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Saul accese una sigaretta e si appoggiò contro lo schienale. Gunnar si era accomodato all’altra estremità del divano. Franz era sulla poltrona di fronte a loro.

— Fin dall’inizio — spiegò Saul — mi sono accorto che a Cal interessavano moltissimo i miei pazienti dell’ospedale. Non mi faceva domande, ma lo capivo perché stava zitta e attenta ogni volta che ne parlavo. Nel pericoloso mondo esterno che lei cominciava a esplorare, costituivano una delle tante cose che sentiva di dover conoscere per poi schierarsi a favore o contro di esse… o, come fa sempre lei, trovare una via di mezzo.

“Be’, all’epoca anch’io m’interessavo moltissimo dei miei pazienti. Avevo fatto per un anno il turno di sera e da un paio di mesi ne ero il responsabile, così avevo tante idee sui cambiamenti che volevo apportare e che stavo già apportando. Tra parentesi, la persona che dirigeva il reparto prima di me tendeva a esagerare con i sedativi, secondo me. — Saul sorrise. — Vedi, la storia che ho raccontato a Bonny e a Dora, stasera, non era del tutto inventata. Comunque, avevo ridotto a quasi tutti i malati le dosi dei sedativi, per poter comunicare con loro e lavorare sul loro caso, e non erano più in stato comatoso all’ora di colazione. Naturalmente, il reparto era più animato e talvolta anche più turbolento di prima, ma a quell’epoca ero un novellino pieno d’entusiasmo.”

Ridacchiò. — Immagino che ogni nuovo responsabile, quando inizia, faccia la stessa cosa: riduce i barbiturici… finché non si stanca e non decide che la tranquillità val bene qualche sedativo in più.

“Ma imparavo a conoscere bene i miei pazienti, o almeno così credevo; sapevo in quale fase del ciclo era ciascuno di loro, potevo prevedere le crisi e tenere in pugno il reparto. Per esempio, c’era il giovane signor Sloan che soffriva d’epilessia… del tipo petit mal… oltre che di un’estrema depressione. Era istruito, aveva mostrato doti artistiche. E quando si avvicinava al culmine del ciclo, cominciava ad avere i suoi attacchi del petit mal. Sai, brevi perdite di conoscenza, per qualche secondo rimaneva con le mente vuota, barcollava un po’; poi le crisi diventavano sempre più frequenti, ne aveva una ogni venti minuti, anche meno. Vedi, ho pensato parecchie volte che nelle crisi epilettiche sia il cervello a cercare di farsi l’elettroshock. Comunque, il mio giovane signor Sloan arrivava a una crisi molto simile a un attacco del grand mal, e allora cadeva a terra, si contorceva, faceva un gran baccano, compiva atti automatici e perdeva il controllo delle funzioni corporee: epilessia psichica, la chiamano. A questo punto ritornavano gli attacchi del petit mal, che si distanziavano via via, e per circa una settimana lui stava meglio. Sembrava che calcolasse i tempi in modo molto preciso, e che vi impegnasse uno sforzo creativo… come ti ho detto, aveva doti artistiche. Vedi, spesso penso che ogni malattia mentale sia una forma di espressione artistica. L’individuo, però, ha soltanto se stesso con cui lavorare: non ha materiali esterni da manipolare; perciò concentra tutta la sua arte nel proprio modo di comportarsi.

“Be’, come ho detto, sapevo che a Cal interessavano molto i miei pazienti: aveva perfino detto che le sarebbe piaciuto vederli. E così, una sera che tutto procedeva liscio e tutti i miei pazienti erano in una fase tranquilla dei loro cicli, l’ho invitata a venire. Certo, come puoi immaginare, mi ero preso qualche piccola libertà con il regolamento dell’ospedale. Quella sera non c’era la luna. Era il novilunio o uno dei giorni vicino a questo; il chiaro di luna eccita davvero la gente, sai? Soprattutto i pazzi. Non so perché, ma è così.”

