22

Franz, impegnato in una delle solite ispezioni, cominciò a scrutare le ombre per cercare non soltanto una faccia pallida, vuota, triangolare, dalla proboscide irrequieta, ma anche il volto magro, aquilino, spettrale, tormentato e ossessivo e animato di rabbia omicida, di un vecchio iperattivo, simile a una figura uscita dalle illustrazioni del Doré per l’Inferno. Poiché Franz non aveva mai visto una fotografia di De Castries, ammesso che ne esistessero, doveva accontentarsi di quelle supposizioni.

Era ancora intento ad assimilare il pensiero che Corona Heights era letteralmente impregnata di Thibaut De Castries. Il giorno prima, e quel giorno stesso, lui era rimasto seduto a lungo su quello che quasi certamente era lo Scanno del Vescovo di cui parlava la maledizione, e pochi metri più sotto, nel terreno duro, c’erano le polveri (i sali?) essenziali e l’anello nero. Come diceva, il racconto di Poe? “Portare un buon cannocchiale allo Scanno del Vescovo…” Il suo binocolo era rotto, ma non ne avrebbe avuto bisogno per quel lavoro a breve distanza. Quali erano peggio, gli spettri o i paramentali?… oppure erano la stessa cosa? Quando si stava in guardia e si attendeva la comparsa degli uni o degli altri, quello era un interrogativo alquanto accademico, anche se poneva molti interessanti problemi sui possibili livelli della realtà. Nel profondo del cuore si rendeva conto di essere in collera, o forse aveva soltanto voglia di discutere.

— Accendi qualche lampada, Donaldus — disse in tono secco.

— Devo ammettere che la prendi con calma — osservò l’altro, in un tono un po’ infastidito e un po’ ammirato.

— Cosa ti aspettavi? Che mi abbandonassi al panico? Che uscissi di corsa per strada a farmi sparare? O schiacciare dal crollo di un muro? O dilaniare da schegge di vetro volanti? Immagino che tu abbia tenuto per ultima la rivelazione dell’ubicazione esatta della tomba di De Castries perché avesse un maggiore effetto drammatico, e quindi la cosa fosse più vera secondo la tua teoria dell’identità fra natura e arte.

— Esatto! Tu hai capito, e io ti avevo detto che nella mia storia c’era uno spettro, e che i graffiti astrologici erano un epitaffio adatto a Thibaut. Ma non è sorprendente, Franz? Pensare che quando tu hai guardato Corona Heights dalla tua finestra i resti mortali di Thibaut De Castries, a tua insaputa…

— Accendi qualche lampada — ripeté Franz. — Quello che mi sorprende, Donaldus, è che tu conosci da anni l’esistenza delle entità paramentali, e le sinistre attività di De Castries, e le circostanze della sua sepoltura, eppure non hai preso precauzioni. Sei come un soldato entrato senza difese nella terra di nessuno. Senza dimenticare che in questo momento io, o tu, oppure tutti e due, possiamo essere completamente pazzi. Certo, la maledizione l’hai scoperta soltanto poco fa, se posso fidarmi di te. Ma qualcosa dovevi sapere, perché hai chiuso la porta a chiave dopo che sono entrato. Accendi qualche lampada!

Finalmente, Byers si decise. Un chiarore dorato scese dalla grande lampada globulare sospesa sopra di loro. Poi Byers andò nell’atrio, quasi con riluttanza, e fece scattare un interruttore; quindi tornò in fondo al soggiorno, accese una terza luce, e aprì un’altra bottiglia di cognac. Le finestre divennero rettangoli scuri, con una trama di rete d’oro. Ormai era notte: ma almeno in quella stanza le ombre erano state scacciate.

Intanto Byers stava dicendo, in tono apatico e depresso, ora che aveva terminato il suo racconto: — Certo, che puoi fidarti di me. Era per proteggerti, se non ti avevo parlato di De Castries. L’ho fatto solo oggi, quando è risultato evidente che ormai c’eri dentro, ti piacesse o no. Non vado in giro a parlarne con chiunque, credimi. Se c’è una cosa che ho imparato, nel corso degli anni, è che è meglio non parlare a nessuno dei più tenebrosi aspetti di De Castries e delle sue teorie. Per questo non ho mai neppure pensato di pubblicare una monografia su quell’uomo. Quale altra ragione potrei avere per non farlo? Un libro del genere sarebbe molto interessante. Fa Lo Suee sa tutto (non si può tener nascosto nulla, a un’amante seria): ma ha una mente molto forte, come ho detto. Anzi: quando tu hai telefonato, stamattina, le ho detto, mentre usciva, che, se le restava un po’ di tempo, mi avrebbe fatto un favore se avesse cercato ancora la libreria dove tu hai comprato il diario. È abilissima, a risolvere questi problemi. Lei mi ha sorriso e mi ha detto che era proprio quello che aveva intenzione di fare.

