Mezza bocca tutta denti e due grandi occhi bruni gli sorridevano da dietro la catena. Una voce chiese: — Scacchi?
Franz tolse subito la catena e aprì la porta. Era un grande sollievo avere con sé qualcuno che conosceva. E nel contempo era deluso perché si trattava di uno con cui faticava a comunicare (certo non poteva confidargli i pensieri che l’assillavano); ma lo consolava il pensiero che avevano in comune, almeno, il linguaggio degli scacchi. Gli scacchi sarebbero serviti a far passare un po’ di tempo, si augurò.
Fernando entrò raggiante, anche se guardò la catena aggrottando la fronte con aria interrogativa e poi fissò di nuovo Franz allorché questi si soffermò a richiudere la porta e a girare a doppia mandata la chiave.
Per tutta risposta, Franz gli offrì da bere. Fernando inarcò le nere sopracciglia alla vista della bottiglia quadrata, sorrise ancor più cordialmente e annuì; ma quando Franz ebbe tolto il tappo e gli ebbe riempito un bicchiere, esitò e chiese, con l’espressione e con le mani, perché non beveva anche lui.
Poiché era la soluzione più semplice, Franz si versò un sorso in un altro bicchiere, nascondendolo con la mano affinché Fernando non vedesse che il liquore era poco, poi l’inclinò fino a quando il liquido aromatico non giunse a contatto delle sue labbra. Offrì a Fernando di versargliene ancora, ma quello indicò la scacchiera e poi la propria testa, scuotendola con un sorriso.
Franz sistemò la scacchiera, abbastanza precariamente, sui classificatori ammucchiati sopra il tavolino, e si sedette sul letto. Fernando guardò dubbioso la sistemazione, poi scrollò le spalle e sorrise. Accostò una sedia e prese posto di fronte a lui. Ebbe in sorte il bianco: quando ebbe collocato i pezzi, aprì con sicurezza.
Anche Franz mosse in fretta. Si accorse di aver adottato di nuovo, quasi automaticamente, il sistema di vigilanza che aveva usato in Beaver Street mentre ascoltava Byers. Il suo sguardo andava dall’estremità della parete dietro di lui all’armadio accanto alla porta, poi dietro una piccola libreria fino al ripostiglio, arrivava al tavolo carico di posta, alla porta del bagno, fino alla libreria più grande e alla scrivania, e poi alla finestra e lungo gli schedari, fino al radiatore e all’altra estremità della parete dietro di lui. E poi ricominciava. Sentì il rimasuglio di un sapore amaro, quando si umettò le labbra. Il Kirschwasser.
Fernando vinse in venti mosse o giù di lì. Guardò pensieroso Franz per qualche attimo, come se volesse fare qualche commento sul suo gioco mediocre, ma poi sorrise e cominciò a disporre i pezzi, a colori invertiti.
Con voluta avventatezza, Franz aprì col gambetto di re. Fernando rispose con un controgambetto, col pedone di regina. Nonostante quella posizione pericolosa, Franz scoprì che non riusciva a concentrarsi sulla partita. Continuava a stillarsi la mente cercando altre precauzioni da prendere oltre alla sorveglianza. Tendeva l’orecchio per captare suoni alla porta e al di là delle pareti divisorie. Disperatamente, si augurò che Fernando conoscesse un po’ meglio l’inglese o non fosse tanto sordo. Quella combinazione era veramente troppo.
E il tempo passava con estrema lentezza. La lancetta più grande del suo orologio era come inchiodata. Era come uno di quei momenti in cui si sta per crollare nell’ubriachezza, e che sembrano protrarsi all’infinito. A quella velocità, sarebbero passati secoli, prima che il concerto finisse.
E poi si rese conto di non avere la certezza che Cal e gli altri rientrassero subito. Dopo i concerti, di solito, la gente va al bar o al ristorante, per far festa o per parlare.
Si rendeva conto, vagamente, che Fernando lo studiava tra una mossa e l’altra.
Naturalmente poteva ritornare al concerto, quando Fernando se ne fosse andato. Ma così non avrebbe risolto nulla. Aveva lasciato il concerto con la decisione di risolvere l’enigma della maledizione di De Castries e di tutte le relative stranezze. E almeno qualche progresso l’aveva fatto: aveva già risposto all’interrogativo del Rodi 607; ma naturalmente aveva avuto intenzione di chiarire ben altro, quando ne aveva parlato a Saul.
Ma come poteva trovare la soluzione dell’intera faccenda, comunque? Una ricerca seria, nel campo psichico o occulto, comportava una preparazione complessa, uno studio approfondito, e l’uso di strumenti delicati e scrupolosamente regolati, o almeno di persone sensibili e preparate ed esperte… medium, sensitivi, telepatici, chiaroveggenti e simili: gente che avesse dato buona prova di sé con le carte Zener e chissà cos’altro ancora. Cosa poteva sperare di fare, da solo, in una sera? A cosa aveva pensato, quando aveva abbandonato il concerto di Cal e le aveva lasciato quel messaggio?
