disse Buzz. «Già la signorina Tubber è malconcia, ma il vecchio è a un passo dallo choc nervoso.»

«Proprio così li vogliamo» gli sussurrò all’orecchio Ed Wonder. «Andiamo.»

Hopkins era seduto alla sua scrivania, gli altri stavano arrivando in tutta fretta, a due o tre alla volta.

Ed fece sedere il patetico vecchio su un divano di pelle; Nefertiti prese posto accanto al padre. Gli altri sedevano o stavano in piedi; guardavano senza parlare l’artefice della crisi che stava scardinando i governi di tutti i Paesi ricchi del mondo. Adesso non sembrava nemmeno in grado di sconvolgere la riunione scolastica di una cittadina di mille abitanti.

«Molto bene» esordì Ed. «Vi presento Ezechiele Giosuè Tubber, la Voce della Verità. Tocca a voi, signori, convincerlo a ritirare le sue maledizioni.» Ed si sedette, senza aggiungere altro.

Per qualche istante ci fu un profondo silenzio.

Dwight Hopkins, con voce che tradiva tensione, nonostante l’espressione apparentemente padrona di sé, disse: «Signore, come rappresentante del presidente Everett MacFerson e del governo degli Stati Uniti del Benessere del Nordamerica, la prego di eliminare le conseguenze di ciò che ha fatto… se veramente è stato lei a farlo… e che ha portato il Paese sull’orlo del disastro.»

«Disastro» mormorò Tubber, con voce spezzata.

Braithgale intervenne: «Tre quarti della popolazione del nostro Paese trascorre la maggior parte del suo tempo camminando su e giù per le strade senza meta. È sufficiente una scintilla per fare esplodere la nazione, e le scintille cominciano già a volare.»

Nefertiti Tubber, guardandosi intorno indignata, esclamò: «Mio padre sta male. Ci hanno quasi uccisi. Non è il momento per importunarlo.»

Dwight Hopkins rivolse a Ed Wonder uno sguardo interrogativo. Ed fece un cenno di diniego con la testa, quasi impercettibile. Ezechiele Giosuè Tubber era nelle loro mani: dovevano riuscire a scendere a patti con lui subito, prima che il vecchio avesse recuperato l’energia fisica e spirituale. Forse era brutale, ma anche la situazione lo era.

Prese la parola Ed, per spiegare alcuni particolari ai presenti. «Ieri Ezechiele Giosuè Tubber mi ha rivelato, almeno in parte, la sua filosofia. La sua setta religiosa ritiene che gli Stati Uniti stiano affogando nelle loro stesse ricchezze e che, contemporaneamente, stiano precipitando verso l’autodistruzione consumando le proprie risorse, naturali e umane, a velocità incredibile. Lui ritiene che si debba pianificare una società più semplice, meno frenetica.»

L’infelice riformatore alzò gli occhi verso di lui e scosse la testa esausto. «Non sono queste le parole con le quali mi sarei espresso io… caro fratello.»

Jim Westbrook sprofondò in una grande poltrona e disse: «Il guaio è che lei è partito dalla parte sbagliata. Ha cercato di giungere direttamente alle masse, di cambiare il loro modo di vivere, la loro filosofia. La verità, invece, amico, è che la gente è senza testa, è sempre stato così. In nessun periodo della storia umana, nonostante le migliori occasioni, l’uomo della strada è riuscito a comportarsi diversamente. Se le masse si trovano fra le mani libertà assoluta e garanzia d’immunità, imboccano la strada del sadismo, della dissolutezza, della distruzione. Pensi ai romani, e ai loro giochi nelle arene. Pensi ai tedeschi, quando hanno avuto carta bianca dal governo nazista per sopprimere quelle che secondo loro erano le razze inferiori, i non-ariani. Guardi i soldati che combattono, di qualsiasi nazionalità.»

Tubber scosse la testa spettinata, che sembrava quella di un orso, e una scintilla del vecchio fuoco che lo animava apparve nella sua voce. «Lei sbaglia, caro fratello» protestò. «Il carattere degli esseri umani è determinato dall’ambiente e non dall’ereditarietà. I difetti umani sono un prodotto della cattiva educazione. I vizi dei giovani non vengono dalla natura, che è la madre giusta, senza macchia, di tutte le creature. Sono creati dagli errori dell’ambiente.»

Ora fu Jim Westbrook a scuotere la testa. «Le sue parole sono molto belle, ma la realtà è diversa. Non è possibile mettere in un recipiente più di quanto questo può contenere. Il quoziente normale d’intelligenza è cento, metà della popolazione è al di sotto di quel valore; potrà cercare di educare la gente fino al giorno del giudizio, ma non avrà mai successo.»

