Per salvare quel poco che c’era ancora da salvare dopo il disastro, Ed Wonder afferrò il microfono e si mise a parlare rapidamente. «Per concludere, amici, temo che questa serata sia stata un fiasco. Naturalmente è una cosa che può succedere anche nei programmi migliori, quando la trasmissione avviene in diretta e gli ospiti non sono professionisti. Metteremo ora in onda qualche brano di musica leggera ed eventualmente, più tardi, vi potrò fornire alcune informazioni su come speravamo che sarebbe andata stasera. Jerry, a te la linea: musica!»
La luce rossa si spense. Lo Studio Tre non era più collegato. La voce potente di Mulligan esplose dal citofono interno: «Wonder! L’aspettiamo nel mio ufficio. Immediatamente!»
Ed Wonder chiuse gli occhi, più disperato che mai.
Si sentiva sconvolto e sperduto. Ezechiele Giosuè Tubber e sua figlia se n’erano andati. Solo Helen Fontaine e Buzz De Kemp erano ancora seduti intorno al tavolo dello studio. Buzz sghignazzava. Il giornalista scovò in tasca un fiammifero da cucina e lo accese sfregandoci sopra un’unghia, poi accese il sigaro che fino allora aveva continuato a masticare.
«Ecco quello che chiamo un grosso spettacolo» proclamò. «Se ci fossero programmi a sorpresa come questo, credo che riuscirei anche ad ascoltare la radio.»
«Mi dispiace, Piccolo Ed» disse Helen. «Santo cielo, che sfacelo.»
Ed guardò nella cabina di regia. Jensen Fontaine e Mulligan se n’erano già andati ed evidentemente erano in conciliabolo nell’ufficio del direttore. Probabilmente gli stavano preparando la ghigliottina.
Ed si alzò, aprì la porta che dava nella cabina di regia ed entrò. Jerry stava ancora dandosi da fare con i suoi apparecchi ed era accigliato.
«Che cosa succede?» domandò Ed.
Jerry alzò la testa e si tolse la pipa dalla bocca per parlare più chiaro. «Riceviamo un’eco di un ottavo di secondo, il che equivale alla potenza del segnale originale.»
«Che cosa significa?»
Jerry glielo spiegò e aggiunse: «Basterebbe ascoltare un’eco da metà a un decimo di secondo, per diventare matto.» Strinse di nuovo la pipa in bocca e si rimise al lavoro sui suoi strumenti. «Riparerò il guasto in un minuto.»
«Nemmeno se ti romperai la testa contro il muro…» mormorò Ed uscendo dalla cabina. Helen e Buzz stavano uscendo dallo Studio Tre in quel momento.
«Veniamo con te da papà» gli disse Helen. «Non è stata colpa tua.»
Masticando il sigaro, Buzz propose: «Probabilmente il giornale ha bisogno di un redattore per la rubrica radio e TV, e potrai trovare lavoro da noi.»
Ed gli lanciò un’occhiataccia. «È proprio il momento per fare dello spirito, buffone. È stata tutta un’idea tua.»
Buzz fece un ghigno. «Mi dispiace. Non sapevo che il vecchio fosse così suonato. Hai notato la sua espressione quando scagliava la formuletta magica contro la radio? Accidenti, che storia fantastica sarebbe se funzionasse davvero. Se potesse veramente bloccare la radio con una stregoneria. Che storia meravigliosa!»
Ed si avviò lungo il corridoio. Senza fermarsi brontolò: «E allora, è bene che incominci a scriverla subito.»
Entrarono insieme nella redazione; Ed davanti, Helen e Buzz dietro. De Kemp domandò perplesso: «Che cosa vuoi dire, amico?»
Ed si fermò davanti al tavolo di Dolly. La ragazza stava rispondendo freneticamente a una serie di telefonate.
«Sì, sì, lo sappiamo. Ci sono interferenze nella ricezione. I tecnici stanno riparando il guasto. Tornerà tutto normale fra breve. Grazie per la segnalazione.» E poi, daccapo: «Sì… sì. Sappiamo che non potete ricevere i programmi. I tecnici…»
Ed, Helen e Buzz proseguirono, quest’ultimo voltandosi a guardare esterrefatto la segretaria che continuava a rispondere al telefono. «Ma che cosa sta succedendo?» chiese a Ed.
«La maledizione è entrata in funzione» rispose Wonder, tenendo la porta aperta per Helen; poi tutti e tre entrarono nell’ufficio di Mulligan.
Jensen Fontaine era in piedi al centro della stanza, meditando l’imminente sfuriata. Quando Ed mise dentro la testa, tuonò: «Wonder, lei è licenziato!»
