17

Il soggiorno era arredato con lusso sibaritico e, sebbene non fosse esattamente in stile arabo, conteneva assai più decorazioni che quadri. La tappezzeria era color panna, con sottili linee dorate che tracciavano arabeschi simili a labirinti. Franz scelse un grosso puf appoggiato a una parete, dal quale poteva scorgere agevolmente il corridoio, l’arcata in fondo e le finestre, le cui tende lievemente lucenti trasmettevano, ingiallita, la luce del sole e lasciavano trasparire confuse visioni dell’esterno. Su due scaffali neri accanto al puf c’era un luccichio d’argento; Franz, contro la sua volontà (la sua paura), posò per qualche istante lo sguardo su una collezione di statuine di giovani eleganti impegnati con estremo sussiego in varie attività sessuali, soprattutto contro natura; lo stile era una via di mezzo tra l’Art Deco e il pompeiano. In un’altra circostanza, le avrebbe esaminate con più attenzione. Sembravano straordinariamente minuziose e diabolicamente costose. Byers, come Franz sapeva, era ricco di famiglia, e ogni tre o quattro anni produceva un grosso volume di squisite prose e poesie.

Ora, il fortunato individuo posò una grande e fragile tazza bianca, piena a metà di caffè bollente e un fumante bricco d’argento su un tavolinetto accanto a Franz; sul tavolinetto c’era anche un portacenere di ossidiana.

Poi si assestò su una comoda poltrona bassa, sorseggiò il vino bianco che si era versato e disse: — Quando hai telefonato, mi hai detto che avevi qualche domanda da farmi. È a proposito del diario che attribuisci a Smith e di cui mi hai mandato una fotocopia?

Franz rispose, continuando a guardarsi intorno sistematicamente: — Esatto. Ho qualche domanda da farti. Ma prima devo dirti cosa mi è accaduto poco fa.

— Certo. Naturalmente. Sono ansioso di saperlo.

Franz cercò di condensare il racconto, ma ben presto si accorse che non poteva riuscirci senza perderne il significato: finì col fare un resoconto completo, cronologico, degli eventi delle ultime trenta ore. Di conseguenza, e con l’aiuto del caffè (di cui aveva un gran bisogno) e delle sigarette (che si era dimenticato di fumare da quasi un’ora), dopo qualche tempo incominciò a provare una grande catarsi, e i suoi nervi si assestarono. Si accorse che non aveva cambiato idea a proposito di quello che era successo, o della sua importanza vitale: ma avere un compagno umano e un ascoltatore pieno di comprensione comportava certamente una differenza, da un punto di vista emotivo.

Byers, infatti, era attentissimo, e lo incoraggiava a proseguire con piccoli cenni del capo, socchiudendo gli occhi e sporgendo le labbra, ed esprimendo brevi consensi e commenti… o almeno, erano quasi tutti brevi. Certo, erano più di genere estetico che pratico, perfino un po’ frivoli: ma questo non turbò Franz, all’inizio, perché era assorto nella sua storia, e Byers, anche quando faceva commenti frivoli, sembrava profondamente impressionato e aveva l’aria di credergli, e non parlava per semplice cortesia.

