Ed Wonder s’infilò nel bar all’angolo con l’idea di farsi una robusta bevuta. Preso dai suoi pensieri su Tubber e sulle maledizioni, non si rese conto della folla fino a quando arrivò a poche decine di metri dall’ingresso del locale. Inizialmente ebbe l’impressione che ci fosse stato un incidente, o più probabilmente, data la quantità della gente, un episodio di violenza. Una sparatoria, o qualcosa del genere.
Invece no.
Sulla soglia del bar c’era un agente di polizia intento a incolonnare la folla in una coda ordinata sul marciapiede. Dentro il locale un juke-box suonava a pieno volume.
«Piano, piano» gridava continuamente il poliziotto. «Rimanete in fila.»
Il Piccolo Ed gli domandò: «Che cos’è successo, agente?»
Il poliziotto, indaffaratissimo, rispose: «Si metta in fila, amico, si metta in fila se vuole bere qualcosa. Tutti devono fare la coda.»
«Fare la coda per cosa?» domandò Ed esterrefatto.
«Per bere, per bere. Può rimanere nel bar il tempo necessario per bere due bicchierini, o un massimo di mezz’ora, una delle due. Perciò, si metta in fila.»
«All’inferno» fece Ed. «Non sono così disperato.»
La sua reazione infastidì qualcuno della fila. «Ah, sì?» disse una voce in tono violento. «E che cosa farai? Camminerai su e giù per tutto il giorno? Quelle maledette televisioni sono tutte fuori uso da quando…»
Un altro si unì al risentimento del primo, e senza lasciare a Ed il tempo di rispondere, una terza voce, più potente, mise tutti a tacere.
Ed si allontanò, sconvolto dallo stupore. Era accaduto solo la notte precedente. Meno di ventiquattrore prima.
Mentre percorreva il breve tratto di strada fino al parcheggio dove aveva lasciato la Volksair, Ed notò che non si trattava solo dei bar. Ristoranti, gelaterie e negozi erano invasi da una folla incontenibile, e le code si allungavano sui marciapiedi. Tutti i locali con juke-box tenevano le macchinette al massimo volume. I gestori facevano quattrini a palate; Ed si chiese da dove venisse tutto quel denaro. Anche con la Società del Benessere, un cittadino medio non poteva ancora permettersi di trascorrere tutta la giornata spendendo soldi in ristoranti e bar.
Salì sull’aeromobile e rifletté per qualche istante. Infine accese il motore e si diresse verso una destinazione precisa. Quell’indirizzo l’aveva sempre tenuto a mente, ma non c’era mai stato. Localizzata la casa, si fermò di fronte allo schermo identificatore e suonò il campanello.
Dall’altoparlante arrivò una voce: «Piccolo Ed! Vieni, vieni. Sei il benvenuto.»
Ed aprì la porta, varcò la soglia, attraversò la breve anticamera ed entrò in una stanza che aveva l’aspetto di un soggiorno-biblioteca. La vista di quel locale lo stupì. La sala sembrava uno studio cinematografico arredato in modo da riprodurre una casa del passato. Alle pareti erano appese alcune stampe che Ed vagamente riconobbe come molto antiche. Certamente non avevano niente in comune con l’attuale tendenza artistica, il Secondo Surrealismo. Si poteva pensare che il proprietario avesse appeso quelle stampe per… ecco, magari perché gli piacevano. Facendo una cosa simile era facile guadagnarsi la fama di spostato, in quei giorni. E le sedie, i tavoli, i mobili! Sembravano usciti da un negozio di antiquariato, roba vecchia di decine d’anni, fuori moda.
Lo accolse una voce amichevole. «Salve, carissimo. Sei venuto per sentire Manny Levy a proposito di questo suami dello spettacolo?»
Ed Wonder guardò fisso il suo ospite, emergendo dallo stupore che quello straordinario locale gli aveva procurato. «Suami?» domandò.
«Sì, il tizio che cammina sui carboni. Mi hai telefonato l’altro ieri. Ma che cosa ti succede, Piccolo Ed? Ti ricordi di me… Jim Westbrook? Sono un tuo vecchio amico; ho partecipato qualche volta alla tua trasmissione Ai limiti del reale, dietro versamento, anticipato e in contanti, di cinquanta dollari per serata.»
Ed Wonder scosse la testa. «Dimmi» sbottò «dove sei stato nelle ultime ventiquattrore?»
