21

— E adesso — fece Byers, abbassando la voce — devo parlarti dell’ultimo accolito di Thibaut De Castries e della fine del vecchio stregone. Ricorda che durante questo periodo dobbiamo immaginarlo come un vecchio curvo, quasi sempre taciturno, sempre depresso, sulla strada della paranoia. Per esempio, aveva la mania di non toccare le superfici e gli infissi di metallo, perché i suoi nemici cercavano di fulminarlo con la corrente elettrica. Qualche volta aveva paura che gli avvelenassero l’acqua del rubinetto. Usciva assai di rado, per timore che una macchina salisse sul marciapiede e lo investisse, dato che non era abbastanza agile per schivarla; o che un nemico gli fracassasse il cranio con un mattone o con una tegola gettati dall’alto di un tetto. Nel contempo cambiava spesso albergo, per far perdere le sue tracce. Ormai i suoi soli contatti con i conoscenti di un tempo erano gli ostinati tentativi di recuperare e bruciare tutte le copie del suo libro, anche se forse continuava ancora a ricattare e magari anche a mendicare. Ricker e Klaas hanno assistito a uno di questi roghi librari. Una faccenda grottesca. De Castries aveva bruciato due copie nella vasca da bagno. Loro ricordavano di avere aperto le finestre e di avere sventolato un giornale per far uscire il fumo. A parte un paio di eccezioni, Ricker e Klaas erano i suoi unici visitatori: anche loro erano tipi solitari ed eccentrici, e già falliti quanto lui, sebbene allora fossero solo sulla trentina.

“Poi è arrivato Clark Ashton Smith: aveva la stessa età ma traboccava di poesia, d’immaginazione e d’energia creativa. Clark era stato molto colpito dall’atroce morte di George Sterling, ed era andato in cerca di tutti gli amici e i conoscenti del suo mentore poetico. De Castries sentì riaccendersi la vecchia fiamma. Aveva davanti a sé un altro di quei tipi brillanti e vivaci che aveva sempre cercato. Ha provato la tentazione (e alla fine vi ha ceduto interamente) di usare per l’ultima volta il suo formidabile fascino, di raccontare le sue storie favolose, di esporre in modo convincente le sue bizzarre teorie, e d’intessere i suoi incantesimi.

“E Clark Ashton, amante del bizzarro e del bello, estremamente intelligente, eppure sotto certi punti di vista giovane e provinciale, emotivamente turbolento, era un ascoltatore ideale. Per parecchie settimane ha rinviato il suo ritorno a Auburn, sguazzando timorosamente nel mondo minaccioso e pieno di prodigi e stranamente reale che il vecchio Tiberio, l’imperatore-spaventapasseri del terrore e dei misteri, gli ridipingeva ogni giorno; una San Francisco piena di lugubri entità mentali, più reali degli esseri viventi. È facile capire perché la metafora di Tiberio abbia colpito la fantasia di Clark. A un certo punto ha scritto… Aspetta un momento, Franz, prendo la fotocopia.”

— Non ce n’è bisogno — disse Franz, estraendo dalla tasca della giacca l’originale del diario. Uscì fuori anche il binocolo, che cadde sul folto tappeto con il tintinnio dei pezzi di cristallo delle lenti rotte.

Lo sguardo di Byers lo seguì, con curiosità morbosa.

— Dunque quello è il binocolo (attento, Franz!) che ha visto parecchie volte un’entità paramentale e alla fine ne è stato distrutto. — Poi girò gli occhi sul diario. — Franz, furbacchione! Sei venuto preparato almeno in parte a questa conversazione, prima ancora di salire su Corona Heights!

Franz raccolse il binocolo e lo posò sul tavolinetto accanto al portacenere stracolmo, mentre girava rapidamente gli occhi sulla stanza e sulle finestre, dove l’oro si era un po’ oscurato. Disse, in tono blando: — Mi sembra che anche tu mi abbia nascoste varie cose. Adesso dici che è stato Smith a scrivere il diario, ma nell’Haight e perfino nelle lettere che ci siamo scambiati in seguito dicevi di non essere sicuro.

