Ed Wonder si risvegliò da un sonno non proprio ristoratore e tranquillo, e borbottò le parole chiave predisposte per far tacere il suono della sveglia elettronica. Gli venne subito in mente che doveva controllare il suo conto corrente. Non aveva ancora finito di pagare la Volksair, per non parlare del suo apparecchio stereo-radio-televisore-registratore-sveglia elettronica che gli avevano installato da poco nelle pareti dell’appartamento.
Buttò via le coperte e si sedette sulla sponda a grattarsi i baffetti. Che cosa aveva bevuto? Aveva cominciato con i martini. Martini a casa di Helen. Poi un paio di bicchierini al Saloon, con Buzz De Kemp, mentre Helen e, il giornalista discutevano di religione e politica e se gli atei dovevano essere considerati a priori sovversivi o no. Helen era reazionaria quasi quanto suo padre. Dopo il Saloon dov’erano andati?
Ed si alzò a fatica e andò in bagno. Si guardò allo specchio. Trentatré anni. Quando comincia la mezza età? Forse a quarant’anni. A quaranta non ci si può certo chiamare giovani. Si esaminò attentamente la faccia in cerca di rughe. Lo faceva spesso negli ultimi tempi. No, rughe degne di questo nome non ce n’erano. E quel lieve tocco di grigio alle tempie era un fascino in più, non un segno dell’età. Gli conferiva dignità. Era un vantaggio avere la faccia rotonda, piena come la sua. Le rughe si vedevano meno che su una faccia magra e lunga.
Aprì le labbra e si guardò i denti. Quello era un altro dei problemi che non aveva ancora risolto. Doveva farsi raddrizzare o no, quell’incisivo inferiore, nel caso lo facessero lavorare alla televisione? In effetti c’era sempre qualcosa da ridire anche a proposito di una dentatura perfetta. La gente avrebbe pensato subito che era falsa.
E i baffi? Avrebbe fatto meglio a raderli del tutto o a farli crescere più folti? Attualmente i suoi erano una sottile linea scura, secondo una moda diffusa fra i brillanti giovani dirigenti. Il guaio era che quei baffi sottili lo facevano sembrare il tipico gigolo francese. Probabilmente non era proprio adatto ai baffi, pensò. I baffi stavano bene su una faccia con molto spazio fra il labbro superiore e il naso.
Se fosse riuscito a portare il suo programma in televisione anziché in quelle stupide ore notturne alla radio, avrebbe dovuto prendere una decisione sia per i baffi sia per i denti. Non si poteva più cambiare faccia una volta diventato un personaggio televisivo. Gli spettatori si abituano a un certo aspetto e vogliono che il personaggio continui ad apparire come loro lo hanno conosciuto. Non possiedono sufficiente elasticità per tollerare la gente che cambia. È un fatto che li irrita.
Ed aprì il barattolo della crema depilatoria e cominciò a spalmarla sulla guancia destra, massaggiandosi ben bene. Molti colleghi della televisione preferivano farsi eliminare la barba alla radice. Non si potevano correre rischi quando si aveva un’immagine pubblica da difendere. Come si chiamava quel candidato alla presidenza che tanti anni prima aveva perso le elezioni, così si diceva, perché davanti alle telecamere sembrava che non si fosse fatto la barba? Ma l’idea di depilarsi metteva Ed a disagio. Radersi tutte le mattine era un atto di mascolinità. Un atto che faceva sentire uomini, insomma. Tuttavia non si potevano correre rischi, alla televisione. Non ci si poteva permettere di apparire come un vagabondo, in un programma TV.
Ripensò al suo conto corrente. Il tentativo di mostrarsi all’altezza di Helen gli costava caro. Gli sarebbe piaciuto avere il fegato di chiederle di sposarlo. Aveva però l’infelice sospetto che la proposta l’avrebbe sconvolta. Ma l’avrebbe fatto, prima o poi. Il genero di Jensen Fontaine. Accidenti!
Forse avrebbe dovuto farle la proposta di matrimonio la sera prima. Per un bel po’ era stata molto tesa. E in qualche momento, anche depressa. Non l’aveva mai vista così, con i capelli pettinati all’indietro e la faccia pulita, senza nemmeno una traccia di rossetto. A ripensarci, era ancora più attraente. Rise fra sé. Quel vecchio barbagianni, come si chiamava? Tubber, Ezechiele Giosuè Tubber. C’era qualcosa nella personalità del predicatore, capace di scuotere intimamente chi lo ascoltava. Evidentemente era riuscito a impressionare Helen con la maledizione contro la vanità, o cosa diavolo aveva detto.
