19

Byers bevve una generosa sorsata di cognac, se la fece passare sulla lingua con soddisfazione, e poi si appoggiò alla spalliera della poltrona.

— Nel 1900, con il secolo nuovo — incominciò in tono drammatico — Thibaut De Castries era giunto nell’assolata e vivace San Francisco come un portento tenebroso, scaturito dai reami orientali del freddo e del fumo di carbone, dove pulsava l’elettricità di Edison e dove si levavano i grattacieli di Sullivan dall’anima d’acciaio. Madame Curie aveva appena annunciato al mondo l’esistenza della radioattività, e la radio di Marconi superava i mari. Madame Blavatsky aveva importato dall’Himalaia le misteriose conoscenze della teosofia e aveva trasmesso la torcia dell’occulto ad Annie Besant. L’astronomo reale scozzese Piazzi Smith aveva scoperto la storia del mondo e il suo tremendo futuro nella galleria principale della grande piramide d’Egitto. Intanto, in tribunale, Mary Naker Eddy e le sue principali accolite si scagliavano l’un l’altra accuse di stregoneria e di magìa nera. Spencer predicava la scienza. Ingersoll tuonava contro la superstizione. Freud e Jung s’immergevano nelle sconfinate tenebre del subconscio. Prodigi mai sognati erano stati presentati all’Esposizione universale di Parigi, per la quale era stata eretta la Torre Eiffel, e all’Esposizione mondiale colombiana di Chicago. New York scavava le gallerie della sua sotterranea. Nel Sudafrica, i boeri sparavano contro i cannoni britannici, costruiti da Krupp in acciaio a prova di esplosione. Nel lontano Catai infuriavano i Boxer, che si credevano invulnerabili alle pallottole grazie alla loro magìa. Il conte Von Zeppelin dava il varo al suo primo dirigibile, mentre i fratelli Wright si preparavano al primo volo.

“De Castries portava con sé soltanto una grande valigia nera Gladstone, piena di copie del suo libro mal stampato, che non si riusciva a vendere più di quanto Melville non riuscisse a vendere il suo Moby Dick, e una testa zeppa di idee fenomenali, tenebrose e insieme illuminanti; e inoltre (affermano alcuni) una grossa pantera nera, tenuta al guinzaglio con una catena d’argento alla moda tedesca. E secondo altri era anche accompagnato, o perseguitato, da una donna misteriosa, alta e flessuosa, che portava sempre un velo nero e ampi abiti scuri che sembravano di foggia orientale, e che aveva la caratteristica di apparire e sparire all’improvviso. Comunque De Castries era un uomo magro e muscoloso, instancabile, piuttosto piccolo, con l’aria da aquila, gli occhi penetranti e una piega ironica sulle labbra, e indossava la propria fama come un mantello da sera.

“Correvano dieci voci diverse sulle sue origini. Alcuni dicevano che lui stesso ne improvvisava una nuova ogni sera, e alcuni che erano tutte inventate da altri, ispirati dal suo aspetto cupo e dal suo magnetismo personale. La versione prediletta da Klaas e Ricker era moderatamente spettacolare: a tredici anni, durante la guerra franco-prussiana, De Castries era fuggito da Parigi assediata salendo su un pallone all’idrogeno, insieme con il padre mortalmente ferito, che era un esploratore dell’Africa nera, alla giovane, bellissima e colta amante polacca del padre, e a una pantera nera (non la stessa) che suo padre aveva catturato nel Congo e che avevano appena salvato nel giardino zoologico, dove i parigini affamati uccidevano gli animali selvatici per mangiarseli. (Naturalmente, un’altra leggenda affermava che a quell’epoca De Castries era il giovanissimo portamessaggi di Garibaldi in Sicilia, e che suo padre era il più rispettato e temuto dei Carbonari.)

“Volando rapidamente verso sudest sul Mediterraneo, il pallone incontrò a mezzanotte un temporale che pur aumentandone la velocità lo fece abbassare sempre di più verso le onde dai bianchi artigli. Immagina la scena, rivelata dalla successione dei lampi, nella cesta del pallone, fragile e troppo carica. La pantera sta acquattata in un angolo, ringhiando e soffiando e agitando la coda, e i suoi artigli sono piantati nei vimini con tanta forza da minacciare di spezzarli. I volti del padre morente (un vecchio falco), del ragazzo ansioso e con gli occhi lampeggianti (già un aquilotto), e della giovane donna fiera, intellettuale, ardentemente fedele… tutti disperati e pallidi come la morte, nell’azzurrognolo bagliore dei lampi. Intanto, il tuono risuona assordante, come se l’atmosfera della notte venisse lacerata o cannoni enormi sparassero nelle loro orecchie. All’improvviso la pioggia, sulle loro labbra, assume un sapore salmastro. Gli spruzzi delle fameliche onde.

