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La cabina a forma di cubo che racchiudeva il meccanismo dell’ascensore era come il covo di un mago in cima a una torre: il lucernario era coperto da uno spesso strato di polvere, il motore elettrico sembrava uno gnomo dalle spalle larghe e dall’armatura verde e unta, i vecchi relè assomigliavano a otto zampe nere di ghisa; quando erano in funzione, sussultavano come le zampe di un gigantesco ragno incatenato, e i grossi interruttori di rame scattavano rumorosamente, come le mandibole del ragno, nell’aprirsi e nel chiudersi quando veniva schiacciato uno dei pulsanti di comando.

Franz aprì la porta e si trovò sul terrazzo piano, circondato da un basso parapetto. La ghiaia che si staccava dalla copertura di catrame scricchiolava leggermente sotto i suoi passi. Il venticello fresco che spirava lassù era quanto mai piacevole.

A est e a nord si scorgeva la grande mole dei palazzi del centro cittadino e di tutti gli spazi segretamente contenuti in essi, che nascondevano la baia. Come si sarebbe accigliato il vecchio Thibaut nello scorgere la Transamerica Pyramid e il mostro marrone-violaceo della Bank of America! O anche i nuovi grattacieli dell’Hilton e del St Francis. Gli tornarono alla mente alcune parole: “Gli antichi egizi si limitavano a seppellire i morti nelle loro piramidi. Noi ci abitiamo”. Dove le aveva lette? Ma certo, nella Megalopolisomanzia. Molto calzante. E chissà se anche le piramidi moderne contenevano segni segreti che predicevano il futuro e cripte in cui praticare la magìa?

Oltrepassò i comignoli rettangolari degli stretti condotti di aerazione, rivestiti di lamiera grigia, e raggiunse la parte posteriore del tetto, per poi guardare, in mezzo ai grattacieli vicini (di altezza modesta, a paragone di quelli del centro) la torre della TV e Corona Heights. La nebbia era sparita, ma la pallida gobba irregolare della collina spiccava ancora nitida nel sole del mattino. Provò a guardare con il binocolo, senza eccessive speranze, e… sì, per Dio!… il pazzo sacerdote dalla tunica ampia, o quel che diavolo era, stava ancora là, impegnato nella sua cerimonia mattutina. Se solo il binocolo non avesse ballato tanto! Adesso il tizio era sceso su un ammasso di rocce posto un poco al di sotto del precedente, e si guardava attorno, con aria furtiva. Franz seguì la direzione del suo sguardo lungo il versante della montagnola, e subito scorse il presumibile oggetto del suo interesse: due che salivano a piedi, lentamente. Era facile distinguerli, con le loro camicie allegre e gli short a colori vivaci. Eppure, nonostante gli abiti sgargianti, a Franz sembrarono persone molto più serie e rispettabili dell’individuo nascosto sulla vetta. Si chiese che cosa sarebbe successo, una volta che si fossero incontrati sulla cima. Il sacerdote dalla lunga veste avrebbe cercato di convertirli? O li avrebbe scacciati ritualmente? Oppure li avrebbe fermati, come il Vecchio Marinaio, e avrebbe raccontato loro una storia bizzarra con una morale? Franz tornò a guardare verso la cima, ma il tizio (o la tizia, forse) era sparito. Un timido, evidentemente. Scrutò fra le rocce, cercando di scoprirlo in un nascondiglio, e seguì gli escursionisti finché non arrivano in cima e non sparirono poi dall’altra parte. Sperava di assistere a un incontro a sorpresa, ma non vide niente.

Comunque, nel rimettere in tasca il binocolo, si decise. Sarebbe andato a Corona Heights. Era una giornata troppo bella per rimanere chiuso in casa.

— Se non vuoi venire da me, allora verrò io da te — disse a voce alta, citando un brano di una storia di fantasmi di Montague Rhodes James e riferendo le parole, in tono scherzoso, sia a Corona Heights sia al suo misterioso abitatore. Era stata la montagna ad andare da Maometto, rifletté, ma lui aveva a disposizione tutti quei geni della lampada…

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