Quando Franz accennò brevemente al suo girotondo burocratico, Byers entrò subito nello spirito della cosa, commentando: — La danza degli impiegati, curioso! — E quando sentì parlare dell’attività musicale di Cal, osservò: — Franz, hai un gusto sicuro, in fatto di ragazze. Una clavicembalista! Cosa potrebbe esserci di più perfetto? La mia attuale cara amica, segretaria e compagna di giochi, governante e dea della luna è una cinese del nord, supremamente erudita, e lavora i metalli preziosi, è stata lei a fare quegli argenti deliziosamente osceni, col procedimento di fusione a cera persa usato dal Cellini. Il caffè te l’avrebbe servito lei: ma oggi è una delle nostre giornate personali, quando ci ricreiamo separatamente. Io la chiamo Fa Lo Suee (la figlia di Fu Manchu: è uno dei nostri scherzi), perché riesce a dare l’impressione incantevolmente sinistra di essere in grado d’impadronirsi del mondo, se appena lo volesse. La conoscerai, se resterai qui stasera. Ma scusami: continua, ti prego. — E quando Franz parlò dei graffiti astrologici di Corona Heights, Byers fischiò piano e disse: — Straordinariamente adatto! — con tanta convinzione che Franz gli chiese: — Perché? — Ma lui rispose: — Niente. Mi riferivo alla gamma dei nostri instancabili sfregiatori. Adesso non ci resta altro da vedere che una piramide di lattine di birra sulla mistica vetta del Monte Shasta. Questo vino di pere è delizioso, dovresti assaggiarlo: una grande creazione dell’azienda vinicola San Martin, sulle pendici baciate dal sole della Santa Clara Valley. Continua, ti prego.

Ma quando Franz nominò per la terza o quarta volta la Megalopolisomanzia e ne citò qualche passo, Byers alzò la mano per interromperlo, si accostò a un’alta libreria, l’aprì, ed estrasse dalla vetrina un volume sottile, splendidamente rilegato in pelle nera, ornato di fregi d’argento, e lo porse a Franz, che l’aprì.

Era una copia del libro di De Castries, composto con gli stessi caratteri poco eleganti. Identica alla sua, a quanto poteva vedere, eccettuata la rilegatura. Alzò gli occhi con aria interrogativa.

Byers spiegò: — Fino a questo pomeriggio non avevo mai immaginato che tu ne avessi una copia, mio caro Franz. Come ricorderai, quella sera nell’Haight mi hai mostrato solo il diario scritto in inchiostro viola, e più avanti mi hai mandato le fotocopie delle pagine scritte. Non mi hai mai detto di avere comprato un altro libro, insieme a quello. E quella sera tu eri… be’, un po’ bevuto:

— A quei tempi ero sempre ubriaco — replicò seccamente Franz.

— Capisco. La povera Daisy… non dire altro. Il fatto è questo: Megalopolisomanzia non è soltanto un libro raro. È anche un libro molto segreto, alla lettera. Nei suoi ultimi anni di vita, De Castries ha cambiato idea e ha cercato di rintracciarne tutte le copie, per bruciarle. E c’è riuscito! Quasi. Si sa che si è comportato in modo assai vendicativo nei confronti delle persone che si rifiutavano di cedere la loro copia. Per la verità, era un vecchio odioso e aggiungerei (anche se detesto i giudizi morali) malvagio. Comunque, quella sera non mi è sembrato il caso di dirti che possedevo quella che allora ritenevo l’unica copia superstite del libro.

Franz disse: — Grazie a Dio! Speravo proprio che tu sapessi qualcosa sul conto di De Castries.

— Ne so parecchio. Ma prima finisci il tuo racconto. Eri su Corona Heights, oggi, e avevi appena guardato al binocolo la Transamerica Pyramid, e questo ti ha ricordato le parole di De Castries sulle “nostre piramidi moderne”…

— Certo — disse Franz, e raccontò tutto, in fretta, ma era la parte peggiore, perché gli riportò alla memoria il muso triangolare pallido e la sua fuga lungo le pendici di Corona Heights; e quando ebbe finito, sudava e di nuovo si guardava intorno con sospetto.

Byers sospirò, poi disse con soddisfazione: — E così sei venuto da me, inseguito dai paramentali fin sulla soglia della mia porta! — Si girò sulla poltrona per guardare con aria sospettosa le finestre dorate alle sue spalle.