Prese l’asciugamano per togliersi dalla guancia la crema depilatoria.
Ed Wonder parcheggiò la piccola aeromobile nell’autorimessa sotterranea del palazzo Fontaine e si diresse agli ascensori. Non era in ritardo. Quel giorno doveva leggere alcuni comunicati commerciali e annunciare una serie di programmi radiofonici, ma solo sul tardi. Per lo più Ed passava il suo tempo in ufficio a raccogliere materiale per la trasmissione successiva e non aveva cartellini da timbrare. Tuttavia era più tardi del solito, e c’era solo un’altra persona in ascensore: una ragazza trasandata, con lineamenti piuttosto comuni. Evidentemente, la donna non si preoccupava molto del suo aspetto. Ed si chiese, ma senza molto interesse, in quale ufficio lavorasse; e chi, nella stravagante eleganza del palazzo Fontaine, potesse sopportare una ragazza sciatta come quella.
Comunque la cosa non lo riguardava. Non si preoccupò nemmeno di aspettare che lei chiamasse per prima il suo piano. Disse: «Ventesimo» e l’operatore automatico rispose: «Ventesimo, sì, signore.» Poi, anche la ragazza disse il numero del suo piano con un tono profondo che vibrava caldo e sensuale nella gola.
Ed Wonder la guardò con un po’ più d’interesse. Con una voce come quella, certamente lavorava alla radio. Osservò attentamente i suoi lineamenti. Qualsiasi istituto di bellezza avrebbe potuto fare un capolavoro, di quella faccia. Ma allora, perché…
Si scosse, sorpreso. «Mi scusi, non l’avevo riconosciuta, signorina Malone» disse. «Non sapevo nemmeno che foste a Kingsburg.»
La ragazza lo guardò con indifferenza. «Salve, Piccolo Ed… Non mi sbaglio, vero?»
«Non si sbaglia» rispose lui, felice di essere stato riconosciuto. «Ho ascoltato il suo programma lunedì sera. Entusiasmante.»
«Grazie, Piccolo Ed. Sono qui per discutere una trasmissione speciale. E lei, che cosa fa di bello? Non credo di averla più vista da quando mi ha dato una mano per i comunicati commerciali del… vediamo… del…»
«Dell’Ora Sofisticata» le ricordò Ed prontamente, dimenandosi come un bassotto accarezzato dal padrone. «Ora ho un programma mio.»
Lei alzò un sopracciglio fingendo interesse. «Oh, davvero? Ne sono contenta. Eccomi. Temo di essere arrivata al mio piano.»
Quando la ragazza uscì dall’ascensore, Ed corrugò la fronte perplesso. Poi la sua espressione tornò normale. Chiaro: era venuta in incognito. Non c’era altro modo di evitare gli ammiratori. Quasi non l’aveva riconosciuta nemmeno lui. Il giorno che fosse diventato famoso come Mary Malone, avrebbe avuto anche lui il suo da fare per sfuggire al pubblico entusiasta.
Ed Wonder percorse il corridoio fino al suo ufficio, pensando alla trasmissione successiva. Aveva ricevuto una lettera da uno swami, o yogin, o come diavolo si chiamava, che poteva fornirgli una buona traccia. Da un pezzo non aveva esperti di Induismo nel programma. Gli indiani incontravano molto il favore del pubblico. Sembravano autentici. Notò distrattamente che al tavolo di Dolly era seduta un’altra ragazza. Forse Dolly era ammalata. Sarebbe stato un guaio. Dolly lavorava per lui solo a mezza giornata, in quanto il programma non richiedeva una segretaria a tempo pieno. Sbrigava tutto il lavoro pesante ed era stata con lui dal giorno in cui Mulligan aveva approvato il suo strambo programma.
Ed Wonder si avvicinò al tavolo di Dolly per scoprire chi fosse la nuova venuta e rimase a bocca spalancata per la sorpresa.
Quando riprese, esclamò: «Nel nome di Maometto che fa muovere le montagne, mi potresti spiegare cosa fai conciata in quel modo?»
«Che cosa c’è di male?» chiese Dolly, stando sulla difensiva.
«Mi sembri la scema del villaggio.»