«Lo so, lo so» gli rispose Ed con calma. Si incamminò deciso verso la parete laterale dove campeggiava un ampio schermo televisivo e accese l’apparecchio incassato nel muro. Fontaine, Mulligan e Helen, e anche Buzz del resto, lo guardavano senza parole. Non era la reazione che ciascuno di loro, conoscendo Ed Wonder, si aspettavano.
Ed attese che le immagini sullo schermo diventassero chiare. Ma non diventarono mai chiare. Infine spense il televisore. Con aria assente, disse: «Anche la TV è una forma di radio, evidentemente. Chissà se sono saltati pure i radar.»
Ed Wonder si voltò di nuovo verso Jensen Fontaine e Mulligan.
Fontaine pensò che Ed non avesse capito. Urlò di nuovo: «Dare a quell’ateo sovversivo la possibilità di esporre le sue teorie alla mia stazione radio! Idiota! Glielo ripeto, Ed Wonder, è licenziato!»
«Lo so» borbottò Ed. «E sono sul lastrico anche tutti gli altri che lavorano alla radio e alla televisione. Buonanotte a tutti.»
La mattina seguente, Ed Wonder fu svegliato dalla voce della sveglia elettronica che gli comunicò: «Sei desiderato al telefono.»
Si scosse il sonno di dosso. Stava sognando Ezechiele Giosuè Tubber che scagliava una maledizione sul cibo. Lui stesso e Nefertiti, gli altri personaggi del sogno che per chissà quale ragione erano rispettivamente in slip e in bikini, stavano disperatamente cercando di dissuaderlo. Ed si grattò i baffetti.
Il suo complicato apparecchio TV-radio-giradischi-registratore-incisore-sveglia elettronica ripeté a voce più alta: «Sei desiderato al telefono.»
Ed sbadigliò. «Sì, pronto?»
La voce di Mulligan gli blaterò nell’orecchio: «Piccolo Ed! Dove sei stato finora?»
Sbadigliò di nuovo «Non sono stato in nessun posto che la riguardi. Sono licenziato. Non ricorda?»
«Ecco, vedi, forse potremmo fare ancora qualcosa a questo proposito. Capisci, Piccolo Ed…»
Mentre l’altro continuava a parlare, Ed Wonder accese la televisione. Gli venne un colpo. Allora cambiò canale, e lo cambiò un’altra volta. L’eco di cui gli aveva parlato il tecnico stava ancora imperversando sulle onde radio e televisive. Spense l’apparecchio.
Ora Mulligan stava dicendo: «Forse il signor Fontaine ha preso una decisione un po’ affrettata.»
«Oh, non direi» rispose Ed Wonder.
«Comunque sia, pare che abbia parlato con la figlia e che lei abbia preso le sue difese. Vogliono vederla a casa loro. A parte questo, sa che cos’è successo?»
«Sì» rispose Ed.
Mulligan ignorò la risposta. «Dipende dalle macchie solari, forse. Non c’è nessuna stazione radio o televisiva in tutto il Paese che riesca a mettere in onda qualcosa di comprensibile.»
«Già» fu la reazione di Ed. Gli venne in mente che né Mulligan né Fontaine avevano sentito Tubber pronunciare la maledizione. Erano troppo occupati a strillare a Jerry nella cabina di controllo per far interrompere il collegamento con la rete.
«Insomma, Ed Wonder vuole andare a trovare i Fontaine sì o no?»
«No» disse Ed. Agganciò il ricevitore e rimase a fissare l’apparecchio per qualche istante. Si rese conto di aver realizzato un’ambizione che coltivava da anni: quella di mandare all’inferno il Grassone.
Grugnì soddisfatto. Né Mulligan, né Fontaine si rendevano conto che non aveva alcuna ragione di rivolere il posto… almeno fino a quando radio e televisione non avessero ricominciato a funzionare.
Quando ebbe finito di sbarbarsi, lavarsi e vestirsi, decise che non lo attraeva per niente la colazione che gli poteva offrire la sua cucina automatica e che preferiva scendere a mangiare un uovo con un paio di salsicce al bar all’angolo. Aveva bisogno di tempo per riflettere, ma non aveva fretta di cominciare. Si rimirò a lungo allo specchio del bagno. Trentatré anni. Dieci anni sprecati nel tentativo di entrare nelle file, sempre più scarse, del teatro. Quasi cinque anni di paziente scalata nel mondo della radio-TV. E ora, a trentatré anni, eccolo disoccupato. Splendida carriera. Ma, chissà perché, non si sentiva male come pensava che avrebbe dovuto sentirsi.
Stava per andarsene, poi diede un’ultima occhiata allo specchio concentrandosi sui baffetti. Baffi sottili come una riga li portavano quasi tutti i giovani dirigenti fra i trenta e i quarant’anni. Era la moda attuale.