— Hai ragione — ammise Byers con uno strano sorrisetto, forse di vergogna. — Ma mi sembrava saggio fare in modo che lo sapesse il minor numero possibile di persone. Adesso, naturalmente, tu ne sai quanto me, o almeno lo saprai tra qualche minuto, ma… La più banale delle frasi fatte è: “Ci sono certe cose che l’uomo non deve conoscere”; però qualche volta penso che sia valida per quanto riguarda Thibaut De Castries e il paranaturale. Posso vedere il diario?

Franz glielo diede. Byers lo prese come se fosse stato un uovo; l’aprì delicatamente, rivolgendo un’occhiata di rimprovero all’ospite, e con la stessa delicatezza girò un paio di pagine. — Sì, ecco qui. “Oggi, tre ore al Rodi 607. Che luogo, per un genio! Com’è prosaiko!… così scriverebbe Howard. Eppure Tiberio è davvero un Tiberio, e dispensa con avarizia i tenebrosi segreti appresi da Trasillo in questa cavernosa Capri chiamata San Francisco, al suo spaventato e giovane erede Caligola (Cielo! Non io!). E mi domando tra quanto diventerò anch’io pazzo.”

Mentre terminava di leggere a voce alta, Byers prese a sfogliare le pagine seguenti, una alla volta, e continuò anche quando arrivò a quelle in bianco. Di tanto in tanto alzava lo sguardo verso Franz, ma esaminava minuziosamente ogni pagina con gli occhi e con le dita prima di voltarla.

Disse, in tono discorsivo: — Vedi, Clark considerava San Francisco una moderna Roma: entrambe le città hanno sette colli. Dalla sua provinciale cittadina di Auburn, aveva visto George Sterling e gli altri vivere come se tutta la loro vita fosse una festa da antichi romani. E Carmel, forse, per lui corrispondeva a Capri, che era la Piccola Roma di Tiberio, con divertimenti e piaceri più raffinati. I pescatori portavano al vecchio imperatore le aragoste appena prese, Sterling si tuffava per prendere con il coltello le patelle giganti. Naturalmente, Rhodes era la Capri della prima maturità di Tiberio. Naturalmente, capisco perché Clark non voleva essere Caligola. “L’arte, come il barista, non è mai ubriaca”… o veramente schizofrenica. Ehi, e questo cos’è?

Passò delicatamente l’unghia sull’orlo del foglio. — È chiaro che non sei un bibliofilo, caro Franz. Avrei dovuto rubarti il diario quella sera all’Haight, come mi era venuta l’intenzione di fare: ma nella tua sbronza c’era qualcosa di cavalieresco che ha colpito la mia coscienza, e la coscienza non è mai una buona guida. Ecco!

Con un lievissimo scricchiolìo, la pagina si divise in due rivelando lo scritto nascosto in mezzo.

Byers riferì: — È nero, come se fosse fresco… Inchiostro di china, senza dubbio… Ma è scritto con mano molto leggera per non intaccare la carta. Poi qualche goccia di gomma arabica, pochissima per non lasciare grinze… ed è fatta! È perfettamente nascosto. L’oscurità dell’ovvio. “Sulle loro vesti c’è uno scritto che nessun uomo può vedere…” Oh, povero me, no!

Distolse risolutamente gli occhi dal testo che aveva cominciato a leggere mentre parlava. Poi si alzò, reggendo il diario a braccia tese, e si sedette vicino a Franz (così vicino che Franz sentì l’odore di cognac del suo alito), tenendo sollevate davanti ai loro volti le due pagine appena liberate. Era scritta solo quella di destra, in caratteri nerissimi e sottilissimi, tracciati nitidamente e ben diversi dalla scrittura di Smith.