«Non mi sono mosso di qui» rispose Westbrook.
«Da questa casa?»
«Certo. Mi sono concentrato su un lavoro molto importante.»
«E non hai acceso mai il televisore?»
«Non ho il televisore.»
Ed Wonder lo squadrò come se lo scienziato anticonformista fosse completamente pazzo.
«Non hai la televisione? Ma tutti ce l’hanno. Come fai a seguire…»
Jim Westbrook lo interruppe con aria paziente. «Ho sempre pensato che il giorno in cui avessi desiderato di vedere un programma interessante, sarei potuto andare da un vicino o da un amico. Ma, a dirti la verità, così su due piedi non mi viene in mente nessuna trasmissione così coinvolgente per me negli ultimi anni.»
Ed Wonder chiuse gli occhi e assunse la solita espressione avvilita. Li riaprì e disse: «Non ho tempo per affrontare questo argomento ora. Però, come passi il tuo tempo libero? Ascoltando la radio, andando al cinema?»
«Non ho tempo libero» rispose l’altro come se fosse la cosa più ragionevole del mondo. «Un paio di volte alla settimana mi chiamano come esperto in rabdomanzia. Poi, in cantina, ho la camera oscura, il laboratorio elettronico, la falegnameria, e sto organizzando una piccola officina riparazioni. Inoltre…»
«Va bene» lo interruppe Ed. «Mi pare che basti. C’è già da fare per tre.»
«Siediti e beviamoci su» propose allegramente Jim.
Ed si guardò intorno. «Dov’è il bar automatico?» Fece una smorfia prima di sprofondare in una poltrona ultraimbottita, dall’aspetto preistorico. Con sorpresa, notò che era comoda, a dispetto della stranezza dello stile. Doveva risalire per lo meno al 1950.
«Non posso sopportare il bar automatico» gli disse Westbrook. «Un cocktail ben fatto è un’opera d’arte, non una formula matematica.»
Ed si rifiutò di prendere in considerazione quella frase eretica. Benché gli piacesse il bar tradizionale di Dave Zeiss, aveva sempre pensato che andare in quel locale fosse una forma di snobismo, qualcosa di cui vergognarsi un po’. Ma in casa propria, con i bar automatici sempre a disposizione… Perché mai rinunciarci?
Di nuovo scosse la testa per allontanare quei pensieri non essenziali e affrontò deciso l’argomento che gli stava a cuore. «All’inferno i cocktail. Ascoltami, Jim, il suami che cammina sulle braci ardenti è fuori causa… almeno temporaneamente. Scoprirai il perché dopo. Ora non ho tempo di darti le spiegazioni che certamente vorrai. Sono venuto da te per chiederti una cosa. Sono possibili i miracoli?»
Jim Westbrook si lasciò cadere nella poltrona di fronte a Ed, con un’espressione attenta sulla faccia. «Che tipo di miracoli?»
«Un miracolo che coinvolga, ecco, tutta l’umanità. Una maledizione universale, per esempio.»
Lo studioso si morse le labbra.
«Devi capire che la maggiore difficoltà, in questi argomenti, è la terminologia. Usa un termine come miracolo, maledizione o magia, e i capelli degli intellettuali si rizzano immediatamente. Ma lasciamo da parte i problemi semantici. La risposta alla tua domanda è sì, Sembrerebbe ormai accettato il fatto che in passato ci siano stati dei miracoli. Se questo è vero, è probabile che ne avvengano ancora, o almeno che ne possano avvenire.»
Ed alzò una mano. «Aspetta un momento. Fammi un esempio.»
«Te ne posso citare una dozzina, se vuoi. Mosè che divide le acque. Gesù che nutre le moltitudini con pochi pesci e sette pagnotte.»
«Ma se si discute perfino se Mosè e Gesù siano veramente esistiti!»
Jim Westbrook fece spallucce. «I musulmani sono altrettanto convinti che Maometto compì numerosi miracoli, e non si può certo mettere in dubbio la storicità di Maometto. E prendi il caso di Santa Teresa di Avila. Evidentemente poteva levitare. Immagino che quella sua facoltà sia rientrata nel concetto di miracolo o di magia agli occhi dei suoi contemporanei, e lo stesso sarebbe per la maggior parte di noi. Io disapprovo il termine. Penso che la levitazione sia una normale capacità che alcune persone possiedono. Il fatto che San Dunstan, arcivescovo di Canterbury, compia quell’atto, non vuol dire che abbia compiuto un miracolo. È la definizione a essere inesatta. E ancora, fra quanti erano in grado di levitare, ricordo San Filippo, San Bernardo, San Domenico, San Francesco Xavier e Sant’Alberto. Anche Savonarola fu visto sollevarsi a mezzo metro da terra nella sua cella prima che lo mettessero al rogo.»