— Donaldus! — esclamò rabbiosamente Franz — ti ho raccontato quello che è accaduto, e non qualche maledetto racconto del terrore inventato per divertirti. Lo so che è tutto imperniato su una figura che ho visto alcune volte a una distanza di tre chilometri con un binocolo a sette ingrandimenti, e perciò si può parlare di illusioni ottiche e di difetti dello strumento e di potenza della suggestione: ma di psicologia e di ottica me ne intendo anch’io, e non si trattava di questo! Mi sono interessato abbastanza a fondo della questione dei dischi volanti, e non ho mai visto, non ho mai sentito parlare di un solo Ufo che fosse davvero convincente… e ho visto riflessi alonati, sugli aerei, che avevano forma ovale e brillavano e pulsavano esattamente come quelli di gran parte degli avvistamenti di dischi volanti. Ma non ho nessun dubbio del genere su ciò che ho visto ieri e oggi.

Però, mentre diceva questo e continuava a sbirciare inquieto le finestre e le porte e le ombre, Franz si rese conto che, in fondo in fondo, cominciava davvero a dubitare del ricordo di ciò che aveva visto. Forse la mente umana era incapace di contenere una simile paura per più di un’ora, a meno che non venisse rafforzata dalla ripetizione… ma che gli venisse un colpo se era disposto a confessarlo a Byers!

Finì, in tono gelido: — Naturalmente è possibile che io sia impazzito, o temporaneamente o in via definitiva, e che abbia allucinazioni, ma fintanto che non ne sarò sicuro, non voglio correre rischi idioti… e non intendo farmi ridere dietro.

Byers, che aveva continuato a scuotere la testa e ad alzare le mani in segno d’implorazione, disse, in tono un po’ offeso e rassicurante: — Mio caro Franz, non ho dubitato neppure per un istante della tua serietà, e non ho mai sospettato neppure lontanamente che fossi uno psicotico. Anzi, sono portato a credere alle entità paramentali fin da quando ho letto il volume di De Castries e in particolare dopo che ho sentito varie storie molto strane, molto circostanziate sul suo conto; e adesso la tua sconvolgente testimonianza diretta ha spazzato via i miei ultimi dubbi. Ma io non ho mai visto una di quelle entità: se l’avessi vista, sono sicuro che proverei il tuo stesso terrore. Però, fintanto che non ne avrò viste, e forse in ogni caso, e nonostante l’orrore che evocano in noi, sono entità molto affascinanti, non lo ritieni anche tu? Ora, quanto all’accusa che avrei scambiato il tuo racconto per una storia d’invenzione… ecco, mio caro Franz, per me, il fatto che una storia sia buona è la prova più alta della sua veridicità. Non faccio distinzioni tra realtà e fantasia, tra oggettivo e soggettivo. La vita e la coscienza sono la stessa cosa, in ultima analisi, e includo nel discorso anche la sofferenza più acuta e perfino la morte. Non è detto che l’intera recita ci debba piacere, e i finali non sono mai consolanti. Certe cose si collegano tra loro in modo armonioso e gradevole, o in modo sorprendente con affascinanti dissonanze, e queste sono le cose vere; altre non si collegano per nulla, e queste sono soltanto una cattiva opera d’arte. Non capisci?

Franz non fece commenti immediati. Naturalmente, non aveva prestato alcuna fede alle “rivelazioni” di De Castries in se stesse, ma… Annuì, pensieroso, anche se non per rispondere alla domanda. Sentiva la mancanza dell’acutezza di Gunnar e di Saul… e di Cal.

— E adesso ti racconterò la mia storia — disse Byers, soddisfatto. — Ma prima un sorso di cognac: mi sembra necessario. E tu, cosa prendi? Be’, allora un po’ di caffè bollente: te lo porto subito. E qualche biscotto? Sì.

Franz cominciava ad avere un leggero mal di testa e a sentire una certa nausea. I biscotti di tapioca, semplicissimi e pochissimo zuccherati, gli diedero subito la sensazione di stare un po’ meglio. Si versò il caffè nero e aggiunse un po’ di panna e di zucchero che questa volta il suo anfitrione gli aveva portato premurosamente. Anche il caffè contribuì a migliorare la situazione. Franz non allentò la vigilanza, ma cominciò a sentirsi un po’ più tranquillo, come se la coscienza del pericolo stesse diventando un modo di vivere.

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