— Grazie — disse Franz. — È molto strano. Avrò sfogliato le pagine una decina di volte.

— Ma non le hai esaminate a una a una, minuziosamente, con la profonda diffidenza del vero bibliofilo. La sigla indica che è stato scritto dal vecchio Tiberio in persona. E lo leggo insieme a te non tanto per cortesia quanto per paura. Quando ho dato un’occhiata alla frase iniziale, ho avuto la sensazione di non doverlo leggere da solo. In questo modo mi sento più sicuro: almeno, si condivide il pericolo.

Insieme, in silenzio, lesserò.


La MALEDIZIONE su Clark Ashton Smith e tutti i suoi eredi, che ha creduto di rubarmi il cervello e di fuggire, ipocrita agente dei miei vecchi nemici. Su di lui la Lunga Morte (il tormento paramentale!) quando tornerà indietro come fanno tutti gli uomini. Il fulcro (O) e il Cifrario (A) saranno qui, al suo amato Rodi 607. Io riposerò nel mio luogo designato (1) sotto lo Scanno del Vescovo, le ceneri più pesanti che lui abbia mai sentite. Poi, quando i pesi saranno su, sul Monte Sutro (4) e su Monkey Clay (5) [(4) + (1) = (5)], la sua vita SIA schiacciata. Trascritto in Cifrario nel mio Libro 50 (A). Va’, mio piccolo libro (B), va’ nel mondo, e resta in attesa nelle edicole e sta’ in agguato sugli scaffali, finché non giunga l’ignaro acquirente. Va’, mio piccolo libro, e spezza qualche collo!

TdC


Mentre Franz finiva di leggere, la sua mente turbinava di così tanti nomi di luoghi e di cose, familiari ed estranei che dovette farsi forza per ricordarsi di controllare ancora una volta le finestre e le porte e gli angoli del lussuoso soggiorno di Byers, che ormai si riempivano di ombre. Non riusciva a immaginare cosa significasse la frase “quando i pesi saranno su”; ma presa insieme a “le ceneri più pesanti” gli faceva pensare al vecchio schiacciato a morte dalle pietre pesanti posate una dopo l’altra su un’asse che gli premeva sul petto, per essersi rifiutato di testimoniare al processo per stregoneria a Salem nel 1692, quasi fosse possibile strappare a forza una confessione, come se fosse un ultimo respiro.

— “Monkey Clay” — mormorò sconcertato Byers. — “Scimmia d’argilla”? La povera umanità sofferente, modellata nella polvere?

Franz scosse la testa. E fra tutto, pensò, c’era ancora quel maledetto e sconcertante Rodi 607, che continuava a riaffiorare e che in un certo senso aveva dato l’avvio all’intera faccenda.

E pensare che possedeva quel libro da anni e non ne aveva mai scoperto il segreto. Induceva un individuo a sospettare e diffidare di tutte le cose che gli erano più vicine, dei suoi averi più familiari. Cosa poteva essere nascosto nella fodera dei vestiti, o nella tasca destra dei calzoni (oppure, per una donna, nella borsetta o nel reggiseno), oppure nella saponetta con cui ci si lavava, e che poteva contenere una lametta da rasoio…

E pensare che aveva sotto gli occhi, finalmente, la scrittura di De Castries, così nitida eppure così angolosa.

C’era un particolare che lo sconcertava per un altro motivo. — Donaldus — disse — com’è possibile che De Castries si sia impadronito del diario di Smith?

Byers esalò un lungo sospiro saturo d’alcool, si massaggiò la faccia (Franz prese il diario perché non cadesse) e mormorò: — Oh, quello. Klaas e Ricker mi avevano detto che De Castries era molto preoccupato e offeso, quando Clark era tornato ad Auburn senza avvertirlo, dopo che era andato a trovare il vecchio ogni giorno per circa un mese. De Castries era così sconvolto che è andato nella modesta pensione di Clark e si è spacciato per suo zio: perciò gli hanno consegnato la roba che Smith aveva lasciato lì quando se n’era andato in fretta e furia. “La terrò io per il piccolo Clark”, disse De Castries a Klaas e a Ricker; e in seguito, una volta che i due gli avevano detto di avere ricevuto notizie da Smith, aggiunse: “Gli ho spedito la sua roba”. Quei due non hanno mai sospettato che il vecchio ce l’avesse con Clark.