— Questo non me l’avevi mai detto — l’interruppe Gunnar. — Voglio dire, che hai invitato Cal all’ospedale.

— E allora? — fece Saul, scrollando le spalle. — Bene, lei è arrivata circa un’ora dopo la fine del turno di giorno. Era piuttosto pallida, apprensiva ed emozionata… e subito tutto quanto, nel reparto, ha cominciato ad andare storto. La signora Willis si è messa a piangere e a lamentarsi delle sue terribili disgrazie (a quanto avevo calcolato, non avrebbe dovuto farlo almeno per una settimana, ed era veramente uno strazio), e poi ha cominciato la signorina Craig, che è una grande urlatrice. Il signor Schmidt, che si era comportato bene per più di un mese, si è calato i calzoni e ha mollato una montagnola di merda, prima che potessimo fermarlo, davanti alla porta del signor Bugatti, che di tanto in tanto è il suo “nemico”; una cosa simile non era più capitata, nel reparto, dall’anno precedente. Intanto la signora Gutmayer aveva rovesciato il vassoio della cena e vomitava, e il signor Stowacki era riuscito, chissà come, a rompere un piatto e si era tagliato… e la signora Harper gridava alla vista del sangue (che non era poi molto) e così gli urlatori erano in due: non della classe di Fay Wray in mano a King Kong, ma due buone ugole.

“Be’, naturalmente ho dovuto lasciare Cal da sola, mentre cercavamo di rimediare, e mi chiedevo cosa pensasse di noi e mi rimproveravo per averla invitata e per essere stato tanto megalomane nel vantarmi della mia capacità di prevedere e prevenire i disastri.

“Quando potei tornare da lei, Cal era andata in sala ricreazione con il giovane signor Sloan e un paio d’altri, e aveva scoperto il nostro pianoforte e lo stava provando: era spaventosamente stonato, beninteso, o almeno doveva esserlo per il suo orecchio esperto.

“Cal ascoltò il mio breve resoconto. Erano soprattutto scuse, le mie: ‘Di solito non abbiamo la cacca nei corridoi’, eccetera. E di tanto in tanto annuiva, ma continuava a provare il piano come se stesse cercando i tasti meno stonati (e in seguito mi ha confermato che era proprio quel che faceva). Mi ascoltava, certo, ma intanto provava il piano.

“Allora cominciai ad accorgermi che l’agitazione ricominciava a crescere nel reparto, e che gli attacchi di petit mal di Harry, il giovane signor Sloan, diventavano molto più frequenti del solito, mentre camminava in cerchio, irrequieto, in sala ricreazione. Secondo i miei calcoli, la sua crisi doveva venire solo la notte successiva, ma lui aveva inspiegabilmente accelerato il ciclo, e non c’era dubbio che avrebbe avuto l’attacco di grand mal quella notte stessa: da lì a pochissimo, anzi.

“Cominciai ad avvertire Cal di quello che probabilmente sarebbe accaduto, ma in quel momento lei si sedette meglio, si concentrò come fa quando sta per iniziare un concerto, e poi ha cominciato a suonare un pezzo di Mozart (l’aria di Cherubino dalle Nozze di Figaro, mi accorsi presto) ma in quella che sembrava la chiave più stonata di tutte, in quel vecchio e scassatissimo piano verticale (e, in seguito, Cal mi ha confermato anche questo).

“Poi ha suonato il pezzo in un’altra chiave, poco meno stonata della prima, e via così. Credilo o no, aveva trovato una successione di chiavi, dalla più stonata alla meno stonata, su quel vecchio piano, e stava suonando quell’aria di Mozart in tutte le chiavi, dalla meno armoniosa alla più armoniosa: l’aria di Cherubino del secondo atto, quella che dice: ‘Voi che sapete, che cosa è l’amor, Donne vedete, s’io l’ho nel cuor’. E poi c’è anche un verso che dice: ‘Non trovo pace, notte né dì, Ma pur mi piace, languir così’.