“Il padre moribondo afferra la mano destra degli altri due, le congiunge, le stringe per un attimo, ansima qualche parola (che si perde nel vento furioso) e con un ultimo sforzo convulso si getta nel vuoto.

“Il pallone balza verso l’alto, esce dal temporale, e continua a volare verso sudest. Agghiacciati e atterriti, ma decisi, i due giovani stanno raggomitolati uno tra le braccia dell’altra. Nell’angolo opposto, la pantera nera, più calma, li fissa con gli enigmatici occhi verdi. E a sudest, dove si stanno dirigendo, la falce della luna appare sopra le nubi, come la corona di strega della Regina della Notte, imponendo sulla scena il suo suggello.

“Il pallone atterra nel deserto egiziano, nei prezzi del Cairo, e il giovane De Castries s’immerge subito nello studio della grande piramide, assistito dalla giovane amante polacca del padre (che adesso era diventata la sua amante) e aiutato dal fatto che discendeva, per parte di madre, da Champollion, il decifratore della Stele di Rosetta. Fa tutte le scoperte di Piazzi Smith (e ne fa qualche altra, che tiene segreta) con dieci anni d’anticipo, e getta le basi della sua nuova scienza delle supercittà (e anche le basi del suo Grande Cifrario), prima di lasciare l’Egitto per andare a studiare le megastrutture e i criptoglifici (lui li chiamava così) e i paramentali in tutto il mondo.

“Vedi, il legame con l’Egitto mi affascina — disse Byers, interrompendosi per versarsi altro cognac. — Mi fa pensare al Nyarlathotep di Lovecraft, venuto dall’Egitto per tenere conferenze pseudoscientifiche che annunciavano la disgregazione del mondo.”

L’accenno a Lovecraft ricordò qualcosa a Franz, che esclamò: — Ehi, ma Lovecraft non aveva, tra i clienti delle sue revisioni, anche un tale con un nome simile a Thibaut De Castries?

Byers spalancò gli occhi. — In verità, sì. Adolphe De Castro.

— Sono molto simili! Non credi che…?

— … che fossero la stessa persona? — Byers sorrise. — La possibilità è venuta in mente anche a me, mio caro Franz, e c’è una cosa da aggiungere in proposito: Lovecraft chiamava Adolphe De Castro “amabile ciarlatano” e “vecchio ipocrita untuoso” (pagava a Lovecraft, che glieli riscriveva completamente, meno di un decimo del compenso ottenuto per i suoi racconti). Ma no… — Sospirò, smorzando il sorriso. — No, De Castro era ancora vivo e assillò Lovecraft e andò a trovarlo a Providence, dopo la morte di De Castries.

“Per ritornare a quest’ultimo, non sappiamo se la sua giovane amante polacca l’accompagnasse, e se fosse lei la misteriosa donna velata che, come dicevano alcuni, era comparsa a San Francisco contemporaneamente a lui. Ricker pensava di sì. Klaas invece ne dubitava. Ricker era piuttosto propenso a romanzare il personaggio della polacca. La presentava come una brillante pianista (lo si dice sempre dei polacchi, no? la colpa è tutta di Chopin) che aveva trascurato il proprio talento per porre tutta la sua sorprendente conoscenza delle lingue e le sue doti di segretaria… e tutte le consolazioni del suo corpo giovane e ardente… al servizio del genio ancor giovane che lei adorava con una devozione superiore a quella con cui aveva adorato il padre.”

— E come si chiamava? — chiese Franz.

— Non sono mai riuscito a saperlo — rispose Byers. — Klaas e Ricker l’avevano dimenticato, oppure, più probabilmente, era uno dei particolari che il vecchio aveva tenuto segreti. E poi c’è qualcosa di compiuto nella frase “la giovane amante polacca di suo padre”: cosa potrebbe esserci di più esotico e seducente? Fa pensare ai pianoforti, a oceani di trine, a champagne e pistole! Perché, dietro la sua maschera dotta e serena, lei aveva un temperamento forte e collerico, o almeno così la descriveva Ricker. Quando s’infuriava, sembrava sul punto di esplodere, come una bambola di pezza imbottita di esplosivo. I fellahin avevano paura di lei, la credevano una strega. Era stato durante gli anni del soggiorno in Egitto che aveva preso l’abitudine di portare il velo, diceva Ricker.