Franz annuì. — Ma allora come mai il diario (che adesso racchiudeva la maledizione) era finito dove l’ho trovato io?

Byers rispose, con voce stanca: — Chi lo sa? La maledizione, comunque, mi ricorda un altro aspetto del carattere di De Castries, di cui non ti ho ancora accennato: la sua passione per gli scherzi crudeli. Nonostante la sua morbosa paura dell’elettricità, aveva una sedia (Ricker l’aveva aiutato a costruirla) con il cuscino che dava una scossa: la usava con i rappresentanti di commercio e le venditrici, i bambini e gli altri visitatori non graditi. La cosa l’ha messo nei pasticci con la polizia. Una ragazza che era andata a offrirsi come dattilografa si è bruciata il sedere. Adesso che ci penso, qui c’è un tocco di genuino sadismo, vero? L’elettricità… portatrice di scosse e di dolore. Gli scrittori non parlano forse di “baci che danno la scossa elettrica”? Ah, il male che si annida nei cuori degli uomini! — concluse in tono sentenzioso.

Si alzò, lasciando il diario nelle mani di Franz, e tornò a sedere al proprio posto.

Franz lo guardò con aria interrogativa, tendendo il diario di Smith verso di lui, ma il suo anfitrione disse, versandosi un altro bicchiere di cognac: — No, tienilo tu. È tuo. Dopotutto, sei stato tu a comprarlo. Ma, per amor del Cielo, abbine cura! È un pezzo molto raro.

— Ma tu cosa ne pensi, Donaldus? — chiese Franz.

L’altro scrollò le spalle e cominciò a sorseggiare. — Un documento agghiacciante, davvero — disse, sorridendo a Franz, come se fosse ben felice che se lo tenesse l’altro. — Ed è rimasto davvero in attesa nelle edicole e sugli scaffali per molti anni, a quanto pare. Franz, proprio non ricordi dove l’hai comprato?

— Ho provato mille volte a farmelo tornare in mente — rispose Franz, con voce piena di rammarico. — Era nell’Haight, di questo sono sicuro. Si chiamava… In Group? Black Spot? Black Dog? Grey Cockatoo? No, niente di tutto questo, eppure ho provato centinaia di nomi. Credo che c’entrasse la parola “Black”, ma mi pare che il proprietario fosse un bianco. E c’era una bambina, forse la figlia, che l’aiutava. Non era tanto bambina, per l’esattezza: era pienamente sviluppata, mi sembra di ricordare, e se ne rendeva ben conto. Si strusciava addosso a me… È tutto molto vago. E poi mi sembra di rammentare (ero ubriaco, naturalmente) che ero attratto da lei — confessò, con una certa vergogna.

— Mio caro Franz, non lo siamo tutti? — commentò Byers. — Quelle piccole care creature, appena baciate dal sesso… E loro lo sanno bene! Chi può resistere? Ricordi quanto li hai pagati, i due libri?

— Una somma piuttosto alta, credo. Ma adesso cominciamo a tirare a indovinare.

— Potresti cercare nell’Haight, strada per strada.

— Credo di sì, se la libreria c’è ancora e se non ha cambiato nome. Perché non continui la tua storia?

— Va bene. Non c’è più molto. Vedi, Franz, ecco una prova che quella… ehm… maledizione non è particolarmente efficace. Clark ha avuto una vita lunga e attiva: altri trentatré anni. È rassicurante, non ti pare?

— Non è più tornato a San Francisco — disse brusco Franz. — O almeno non c’è più rimasto a lungo.