«Tutti casi di fanatismo religioso» si lamentò Wonder. «Non ho fiducia nella testimonianza. Un cervello tarato dal fanatismo può vedere qualsiasi cosa in un momento d’eccitazione. Ne ho avuto esperienza diretta con i miei ospiti della trasmissione.»
Jim storse la bocca. «Bene, allora ti citerò il caso di H. Dome. Coloro che lo videro uscire in volo da una finestra e rientrare da un’altra, a dieci piani dal suolo, non erano vittime del fanatismo religioso. E anche i casi della signora Guppy e del reverendo Stainton Moses sono relativamente recenti e attentamente esaminati da alti esponenti del mondo scientifico.»
Ed Wonder non si sentiva soddisfatto. Si grattò la punta del naso con l’indice della mano sinistra. Sentiva un grande bisogno di grattarsi i baffetti che non aveva più.
Jim Westbrook lo guardava con le sopracciglia leggermente alzate, in attesa della prossima obiezione.
Tanto per dire qualcosa, Ed indicò con un gesto circolare la stanza. «Che cosa cerchi di affermare con questo arredamento strampalato, Jim?» Visto che lo studioso sembrò non aver capito la domanda, aggiunse: «Tutti questi mobili fuori moda, niente bar automatico e televisione, arte primitiva, se pure la si può chiamare arte, alle pareti.»
Jim Westbrook rispose asciutto: «Velasquez e Murillo non erano proprio preraffaelliti, o pittori delle caverne, Piccolo Ed.»
«Già, ma i tuoi amici cosa pensano di una casa così folle?»
Westbrook lo osservò attentamente, le labbra piegate in un ghigno sarcastico e amaro. «Non ho molti amici, veri amici, in questi tempi, Piccolo Ed. E quei pochi che ho, di solito la pensano come me. Pensano che questa stanza sia comoda. E anche pratica, che è la seconda qualità più importante. E poi…» rise «…almeno alcuni di loro preferiscono Velasquez alle agonie del Secondo Surrealismo di Jackson Salvadore.»
Improvvisamente Ed ebbe l’impressione che quel solido, colto e vivace studioso non doveva avere molta simpatia per lui. Eppure lo conosceva da molti anni ed erano sempre andati d’accordo. Lo aveva invitato parecchie volte alla trasmissione Ai limiti del reale, dato che lui aveva inclinazioni per i problemi fuori del comune e sembrava essere un’autorità su tutto quanto, dalla parapsicologia ai viaggi spaziali. E più ancora, Jim trovava un sadico piacere nel contraddire la saggezza della scienza convenzionale, ed era insuperabile nel trovare le prove per sradicare i tabù sacri.
Aveva sempre pensato a Jim Westbrook come a un amico, ma solo ora capiva che l’amicizia non era reciproca. Senza riflettere, rispose: «Jim, perché ti sono antipatico?»
Le sopracciglia del suo interlocutore si aggrottarono di nuovo e Jim rimase a lungo in silenzio. «Non è una domanda che si faccia comunemente, Piccolo Ed» disse infine. «E quando qualcuno la fa, raramente vuole avere una risposta sincera.»
«Non è il mio caso. Ti prego, rispondimi.» Anche queste parole gli vennero alla bocca spontaneamente.
Jim Westbrook si appoggiò allo schienale della poltrona. «E va bene, amico. La verità è che non mi sei antipatico. Mi sei indifferente. Vuoi sapere che cosa penso di te? Sei un uomo standardizzato, come quasi tutti. Stiamo diventando una nazione di stereotipi. Ognuno è uguale al suo vicino. Perché tutte le ragazze vogliono assomigliare all’attuale simbolo del sesso, Brigitte Loren? Non ci sono eccezioni: la grassa e la magra, la bassa e la alta. E tutti i giovani uomini d’affari pieni d’ambizione vogliono avere esattamente lo stesso aspetto, con indosso gli abiti confezionati dai fratelli Brooks. Hanno paura di essere diversi dagli altri. Vogliono conformarsi fino a tal punto che il conformismo diventa un assurdo. Che cosa diavolo è accaduto alla nostra civiltà? Ti ricordi quando ancora esisteva la parola “individualismo”? Individualismo selvaggio, si diceva. Ora abbiamo il terrore di non avere l’identico aspetto del vicino, di non vivere nello stesso tipo di casa, di non avere lo stesso modello d’aeromobile.»