Ed Wonder prese il tubo di crema depilatoria per barba e se ne spalmò una striscia sui baffi. Poi prese il rasoio e insieme alla crema tolse anche i baffi. Si guardò allo specchio e si rivolse un cenno di approvazione.
Al bar c’era una grande folla, ma Ed riuscì lo stesso ad accaparrarsi uno sgabello all’estremità del banco. Quasi tutti i clienti erano radunati intorno alla rivendita dei giornali.
Ed era amico del proprietario del locale. Lo vide e gli domandò: «Che cosa succede qua dentro?»
«Non ho mai venduto tanti fumetti da quando lavoro» rispose quello. «Ho praticamente esaurito la scorta e non è ancora mezzogiorno. Ne ho dovuto ordinare altri con urgenza.»
«Fumetti?»
«Sì, giornali a fumetti. Qualcosa non funziona nella radio e nella televisione. Un giornale dice che è sabotaggio sovietico e che tutto dipende da una diavoleria scientifica installata in Siberia. Comunque, finché non riparano il guasto, la tele è fuori uso. Mia moglie e i miei figli probabilmente finiranno al manicomio: ma per lo meno sono certo di vendere un quantità enorme di fumetti.»
«Non riusciranno a riparare il guasto» disse Ed con voce assente. «Rimarremo senza radio e televisione.»
Il proprietario lo squadrò: «Non dire sciocchezze, Piccolo Ed. Non si può fare a meno della TV.»
Ed non aveva voglia di discutere. Guardò ancora una volta la folla di adulti accalcata intorno al banco dei giornali, poi si voltò e compose sul dispositivo automatico l’ordinazione della colazione. Cercò di non pensare all’argomento che si agitava intorno a lui, nonostante continuasse a insinuarsi nella sua mente. Ogni volta che il pensiero lo sfiorava, Ed lo allontanava temendo che quell’inevitabile riflessione gli sarebbe stata molto dolorosa.
Appena ebbe terminato di mangiare, scese nel garage sotto casa sua e uscì con la Volksair. Probabilmente sarebbe andato incontro a un grosso guaio. Si diresse ugualmente verso Houston Street per raggiungere lo spiazzo dove Tubber e sua figlia avevano montato la tenda. La ragazza aveva detto che il vecchio non ricordava ciò che diceva nei momenti d’ira, ed evidentemente i suoi anatemi li pronunciava solo nei momenti d’ira. Bisognava prenderlo per il verso giusto, in modo da non farlo infuriare. Forse c’era un sistema per rimettere le cose a posto. Se Tubber era in grado di ritirare le sue maledizioni, allora avrebbe pensato a darsi da fare per riavere il posto.
Lo spiazzo dove sorgevano le tende era vuoto.
Ed fissò stordito la spianata. Avrebbe dovuto ricordarsene. Stavano facendo le valigie per andarsene già quando lui e Buzz avevano agganciato Tubber per la trasmissione.
Rifletté un minuto. Poi ripartì in volo con la Volksair diretto al palazzo del “Times Tribune”. Mezzogiorno era già passato, ma Buzz faceva orari a dir poco strampalati. C’erano tante probabilità di trovarlo al giornale durante le ore dei pasti quante ce n’erano nelle altre.
Sembrava che ci fosse un’insolita animazione nelle strade. La maggior parte della gente si aggirava apparentemente senza meta. E c’erano lunghe code all’ingresso dei cinema. Ed non riuscì a capire il perché, in quel momento.
Fortunatamente, De Kemp era al suo tavolo. All’arrivo di Wonder alzò gli occhi dal lavoro. Ed prese una sedia, la voltò con la spalliera verso il tavolo di Buzz e si sedette a cavalcioni appoggiandosi con le braccia allo schienale. I due si guardarono negli occhi.
«Hai scritto il pezzo?» chiese infine Ed.
Buzz scrollò le spalle e pescò uno dei suoi soliti zampironi. «L’ho scritto. È nell’ottava pagina dell’edizione del mattino. In redazione me l’hanno un po’ modificato. Pensavano che fosse un abile pezzo di fantasia, buono per la pagina di varietà.» Il tono divenne cinico. «L’hanno notevolmente migliorato. È più brillante adesso.»
«Allora, nessuno ti ha creduto, eh?»
«Nessuno. Io non ho insistito. Il capo cronista la pensa così. E tutti sono sempre d’accordo con il capo cronista. Vuoi saperne una bella? Mi ha spedito a casa a farmi passare la sbornia!»
«Non è possibile!» esclamò Ed. «Non ci credo.»
Si guardarono di nuovo negli occhi senza parlare.
Infine Ed si schiarì la gola e disse: «Vengo ora dallo spiazzo dove Tubber teneva i suoi raduni.»
«E…?»