— Questo è vero. Be’, dopo la partenza di Clark, De Castries era rimasto solo e triste. Una volta ha raccontato a George Ricker, più o meno a quel tempo, la storia ben poco romantica del suo passato: gli ha detto che era un franco-canadese e che era cresciuto nel nord del Vermont. Suo padre era stato prima un tipografo di paese e poi un agricoltore, sempre fallito; e lui, un bambino solo e infelice. Sembra proprio la verità, non ti pare? E c’è da chiedersi come poteva essere la vita sessuale di un individuo simile. Niente amanti, direi, e tantomeno amanti straniere, misteriose e intellettuali. Be’, comunque adesso aveva avuto (con Clark) l’ultima possibilità di recitare la parte dello stregone sinistro e onnipotente; ma era finita in modo molto amaro, proprio come la prima volta, nella San Francisco fin de siècle… se era stata la prima volta. Tetro e solitario. A quel tempo aveva un’altra conoscenza o amicizia letteraria. Klaas e Ricker lo giuravano entrambi. Dashiell Hammett, che allora viveva a San Francisco, in un appartamento all’incrocio tra la Poste e la Hyde Street, e stava scrivendo Il falcone maltese. Me l’hai fatto tornare in mente quando hai cercato di ricordare il nome di quella libreria antiquaria. Black Dog, il “cane nero”, e il cacatoa. Vedi, il falcone d’oro, favolosamente ingemmato e smaltato di nero (che poi risulta falso), nel romanzo di Hammett viene chiamato qualche volta “l’uccello nero”. Hammett e De Castries facevano un gran parlare di tesori neri, mi hanno detto Klaas e Ricker. E dello sfondo storico del libro di Hammett: i Cavalieri Ospitalieri, in seguito Cavalieri di Malta, che avevano donato il falcone e che un tempo si chiamavano Cavalieri di Rodi.

— Rodi…! Ecco che rispunta! — esclamò Franz. — Quel maledetto Rodi 607!

— Sì — convenne Byers. — Prima Tiberio, poi gli Ospitalieri. Avevano tenuto l’isola per duecento anni, e poi erano stati cacciati dal sultano Maometto II nel 1522. Ma a proposito dell’Uccello Nero: ti ricordi quando ti ho parlato dell’anello di De Castries col mosaico di pietre dure che raffiguravano un uccello nero? Klaas sosteneva che era servito a ispirare Il falcone maltese! Non è necessario spingersi fino a questo punto, naturalmente; ma comunque è davvero molto strano, non pensi? De Castries e Hammett. Il mago nero e l’investigatore della scuola dei duri.

— Non è poi tanto strano, a pensarci bene — ribatté Franz, tornando a guardarsi intorno. — Oltre a essere uno dei pochi grandi romanzieri americani, Hammett era anche un uomo solitario e taciturno, e di un’onestà scrupolosa. Ha preferito scontare una condanna in un carcere federale piuttosto che tradire un impegno preso. E si è arruolato nella seconda guerra mondiale, anche se non era tenuto a farlo, e ha prestato servizio nelle fredde Aleutine, e si è buscato una malattia lunga e fatale. No, era logico che provasse interesse per un vecchio balzano come De Castries e dimostrasse una dura compassione, priva di sentimentalismi, per la sua solitudine, la sua amarezza e i suoi fallimenti. Continua, Donaldus.

— Non c’è molto da aggiungere — disse Byers, ma gli brillavano gli occhi. — De Castries è morto di embolo alle coronarie nel 1929, dopo due settimane di degenza al City Hospital. Era estate… Klaas diceva, ricordo, che il vecchio non era vissuto abbastanza per vedere il crollo della Borsa e l’inizio della grande depressione, “cosa che per lui sarebbe stata una consolazione, perché avrebbe confermato le sue teorie secondo cui il mondo andava a rotoli a causa dell’auto-degenerazione delle megacittà.”