«E tu pensi che io sia solo uno dei tanti individui fatti in serie?»
«Sì.»
Se l’era voluta lui, ma a mano a mano che il corpulento scienziato parlava, Ed Wonder aveva sentito qualcosa bollire dentro di sé.
«Mentre tu invece non lo sei, naturalmente» disse con voce tagliente.
Jim Westbrook fece un sorriso arido. «Temo che accusare un uomo di essere standardizzato sia come accusarlo di non avere spirito, di non essere un buon guidatore, di non saperci fare con le donne.»
Ed sbottò: «Non per ricorrere a una vecchia battuta, ma se sei così in gamba, perché non sei ricco?»
Jim smise di sorridere. Quando riprese a parlare c’era quasi un tono di commiserazione nelle sue parole. «Io sono ricco. Ricco quanto è possibile esserlo, poiché faccio quello che voglio fare e ho raggiunto, o sto per raggiungere, le mete che desideravo raggiungere. O forse tu parlavi di denaro? Se parlavi di denaro, ne ho quanto mi basta. Probabilmente se dedicassi più tempo, specie se dedicassi tutto il mio tempo, a guadagnarne di più, potrei farlo. Ma dal momento che non ho abbastanza tempo neanche per fare tutto ciò che desidero fare, sarebbe piuttosto sciocco da parte mia impiegare più tempo a caccia di soldi.»
«Ho già sentito fare questo ragionamento» ribatté Ed. «Ma ho sempre notato che quelli che ci sanno fare davvero arrivano molto in alto.»
Jim Westbrook riprese con dolcezza: «Non voglio polemizzare, mio caro, ma mi sembra che il problema sia capire cosa tu consideri per molto in alto. Un tizio di nome Lyle Spencer, che ai suoi tempi era presidente dell’Associazione Ricerca Scientifica, ha compiuto alcuni studi sui quozienti d’intelligenza. Ha scoperto che i tecnici e gli scienziati, al livello più alto, hanno un quoziente medio di centotrentacinque. I maggiori dirigenti industriali raggiungono centoventi. Spencer fece notare che la maggior parte dei presidenti delle nostre grandi industrie non erano intelligenti quanto i loro dipendenti impiegati nei centri di ricerca. In media, erano al di sotto di categorie mediocri come quelle dei farmacisti, degli insegnanti, degli studenti di medicina, commercialisti, ingegneri meccanici e ragionieri. Evidentemente l’intelligenza non è la qualità principale per arrivare in alto, almeno nell’accezione che usi tu.»
Ed Wonder digrignò i denti. «Splendido. E così, se qualcuno venisse qua a offrirti un miliardo, tu gli diresti semplicemente: No, grazie, sono troppo intelligente. Preferisco starmene felice nella mia cantina a giocare con la camera oscura e il laboratorio elettronico.»
L’altro scoppiò a ridere. «Non ho detto che rifiuterei i quattrini se mi cadessero ai piedi, Piccolo Ed. Mi rendo conto dei vantaggi che il denaro procura. Io ho detto che non ho intenzione di impiegare la mia vita a far soldi rinunciando alle mete a cui veramente tengo.» Si alzò. «Non mi pare che questa di oggi sia stata una conversazione molto utile, mio caro. Che ne diresti di rimandare la discussione a un momento più favorevole?»
Non era un congedo violento, ma era pur sempre un congedo.
Disgustato più con se stesso che con l’altro, Ed si alzò e si diresse alla porta. Jim Westbrook gli tenne dietro. Evidentemente, lo studioso non era rimasto per niente sconcertato dalle parole di Ed.
Arrivato all’uscio, Ed si voltò e disse: «Comprati un giornale, o fai due passi fino alla casa di un vicino che abbia la radio o il televisore, e parla con lui. Forse dovrò mettermi in contatto con te più tardi.»
«D’accordo» rispose Jim Westbrook.