«Se n’è andato. Non c’è traccia delle tende. Pensavo di discuterne con lui e sua figlia. La ragazza sembra abbastanza equilibrata.»
Buzz ci pensò un istante. «Controlliamo in archivio» disse infine alzandosi dalla sedia.
Ed lo seguì lungo un corridoio ed entrò con lui in una stanza dove un vecchio giornalista in pensione stava tagliando senza fretta un mucchio di giornali del giorno prima con un paio di forbici enorme. Borbottò una specie di saluto a Buzz, che ricambiò con un grugnito, poi i due continuarono a ignorarsi.
De Kemp si diresse allo schedario, mormorando: «Tubber» e prese un grosso pacco di fascicoli. Li scorse in fretta. «Tubber, Tubber… Ezechiele Giosuè Tubber, eccolo.»
Estrasse la cartelletta, l’aprì e si avviò a un grande tavolo. C’erano tre piccoli ritagli con le date segnate a biro sul margine. Buzz li scorse rapidamente passandoli a uno a uno a Ed.
Poi si appoggiò alla spalliera della sedia, scuotendo la testa. «Solo gli annunci dei suoi raduni negli ultimi giorni. La località dove aveva piantato le tende, l’ora d’inizio delle prediche. E il titolo della sua prima conferenza: La nazione si sta impoverendo con le sue stesse mani. Nessun accenno da dove sia venuto o dove sia diretto.»
Ed Wonder disse tetro: «Jensen Fontaine pensa che quel nome sia uno pseudonimo.»
Buzz fece segno di no con la testa. «Non un nome simile. Solo genitori appartenenti a circoli biblici avrebbero il coraggio di affibbiare a un neonato un’etichetta simile. Nessuno andrebbe a sceglierselo da solo.»
«Lui dice di non essere cristiano.»
«Lui forse no, ma i suoi certamente lo erano. Probabilmente evangelici. Quando si scalda, senza accorgersene, parla come i profeti della Bibbia. Deve essere un ricordo d’infanzia. Dimmi, Piccolo Ed, fino a che punto sei deciso a scovarli? E perché? E cosa ne hai fatto dei baffi?»
Ed si grattò il punto dove ancora quella mattina aveva la sottile riga di peli. Con aria di autocommiserazione disse: «Forse, ora che non sono più un giovane brillante con una carriera davanti, non ha nessuna importanza che cerchi di averne l’aspetto.»
De Kemp scosse la testa con un cenno di disapprovazione e accese il sigaro con il quale fino a quel momento aveva solo giocherellato. «Non si comporta così il Piccolo Ed Wonder che mi immagino io» disse.
«E come t’immagini il Piccolo Ed Wonder?» ribatté Ed, polemico.
Buzz fece un sogghigno. «Normalmente come una vipera pronta a scattare sulla preda.»
«Non capisco come tu riesca ad andare d’accordo con me» sbottò Ed.
«Me lo sono chiesto anch’io» ribatté Buzz. «Forse perché mi sono abituato ad averti tra i piedi. Hai mai notato come si sopporta la gente che si conosce? Chissà perché, non si ha il coraggio di mandare all’inferno le persone che si conoscono veramente a fondo.»
«E così, quando hai finalmente capito che razza di vipera io fossi, ti eri ormai abituato a me e non potevi più fare a meno di essermi amico? È così?»
«Più o meno. Ma calmati ora. Dimmi piuttosto fino a che punto sei deciso a scovare il vecchio Tubber?»
Ed non riusciva mai ad arrabbiarsi con Buzz De Kemp. Ma anche se ci fosse riuscito, non era quello il momento per farlo. «Non lo so esattamente» borbottò. «Forse sono stupido. È probabile che, appena mi vede, mi scaraventi addosso un anatema che durerà come l’emofilia. Ma mi sono impegolato in questa faccenda sin dall’inizio e ormai è troppo tardi per lavarsene le mani.»
De Kemp lo fissò: «Ma che cosa ne ricavi personalmente?» Soffiò fuori una boccata di fumo senza togliersi il sigaro di bocca. «A parte la prospettiva di anatemi, voglio dire.»
«Oh, che idea. Mi prendi anche in giro?» mormorò Ed. «Non ci cavo proprio niente. Che diavolo di vantaggio potrei mai averne da tutta questa faccenda?»
Il giornalista scosse la testa. «Certamente non si comporta così il Piccolo Ed Wonder che conosco io. Comunque, sia come vuoi. Mi darò da fare. Forse ci saranno da qualche parte dati anagrafici del vecchio, con l’indicazione della residenza. O forse l’AP-Reuter trasmetterà sulle telescriventi una sua biografia. Ora vattene di qui e dammi qualche ora per informarmi. Mi sento anch’io un po’ come te. Dentro questa faccenda fino ai capelli.»