“E poi — continuò — tu dici che io non prendo precauzioni. Ma non è vero: le prendo, le prendo! Secondo Klaas e Ricker, una volta De Castries ha elencato tre protezioni contro le ‘influenze indesiderabili’: l’argento, il vecchio antidoto contro i lupi mannari (un’altra delle ragioni per cui ho incoraggiato l’attività artistica di Fa Lo Suee); i disegni astratti, che attirano su di sé l’attenzione (anche quella dei paramentali, c’è da sperare… ed ecco la ragione di tutti gli arabeschi che vedi intorno a te); e le stelle, il pentacolo primordiale… Sono stato io, in molte fredde albe, quando ero sicuro che nessuno mi vedesse, a tracciare con la vernice spray tutti quei graffiti astrologici su Corona Heights!”

— Donaldus — disse bruscamente Franz — tu sei dentro in questa faccenda da molto più tempo e in modo assai più approfondito di quanto mi hai detto… e c’è di mezzo anche la tua amichetta, a quanto sembra.

— Compagna — lo corresse Byers. — O, se preferisci, amante. Sì, è vero: da qualche anno è uno dei miei interessi secondari… primari, adesso. Ma cosa stavo dicendo? Oh, sì, Fa Lo Suee sa tutto. E anche le due che l’hanno preceduta: una famosa arredatrice e una tennista che era anche attrice. Clark, Klaas e Ricker sapevano. Sono stati le mie fonti. Ma sono morti. Quindi, capisci, io cerco di proteggere gli altri… e me stesso, fino a un certo punto. Considero le entità paramentali pericoli molto reali e presenti: una via di mezzo, in natura, tra la bomba atomica e gli archetipi dell’inconscio collettivo, che come sai comprendono parecchi personaggi estremamente pericolosi. Oppure una via di mezzo tra Charles Manson o un assassino dello Zodiaco e i fenomeni kappa, definiti da Meleta Denning in Gnostica. Oppure tra i rapinatori e gli spiriti elementari, o tra i virus dell’epatite e gli incubi. Sono tutte cose da cui un uomo sano di mente deve guardarsi.

“Ma ricorda questo, Franz — ammonì, versandosi altro cognac. — Nonostante le mie conoscenze precedenti, tanto più vaste e circostanziate delle tue, non ho mai visto un’entità paramentale. In questo, sei in vantaggio rispetto a me. E sembra che sia un grosso vantaggio.”

Guardò Franz con un’espressione che era insieme di avidità e di paura.

Franz si alzò. — Forse sì — replicò seccamente. — Almeno, ti porta a stare in guardia. Tu dici che stai cercando di proteggerti, ma ti comporti nel modo sbagliato. Proprio adesso… scusa se te lo dico, Donaldus… ti stai ubriacando al punto che saresti indifeso se un’entità paramentale…

L’altro inarcò le sopracciglia. — Tu credi che sapresti difenderti da loro, resistere, lottare, annientarle, se le avessi intorno? — chiese incredulo, alzando un po’ la voce. — Puoi fermare un missile atomico diretto in questo momento verso San Francisco attraverso la ionosfera? Puoi dare ordini ai germi del colera? Puoi abolire la tua Anima o la tua Ombra junghiane? Puoi dire al poltergeist “non bussare”? O alla Regina della Notte “resta fuori”? Non puoi montare la guardia ventiquattr’ore al giorno per mesi, per anni. Credimi, lo so bene. Un soldato rintanato in trincea non può cercare di prevedere se la prossima cannonata lo centrerà o no. Impazzirebbe, se tentasse. No, Franz, tutto quello che puoi fare è di sbarrare porte e finestre, accendere tutte le luci, e augurarti che i paramentali tirino innanzi e non si fermino da te. E cercare di dimenticarli. Mangia, bevi e sta’ allegro. Divertiti. Su, bevi qualcosa.

Si avvicinò a Franz, portando due bicchieri di cognac.

— No, grazie — disse aspramente Franz, e s’infilò il diario nella tasca della giacca, mentre sulla faccia di Byers compariva per un istante un’espressione di rammarico. Poi raccolse il binocolo rotto e l’infilò nell’altra tasca, pensando di colpo al binocolo del racconto di James Veduta dalla collina, che per magìa poteva vedere il passato perché era stato riempito di un liquido nero ricavato dalla bollitura di ossa che, quando si spezzavano, essudavano una sostanza stregata. Possibile che il suo binocolo fosse stato manomesso, in modo da mostrargli cose che non c’erano? Era un’idea assurda, e del resto adesso il binocolo era rotto.