La ragazza arrossì. «Non crederai che io debba sopportare una simile offesa da te, Piccolo Ed Wonder, vero? Sono pulita, in ordine. E il mio modo di vestire non influisce sulla qualità del lavoro.»
«Sì, ma il tuo tavolo è accanto al mio. E se entrasse qualcuno? Magari uno che vuole fare pubblicità nella mia trasmissione. Magari un eventuale ospite. Che cosa penserebbe? Le altre ragazze vanno in giro…» Diede un’occhiata circolare nel vasto ufficio, per provare la sua affermazione, e la frase gli si fermò a metà gola.
Dolly lo squadrò con aria di superiorità.
Ed esplose: «Che cosa diavolo vi ha preso a voi ragazze? Ho appena visto Mary Malone. Sembrava vestita come la figlia del fattore nell’ora degli agricoltori.»
Dolly disse con voce formale, da segretaria efficiente: «Il signor Mulligan mi ha avvertito di mandarti da lui appena arrivavi.»
Continuando a guardare qua e là nell’ufficio, da una all’altra della dozzina di segretarie e stenografe che stavano lavorando, incredulo e sbalordito, Ed Wonder uscì per recarsi nel sancta sanctorum del suo immediato superiore.
Aveva obbedito all’ordine di andare al raduno di Tubber sì o no? Quel ciccione di Mulligan doveva essergliene grato. Per lo meno avrebbe dovuto essere abbastanza trattabile.
Invece se ne stava seduto alla scrivania come un Budda corrucciato, e quando lui entrò lo fulminò con un’occhiata di fuoco.
Wonder si schiarì la voce e disse: «Voleva vedermi, signor Mulligan?»
L’anziano direttore socchiuse un occhio, cosa che non servì molto a diminuire l’intensità del suo sguardo. «Wonder, chi le ha messo in testa l’idea idiota di portare la signorina Fontaine a quel pazzesco raduno di Tubber, ieri sera?»
Ed Wonder lo guardò, spalancò la bocca, la richiuse. Sapeva benissimo che cosa rispondere, ma lo bloccò la considerazione che Mulligan era il capo e lui solo un dipendente.
«La signorina Fontaine è una giovane ipersensibile» strillò Mulligan. «Facilmente suggestionabile. Delicata.»
Helen Fontaine era delicata come un giocatore di rugby. E quanto a suggestione, l’unica cosa che la suggestionasse davvero, per quello che sapeva Ed, era uno shaker pieno di cocktail tutto per lei. Per non parlare poi dell’ipersensibilità. Più di una volta Ed Wonder aveva pensato di accompagnare la signorina Helen Beauregard Fontaine ad assistere a un linciaggio, con lei come ospite d’onore.
Ed pensò bene di non rispondere nemmeno alla seconda osservazione.
Mulligan esplose con una specie di ululato: «Insomma, non se ne stia lì a saltellare come un bambino che deve andare al gabinetto. Che cos’ha da dire?»
Ed aveva da dire una sola cosa: «Che cos’è successo, signor Mulligan?»
«Che cos’è successo? E come diavolo faccio a saperlo io? Il signor Fontaine mi ha fatto ballare sui carboni ardenti per dieci minuti. La ragazza è diventata isterica. Dice che questo certo Tubber l’ha ipnotizzata, o qualcosa del genere.»
Ed scosse la testa. Poi, tutto d’un fiato, disse: «Non è stata ipnotizzata.»
«Come fa a sapere che non l’ha ipnotizzata? È fuori di sé e continua a strillare il nome di Tubber.»
Ed parlò in tono conciliante. «Alla mia trasmissione ho invitato più di un ipnotizzatore. Per affrontare questi ospiti ho dovuto farmi una cultura sull’argomento. C’ero anch’io, ieri sera. Mi creda, Tubber non ha ipnotizzato nessuno.»
Mulligan fece una serie di smorfie come se si stesse controllando i denti con la lingua. Era un bene che il suo capo non apparisse mai davanti alle telecamere, pensò Ed.
Infine Mulligan disse: «È meglio che vada casa loro a vedere che cosa può fare. Il signor Fontaine non è molto soddisfatto di questo Tubber. Stasera ci sarà una riunione dell’Associazione. Sarà bene che venga anche lei a fare un rapporto su quanto è avvenuto.»
«Sì, signore. Vado subito dai Fontaine. Probabilmente riuscirò a farla tornare in sé.» Non perse tempo ad aggiungere che sospettava si trattasse più di delirium tremens che di qualsiasi altra cosa.