L’esausto profeta non cedeva tanto facilmente. «No, il suo è un errore molto comune. È vero, l’intelligenza media è intorno al valore cento, ma solo pochi di noi si spostano di oltre dieci punti al di sotto o al di sopra di quel valore. L’idiota è raro come il genio con un quoziente di centoquaranta punti o più. La minima percentuale di intelletti superiori sono un dono prezioso per l’umanità e dovrebbero essere scelti in modo da sviluppare al massimo le proprie capacità con tutti i mezzi a disposizione. Coloro che scendono sotto la media sono sfortunati e dovrebbe essere fatto ogni sforzo, con profondo spirito di carità, affinché vivano una vita quanto più possibile completa.»

Dwight Hopkins intervenne in tono gentile: «Pensavo che la sua religione si opponesse soprattutto alla Società del Benessere. E invece ora sta esponendo la consueta filosofia della bontà e dell’uguaglianza. Tutti gli uomini sono uguali, e pertanto dobbiamo sacrificare la vittoria di chi ha successo per il bene di chi ha perso.»

Tubber si sollevò a sedere, la schiena eretta. «Perché disprezza tanto la bontà? Cercare di essere buoni è una cosa tanto condannabile? Sembra che l’uomo sia il peggior nemico di se stesso. Tutti affermiamo di volere la pace, ma nello stesso tempo guardiamo con sospetto l’obiettore di coscienza. Affermiamo di volere un mondo migliore e poi deridiamo coloro che propongono riforme, chiamandoli velleitari. Ma questo esula dall’argomento che lei ha sollevato. La mia opposizione alla Società del Benessere attuale non sorge dal fatto che abbiamo risolto il problema della produzione, ma perché la macchina è sfuggita al nostro controllo e corre da sola incontro al caos. Io non invidio, a chi produce, il frutto dei suoi sforzi. Il diritto di ogni persona al risultato dei propri sforzi è inviolabile, ma il diritto ai mezzi di produzione dovrebbe essere comune. Dev’essere così non solo perché le materie prime sono fornite dalla Grande Madre, dalla natura, ma anche per il fatto che è l’eredità delle installazioni e delle tecniche la vera fonte della ricchezza degli uomini; ed è la collaborazione fra gli uomini che rende tanto più efficace del lavoro in solitudine il contributo di ciascuno. La società primitiva che premia il più intelligente a danno di coloro che la Grande Madre ha ritenuto opportuno dotare meno, non esiste più. In un’economia povera, infatti, era quasi inevitabile che chi contribuiva maggiormente allo sviluppo della società ottenesse premi maggiori, ma nell’attuale Società Affluente, perché dovrei voler impedire che tutti vivano nell’abbondanza? Non abbiamo mai fatto mancare l’acqua e l’aria nemmeno ai criminali della peggior specie, perché c’è stata sempre abbondanza di entrambe. Nella Società Affluente il cittadino peggiore può vivere in una casa decorosa, mangiare il cibo più nutriente, avere abiti, avere tutto il necessario e anche permettersi qualche lusso. Sarei davvero un pazzo se mi opponessi a questa realtà.»

Il generale Crew brontolò: «Ma che roba è questa, una predica? Veniamo al dunque! Lei ammette di aver provocato, in un modo o in un altro, il disturbo che ha bloccato tutti i nostri mezzi di comunicazione e di divertimento? Se la risposta è sì, ci sono leggi che…»

«Stia zitto» gli disse Ed Wonder, senza alcuna inflessione nella voce.

Il generale lo guardò stupefatto e incredulo, ma obbedì all’ordine.

«Ci siamo allontanati dal problema iniziale» disse Jim Westbrook. «Il nostro Ezechiele Tubber crede di poter cambiare l’attuale società caotica trasformando l’entità unitaria, cioè l’uomo, in qualcosa di diverso dall’individuo-massa senza cervello che è sempre stato, ovvero in un essere sociale. È impossibile. Avrebbe dovuto vedere la realtà in faccia quando la folla lo ha assalito appena hanno scoperto che era stato lui a privare la gente dei propri divertimenti.»

Tubber aveva recuperato abbastanza energia per fulminarlo con uno sguardo di fuoco. «Il suo uomo senza testa, come lo chiama lei, non è nato così, ma è stato trasformato dall’ambiente in un individuo-massa amorfo. I miei sforzi tendono a eliminare alcuni mezzi che sono stati utilizzati per addormentargli il cervello. Quasi tutti questi individui senza testa, come dice lei, avrebbero potuto essere e ancora potrebbero essere, non mi stancherò di ripeterlo, degni pellegrini che salgono la via di Elisio. Immagini il caso di un bambino nato in una famiglia profondamente istruita, in una famiglia bene, che in clinica, per l’errore di un’infermiera, sia stato sostituito con uno messo al mondo da una famiglia dei bassifondi. Crede che il bambino dei bassifondi, nel nuovo ambiente, non diventerebbe come i suoi nuovi compagni? E che il germoglio della famiglia bene, allevato nel quartiere più povero della città per l’errore dell’infermiera, sarebbe diverso dagli altri ragazzini dei bassifondi?»