“Intanto sentivo le tensioni crescere intorno a me, e potevo vedere che gli attacchi di petit mal del giovane Harry diventavano sempre più frequenti, mentre lui girava sempre più in fretta attorno al piano, e sapevo che gli sarebbe venuto l’attacco di grand mal da un momento all’altro, così mi chiesi se non mi convenisse fermare Cal afferrandola per i polsi, come se fosse stata una strega che compiva una magia nera con la musica… Tutto il reparto si era scatenato al suo arrivo, e adesso lei aggravava le cose con Mozart, suonando sempre più forte quell’aria.

“Ma proprio in quel momento lei passò trionfalmente alla chiave meno stonata, e per contrasto ogni cosa sembrò perfetta; e in quell’istante il giovane Harry, invece di avere l’attacco di grand mal che mi aspettavo, ha iniziato una danza strana, elegante, a piccoli salti, tenendo perfettamente il tempo con l’aria di Cherubino. E quasi senza rendermene conto ho afferrato la signorina Craig, che aveva la bocca aperta per urlare ma non stava urlando, e ho cominciato a ballare con lei intorno al giovane Harry… e ho sentito la tensione nell’intero reparto svanire come fumo. Chissà come, Cal aveva sciolto quella tensione, l’aveva allentata come aveva fatto con la depressione del giovane Harry, facendogli superare il culmine della crisi e portandolo in un terreno sicuro senza che lui avesse un attacco epilettico. Sul momento, mi è sembrata la cosa più vicina alla stregoneria che avessi mai visto in tutta la mia vita: magìa, d’accordo, però magìa bianca.”

Alle parole “sciolto” e “scatenata”, Franz ricordò le parole di Cal, che, quella mattina, gli aveva detto che la musica aveva il potere di liberare le cose e di farle volare e danzare.

Gunnar chiese: — E poi cos’è successo?

— Non molto, in verità — disse Saul. — Cal ha continuato a suonare la stessa aria, nella stessa chiave trionfante, e noi abbiamo continuato a ballare, e mi pare che anche altri due si siano uniti a noi, ma ogni volta lei suonava un po’ più in sordina, fino a quando è diventata come una musica per topolini. Poi ha smesso, ha chiuso adagio il piano, e noi ci siamo fermati, scambiandoci sorrisi, e la cosa è finita lì: solo che l’atmosfera era molto diversa da quella che c’era all’inizio. E poco dopo lei è tornata a casa senza aspettare la fine del turno, come se fosse convinta che quel aveva fatto non si poteva ripetere. In seguito non ne abbiamo parlato molto, lei e io. Ricordo che ho pensato: “La magìa è una cosa che vale per una volta sola”.

— Ehi, mi piace — disse Gunnar. — Intendo, l’idea che la magìa… e anche i miracoli, come quelli di Gesù, per esempio… e anche i capolavori dell’arte… e la storia, naturalmente… siano fenomeni che non possono ripetersi. Diversamente dalla scienza, che si occupa di fenomeni che si possono ripetere.

Franz sorrise. — La tensione si è sciolta… la depressione si è allentata e scatenata… le note volano verso l’alto, come scintille… Sai, Gunnar, mi fa venire in mente quello che fa lo Stracciafogli che mi hai mostrato questa mattina.

— Lo “Stracciafogli”? — chiese Saul. Franz spiegò, brevemente.

Saul disse a Gunnar: — A me non ne hai parlato.

— E allora? — Gunnar sorrise e alzò le spalle.

— Certo — osservò Franz, quasi in tono di rammarico — l’idea che la musica faccia bene ai pazzi e plachi le anime turbate risale a tempi molto antichi.

— Almeno a Pitagora — intervenne Gunnar. — Duemilacinquecento anni fa.

Saul scosse la testa, deciso. — Quello che ha fatto Cal andava ben oltre.

Bussarono due colpi secchi alla porta. Gunnar l’aprì.

Fernando si guardò intorno, inchinandosi educatamente, poi si rivolse tutto raggiante a Franz e chiese: — Scacchi?

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