— Scusami, Donaldus, ma devo andare — disse, avviandosi verso l’atrio. Sapeva che se fosse rimasto avrebbe accettato il liquore, il vecchio ciclo sarebbe ricominciato, e l’idea di perdere la coscienza e di non poterla riacquistare era orrenda.

Byers si affrettò a seguirlo. La sua ansia e le sue manovre per non versare il cognac sarebbero state comiche in altre circostanze e se lui non avesse detto in tono inorridito, lamentoso, supplichevole: — Non puoi uscire, è buio. Non puoi uscire, con quel vecchio diavolo o il suo paramentale che si aggira qui intorno. Su, bevi e passa la notte qui. Almeno, rimani per la festa. Se hai intenzione di montare la guardia, avrai bisogno di riposo e di svago. Sono sicuro che troverai una compagna simpatica. Le invitate sono tutte un po’ leggere, ma intelligenti. E se hai paura che il liquore ti annebbi la mente, ho un po’ di cocaina purissima. — Bevve da uno dei bicchieri, poi lo posò sul tavolo dell’ingresso. — Senti, Franz, anch’io ho paura… e tu sei pallido, da quando ti ho detto dove sono sepolte le ceneri di quel vecchio diavolo. Rimani per la festa, e bevi un bicchiere, uno solo… tanto per rilassarti un po’. In fondo, non ci sono altri sistemi, credimi. Ti stancheresti troppo, se cercassi di stare eternamente in guardia. — Barcollava un po’, e quasi piagnucolava, e inalberava il suo sorriso più accattivante.

Un’immensa stanchezza s’impadronì di Franz. Tese la mano verso il bicchiere, ma, non appena lo toccò, la ritrasse come se si fosse scottato.

— Sttt! — ammonì, mentre Byers stava per parlare, e gli afferrò il gomito.

Nel silenzio udirono uno scricchiolìo lievissimo, un suono metallico che terminò in uno scatto sommesso, come di una chiave fatta girare in una serratura. I loro occhi si voltarono verso la porta. Videro la maniglia d’ottone che girava.

— È Fa Lo Suee — disse Byers. — Devo togliere il catenaccio. — E si mosse.

— Aspetta! — mormorò Franz. — Ascolta! — Udirono un suono graffiante, che si ripeteva, come se una bestia intelligente facesse scorrere un artiglio, in cerchio, sulla parte esterna dell’uscio verniciato. Nella fantasia di Franz comparve la paralizzante immagine di una grossa pantera nera accovacciata contro l’altra parte di quel pannello bianco filettato d’oro, una pantera nera e dal pelo lucente, dagli occhi verdi, che incominciava a trasformarsi in qualcosa di più terribile.

— Uno dei suoi soliti scherzi — borbottò Byers, e tirò il catenaccio prima che Franz potesse impedirglielo.

La porta si aprì per metà e apparvero due piatte facce feline, pallide e triangolari, che luccicavano e stridevano: — Aiii-eee!

I due uomini arretrarono. Franz balzò da parte con gli occhi involontariamente socchiusi, di fronte a due figure lucenti, grigio-chiare, una più alta e una più minuta, che gli passarono accanto di corsa, avventandosi minacciosamente su Byers, il quale indietreggiava quasi piegato in due, con un braccio levato per proteggersi gli occhi e l’altro abbassato sull’inguine, mentre il bicchiere e la lieve pellicola di liquido ambrato che conteneva volavano in aria perché la sua mano li aveva abbandonati.

Incongruamente, i sensi di Franz registrarono gli odori del cognac, della canapa indiana e di un profumo intenso.

Le figure grigie avanzarono su Byers e lo afferrarono per l’inguine. Lui ansimò e balbettò, tentando debolmente di scacciarle; la più alta delle due figure disse, in tono divertito, con una voce in chiave di contralto, un po’ roca: — In Cina, signor Nayland Smith, abbiamo molti sistemi per far parlare gli uomini.

Poi il cognac finì sulla tappezzeria verde, il bicchiere indenne sul tappeto dorato, e la bellissima cinese fumatrice di hashish e la ragazza col volto da monella, partita quanto lei, si tolsero la maschera da gatta, ridendo come pazze e continuando a palpare e a solleticare vigorosamente Byers, e Franz comprese che entrambe, prima, avevano strillato “Jaime”, il primo nome di Byers.