“Altre volte era incredibilmente seducente, il culmine della seduzione europea, e iniziava De Castries alle pratiche erotiche più voluttuose e cercava di rendere più ampia e profonda la sua conoscenza della natura e dell’arte.

“Comunque, De Castries, quando è arrivato nella città del Golden Gate, aveva, acquisita chissà come, la fama di uomo tenebroso e satanico. Immagino che fosse un po’ come il satanista Anton La Vey (che per qualche tempo si è tenuto in casa un leone più o meno domestico; lo sapevi?). Tuttavia non aspirava al solito tipo di pubblicità. Cercava invece persone brillanti e indipendenti, amanti della vita più scatenata, e se avevano anche parecchio denaro, questo non guastava.

“E naturalmente le ha trovate! Il prometeico (e dionisiaco) Jack London. George Sterling, poeta fantastico e idolo romantico, favorito del ricco ambiente del Bohemian Club. Il loro amico, il brillante avvocato Earl Rogers, che in seguito difese Clarence Darrow e gli salvò la carriera. Ambrose Bierce, un vecchio stizzoso, anche lui un’aquila, con il suo Dizionario del diavolo e i suoi racconti dell’orrore incomparabili nella loro sintesi. La poetessa Nora May French. Una leonessa di montagna: Charmion London, e una che non le era molto da meno: Gertrude Atherton. Ed erano solo i più vivaci, questi.

“E, com’è ovvio, si sono buttati con entusiasmo su De Castries. Lui era proprio il tipo di curiosità vivente che prediligevano. Jack London soprattutto. Una misteriosa origine cosmopolita, aneddoti alla Munchhausen, teorie scientifiche bizzarre e allarmanti, forti preconcetti anti-industriali e (diremmo noi) anti-Establishment, un pizzico di Apocalisse, un’atmosfera da fine del mondo, gli accenni a poteri tenebrosi: c’era tutto! Per molto tempo è stato il loro prediletto, il guru preferito del sentiero della mano sinistra, quasi il loro nuovo dio: e immagino che lui si sentisse tale. Acquistavano perfino copie del suo nuovo libro e se ne stavano seduti senza parlare (ma bevendo) mentre lui lo leggeva. I puri egoisti come Bierce lo sopportavano, e London, per un po’, gli ha lasciato tutto il palcoscenico libero: poteva permetterselo. Ed erano tutti disposti (almeno a parole) ad assecondare il suo sogno di un’utopia in cui gli edifici megalopolisotani erano proibiti (erano stati distrutti o in qualche modo domati) e la paramentalità veniva sfruttata per usi benefici, ed essi erano l’aristocrazia e De Castries il maestro spirituale di tutti.

“Naturalmente molte delle signore ne erano innamorate, e alcune, immagino, smaniavano dalla voglia di andare a letto con lui e non disdegnavano di prendere l’iniziativa al riguardo (non dimenticare che per il loro tempo erano donne libere e amanti dei gesti plateali)… eppure non risulta che De Castries abbia mai avuto una relazione con una di loro. Tutto il contrario. A quanto pare, quando le cose arrivavano a quel punto, lui diceva più o meno: ‘Mia cara, non chiederei di meglio, davvero, ma devo dirti che ho un’amante selvaggia e gelosa che, se mi azzardassi a flirtare con te, mi taglierebbe la gola mentre dormo o mi pugnalerebbe in bagno’ (lui era un po’ come Marat, vedi, Franz, ed è peggiorato ancora nei suoi ultimi anni) ‘e inoltre butterebbe il vetriolo sulle tue guance e sulle tue labbra incantevoli, mia cara, o ti pianterebbe uno spillone in quegli occhi bellissimi. È molto versata nelle materie occulte, ma è una tigre.’