Eppure, chissà perché, aveva la sensazione che tutti gli specialisti della ricerca psichica e tutta la loro esperienza non potessero aiutarlo, adesso. Tantomeno avrebbero potuto aiutarlo gli esperti scientifici, con i loro rivelatori elettronici straordinariamente sensibili e gli apparecchi fotografici e le altre diavolerie. Con tutti i campi dell’occulto e del para-occulto che fiorivano in quei giorni (stregoneria, agopuntura, biofeedback, rabdomanzia, psicocinesi, aure, astrologia, “viaggi” con l’LSD, balzi nel flusso nel tempo; molti erano fasulli, alcuni forse no) quello che stava capitando a lui era completamente diverso.
Immaginò di ritornare al concerto: e l’idea non gli piacque. Vagamente, gli parve di udire la musica svelta e scintillante di un clavicembalo che continuava ad attrarlo e a sferzarlo imperiosamente.
Fernando si schiarì la gola. Franz si accorse che si era lasciato sfuggire un matto in tre mosse e aveva perso la seconda partita più o meno nello stesso numero di mosse della prima. Automaticamente, cominciò a preparare la scacchiera per la terza.
La mano di Fernando, col palmo abbassato in un “No”, lo trattenne. Franz alzò la testa.
Fernando lo fissava attentamente. Aggrottò la fronte e agitò un dito, indicando che era preoccupato per lui, poi indicò la scacchiera, e si toccò la tempia. Quindi scosse la testa con aria decisa, accigliandosi e additando di nuovo Franz.
Franz comprese il messaggio: “Tu non pensi al gioco”. Annuì.
Fernando si alzò, scostò la sedia, e mimo gli atteggiamenti di un uomo timoroso di qualcosa che lo insegue. Curvandosi un po’, continuò a guardarsi intorno, come aveva fatto Franz ma in modo più evidente. Si girava e si guardava alle spalle, ora in una direzione e ora in un’altra, con gli occhi spalancati e l’espressione impaurita.
Franz annuì ancora, per indicare che aveva capito.
Fernando si aggirò per la stanza, lanciando rapide occhiate alla porta del corridoio e alla finestra. Guardando in un’altra direzione, bussò energicamente sul radiatore, poi sussultò e si scostò di scatto.
Un uomo che aveva una gran paura di qualcosa, che trasaliva ai rumori improvvisi: ecco ciò che doveva significare. Franz annuì ancora.
Fernando ripeté la pantomima accanto alla porta del bagno e alla parete vicina. Dopo aver bussato su quest’ultima, fissò Franz e disse: — Hay hechiceria. Hechiceria occultado en murallas.
Cos’aveva detto, Cal? “Stregoneria nascosta nei muri.” Franz ricordò che anche lui aveva pensato alle porte e ai passaggi segreti. Ma Fernando lo intendeva alla lettera oppure metaforicamentee? Franz annuì, ma sporse le labbra e cercò di assumere un’aria interrogativa.
Fernando parve notare le stelle di gesso per la prima volta. Bianche sul legno chiaro, non si scorgevano facilmente. Il peruviano alzò le sopracciglia e rivolse a Franz un sorriso comprensivo e un cenno d’approvazione. Indicò le stelle, e poi tese le mani, di piatto, verso la finestra e le porte, come per tener fuori qualcosa… e intanto continuava ad annuire.
— Bueno - disse.
Franz chinò la testa, meravigliandosi della paura che l’aveva spinto ad aggrapparsi a uno strumento protettivo tanto irrazionale, che Fernando, pieno di superstizione fino alle ossa (?) aveva compreso al volo: le stelle contro la stregoneria (e c’erano stelle a cinque punte tra i graffiti di Corona Heights, che dovevano tenere a bada le ossa e la cenere; era stato Byers a tracciarle).
Si alzò, andò al tavolo e offrì di nuovo da bere a Fernando, togliendo il tappo alla bottiglia, ma il peruviano rifiutò con un secco cenno della mano, a palmo in basso; andò nel punto dove prima stava Franz, bussò sulla parete dietro il letto, e si girò, ripetendo: — Hechiceria occultado en muralla!
Franz lo guardò con aria interrogativa. Ma il peruviano si limitò a chinare la testa e si portò tre dita alla fronte, per simboleggiare il pensiero (e forse Fernando stava pensando davvero).
Poi il peruviano alzò la testa con un’aria da rivelazione, prese il gessetto dalla lavagna accanto alla scacchiera, e tracciò sulla parete dietro il letto una stella a cinque punte, più grande e vistosa e ben disegnata di quelle di Franz.
— Bueno - ripeté, annuendo. Poi indicò dietro il letto, in basso, e disse ancora: — Hay hechiceria en muralla. - Quindi andò in fretta alla porta del corridoio, mimò l’atto di uscire e di ritornare, e guardò Franz con sollecitudine, alzando le sopracciglia, come per domandare: “Posso star tranquillo per te, nel frattempo?”.
Piuttosto sconcertato dalla pantomima, e sentendosi improvvisamente molto stanco, Franz annuì con un sorriso; poi, pensando alla stella che l’altro aveva disegnato e alla sensazione di cameratismo che gli aveva dato, disse: — Gracias!
Fernando gli rivolse un sorrisetto, aprì la porta e uscì, richiudendosela alle spalle. Poco dopo, Franz udì l’ascensore fermarsi al suo piano, le porte che si aprivano e si chiudevano e la cabina scendere, ronzando, come se fosse diretta verso i sotterranei dell’universo.