Nefertiti sembrava sempre più indignata. «Mio padre…» cominciò. Poi si voltò verso Ed e Hopkins. «È stanco. Bisognerebbe chiamare un medico. Quella gente l’ha preso a calci, l’ha bastonato.»

«L’individuo-massa» mormorò Westbrook.

«Ancora un minuto, tesoro» disse Ed Wonder, e si rivolse a Tubber. «E va bene, ammettiamo che tutto quello che ha detto finora sia vero. Sotto il regime dello Stato del Benessere la nostra società sta per cadere in rovina, e per evitarlo dobbiamo cambiarla nel modo che indica lei. Ma ora voglio ricordarle alcune cose che mi ha detto la prima volta che ci siamo parlati. Credo di avere in mente il suo discorso, parola per parola. L’avevo chiamato signore, e lei mi aveva interrotto per dirmi: “Il termine signore proviene dall’età feudale. Riflette il rapporto tra nobile e servo. I miei sforzi sono diretti contro tale rapporto, contro ogni forma di autorità di un uomo su un altro. Io sento che chiunque pone la sua mano sopra di me per governarmi è un usurpatore e un tiranno: dichiaro costui mio nemico”.»

«Non capisco che cosa voglia dimostrare, caro fratello.»

Ed tese l’indice verso di lui. «Lei non tollera che gli altri la controllino, che controllino i suoi pensieri, le sue azioni. Ma è proprio quello che lei, con il suo potere… qualunque sia… ha fatto a noi. A tutti noi. Lei, l’uomo buono per definizione, è in realtà il peggiore tiranno della storia dell’umanità. In confronto, Gengis Khan era un piccolo imbroglione, Cesare un dilettante, Napoleone e Hitler dei buontemponi. In confronto…»

«Basta!» gridò Tubber.

«E quale sarà la sua prossima mossa?» disse Ed, mettendo il massimo disprezzo nella voce. «Ci toglierà la parola in modo che non potremo nemmeno protestare contro le sue decisioni?»

Tubber lo guardò: la sua tristezza lincolnesca era più profonda che mai.

«Io… io non immaginavo. Io… pensavo…»

Dwight Hopkins s’inserì con la sua solita abilità. «Proporrei un compromesso, signore, ehm, cioè Ezechiele. Nonostante tutti gli sforzi, non è riuscito a portare il suo messaggio… quali che siano i suoi meriti o i suoi difetti… alla gente che lei ama, ma che fino a ora l’ha respinto. Bene, il compromesso che propongo è questo. La sua voce potrà essere trasmessa per un’ora al giorno, ogni giorno, da ogni stazione radio e TV di tutto il mondo. In quell’ora, non ci sarà nessun programma in concorrenza con il suo. Quest’ora sarà esclusivamente per lei, per tutto il tempo che lo desidererà.»

Nefertiti e il profeta guardavano Hopkins con gli occhi sbarrati.

«E… in cambio?» domandò Tubber.

«In cambio, tutte le sue, ehm, maledizioni, dovranno essere ritirate.»

Il profeta, ancora sconvolto, esitava. «Anche se parlassi ogni giorno alla radio, forse non mi ascolterebbero.»

Buzz De Kemp fece un ghigno con il sigaro fra i denti. «Non c’è nessun problema. Ancora un piccolo incantesimo. Che sia l’ultimo però, deve prometterlo. Un incantesimo che faccia ascoltare tutti. Non che li costringa a credere ma solo ad ascoltare.»

«Non… non so se sia possibile eliminare gli effetti…»

«Provi» lo esortò Hopkins sommessamente.

Il generale Crew disse: «Ora che ci penso, ho tre figlie. Da quando è in funzione quella maledizione contro i cosmetici e la vanità femminile, la vita è molto più sopportabile. Riesco perfino ad andare in bagno la mattina. Non sarebbe possibile mantenere almeno quella?»

«E quella contro tutti i juke-box» mormorò Braithgale. «Detesto i juke-box.»

«La cosa che odio di più al mondo» disse Buzz «sono i giornali a fumetti. Se almeno…»

Jim Westbrook scoppiò improvvisamente a ridere. «In cambio dei miei libri, amico, può mantenere la maledizione sulla radio e la televisione.»

Dwight Hopkins li fulminò con uno sguardo corrucciato. «Avete detto abbastanza stupidaggini, signori.»

L’anziano profeta emise un profondo sospiro.

«In verità io dico…»

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