La paura si era dileguata da Franz, ma la paralisi no. Anzi, si era estesa alle corde vocali, tanto che dal momento della strana irruzione delle due donne vestite di grigio al momento in cui lasciò la casa di Beaver Street non pronunciò una sola parola e rimase accanto al rettangolo buio della porta aperta, osservando con freddo distacco la scena nell’atrio.

Fa Lo Suee aveva una figura snella, piuttosto ossuta, il volto piatto dalla forte struttura ossea, occhi scuri paradossalmente resi opachi e insieme lucenti dalla marijuana (o da quello che era), e capelli neri e lisci. Le labbra erano rosse e sottili. Portava calze e guanti grigio-argento e un abito aderente di seta a coste dello stesso colore, in quello stile cinese che sembra sempre moderno. Con la mano sinistra continuava a fare il solletico a Byers nelle parti basse, con la destra cingeva la sottile vita della sua compagna.

La seconda ragazza era più bassa di lei di tutta la testa, quasi altrettanto snella, e aveva seni piccoli e molto sexy. Il suo volto era davvero felino: mento sfuggente e fronte bassa, da cui ricadevano su un lato i lisci capelli biondi. Dimostrava circa diciassette anni, e aveva l’aria di una marmocchia esperta. Ricordava qualcosa, a Franz, anche se questi, per il momento, non riusciva a ricordare che cosa. Portava una tuta color grigio chiaro, guanti grigio-argento, e un mantello grigio di stoffa leggera, che adesso pendeva da un lato, come i suoi capelli. Palpava Byers, maliziosamente, con entrambe le mani. Aveva l’orecchio roseo e una risatina perversa.

Le due maschere da gatta, gettate sul tavolo dell’atrio, erano bordate di lustrini argentei e avevano i baffi rigidi: conservavano lo spiacevole aspetto triangolare e appuntito che aveva agghiacciato Franz quando le aveva viste apparire.

Neanche Donaldus (o Jaime) pronunciò una parola veramente intelligibile prima che Franz se ne andasse, eccettuato qualche: “No!”; ma ansimava e strillava e balbettava molto, tra le risate. Stava ancora piegato e si contorceva, continuando a cercare invano di scacciare le mani che l’assalivano. La vestaglia viola, con la cintura sciolta, frusciava a ogni suo movimento.

Furono solo le donne, a parlare: all’inizio, anzi, parlò solo Fa Lo Suee. — Ti abbiamo fatto davvero paura, no? — Spiegò in fretta: — Jaime si spaventa facilmente, Shirl, soprattutto quando è sbronzo. È bastato grattare con la chiave la porta. Avanti, Shirl, dagli il fatto suo! — Poi, riprendendo il tono alla Fu Manchu: — Cosa stavate facendo, tu e il dottor Petrie? Nell’Honan, signor Nayland Smith, abbiamo un infallibile sistema cinese per accertare l’omosessualità. O forse sei ambidestro? Noi abbiamo l’antica sapienza dell’Oriente, tutta la tradizione tenebrosa che Mao Tse-tung ha dimenticato. Unita alla scienza occidentale, non ha rivali. (Dai, ragazza mia, così, senza paura!) Ricorda i miei thug e i miei dacoit, signor Smith, i miei scorpioni dorati e le mie scolopendre rosse lunghe quindici centimetri, i miei ragni neri con gli occhi di diamante che attendono nel buio e poi ti balzano addosso! Ti piacerebbe che te ne infilassi uno nelle mutande? Ripeto: cosa stavate facendo tu e il dottor Petrie? Bada a quello che dici. La mia assistente, Shirley Soames (continua, Shirl!) ha una memoria che sembra una trappola per topi. Nessuna menzogna passerà inosservata.

Franz, impietrito, aveva la sensazione di guardare granchi e anemoni di mare che correvano e afferravano, fronde che si tendevano, chele e bocche di fiori che si aprivano e si chiudevano in un acquario. L’infinita commedia della vita.

— Oh, a proposito, Jaime, ho risolto il problema del diario di Smith — disse Fa Lo Suee, in tono vivace e disinvolto, mentre le sue mani diventavano ancora più attive. — Questa è Shirl Soames (gli stai facendo colpo, ragazza mia!) che da anni e anni è assistente di suo padre nella libreria Gray’s Inn, nell’Haight. E ricorda l’intera faccenda, anche se è stato quattro anni fa, perché ha davvero una memoria che sembra una trappola per topi.

Il nome “Gray’s Inn” si accese come un’insegna al neon nella mente di Franz. Come aveva potuto dimenticarsene?

— Oh, le trappole ti fanno paura, vero, Nayland Smith? — continuò Fa Lo Suee. — Sono crudeli con gli animali, no? Sentimentalismo occidentale. Ti faccio sapere, per tua edificazione, che la nostra Shirl Soames, qui presente, è capace di mordere, oltre che di mordicchiare deliziosamente.