“E così è finita. De Castries è stato cremato, come aveva chiesto; e in questo modo è sfumato il poco denaro che gli rimaneva. Ricker e Klaas si sono divisi le sue poche cose. Naturalmente non lasciava parenti.”

— Mi fa piacere — disse Franz. — Voglio dire, che sia stato cremato. Oh, so che è morto: doveva essere morto, dopo tutti quegli anni; ma, con tutto quello che mi hai detto oggi, avevo l’idea che De Castries fosse un uomo vecchissimo, ma energico e svelto, che si aggira ancora per San Francisco. Adesso, sapere che non solo è morto in un ospedale ma è stato anche cremato, rende più definitiva la sua morte.

— In un certo senso — riconobbe Byers, lanciandogli una strana occhiata. — Per un po’, Klaas ha tenuto le ceneri vicino alla porta di casa sua, in un’urna da poco prezzo fornita dal crematorio, in attesa che lui e Ricker decidessero cosa farne. Alla fine hanno pensato di seguire anche in questo il desiderio di De Castries, sebbene si trattasse di una sepoltura illegale; perciò hanno dovuto farlo di notte, in gran segreto. Ricker portava una piccozza, avvolta in carta da giornale; Klaas una piccola zappa, nascosta nello stesso modo.

“Al funerale presero parte altre due persone. Una era Dashiell Hammett; e, per puro caso, fu lui a risolvere una divergenza fra Klaas e Ricker. Stavano discutendo se dovevano seppellire insieme alle ceneri l’anello nero di De Castries (l’aveva Klaas); perciò l’hanno chiesto a Hammett, che ha risposto: ‘Ma certo’.”

— È logico — disse Franz, con un cenno d’assenso. — Ma che strano!

— Davvero — riconobbe Byers. — Hanno appeso l’anello intorno al collo del recipiente, con un grosso filo di rame. La quarta persona, che addirittura ha portato le ceneri, era Clark. Sapevo che il particolare ti avrebbe sorpreso. Si erano messi in contatto con lui a Auburn: era tornato, solo per quella notte. E ciò dimostra, adesso che ci penso, che Clark non poteva sapere della maledizione… o no? Comunque, il piccolo corteo funebre è partito dalla casa di Klaas appena fatto buio. Era una notte chiara e mancavano pochi giorni alla luna piena: ed è stato un bene che fosse così, perché hanno dovuto arrampicarsi per un bel po’, e lassù non c’erano lampioni.

— Soltanto loro quattro, eh? — chiese Franz quando Byers fece una pausa.

— Strano, che tu me lo domandi — commentò Byers. — Quando tutto era finito, Hammett chiese a Ricker: “Chi diavolo era quella donna che è rimasta sempre in disparte? Una sua vecchia fiamma? Mi aspettavo che si allontanasse quando siamo arrivati alle rocce, o che si unisse a noi, ma ha continuato a tenersi a distanza”. Per Ricker fu un colpo, perché lui non aveva visto nessuno. E neppure Klaas e Smith. Ma Hammett insisteva.

Byers fissò Franz con aria soddisfatta e terminò rapidamente: — La sepoltura è andata liscia, anche se hanno dovuto usare la piccozza… lassù il terreno era durissimo. L’unica cosa che mancava era la torre della TV (quel fantastico incrocio tra un manichino da sartoria e una pagoda birmana illuminata da lanterne rosse) che si chinasse nella notte per impartire una benedizione enigmatica. Il posto era esattamente sotto un sedile naturale di roccia, che De Castries chiamava Scanno del Vescovo in ricordo di quello nello Scarabeo d’oro di Poe, proprio alla base di quel grande sperone di roccia che forma la cima di Corona Heights. Oh, a proposito, avevano esaudito un altro dei desideri del vecchio: De Castries era stato bruciato con addosso un vecchio accappatoio liso, con il cappuccio, color marrone chiaro…

Загрузка...