“De Castries presentava così quella creatura (immaginaria?) tanto che qualche volta non si capiva bene se era una vera donna o una dea o una specie di entità metaforica. ‘È uno spietato animale notturno’, diceva di lei. ‘Eppure possiede una sapienza che risale all’Egitto e a tempi ancora più antichi… e per me è inestimabile. Perché, vedete, è lei la mia spia degli edifici, la mia informatrice sulle megastrutture metropolitane. Conosce i loro segreti e le loro segrete debolezze, i loro ritmi ponderosi e i loro cupi canti. E lei stessa è segreta quanto le loro ombre. È la mia Regina della Notte, Nostra Signora delle Tenebre’.”

Mentre Byers recitava in tono drammatico quelle parole di De Castries, Franz ricordò fulmineamente che Nostra Signora delle Tenebre era una delle Signore del Dolore di De Quincey, la terza sorella, la più giovane, perpetuamente velata di nero. De Castries l’aveva saputo? La sua Regina della Notte era forse quella di Mozart, onnipotente, vulnerabile solo al flauto magico di Tamino e alle campanelle di Papageno? Ma Byers stava continuando:

— Perché vedi, Franz, c’erano quelle continue dicerie, disprezzate da alcuni, secondo le quali De Castries veniva visitato o perseguitato da una donna velata che indossava vesti ampie e fluenti e un turbante oppure un grande cappello a tesa floscia, e che tuttavia era sveltissima nei movimenti. Li vedevano insieme in qualche strada affollata, o all’Embarcadero o in un parco, o in fondo a qualche affollato foyer di teatro, e di solito parlavano rapidamente e gesticolavano eccitati o irritati; ma quando ci si avvicinava a lui, lei se n’era già andata. Oppure, se lei era ancora lì, come sembra che sia avvenuto in qualche rara occasione, De Castries non la presentava mai, non le parlava: si comportava, insomma, come se non la conoscesse. Però, sembrava irritato e… diceva qualcuno… spaventato.

— E lei come si chiamava? — insistette Franz.

Byers sorrise. — Come ti ho appena detto, mio caro Franz, De Castries non la presentava mai. Al massimo, ne parlava designandola come “quella donna”, e talvolta, curiosamente, “quella ragazza testarda e pestifera”. Forse, nonostante tutto il suo fascino tenebroso e le sue tirannie e la sua fama sadomasochista, aveva paura delle donne, e in un certo senso lei incarnava quella paura.

“Le reazioni a quella figura misteriosa erano quanto mai diverse. Gli uomini erano piuttosto indulgenti, perplessi, e formulavano ipotesi, qualche volta assurde: di volta in volta si è detto che lei era Isadora Duncan, Eleonora Duse e Sarah Bernhardt, anche se a quell’epoca avrebbero avuto rispettivamente vent’anni, quaranta e sessanta. Ma il vero fascino è eterno, dicono: pensa a Marlene Dietrich o ad Arletty, o alla più vecchia di tutte, Cleopatra. Portava sempre il velo nero che la nascondeva, capisci, anche se talvolta era ornato di pois neri, simili a nèi: ‘Come se avesse avuto il vaiolo nero’, pare che abbia detto malignamente una signora.

“Tutte le donne, del resto, la detestavano cordialmente.

“Beninteso, è probabile che tutto ciò sia un po’ distorto, dato che l’ho saputo da Klaas e Ricker. Quest’ultimo, che dava molta importanza alla sapienza e alla magìa dell’Egitto, era comunque convinto che la donna del mistero fosse sempre l’amante polacca, impazzita per amore, e criticava De Castries per il modo in cui la trattava.

“E, naturalmente, tutto questo lasciava la strada aperta a interminabili speculazioni sulla vita sessuale di De Castries. Alcuni dicevano che era omosessuale. Perfino a quei tempi, la ‘serena città grigia dell’amore’ (come la chiamava Sterling) aveva i suoi omofili: era la ‘serena città gay’? Altri ritenevano che fosse un sadomasochista: schiavitù e disciplina del tipo più feroce. (Tra parentesi, certi si sono strozzati accidentalmente in questo modo, sai?) E si diceva sottovoce che era un pederasta, un depravato, un feticista, un individuo completamente asessuato, o che solo le bambine potevano soddisfare le sue brame, uguali a quelle di Tiberio… Scusa se ti parlo di queste cose, Franz, ma in pratica venivano citati tutti i sentieri della mano sinistra e le loro tipiche guide.

“Comunque, in realtà tutto questo è secondario. L’importante è che, per qualche tempo, De Castries poté indurre il suo scelto gruppo a fare quel che voleva lui.”

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