Mentre diceva questo, Fa Lo Suee fece scorrere la mano destra guantata di seta lungo il sedere della ragazza, e verso l’interno, fino a quando parve che la punta del dito medio si fosse posata a metà strada fra gli orifici esterni dell’apparato riproduttivo e di quello digerente. La ragazza dimenò i fianchi da sinistra a destra, in un arco cortissimo.

Freddamente, clinicamente, Franz prese nota di quelle azioni e del fatto che in altre circostanze sarebbe stato un gesto eccitante, capace di mettere anche a lui la voglia di fare altrettanto a Shirley Soames. Ma perché lei, in particolare? Riaffiorò qualche frammento di un ricordo inquietante.

Fa Lo Suee notò Franz e girò la testa. Gli rivolse un sorriso molto compassato, con gli occhi vitrei, e disse in tono grave: — Ah, lei dev’essere Franz Westen, lo scrittore che ha telefonato stamattina a Jaime. Dunque anche a lei interesserà quello che ha da dire Shirley.

“Shirley, smettila di tormentare Jaime. Ne ha avuto abbastanza. È lui, il signore in questione?” E, senza togliere la mano, girò delicatamente la ragazza verso Franz.

Dietro di loro Byers, ancora piegato in due, stava tirando profondi respiri misti a risatine, mentre cominciava a riprendersi dal trattamento subito.

Con gli occhi illuminati dall’anfetamina, la ragazza squadrò Franz. E lui si rese conto che conosceva quella piccola faccia felina e furba (la faccia di un gatto che lecca la panna), anche se la ricordava su un corpo ancora più magro, e più piccolo di tutta una testa.

— È proprio lui — disse Shirley, in un tono rapido e brusco che aveva ancora qualcosa della ragazzina. — Esatto, signore? Quattro anni fa hai comprato due vecchi libri legati insieme, di un lotto che era lì da anni e che mio padre aveva comprato da un certo George Ricker. Eri ubriaco, proprio ubriaco fradicio! Siamo andati insieme fra gli scaffali, e io ti ho toccato, e tu avevi un’aria così strana. Hai pagato venticinque dollari per quei vecchi libri. Credevo che tu pagassi per avere la possibilità di palparmi. È così? Tanti uomini anziani lo facevano. — Lesse qualcosa nell’espressione di Franz: i suoi occhi s’illuminarono, e proruppe in una risatina roca. — No, ci sono! Hai pagato tanto perché ti sentivi colpevole, perché eri così ubriaco che credevi (è proprio da ridere!) di avermi molestata, mentre ero stata io, nel mio soave modo di bambina, a molestare te! Ero bravissima a molestare, era stata la prima cosa che mi aveva insegnato il mio caro papà. Ho imparato con lui. Ed ero la grande attrazione del negozio di papà, e lui lo sapeva! Ma avevo già scoperto che con le donne era meglio.

Intanto continuava a dimenare i fianchi, lascivamente, inclinandosi un po’ all’indietro. Adesso portò dietro i fianchi la mano destra, presumibilmente per posarla su quella di Fa Lo Suee.

Franz guardò Shirley Soames e gli altri due, e comprese che quanto aveva detto la ragazza era vero, e comprese anche che era così che Jaime Donaldus Byers sfuggiva alle sue paure (e Fa Lo Suee alle sue?). E senza una parola, senza cambiare l’espressione piuttosto stupida, si voltò e uscì dalla porta aperta.

Fu assalito da una fitta acuminata (“Sto abbandonando Donaldus!”) e da due pensieri fuggevoli (“Shirl Soames e i suoi toccamenti erano il ricordo tenebroso, muffito, tentacolare, che ho avuto sulla scala ieri mattina” e: “Fa Lo Suee immortalerebbe quel momento raffinato nell’argento, magari intitolandolo L’oca amorosa?”) ma tutto questo non bastò a indurlo a soffermarsi e a cambiare idea. Mentre scendeva i gradini, nella luce che filtrava intorno a lui dalla porta, i suoi occhi stavano già controllando sistematicamente l’oscurità che gli si stendeva davanti, in cerca di presenze ostili. Ogni angolo, ogni area aperta, ogni tetto in ombra, ogni abbaino. Quando arrivò sulla strada, la luce che lo circondava svanì: la porta alle sue spalle si era chiusa senza far rumore. Per lui fu un sollievo: adesso era un bersaglio meno vistoso, nella piena tenebra d’onice che tornava a rinserrarsi su San Francisco.

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